Quando ero bambino andavo a Catechismo. Anche le mie figlie oggi ci vanno (seppure con qualche sbuffo e qualche uff...). Quando ci andavo io non era chiamato così, ma "dottrina". A "dottrina", ricordo, ci veniva insegnato che c'era Dio, che c'era Gesù, la Madonna, ecc... E ci veniva altresì insegnato che bisognava seguire certe regole (vedi comandamenti), pena la nostra esclusione dal Paradiso. Ci veniva inculcata l'idea (almeno per me così è stato) di un dio-giudice, unico e onnipresente/onnipotente, al quale rendere conto delle nostra azioni.
La cosa naturalmente ha avuto un seguito: e cioè scuole medie e superiori anch'esse infarcite di ore di religione generalmente a senso unico. Probabilmente il rigetto attuale che provo oggi verso qualsiasi cosa che contempli al suo interno dogmi, pregiudizi, sacramenti, infallibilità vere o presunte, testi sacri ispirati e compagnia bella è figlio di quella dottrina a senso unico di cui parlavo prima.
Questo breve preambolo per dire che ho appena terminato di leggere il libro con cui titolo questo post. Si tratta di un saggio scritto dal matematico Piergiorgio Odifreddi. Partendo dal versetto di apertura del Genesi - il celeberrimo "In principio Dio creò il cielo e la terra" - lo scienziato ripercorre tutto il vecchio e il nuovo testamento evidenziando con certosina perizia le contraddizioni, le falsità storiche, le incongruenze e le assurdità scientifiche di cui traboccano tali testi.
Viene evidenziato come non sia possibile sotto nessun punto di vista prendere come ispirata da Dio una tale quantità di sciocchezze, fatte di rimaneggiamenti, correzioni, adattamenti in corsa e revisioni alle quali le edizioni ufficiali CEI di tali testi cercano di dare un filo logico attraverso improbabili e a volte goffe acrobazie semantiche.
Il libro è molto scorrevole e piacevole nella lettura, tra l'altro con parecchi spunti ironici e divertenti (esposti senza quasi mai scadere nel volgare e nell'irrispettoso). L'unica critica che mi sento di muovere all'autore è forse la sua eccessiva razionalità (vabbé, è uno scienziato), il suo non concedere nulla a niente che non abbia al suo interno una spiegazione logica e razionale al di fuori di ogni ragionevole dubbio.
mercoledì 31 ottobre 2007
Il biodiesel affama?
Prendo spunto da questo post di Anna Setari per ribadire come effettivamente i media non è che si prodighino eccessivamente nel riportare gli infausti effetti della conversione in massa di cereali per la produzione di carburante per autotrazione.
Dell'utilizzo di carburante prodotto da olii vegetali al posto di quello tradizionale derivato dalla raffinazione del petrolio è già da tempo che si parla, specialmente da quando i prezzi dei carburanti tradizionali hanno raggiunto i prezzi alla pompa che sappiamo. A questo proposito segnalo questo interessante articolo pubblicato da Repubblica.
A livello mondiale è in atto una tendenza sempre più spiccata a utilizzare i raccolti di granoturco per la produzione di biocarburanti, i quali hanno un costo (apparentemente) minore di quello tradizionale e permettono una certa riduzione delle emissioni inquinanti rispetto a quello tradizionale. Si legge nell'articolo di Repubblica che ho appena linkato:
L'obiettivo che si è posto Bush a gennaio di quest'anno - 35 miliardi di galloni di etanolo entro il 2017 - vorrebbe dire la riconversione esclusivamente a granturco "per autotrazione" di 1/4 di tutte le superfici coltivabili d'America. e tutto questo con lo scopo di ridurre di solo il 20% circa la dipendenza degli americani dal petrolio importato. E' infatti noto che non sarebbe possibile, proprio per mancanza di spazio fisico coltivabile, la totale riconversione dei motori della popolazione americana a combustibili ecologici. E questo ovviamente vale anche per noi.
La progressiva diminuzione di aree coltivabili destinate all'alimentazione umana danneggia, putroppo, prevalentemente i paesi con un già alto tasso di povertà. Sempre da Repubblica:
Dell'utilizzo di carburante prodotto da olii vegetali al posto di quello tradizionale derivato dalla raffinazione del petrolio è già da tempo che si parla, specialmente da quando i prezzi dei carburanti tradizionali hanno raggiunto i prezzi alla pompa che sappiamo. A questo proposito segnalo questo interessante articolo pubblicato da Repubblica.
A livello mondiale è in atto una tendenza sempre più spiccata a utilizzare i raccolti di granoturco per la produzione di biocarburanti, i quali hanno un costo (apparentemente) minore di quello tradizionale e permettono una certa riduzione delle emissioni inquinanti rispetto a quello tradizionale. Si legge nell'articolo di Repubblica che ho appena linkato:
"Nei mesi scorsi, la Casa Bianca ha scelto di incentivare massicciamente l'utilizzo del granturco per biocarburanti. In parte, per aggirare la necessità di provvedere con altre misure di risparmio all'emergenza petrolio. [...] Ma la decisione di Bush di quintuplicare l'obiettivo ufficiale di produzione di etanolo da granturco ha avuto un impatto devastante sui prezzi. La quotazione del granturco ha raggiunto record storici, di fronte alla nuova domanda."Ora, come sottolinea in un passo successivo Maurizio Ricci, autore dell'articolo, non è che l'ulteriore impoverimento di paesi che già non se la passano bene sia escusivamente da addebitare a questo motivo (bisogna infatti mettere in conto annate sfortunate, problemi climatici, ecc...), ma è indubbio che una considerevole quota di responsabilità di tutto ciò che ruota attorno alla questione biocarburanti sia comunque da mettere in conto. Ecco quindi il "crimine contro l'umanità" di cui parla Jean Ziegler (ONU) nell'articolo di Repubblica: e cioè la destinazione di sempre maggiori aree coltivabili alla produzione di carburante anziché prodotti alimentari, con tutto quello che facilmente ne consegue.
L'obiettivo che si è posto Bush a gennaio di quest'anno - 35 miliardi di galloni di etanolo entro il 2017 - vorrebbe dire la riconversione esclusivamente a granturco "per autotrazione" di 1/4 di tutte le superfici coltivabili d'America. e tutto questo con lo scopo di ridurre di solo il 20% circa la dipendenza degli americani dal petrolio importato. E' infatti noto che non sarebbe possibile, proprio per mancanza di spazio fisico coltivabile, la totale riconversione dei motori della popolazione americana a combustibili ecologici. E questo ovviamente vale anche per noi.
La progressiva diminuzione di aree coltivabili destinate all'alimentazione umana danneggia, putroppo, prevalentemente i paesi con un già alto tasso di povertà. Sempre da Repubblica:
"Ma non basta questo scarto a spiegare perché il dramma del rincaro del cibo si concentri sui paesi più poveri. Più una società è povera, infatti, più alta è la quota di spesa destinata agli alimenti. Un consumatore americano spende il 10% del suo budget quotidiano per mangiare. Un cinese il 30%. Nell'Africa subsahariana il 60%."Chiudo questo breve post con un estratto (che sicuramente indurrà qualche riflessione) tratto da quest'altro articolo pubblicato sempre da Repubblica il 20 luglio scorso:
"L'International Food Policy Research Institute di Washington calcola che la sola corsa dell'agricoltura ai biocarburanti, da qui al 2010, farà crescere i prezzi del granturco del 20 per cento, della soia del 26 per cento, del grano dell'11 per cento, della manioca (il cibo base in Africa e in Sud America) del 33 per cento. Del doppio o del triplo al 2020. A questi prezzi, stimano Ford Runge e Benjamin Senauer, due studiosi americani, il numero delle persone che, nel mondo, soffrono la fame, invece di scendere a 600 milioni nel 2025, come ci si aspettava, sarà del doppio, 1 miliardo e 200 milioni. Runge e Senauer fanno un calcolo anche più brutale: riempire il serbatoio di un fuoristrada solo di etanolo richiede oltre 200 chili di granturco, ovvero il fabbisogno di calorie di una persona per un anno."
martedì 30 ottobre 2007
Acer prende il toro per le corna
Ovviamente mi riferisco con questo titolo all'articolo pubblicato oggi da Punto Informatico. Brevemente, in questo articolo viene evidenziato come il quinto produttore di pc del mondo abbia deciso di semplificare la vita a tutti quegli utenti che vogliono acquistare un pc nuovo senza trovarsi Windows tra i piedi.
