Riguarda uno dei punti, della cosiddetta riforma "epocale", che Berlusconi preferisce e di cui si parla ormai da tempo immemorabile: la separazione delle carriere tra PM e giudici. Il ritornello che ci sentiamo ripetere dai galoppini governativi è sostanzialmente sempre quello: se il giudice facesse solo il giudice e il PM solo il PM la giustizia ne gioverebbe e i diritti dei cittadini sarebbero più tutelati. Naturalmente sono tutte balle: la separazione delle carriere è una bella e altisonante dicitura che in realtà nasconde al suo interno solamente il vecchio sogno dei politici di ogni tempo di mettere le azioni della magistratura sotto il controllo del governo. Vantaggi per i cittadini: zero.
Il problema non è questo. Il problema è che spesso per avallare e dare credito a questa pseudo riforma, si usa dire che anche magistrati di notevole spessore e fama, in passato, hanno strizzato l'occhio a questo progetto. Uno di questi sarebbe Giovanni Falcone. Scrive Ferrara:
A parte il fatto che non si capisce cosa ci sia di liberale in una riforma in cui la priorità delle indagini la deciderà il governo, non è ben chiaro dove siano i fautori di questa riforma che "non si contano". Forse tra i politici se ne potrebbero trovare molti; più difficile tra i magistrati e tra coloro che di giustizia ci capiscono qualcosa. Ma è sentire nominare Giovanni Falcone da Ferrara che mi fa fare il salto di qualità dalle vertigini ai conati di vomito. Vi immaginate i solerti lettori del Giornale? "Cavolo, lo dice Falcone, deve essere per forza una cosa buona e giusta".
E' vero, Falcone ha parlato di questa cosa, ma in termini un pelino diversi da quelli che si intendono oggi e da quelli che intende Ferrara (il quale si guarda bene dal dirlo nei termini giusti ai lettori). Come stanno le cose, allora? Lo spiegò molto bene a suo tempo Giancarlo Caselli, in risposta a Berlusconi (un altro che il nome di Falcone non dovrebbe neppure sussurrarlo). Vi riporto qui di seguito alcuni stralci dell'articolo di Caselli, la versione integrale è qui.
Far parlare i morti è operazione scorretta e nessuno può dire quale sarebbe oggi il pensiero di Falcone. Tanto più se si usa una formula (”separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati”) che Falcone non ha mai usato. Ma il merito della questione riguarda la separazione delle carriere. Effettivamente alcuni scritti di Falcone sul finire degli anni Ottanta sembrano ad essa decisamente favorevoli. Ma sono scritti che vanno ”storicizzati”.
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Ma far parlare i morti - ripeto - è scorretto. Limitiamoci allora a rilevare che Falcone scriveva ben prima che la storia del nostro Paese subisse una radicale curvatura. Prima che Tangentopoli svelasse una corruzione sistemica. Prima che Mafiopoli (grazie anche al radicale mutamento di clima che proprio le stragi del `92 favorirono) provasse anche a livello giudiziario collusioni fra mafia e politica di gravità inaudita.
Prima che si scatenasse contro i magistrati onesti aggressioni senza tregua. Prima delle ricorrenti campagne volte ad ottenere (in un Paese dove il sistema giudiziario è sfasciato) non più, ma meno giustizia, tutte le volte che il controllo di legalità voglia occuparsi anche di certi interessi.
[...]
...separazione delle carriere inevitabilmente significa che la politica, in modo o nell’altro, può dare ordini, direttive o indicazioni ai pm. In altri Paesi, di democrazia consolidata, ciò avviene senza drammi. Perché la politica rispetta la giurisdizione e sa bonificare se stessa quando necessario. Ma da noi la situazione è diversa: corruzione, collusioni, mala-sanità, mala-amministrazione e via elencando ci affliggono ancora pesantemente, mentre si è trasversalmente diffusa la tendenza di certa politica ad autoassolversi pregiudizialmente, accusando di complotto o politicizzazione la magistratura ogni volta che - facendo il suo dovere - debba occuparsi di politici o amministratori pubblici.