Chi si interessa un pò di informatica e di sistemi operativi sa quanto sia difficile oggi trovare un pc senza Windows, e, soprattutto, quanto sia ancora più difficile ottenere un rimborso per un Windows inutilizzato (rimborso sulla carta previsto da Microsoft, ma allo stato pratico estremamente difficile da ottenere).
Acer, probabilmente spinta un pò anche dalle ultime sentenze di questo periodo in merito, ha deciso di venire incontro agli utenti, evitando, tramite pochi e semplici passaggi, il ricorso a lungaggini burocratiche degne di miglior causa.
Tutto ciò sperando, ovviamente, che altre aziende decidano di seguire l'esempio.
Chi si interessa un pò di informatica e di sistemi operativi sa quanto sia difficile oggi trovare un pc senza Windows, e, soprattutto, quanto sia ancora più difficile ottenere un rimborso per un Windows inutilizzato (rimborso sulla carta previsto da Microsoft, ma allo stato pratico estremamente difficile da ottenere).
Acer, probabilmente spinta un pò anche dalle ultime sentenze di questo periodo in merito, ha deciso di venire incontro agli utenti, evitando, tramite pochi e semplici passaggi, il ricorso a lungaggini burocratiche degne di miglior causa.
Tutto ciò sperando, ovviamente, che altre aziende decidano di seguire l'esempio.
Le "grinfie" di Microsoft sul progetto OLPC
OLPC sta per One Laptop Per Child (logo qui a fianco). Il progetto (sito ufficiale qui), ideato dall'informatico Nicholas Negroponte, non ha finalità di lucro ed è stato concepito con l'intento di fornire a ogni bambino di molti paesi in via di sviluppo un pc col quale accedere alla conoscenza e alle moderne forme di comunicazione.
La macchina in questione (immagine qui sotto) altro non è che un normale laptop, di dimensioni ridotte e a basso costo, studiato e concepito per ottimizzare al massimo l'impiego di energia, tanto è vero che per farlo funzionare è sufficiente un piccolo generatore che inizialmente era addirittura alimentato a manovella. Tra le caratteristiche tecniche principali vanno sicuramente segnalate la connessione WiFi, la tastiera impermeabile, prese usb e la webcam integrata. Da notare inoltre che non esiste hard disk ma una memoria Flash, che consente agevolmente di archiviare immagini e testi.
Altra caratteristica interessante è il fatto che tutto il software installato nel laptop è open source e gratuito: dal sistema operativo (Linux) fino ad arrivare al word processor, come si legge nell'apposita pagina del sito ufficiale. Insomma un progetto nato all'insegna della più completa libertà in ambito software.
Dal prossimo 12 novembre tale progetto prosegue il suo cammino sulla base della formula give 1 get 1, ossia anche nei paesi "ricchi" (inizialmente USA e Canada) sarà possibile acquistare per $399 una coppia di laptop uno dei quali verrà destinato ai bambini dei paesi in via di sviluppo. Com'è facilmente intuibile, un progetto di tale portata fa gola a molti, in particolar modo a chi vede nel tipo di mercato a cui è destinato il progetto un bacino di possibile utenza (e quindi di guadagno) tutt'altro che trascurabile. E con qualche problema in questo senso Negroponte ci ha già avuto a che fare in passato.
Ovviamente non poteva non dirsi interessato l'acuto zio Bill, il quale già a fine 2006 aveva tentato un primo approccio al progetto. Ma riuscire a "fare entrare" gli elefantiaci sistemi Windows - sulla cui fame di risorse (ram e compagnia bella) circola ogni tipo di leggenda - sul "povero" pc di Negroponte (studiato per funzionare con un'apposita versione di Linux e con molte parti prodotte direttamente dall'associazione) si è rivelata impresa ardua, tanto che il progetto è stato inizialmente abbandonato.
Per poco però, perché da quanto si legge in giro Microsoft, che in realtà non ha mai abbandonato completamente l'idea di far parte del progetto, sarebbe già tornata alla carica. Will Poole, corporate vice president Microsoft, ha infatti affermato, in un articolo apparso qualche giorno fa su Reuters e ripreso da WebNews, che il big di Redmond sta investendo ingenti risorse per tentare di adattare il suo Xp al pc di Negroponte. Insomma, zio Bill vuole a tutti i costi essere della partita; non si arrende all'idea di non poter "infilare" Windows nel suddetto pc (che, come termine di paragone, sarebbe un pò come voler infilare un piede grosso in una scarpa piccola).
E, sinceramente, non potrebbe essere diversamente. L'eventuale esclusione di Microsoft dal progetto, infatti, negherebbe a zio Bill la possibilità di spiattellare sotto il naso di milioni di bambini (potenziali futuri clienti) il suo Windows. Bambini che, viceversa, attualmente hanno la possibilità di iniziare a mettere le mani su pc liberi da vincoli di qualsiasi genere e di imparare fin da subito che l'informatica e i software non sono di "qualcuno", non sono "concessi in licenza" con 40.000 clausole capestro di contorno, ma sono di tutti e tutti hanno la possibilità di metterci le mani.
Scenario, questo, tra i maggiormente temuti da Microsoft.
La macchina in questione (immagine qui sotto) altro non è che un normale laptop, di dimensioni ridotte e a basso costo, studiato e concepito per ottimizzare al massimo l'impiego di energia, tanto è vero che per farlo funzionare è sufficiente un piccolo generatore che inizialmente era addirittura alimentato a manovella. Tra le caratteristiche tecniche principali vanno sicuramente segnalate la connessione WiFi, la tastiera impermeabile, prese usb e la webcam integrata. Da notare inoltre che non esiste hard disk ma una memoria Flash, che consente agevolmente di archiviare immagini e testi.
Altra caratteristica interessante è il fatto che tutto il software installato nel laptop è open source e gratuito: dal sistema operativo (Linux) fino ad arrivare al word processor, come si legge nell'apposita pagina del sito ufficiale. Insomma un progetto nato all'insegna della più completa libertà in ambito software.
Dal prossimo 12 novembre tale progetto prosegue il suo cammino sulla base della formula give 1 get 1, ossia anche nei paesi "ricchi" (inizialmente USA e Canada) sarà possibile acquistare per $399 una coppia di laptop uno dei quali verrà destinato ai bambini dei paesi in via di sviluppo. Com'è facilmente intuibile, un progetto di tale portata fa gola a molti, in particolar modo a chi vede nel tipo di mercato a cui è destinato il progetto un bacino di possibile utenza (e quindi di guadagno) tutt'altro che trascurabile. E con qualche problema in questo senso Negroponte ci ha già avuto a che fare in passato.
Ovviamente non poteva non dirsi interessato l'acuto zio Bill, il quale già a fine 2006 aveva tentato un primo approccio al progetto. Ma riuscire a "fare entrare" gli elefantiaci sistemi Windows - sulla cui fame di risorse (ram e compagnia bella) circola ogni tipo di leggenda - sul "povero" pc di Negroponte (studiato per funzionare con un'apposita versione di Linux e con molte parti prodotte direttamente dall'associazione) si è rivelata impresa ardua, tanto che il progetto è stato inizialmente abbandonato.
Per poco però, perché da quanto si legge in giro Microsoft, che in realtà non ha mai abbandonato completamente l'idea di far parte del progetto, sarebbe già tornata alla carica. Will Poole, corporate vice president Microsoft, ha infatti affermato, in un articolo apparso qualche giorno fa su Reuters e ripreso da WebNews, che il big di Redmond sta investendo ingenti risorse per tentare di adattare il suo Xp al pc di Negroponte. Insomma, zio Bill vuole a tutti i costi essere della partita; non si arrende all'idea di non poter "infilare" Windows nel suddetto pc (che, come termine di paragone, sarebbe un pò come voler infilare un piede grosso in una scarpa piccola).
E, sinceramente, non potrebbe essere diversamente. L'eventuale esclusione di Microsoft dal progetto, infatti, negherebbe a zio Bill la possibilità di spiattellare sotto il naso di milioni di bambini (potenziali futuri clienti) il suo Windows. Bambini che, viceversa, attualmente hanno la possibilità di iniziare a mettere le mani su pc liberi da vincoli di qualsiasi genere e di imparare fin da subito che l'informatica e i software non sono di "qualcuno", non sono "concessi in licenza" con 40.000 clausole capestro di contorno, ma sono di tutti e tutti hanno la possibilità di metterci le mani.
Scenario, questo, tra i maggiormente temuti da Microsoft.
lunedì 29 ottobre 2007
Cosa c'entrano la stupidità e la crudeltà con l'arte?
Questo articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Quando mi sono imbattuto nella notizia ho pensato (anzi, sperato) che si trattasse di una delle tante bufale che girano in rete, ma mi sono purtroppo dovuto ricredere.
Per farla breve, è online una petizione per chiedere che all'"artista" Guillermo Vargas venga impedito di esporre la sua "opera" alla Biennale Centroamericana 2008. Per opera si intende (o almeno il presunto artista intende) un cane malato, legato davanti a una parete bianca e lasciato deliberatamente morire d'inedia.
Non mi sembra il caso di dilungarmi, vi lascio solo alcuni link sulla vicenda in caso desideriate approfondire. Qui trovate l'articolo del Giornale che ne parla, qui invece l'articolo sul Nacion.com, il quotidiano della Costa Rica che ha divulgato la vicenda (traduzione in inglese qui).
Ovviamente - come ho già segnalato qui sopra - una tale barbarie non poteva non dare luogo a una petizione online per chiedere che al cretinetti ideatore della pensata venga impedito di mostrare la sua... scusate non mi sento di chiamarla opera d'arte. In ogni caso la petizione è qui, e al momento in cui scrivo ha quasi raggiunto le 150.000 firme.
Come sapete, raccomando sempre di non divulgare ad amici e conoscenti catene di S.Antonio e appelli vari che piovono nelle caselle di posta. Questo è forse uno dei pochi casi, invece, in cui la segnalazione della petizione è sicuramente cosa buona.
Aggiornamento 01/11/2207.
Paolo Attivissimo, nella puntata del 30/10/2007 (podcast qui) del disinformatico, precisa alcune cose in merito a questa vicenda. Secondo le sue indagini il cane in questione sarebbe effettivamente stato esposto legato come "opera d'arte", ma non sarebbe morto di fame; anzi, sarebbe addirittura riuscito a scappare. Tutta la vicenda, compresa la petizione, sarebbe quindi un tentativo (ben riuscito) dell'autore della furbata per farsi pubblicità.
Questo, a mio parere, non toglie niente alla "bassezza morale" dimostrata dall'individuo, e se la suddetta petizione riuscirà nell'intento di impedirgli l'accesso alla Biennale Sudamericana 2008, sarà comunque stata utile.
Aggiornamento 06/11/2007.
Beh, che dire, quando si prende una mezza cantonata (come pare sia capitato a me), bisogna ammetterlo. Paolo Attivissimo pubblica infatti altri dettagli su questa storia nel suo blog (qui), dove potete anche leggere alcune mie puntualizzazioni pubblicate nei commenti.
Quando mi sono imbattuto nella notizia ho pensato (anzi, sperato) che si trattasse di una delle tante bufale che girano in rete, ma mi sono purtroppo dovuto ricredere.
Per farla breve, è online una petizione per chiedere che all'"artista" Guillermo Vargas venga impedito di esporre la sua "opera" alla Biennale Centroamericana 2008. Per opera si intende (o almeno il presunto artista intende) un cane malato, legato davanti a una parete bianca e lasciato deliberatamente morire d'inedia.
Non mi sembra il caso di dilungarmi, vi lascio solo alcuni link sulla vicenda in caso desideriate approfondire. Qui trovate l'articolo del Giornale che ne parla, qui invece l'articolo sul Nacion.com, il quotidiano della Costa Rica che ha divulgato la vicenda (traduzione in inglese qui).
Ovviamente - come ho già segnalato qui sopra - una tale barbarie non poteva non dare luogo a una petizione online per chiedere che al cretinetti ideatore della pensata venga impedito di mostrare la sua... scusate non mi sento di chiamarla opera d'arte. In ogni caso la petizione è qui, e al momento in cui scrivo ha quasi raggiunto le 150.000 firme.
Come sapete, raccomando sempre di non divulgare ad amici e conoscenti catene di S.Antonio e appelli vari che piovono nelle caselle di posta. Questo è forse uno dei pochi casi, invece, in cui la segnalazione della petizione è sicuramente cosa buona.
Aggiornamento 01/11/2207.
Paolo Attivissimo, nella puntata del 30/10/2007 (podcast qui) del disinformatico, precisa alcune cose in merito a questa vicenda. Secondo le sue indagini il cane in questione sarebbe effettivamente stato esposto legato come "opera d'arte", ma non sarebbe morto di fame; anzi, sarebbe addirittura riuscito a scappare. Tutta la vicenda, compresa la petizione, sarebbe quindi un tentativo (ben riuscito) dell'autore della furbata per farsi pubblicità.
Questo, a mio parere, non toglie niente alla "bassezza morale" dimostrata dall'individuo, e se la suddetta petizione riuscirà nell'intento di impedirgli l'accesso alla Biennale Sudamericana 2008, sarà comunque stata utile.
Aggiornamento 06/11/2007.
Beh, che dire, quando si prende una mezza cantonata (come pare sia capitato a me), bisogna ammetterlo. Paolo Attivissimo pubblica infatti altri dettagli su questa storia nel suo blog (qui), dove potete anche leggere alcune mie puntualizzazioni pubblicate nei commenti.
Assolto? Formalmente sì
Come sicuramente avrete letto in questi giorni, il Cavaliere Berlusconi (foto) è stato assolto, con sentenza definitiva della Cassazione, dall'accusa di corruzione in atti giudiziari nell'ambito dell'inchiesta SME.
Ora, non sarò certo io ad avere qualcosa da ridire sulla sentenza, ci mancherebbe: d'altra parte 7 e passa anni di processo avranno pure permesso di arrivare a conclusioni attendibili. Quindi, per me, come per tutti quelli che pensano che la magistratura abbia ancora una sua credibilità, Berlusconi da questa storia esce completamente pulito.
Malgrado ciò non posso esimermi dal far notare che finora abbiamo avuto il solo "dispositivo" della sentenza, ossia appunto il pronunciamento dell'assoluzione (quello che ha dato il via al rito orgiastico dello strombazzamento di media). Le sentenze, però, come si sa, hanno un seguito, che sarebbero le motivazioni della sentenza. In pratica, nelle suddette motivazioni, il giudice che ha pronunciato la sentenza spiega quali sono i motivi reali che hanno portato a quel tipo di conclusione.
E questo accade sempre: quale che sia l'esito della sentenza, e vale per tutti gli imputati. Nel 2003, probabilmente qualcuno ricorderà, Andreotti fu assolto in appello, dopo 10 anni di processo, dalle accuse di associazione mafiosa e associazione a delinquere. Il primo capo d'imputazione (associazione mafiosa) "perché il fatto non sussiste" (prove non sufficienti), e il secondo (associazione a delinquere) per prescrizione. Quindi, in base a questa sentenza, abbiamo la certezza che Andreotti con la mafia non ha mai avuto a che fare, mentre sull'associazione a delinquere, il fatto che l'assoluzione derivi da una prescrizione potrebbe nei più sospettosi generare qualche dubbio. Tanto è vero che sul Corriere di quel giorno si leggeva:
Ora, non sarò certo io ad avere qualcosa da ridire sulla sentenza, ci mancherebbe: d'altra parte 7 e passa anni di processo avranno pure permesso di arrivare a conclusioni attendibili. Quindi, per me, come per tutti quelli che pensano che la magistratura abbia ancora una sua credibilità, Berlusconi da questa storia esce completamente pulito.