Giuliano Ferrara, forse potrai prendere per i fondelli i lettori del Giornale (ormai ci avranno fatto il callo), ma non certo chi non ha il prosciutto davanti agli occhi. E lascia stare Falcone, per piacere.
Se a te fa venire il vomito.. forse allora ti sei perso la dichiarazione di Berlusconi che si definì "erede morale di Falcone e Borsellino". Roba da attacco diarroico cronico!!
RispondiEliminaSì, mi sa di essermela persa. Sono sopravvissuto lo stesso.
RispondiEliminaSacchini, per piacere, lascia stare Ferrara e non provare a rigirartela come ti fa comodo. Il riferimento di Ferrara a Falcone è pienamente giustificato e siccome io sono prevalentemente una lettrice del Corriere della Sera, proprio dal Corriere ti riporto sull'argomento una parte di articolo di Felice Cavallaro:
RispondiElimina"Quando Falcone sosteneva la separazione delle carriere
C' è un libro scomodo che ripropone una lettura degli anni bui della Palermo di Falcone e Borsellino vista da vicino, anzi da vicinissimo. Perché a scriverlo in prima persona, parlando dei suoi due amici uccisi dalla mafia, e dell' esperienza del pool fondato da Rocco Chinnici, è uno della squadra, Giuseppe Ayala, il pubblico ministero del primo maxi processo che aveva firmato (tra l' altro) le richieste d' arresto per Ciancimino e i Salvo. È come rivedere quegli anni alla moviola scoprendo gli sgambetti e le imposture coperte dalla retorica corrente di un pezzo di antimafia ben distante dai protagonisti di Chi ha paura muore ogni giorno (Mondadori, pagine 200, 17,50). E l' opera di Ayala diventa scomoda non solo per gli assassini individuati e processati, ma anche per quanti si sono affrettati a santificare Falcone soltanto dopo la strage di Capaci ignorando quanto diceva e criticando quanto aveva fatto negli ultimi mesi di vita. Misteri e intrighi di mafia, politica e servizi segreti deviati, casseforti svuotate, agende e diari spariti puntellano una ricostruzione centrata su eroi raccontati come mai nessuno prima. [...] Acuto, preciso, fulminante, mai cupo e tenebroso come tanti suoi colleghi amano mostrarsi, schiacciati dai pesi del mondo. Sono i suoi ricordi e gli atti che richiama a diventare spesso scomodi. Anche su materie rimaste sospese. A cominciare dalla separazione delle carriere fra magistrati di procura e giudici di tribunale. Ayala cita Falcone e parla di «una indubbia anomalia rappresentata dall' unicità delle carriere, estranea, non a caso, a tutti gli ordinamenti dei più importanti Paesi occidentali». Insomma, «la separazione non ci scandalizzava affatto». Anzi, sembrava loro «auspicabile». Come una revisione del principio dell' obbligatorietà dell' azione penale. Ecco i due tabù che provocano ancora oggi l' alzata di muri massicci nell' Associazione magistrati e nel Csm. Due entità contro cui lancia saette Ayala, pronto a ribadire di pensarla ancora come Falcone, convinto nel 1989 che una politica contro la criminalità «non può essere lasciata alle scelte, prive di adeguati controlli, dei capi degli uffici - o peggio dei singoli magistrati - senza alcuna possibilità istituzionale di intervento». [...]
Cavallaro Felice
Pagina 30
(30 giugno 2008) - Corriere della Sera"
Caro Sacchini a Falcone, come vedi, la separazione delle carriere non dispiaceva affatto e, francamente, non dispiace neanche a me che sono solo una cittadina come tanti.
Gabriella
P.S. Casomai volessi leggere l'articolo di Cavallaro per intero
http://archiviostorico.corriere.it/2008/giugno/30/Quando_Falcone_sosteneva_separazione_delle_co_9_080630060.shtml
Conoscevo quell'articolo di Cavallaro. Ma, se permetti, preferisco tenere in maggiore considerazione l'opinione di chi Falcone l'ha conosciuto di persona, avendoci pure lavorato insieme.
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