Malgrado ciò non posso esimermi dal far notare che finora abbiamo avuto il solo "dispositivo" della sentenza, ossia appunto il pronunciamento dell'assoluzione (quello che ha dato il via al rito orgiastico dello strombazzamento di media). Le sentenze, però, come si sa, hanno un seguito, che sarebbero le motivazioni della sentenza. In pratica, nelle suddette motivazioni, il giudice che ha pronunciato la sentenza spiega quali sono i motivi reali che hanno portato a quel tipo di conclusione.
E questo accade sempre: quale che sia l'esito della sentenza, e vale per tutti gli imputati. Nel 2003, probabilmente qualcuno ricorderà, Andreotti fu assolto in appello, dopo 10 anni di processo, dalle accuse di associazione mafiosa e associazione a delinquere. Il primo capo d'imputazione (associazione mafiosa) "perché il fatto non sussiste" (prove non sufficienti), e il secondo (associazione a delinquere) per prescrizione. Quindi, in base a questa sentenza, abbiamo la certezza che Andreotti con la mafia non ha mai avuto a che fare, mentre sull'associazione a delinquere, il fatto che l'assoluzione derivi da una prescrizione potrebbe nei più sospettosi generare qualche dubbio. Tanto è vero che sul Corriere di quel giorno si leggeva:
[...] I giudici hanno diviso il capo d'imputazione in due parti: per i fatti precedenti al 1982, per il quale il senatore a vita era accusato di associazione per delinquere, e quello per il quale è stato accusato di associazione mafiosa. Per la prima imputazione i giudici hanno dichiarato prescritto il reato, mentre per l'accusa di associazione mafiosa hanno confermato l'assoluzione. Il presidente Salvatore Scaduti, durante la lettura dei dispositivo, [il neretto è mio] non ha mai citato la parola assoluzione. [...] (fonte)Oggi, qualcosa di simile (pur coi dovuti distinguo) accade con la sentenza di assoluzione di Berlusconi. Formalmente abbiamo l'assoluzione piena dei fatti contestatigli: assoluzione della quale non sono però state ancora pubblicate le motivazioni. E a quel punto, come afferma Travaglio in questo articolo pubblicato sul suo blog, forse qualche sorpresa potrebbe venire fuori.
domenica 28 ottobre 2007
Il canone Rai sulla bolletta dell'Enel?
Per una curiosa coincidenza questo tipo di proposta era stata tirata fuori dal cilindro giusto un anno fa. Allora l'ideatore della genialata si chiamava Angelo Maria Petroni, consigliere di amministrazione Rai. La proposta poi cadde nel dimenticatoio, dove sarebbe dovuta restarci.
In questi giorni, invece, da quanto si legge in giro, qualcuno ha pensato bene di ritirarla fuori dal suddetto dimenticatoio, e per la precisione si tratta di Carlo Petruccioli, attuale presidente della Rai. Nelle intenzioni, stando a quanto riporta Corriere.it, l'adozione di questo provvedimento dovrebbe avere un duplice scopo: lotta all'evasione (del canone) e "sistemazione" del bilancio (in rosso) della nostra tv di stato. Ora, se una tale proposta passasse, converrete con me, almeno il primo dei due obiettivi verrebbe sicuramente raggiunto.
Naturalmente la sparuta (ma pur sempre reale) minoranza di persone che la tv non ce l'ha potrebbe giustamente aver qualcosa da ridire circa tale provvedimento. In mancanza di direttive precise dovrebbe comunque ritenersi valida quella contenuta nel medesimo provvedimento partorito l'anno precedente, e che cioè chi non possiede un apparecchio televisivo è sufficiente che produca una specie di autocertificazione in merito. Ovviamente qualora si scoprisse che tale autocertificazione non corrisponde a verità si incorrerebbe in conseguenze di tipo penale (Punto Informatico qui).
Finora, però, si tratta di supposizioni e illazioni basate sul nulla, in quanto siamo ancora a livello di proposta (che mi auguro il Parlamento voglia mantenere tale).
Ora, intendiamoci, nessuno ce l'ha espressamente col canone (pardon, volevo dire "tassa di possesso"). In tutti i paesi esiste, e in alcuni è perfino più alto del nostro. Anzi, a chi come me lo paga regolarmente (anche se immaginate con quale stato d'animo), potrebbe paradossalmente apparire come un'agevolazione vedersi "spalmare" i 104 euro nell'arco di un anno (seppure a cadenza bimestrale) piuttosto che pagarli tutti in una volta. Il problema è che la solerzia con cui gli organi preposti si attivano per la ricossione di tale obolo è rivolta esclusivamente alle famiglie.
Siccome infatti per la Rai è apparecchio televisivo qualunque congegno in grado di captare il segnale televisivo, perché non si applica con altrettanto zelo alla riscossione della tassa anche per imprese? Date un'occhiata in proposito a questa indagine condotta dall'Aduc: si vede chiaramente come le aziende o gli enti, che in virtù dei requisiti appena illustrati dovrebbero concorrere alla "spesa", in realtà siano totalmente ignorate dalla Rai. Cosa che se non avvenisse permetterebbe l'incameramento (sempre secondo lo studio dell'Aduc) di quasi un miliardo di euro, ampiamente sufficienti a ripianare il rosso storico dell'azienda di viale Mazzini.
Questo, naturalmente, è solo uno dei possibili interrogativi che pone il pagamento di questo balzello. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, cosa abbiamo noi utenti in cambio. A questo proposito è interessante ricordare le parole dette dal Ministro delle Telecomunicazioni, Gentiloni, quasi un anno fa, in occasione della maggiorazione del suddetto canone da 96,60 euro a 104:
Per il resto...
In questi giorni, invece, da quanto si legge in giro, qualcuno ha pensato bene di ritirarla fuori dal suddetto dimenticatoio, e per la precisione si tratta di Carlo Petruccioli, attuale presidente della Rai. Nelle intenzioni, stando a quanto riporta Corriere.it, l'adozione di questo provvedimento dovrebbe avere un duplice scopo: lotta all'evasione (del canone) e "sistemazione" del bilancio (in rosso) della nostra tv di stato. Ora, se una tale proposta passasse, converrete con me, almeno il primo dei due obiettivi verrebbe sicuramente raggiunto.
Naturalmente la sparuta (ma pur sempre reale) minoranza di persone che la tv non ce l'ha potrebbe giustamente aver qualcosa da ridire circa tale provvedimento. In mancanza di direttive precise dovrebbe comunque ritenersi valida quella contenuta nel medesimo provvedimento partorito l'anno precedente, e che cioè chi non possiede un apparecchio televisivo è sufficiente che produca una specie di autocertificazione in merito. Ovviamente qualora si scoprisse che tale autocertificazione non corrisponde a verità si incorrerebbe in conseguenze di tipo penale (Punto Informatico qui).
Finora, però, si tratta di supposizioni e illazioni basate sul nulla, in quanto siamo ancora a livello di proposta (che mi auguro il Parlamento voglia mantenere tale).
Ora, intendiamoci, nessuno ce l'ha espressamente col canone (pardon, volevo dire "tassa di possesso"). In tutti i paesi esiste, e in alcuni è perfino più alto del nostro. Anzi, a chi come me lo paga regolarmente (anche se immaginate con quale stato d'animo), potrebbe paradossalmente apparire come un'agevolazione vedersi "spalmare" i 104 euro nell'arco di un anno (seppure a cadenza bimestrale) piuttosto che pagarli tutti in una volta. Il problema è che la solerzia con cui gli organi preposti si attivano per la ricossione di tale obolo è rivolta esclusivamente alle famiglie.
Siccome infatti per la Rai è apparecchio televisivo qualunque congegno in grado di captare il segnale televisivo, perché non si applica con altrettanto zelo alla riscossione della tassa anche per imprese? Date un'occhiata in proposito a questa indagine condotta dall'Aduc: si vede chiaramente come le aziende o gli enti, che in virtù dei requisiti appena illustrati dovrebbero concorrere alla "spesa", in realtà siano totalmente ignorate dalla Rai. Cosa che se non avvenisse permetterebbe l'incameramento (sempre secondo lo studio dell'Aduc) di quasi un miliardo di euro, ampiamente sufficienti a ripianare il rosso storico dell'azienda di viale Mazzini.
Questo, naturalmente, è solo uno dei possibili interrogativi che pone il pagamento di questo balzello. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, cosa abbiamo noi utenti in cambio. A questo proposito è interessante ricordare le parole dette dal Ministro delle Telecomunicazioni, Gentiloni, quasi un anno fa, in occasione della maggiorazione del suddetto canone da 96,60 euro a 104:
[...] "Mi attendo che le risorse del canone vengano investite per assicurare al servizio pubblico quelle caratteristiche di pluralismo e qualitá definite anche dal recente contratto di servizio tra Rai e Ministero delle Comunicazioni. Il cittadino che paga il canone ha il diritto di essere esigente nei confronti del servizio pubblico." [...] (fonte)E infatti noi siamo esigenti. Tanto è vero che mi incavolo come una bestia (anche se ormai di meno) quando al lunedì sera il film in prima visione su Raiuno ogni tanto interrompe la pubblicità. E così per l'isola dei famosi, i giochetti a quiz scemi del tardo pomeriggio, il tg1 che racconta quello che vuole lui e via di seguito. Forse l'unica trasmissione per la quale vale veramente la pena il pagamento di qualcosa è Report, della Gabanelli.
Per il resto...
sabato 27 ottobre 2007
Due petizioni
Vorrei segnalare due petizioni piuttosto importanti che sono online in questo periodo. Una riguarda tutti; l'altra, invece, in particolare chi gestisce un blog o un sito internet (ma sarebbe comunque cosa buona che fosse sottoscritta anche dai semplici utenti).
La prima si chiama Giustizia e Legalità in Calabria, ed è volta a sostenere quei magistrati che sono vittime di attacchi e delegittimazioni (anche da parte delle stesse istituzioni) per essersi spinti troppo "in là" nelle loro indagini (vedi il recente caso De Magistris del quale ho parlato anch'io). Da notare che questa, nel momento in cui scrivo, ha raggiunt0 la ragguardevole cifra di 67.600 adesioni.
La seconda, invece, fa riferimento alla vicenda di cui ho parlato in un post precedente, ed è sottoscrivibile qui. Il motivo di questa petizione può essere riassunto perfettamente con le parole di Quintarelli:
La prima si chiama Giustizia e Legalità in Calabria, ed è volta a sostenere quei magistrati che sono vittime di attacchi e delegittimazioni (anche da parte delle stesse istituzioni) per essersi spinti troppo "in là" nelle loro indagini (vedi il recente caso De Magistris del quale ho parlato anch'io). Da notare che questa, nel momento in cui scrivo, ha raggiunt0 la ragguardevole cifra di 67.600 adesioni.
La seconda, invece, fa riferimento alla vicenda di cui ho parlato in un post precedente, ed è sottoscrivibile qui. Il motivo di questa petizione può essere riassunto perfettamente con le parole di Quintarelli:
"Se io metto un link a una pagina sul sito X e domani il padrone del sito X mette del contenuto illecito, come posso io esserne ritenuto responsabile? L'unico modo per essere certamente in regola e' non linkare nessuno".Mi pare che non siano neccessari ulteriori chiarimenti.
venerdì 26 ottobre 2007
No, non mi sono dimenticato (del Linuxday ^^)
Ho avuto un pò da fare questi giorni, ma non mi sono dimenticato: domani, sabato 27 ottobre, in tutta la penisola si festeggia l'edizione 2007 del Linuxday.
Penso che ormai siano relativamente pochi gli utenti - intendo quelli che in qualche modo hanno accesso a un pc - che sentono questo termine per la prima volta. Molto brevemente, si tratta di un sistema operativo per pc, diverso da Windows, col quale è però possibile fare le stesse identiche cose che normalmente si fanno con Windows.
Qualcuno potrebbe giustamente chiedersi, visto che fa le stesse cose, perché mai si dovrebbe utilizzare un sistema operativo diverso, visto che Windows è praticamente lo standard ed è installato sulla stragrande maggioranza dei personal computer del mondo. La domanda non è campata per aria, tutt'altro. Il problema è che mettersi a descrivere in dettaglio le differenze nello spazio di un post è praticamente impossibile.
Si potrebbe infatti dire che a differenza di Windows Linux è gratuito, che si può liberamente scaricare da internet e installare nel proprio pc, che una volta scaricato da internet si può masterizzare su altri dvd e passare agli amici senza commettere niente di illecito, che non esistono licenze, clausole capestro, codici di attivazione e altre menate simili, che ai protagonisti di storie come questa non sarebbe successo niente se l'avessero avuto al posto di Windows, e che un numero sempre crescente di persone comincia ad averne le scatole piene dei vari Windows. Ma sarebbero le solite cose già sentite e risentite.
Quindi, se volete, fate così: domani è sabato, trovatevi un'oretta libera e fate un salto in uno dei tanti posti (mappa qui) della penisola in cui si svolge la manifestazione. Entrate e chiedete: "perché dovrei provare a utilizzare Linux?"
Penso che ormai siano relativamente pochi gli utenti - intendo quelli che in qualche modo hanno accesso a un pc - che sentono questo termine per la prima volta. Molto brevemente, si tratta di un sistema operativo per pc, diverso da Windows, col quale è però possibile fare le stesse identiche cose che normalmente si fanno con Windows.
Qualcuno potrebbe giustamente chiedersi, visto che fa le stesse cose, perché mai si dovrebbe utilizzare un sistema operativo diverso, visto che Windows è praticamente lo standard ed è installato sulla stragrande maggioranza dei personal computer del mondo. La domanda non è campata per aria, tutt'altro. Il problema è che mettersi a descrivere in dettaglio le differenze nello spazio di un post è praticamente impossibile.
Si potrebbe infatti dire che a differenza di Windows Linux è gratuito, che si può liberamente scaricare da internet e installare nel proprio pc, che una volta scaricato da internet si può masterizzare su altri dvd e passare agli amici senza commettere niente di illecito, che non esistono licenze, clausole capestro, codici di attivazione e altre menate simili, che ai protagonisti di storie come questa non sarebbe successo niente se l'avessero avuto al posto di Windows, e che un numero sempre crescente di persone comincia ad averne le scatole piene dei vari Windows. Ma sarebbero le solite cose già sentite e risentite.
Quindi, se volete, fate così: domani è sabato, trovatevi un'oretta libera e fate un salto in uno dei tanti posti (mappa qui) della penisola in cui si svolge la manifestazione. Entrate e chiedete: "perché dovrei provare a utilizzare Linux?"
Ebbene sì: su Twitter anch'io. Venite anche voi?
Era da un pò che sentivo parlare di questo Twitter, e sinceramente (e superficialmente) non l'avevo finora degnato di attenzione (per carattere sono piuttosto refrattario a inseguire di corsa le ultime novità).
Due o tre giorni fa, invece, sull'onda dell'entusiamo manifestato in giro per il web da chi aveva cominciato a utilizzarlo, ho deciso di attivare un account anch'io (probabilmente qualcuno di voi se n'era già accorto dal relativo link presente da qualche giorno nella colonna qui a destra).
Si tratta sostanzialmente di un network di messaggistica combinato tra web e SMS. In pratica una sorta di microblog in cui postare note, fatti personali, commenti, link a fatti o notizie, ecc, il tutto sotto forma di messaggio che non deve obbligatoriamente superare i 140 caratteri (spazi compresi, ovviamente). Il flusso delle notizie può essere seguito via feed RSS, via telefonino, via chat, via e-mail, ecc...
Se ad esempio volete seguire in tempo reale quello che sto facendo o leggere la versione "twitterara" (si dice così?) delle cose che scrivo qui, è sufficiente che puntiate il browser verso la mia pagina personale. Registrarsi (da qui) è molto semplice e completamente gratuito. La registrazione offre tra l'altro la possibilità di interagire direttamente con altri utenti registrati.
Ulteriori dettagli, anche su come attivare un account, li trovate qui e qui.
Due o tre giorni fa, invece, sull'onda dell'entusiamo manifestato in giro per il web da chi aveva cominciato a utilizzarlo, ho deciso di attivare un account anch'io (probabilmente qualcuno di voi se n'era già accorto dal relativo link presente da qualche giorno nella colonna qui a destra).
Si tratta sostanzialmente di un network di messaggistica combinato tra web e SMS. In pratica una sorta di microblog in cui postare note, fatti personali, commenti, link a fatti o notizie, ecc, il tutto sotto forma di messaggio che non deve obbligatoriamente superare i 140 caratteri (spazi compresi, ovviamente). Il flusso delle notizie può essere seguito via feed RSS, via telefonino, via chat, via e-mail, ecc...
Se ad esempio volete seguire in tempo reale quello che sto facendo o leggere la versione "twitterara" (si dice così?) delle cose che scrivo qui, è sufficiente che puntiate il browser verso la mia pagina personale. Registrarsi (da qui) è molto semplice e completamente gratuito. La registrazione offre tra l'altro la possibilità di interagire direttamente con altri utenti registrati.
Ulteriori dettagli, anche su come attivare un account, li trovate qui e qui.
"Condi" e la pacifista
"Condi" è ovviamente Condoleezza Rice, e la pacifista che vedete nell'immagine sopra - che ho tratto dal sito di Repubblica (sequenza completa qui) - è la donna con le mani imbrattate di (finto) sangue che la accoglie al suo ingresso alla Commissione Esteri della Camera.
L'attivista col suo gesto ha voluto emblematicamente ricordare alla Rice chi sono i reali colpevoli del bagno di sangue quotidiano che si consuma in quel paese, e ribadire la sostanziale inutilità del conflitto iraqeno (qualcosa di simile ho scritto anch'io qualche giorno fa).
Penso che, simbolicamente, l'attivista abbia rappresentato la metà del popolo americano che pensa che la guerra voluta da Bush sia stato un gigantesco errore.
giovedì 25 ottobre 2007
Italy in the world
Non so in quanti se ne siano accorti, ma la proposta di legge Prodi-Levi un merito l'ha avuto: quello di mostrare al mondo di che pasta siamo fatti.
Qui c'è il Times con un articolo che è tutto un programma: "Assalto geriatrico ai bloggers italiani". E qui, invece, c'è boingboing.net, il terzo blog più seguito del pianeta (più di 2.000.000 di visitatori unici mensili), che decanta le lodi della famosa proposta di legge.
Non c'è che dire, quando vogliamo sappiamo farci riconoscere.
Qui c'è il Times con un articolo che è tutto un programma: "Assalto geriatrico ai bloggers italiani". E qui, invece, c'è boingboing.net, il terzo blog più seguito del pianeta (più di 2.000.000 di visitatori unici mensili), che decanta le lodi della famosa proposta di legge.
Non c'è che dire, quando vogliamo sappiamo farci riconoscere.
La McLaren perde? "Colpa della rete!"
Uno dei più grandi esperti mondiali di internet, Ron Dennis (che di macchine ci capisce poco ma di rete tutto), ha affermato che la McLaren ha perso il campionato per colpa di internet, anche se indirettamente (?).
Dunque, ricapitolando, il dilagare della pedofilia è colpa della rete, la massiccia diffusione della pirateria sempre della rete, e adesso viene fuori che la McLaren ha perso il campionato per colpa della rete.
Manca solo il Ministro dell'economia che affermi che il raddoppio del prezzo del pane è colpa della rete.
Dunque, ricapitolando, il dilagare della pedofilia è colpa della rete, la massiccia diffusione della pirateria sempre della rete, e adesso viene fuori che la McLaren ha perso il campionato per colpa della rete.
Manca solo il Ministro dell'economia che affermi che il raddoppio del prezzo del pane è colpa della rete.
Esiste il "reato di link"?
La questione non è completamente nuova per chi segue un pò quello che accade in rete. Sto parlando dell'annosa vicenda riguardante i link. In sostanza la questione è: possono essere - i suddetti link - considerati veicoli di reato?
Tutto nasce dalla storia che ha visto protagonista, qualche tempo fa, l'amministratore di tv-links.co.uk/ (attualmente irragiungibile). In seguito infatti a un'operazione anti pirateria, condotta dalla polizia inglese assieme a funzionari di Fact, l'amministratore del suddetto portale è stato arrestato e il sito oscurato. Ma cosa conteneva tale portale di così "scottante" da provocare le ire delle alte sfere dell'industria discografica e cinematografica? Dei link, dei semplici link che indirizzavano gli utenti verso contenuti multimediali "proibiti" (ossia pretetti da copyright).
Ecco quindi il succo della questione: è lecito punire chi linka? In linea teorica, se proprio si deve farlo (anche se in proposito la mia posizione è ben nota) sarebbe più ragionevole punire chi ospita questi contenuti, come è giustamente evidenziato nella petizione lanciata per far riaprire il sito, ma, si sa, nel dubbio è sempre meglio "sparare" nel mucchio.
A questo punto, come è abitudine, le opinioni in merito sono divergenti, e si dividono essenzialmente tra chi considera illecito il solo e semplice fatto di linkare qualcosa e chi ritiene viceversa che non lo sia. Ora, è inutile che cerchiamo di girare attorno alla questione, le risorse verso cui indirizzavano i link contenuti nel portale oscurato erano palesemente illegali, ma ai fini della questione sul tappeto ciò passa in secondo piano. Quello che effettivamente conta è capire se indirizzare qualcuno verso questi siti costituisce un illecito.
Personalmente mi sento di condividere quanto espresso da Quintarelli in questo post, e cioè che se si dà per assodata l'esistenza di un qualsiasi tipo di "reato di link", internet stessa può essere considerata fuorilegge, visto che l'ipertesto (la struttura di base su cui si regge internet) ha la sua ragione di esistere proprio grazie ai link. Arrivati a questo punto, quindi, bisognerebbe distinguere i link "buoni" da quelli "cattivi", cioè quelli che indirizzano verso siti legali da quelli no, il ché è palesemente impossibile. Io, ad esempio, potrei aver linkato un anno fa sul mio blog un sito "buono" che nel frattempo è diventato "cattivo". Devo ogni giorno controllare che i tremila link inseriti nel mio sito o nel mio blog non diventino "cattivi" nel corso del tempo?
Ecco perché la crociata antipirateria, che ha portato alla chiusura del sito e all'arresto del proprietario, condotta in questo modo non ha senso. Per certi versi questa storia può essere equiparata - pur coi dovuti distinguo - all'eterna diatriba riguardo la legittimità o meno dei programmi p2p (eMule, kazaa, BitTorrent, ecc...). Tali programmi non sono di per sé illegali, ma illegale è casomai l'uso che ne viene fatto. Volendo fare una similitudine, eMule è come un coltello da cucina: se viene usato per affettare il salame va bene, se viene usato per accoltellare il marito (o la moglie, per par condicio) no.
Per adesso la faccenda è nelle mani delle autorità. Non resta quindi che aspettare gli esiti del procedimento giudiziario, sperando che alla fine venga fuori (ma ne dubito) una sentenza che riesca un pò a chiarire i termini della questione.
Tutto nasce dalla storia che ha visto protagonista, qualche tempo fa, l'amministratore di tv-links.co.uk/ (attualmente irragiungibile). In seguito infatti a un'operazione anti pirateria, condotta dalla polizia inglese assieme a funzionari di Fact, l'amministratore del suddetto portale è stato arrestato e il sito oscurato. Ma cosa conteneva tale portale di così "scottante" da provocare le ire delle alte sfere dell'industria discografica e cinematografica? Dei link, dei semplici link che indirizzavano gli utenti verso contenuti multimediali "proibiti" (ossia pretetti da copyright).
Ecco quindi il succo della questione: è lecito punire chi linka? In linea teorica, se proprio si deve farlo (anche se in proposito la mia posizione è ben nota) sarebbe più ragionevole punire chi ospita questi contenuti, come è giustamente evidenziato nella petizione lanciata per far riaprire il sito, ma, si sa, nel dubbio è sempre meglio "sparare" nel mucchio.
A questo punto, come è abitudine, le opinioni in merito sono divergenti, e si dividono essenzialmente tra chi considera illecito il solo e semplice fatto di linkare qualcosa e chi ritiene viceversa che non lo sia. Ora, è inutile che cerchiamo di girare attorno alla questione, le risorse verso cui indirizzavano i link contenuti nel portale oscurato erano palesemente illegali, ma ai fini della questione sul tappeto ciò passa in secondo piano. Quello che effettivamente conta è capire se indirizzare qualcuno verso questi siti costituisce un illecito.
Personalmente mi sento di condividere quanto espresso da Quintarelli in questo post, e cioè che se si dà per assodata l'esistenza di un qualsiasi tipo di "reato di link", internet stessa può essere considerata fuorilegge, visto che l'ipertesto (la struttura di base su cui si regge internet) ha la sua ragione di esistere proprio grazie ai link. Arrivati a questo punto, quindi, bisognerebbe distinguere i link "buoni" da quelli "cattivi", cioè quelli che indirizzano verso siti legali da quelli no, il ché è palesemente impossibile. Io, ad esempio, potrei aver linkato un anno fa sul mio blog un sito "buono" che nel frattempo è diventato "cattivo". Devo ogni giorno controllare che i tremila link inseriti nel mio sito o nel mio blog non diventino "cattivi" nel corso del tempo?
Ecco perché la crociata antipirateria, che ha portato alla chiusura del sito e all'arresto del proprietario, condotta in questo modo non ha senso. Per certi versi questa storia può essere equiparata - pur coi dovuti distinguo - all'eterna diatriba riguardo la legittimità o meno dei programmi p2p (eMule, kazaa, BitTorrent, ecc...). Tali programmi non sono di per sé illegali, ma illegale è casomai l'uso che ne viene fatto. Volendo fare una similitudine, eMule è come un coltello da cucina: se viene usato per affettare il salame va bene, se viene usato per accoltellare il marito (o la moglie, per par condicio) no.
Per adesso la faccenda è nelle mani delle autorità. Non resta quindi che aspettare gli esiti del procedimento giudiziario, sperando che alla fine venga fuori (ma ne dubito) una sentenza che riesca un pò a chiarire i termini della questione.
mercoledì 24 ottobre 2007
Ddl editoria: abbiamo capito male noi (secondo lui)
Lo so, mi ero ripromesso di non tornare più sull'argomento, perlomeno finché non ci fossero state novità. Ma qualcosa ieri pare essersi mosso, e anche se non dovrebbe essere niente che possa far presagire una definitiva archiviazione della questione, mi pare comunque che sia da segnalare.
Corriere.it, infatti, ha pubblicato uno stralcio di un'intervista rilasciata dal sottosegretario Ricardo Franco Levi (foto), "padre" (anzi "co-padre") della disgraziata proposta di legge sulla riforma dell'editoria (compresa quella online) che ha mandato su tutte le furie una buona parte del popolo blogger, o di chi comunque si interessa di divulgazione in rete.
In sostanza il sottosegretario ha pubblicamente dichiarato che i blogger possono stare tranquilli ("possono dormire non tra due, ma tra dieci guanciali") in quanto nelle mire della suddetta riforma finiscono più che altro gli "operatori del mercato dell’editoria, tutti quelli che professionalmente producono giornali, riviste, libri e dunque esclude, per definizione, i blog o i siti individuali che non sono oggetto della nostra legge", si legge in un passo dell'intervista.
Ovviamente prendiamo per buone queste dichiarazioni (abbiamo alternative?) e consideriamo (speriamo) la faccenda chiusa qui, forti anche di dichiarazioni tipo "io già fin da domani nel mio primo incontro con la Commissione proporrò un’aggiunta alla legge che chiarisca fino in fondo che in questa legge non ci si occupa dei blog". Più chiaro di così...
Tuttavia, a mio parere, è abbastanza facile rilevare un sottile tentativo del sottosegretario di addebitare una parte della colpa del relativo can can mediatico in rete proprio a noi utenti. In un altro estratto della suddetta intervista si legge infatti: "Questo è stato chiaro fin dall’inizio, visto che però c’è stata qualche preoccupazione in materia e c’è qualche margine di ambiguità possibile nella legge...".
Ora, che questo (il fatto che la nuova legge non toccherà i blog personali ndr) sia stato chiaro fin dall'inizio mi sembra un pò improbabile, e mi sembra anche un goffo tentativo - come dicevo prima - da parte del sottosegretario di pararsi un pò il... insomma, avete capito. Checché ne dica Levi, infatti, la proposta di legge, specialmente nei capi 1 e 2 relativi al primo articolo (dove si dà la definizione di prodotto editoriale) è tutt'altro che chiara in merito. Se poi consideriamo che lo stesso Ministro Gentiloni (telecomunicazioni) ha pubblicamente affermato che la legge è ambigua e dà adito a molteplici interpretazioni, possiamo trarre le conclusioni (e sentirci un pò più sollevati: non siamo solo noi a non aver capito).
Insomma, se (e ripeto, "se") l'intento di Levi era quello di far passare noi come grulli, colpevoli di non aver interpretato correttamente un testo di legge "chiarissimo", ha sbagliato di grosso. Il testo - nella sua grossolanità e approssimazione - è chiarissimo. Come è chiara l'ennesima dimostrazione di incompetenza di chi ci governa quando si tratta di mettere mano alle cose della rete.
Incompetenza e relativa figuraccia che oltretutto hanno già varcato i confini nazionali.
Corriere.it, infatti, ha pubblicato uno stralcio di un'intervista rilasciata dal sottosegretario Ricardo Franco Levi (foto), "padre" (anzi "co-padre") della disgraziata proposta di legge sulla riforma dell'editoria (compresa quella online) che ha mandato su tutte le furie una buona parte del popolo blogger, o di chi comunque si interessa di divulgazione in rete.
In sostanza il sottosegretario ha pubblicamente dichiarato che i blogger possono stare tranquilli ("possono dormire non tra due, ma tra dieci guanciali") in quanto nelle mire della suddetta riforma finiscono più che altro gli "operatori del mercato dell’editoria, tutti quelli che professionalmente producono giornali, riviste, libri e dunque esclude, per definizione, i blog o i siti individuali che non sono oggetto della nostra legge", si legge in un passo dell'intervista.
Ovviamente prendiamo per buone queste dichiarazioni (abbiamo alternative?) e consideriamo (speriamo) la faccenda chiusa qui, forti anche di dichiarazioni tipo "io già fin da domani nel mio primo incontro con la Commissione proporrò un’aggiunta alla legge che chiarisca fino in fondo che in questa legge non ci si occupa dei blog". Più chiaro di così...
Tuttavia, a mio parere, è abbastanza facile rilevare un sottile tentativo del sottosegretario di addebitare una parte della colpa del relativo can can mediatico in rete proprio a noi utenti. In un altro estratto della suddetta intervista si legge infatti: "Questo è stato chiaro fin dall’inizio, visto che però c’è stata qualche preoccupazione in materia e c’è qualche margine di ambiguità possibile nella legge...".
Ora, che questo (il fatto che la nuova legge non toccherà i blog personali ndr) sia stato chiaro fin dall'inizio mi sembra un pò improbabile, e mi sembra anche un goffo tentativo - come dicevo prima - da parte del sottosegretario di pararsi un pò il... insomma, avete capito. Checché ne dica Levi, infatti, la proposta di legge, specialmente nei capi 1 e 2 relativi al primo articolo (dove si dà la definizione di prodotto editoriale) è tutt'altro che chiara in merito. Se poi consideriamo che lo stesso Ministro Gentiloni (telecomunicazioni) ha pubblicamente affermato che la legge è ambigua e dà adito a molteplici interpretazioni, possiamo trarre le conclusioni (e sentirci un pò più sollevati: non siamo solo noi a non aver capito).
Insomma, se (e ripeto, "se") l'intento di Levi era quello di far passare noi come grulli, colpevoli di non aver interpretato correttamente un testo di legge "chiarissimo", ha sbagliato di grosso. Il testo - nella sua grossolanità e approssimazione - è chiarissimo. Come è chiara l'ennesima dimostrazione di incompetenza di chi ci governa quando si tratta di mettere mano alle cose della rete.
Incompetenza e relativa figuraccia che oltretutto hanno già varcato i confini nazionali.
martedì 23 ottobre 2007
Vecchie librerie
Stamattina sono andato insieme a Chiara giù a Rimini, approfittando del fatto che in questo periodo sono in ferie. Passeggiando in centro, nei dintorni di piazza Cavour, ho scorto in una via vicino al cinema S. Agostino una piccola libreria che vende libri usati e vecchi a metà prezzo. E ci sono entrato.
Non so se avete presente quelle vecchie librerie polverose che si vedono ogni tanto nei film (a me ha ricordato quella de La storia infinita, dove il ragazzino protagonista ruba il famoso libro): beh, questa era molto simile: una piccola scrivania all'entrata - dietro la quale era seduta un'anziana signora con gli occhiali con le catenelle - e una serie di scansie piene fino all'inverosimile di libri di ogni tipo. Alcuni ingialliti dal tempo (non avrei mai pensato che a Rimini ci fossero ancora posti così).
Il passaggio tra le scansie era molto stretto e la luce piuttosto fioca (probabilmente non c'erano finestre, o in caso erano sicuramente coperte dalle scansie). Di solito chi entra in questi posti non cerca l'ultimo libro di Bruno Vespa, ma qualcosa di interessante a buon prezzo. Ne ho trovati parecchi che mi sarebbe piaciuto prendere, e, alla fine, facendo un buon compromesso "qualità/prezzo", ho comprato quello che vedete nella foto in alto.
Si tratta di un saggio, scritto da Armando Torno, intitolato La truffa del tempo - Scienziati, saggi e filosofi all'eterna ricerca di un orologio universale, che - si legge nei risvolti interni di copertina - è "il racconto dell'eterno tentativo di catturare e costringere ore, giorni, mesi e anni in un solo spazio". Beh, che dire, l'argomento mi intriga abbastanza, e comunque male che vada avrò buttato via 6 euro (anche se i soldi spesi nei libri non sono mai buttati via).
In ogni caso mi sa che in quella libreria ci tornerò ancora.
Non so se avete presente quelle vecchie librerie polverose che si vedono ogni tanto nei film (a me ha ricordato quella de La storia infinita, dove il ragazzino protagonista ruba il famoso libro): beh, questa era molto simile: una piccola scrivania all'entrata - dietro la quale era seduta un'anziana signora con gli occhiali con le catenelle - e una serie di scansie piene fino all'inverosimile di libri di ogni tipo. Alcuni ingialliti dal tempo (non avrei mai pensato che a Rimini ci fossero ancora posti così).
Il passaggio tra le scansie era molto stretto e la luce piuttosto fioca (probabilmente non c'erano finestre, o in caso erano sicuramente coperte dalle scansie). Di solito chi entra in questi posti non cerca l'ultimo libro di Bruno Vespa, ma qualcosa di interessante a buon prezzo. Ne ho trovati parecchi che mi sarebbe piaciuto prendere, e, alla fine, facendo un buon compromesso "qualità/prezzo", ho comprato quello che vedete nella foto in alto.
Si tratta di un saggio, scritto da Armando Torno, intitolato La truffa del tempo - Scienziati, saggi e filosofi all'eterna ricerca di un orologio universale, che - si legge nei risvolti interni di copertina - è "il racconto dell'eterno tentativo di catturare e costringere ore, giorni, mesi e anni in un solo spazio". Beh, che dire, l'argomento mi intriga abbastanza, e comunque male che vada avrò buttato via 6 euro (anche se i soldi spesi nei libri non sono mai buttati via).
In ogni caso mi sa che in quella libreria ci tornerò ancora.
Limiti minimi di querela
Fino a oggi pensavo che per essere querelati per diffamazione occorresse scrivere qualcosa di offensivo, oppure di lesivo della dignità e/o dell'operato di qualcuno. Se io ad esempio sul mio blog o sul mio sito scrivo che Pinco Pallino è una testa di c...o e che i suoi articoli sono delle balle senza spiegare perché, è più che legittimo che a Pinco Pallino girino le scatole e mi quereli per diffamazione.
I dubbi circa la legittimità della querela sorgono (almeno a me) quando si viene querelati non per i motivi gravi che ho evidenziato qui sopra, ma per cose a mio avviso molto più leggere. Perché tutto questo preambolo?
Probabilmente molti di voi conoscono o hanno sentito nominare Gigi Moncalvo. Si tratta di un giornalista che dopo aver lavorato per varie testate è diventato conduttore televisivo e quindi ancora giornalista come direttore de La Padania. Il suddetto giornalista - come riportato da ZeusNews - ha sporto querela per diffamazione contro Pierluigi Tolardo, uno dei redattori appunto di ZeusNews e blogger a sua volta. Il motivo della querela sarebbe da ricercare in questo articolo, pubblicato una ventina di mesi fa da Tolardo sul blog della testata, e in alcuni suoi commenti apparsi in calce a questo post di Mantellini.
A sua volta, il suddetto post di Mante, è un semplice commento a un'altra querela presentata tempo prima dallo stesso Moncalvo nei confronti della blogger Anna Setari, "colpevole" di aver pubblicato questo post sul suo blog.
Se Moncalvo ha ritenuto di essere stato diffamato da questi due articoli e dai commenti apparsi sul blog di Mante ha fatto benissimo a sporgere querela. Io, però, al suo posto avrei agito diversamente, e in primo luogo cercando un accordo extragiudiziale visto che le aule dei tribunali sono già sufficientemente intasate. Insomma, voglio dire, se io mi accorgo che qualcuno scrive delle fesserie sul mio conto non vado di punto in bianco in questura a sporgere querela. Nei limiti del possibile cerco di chiedere spiegazioni, di dialogare, di chiedere i motivi. Poi, eventualmente, quando ogni altra strada è fallita...
Moncalvo, invece, da quanto scrive lo stesso Tolardo, ha saltato a piè pari qualsiasi via "diplomatica".
Comunque sia, se per i suddetti articoli che ho citato c'è il rischio di incorrere in grane legali, non c'è che dire, il limite minimo di "querelabilità" si è notevolmente abbassato.
I dubbi circa la legittimità della querela sorgono (almeno a me) quando si viene querelati non per i motivi gravi che ho evidenziato qui sopra, ma per cose a mio avviso molto più leggere. Perché tutto questo preambolo?
Probabilmente molti di voi conoscono o hanno sentito nominare Gigi Moncalvo. Si tratta di un giornalista che dopo aver lavorato per varie testate è diventato conduttore televisivo e quindi ancora giornalista come direttore de La Padania. Il suddetto giornalista - come riportato da ZeusNews - ha sporto querela per diffamazione contro Pierluigi Tolardo, uno dei redattori appunto di ZeusNews e blogger a sua volta. Il motivo della querela sarebbe da ricercare in questo articolo, pubblicato una ventina di mesi fa da Tolardo sul blog della testata, e in alcuni suoi commenti apparsi in calce a questo post di Mantellini.
A sua volta, il suddetto post di Mante, è un semplice commento a un'altra querela presentata tempo prima dallo stesso Moncalvo nei confronti della blogger Anna Setari, "colpevole" di aver pubblicato questo post sul suo blog.
Se Moncalvo ha ritenuto di essere stato diffamato da questi due articoli e dai commenti apparsi sul blog di Mante ha fatto benissimo a sporgere querela. Io, però, al suo posto avrei agito diversamente, e in primo luogo cercando un accordo extragiudiziale visto che le aule dei tribunali sono già sufficientemente intasate. Insomma, voglio dire, se io mi accorgo che qualcuno scrive delle fesserie sul mio conto non vado di punto in bianco in questura a sporgere querela. Nei limiti del possibile cerco di chiedere spiegazioni, di dialogare, di chiedere i motivi. Poi, eventualmente, quando ogni altra strada è fallita...
Moncalvo, invece, da quanto scrive lo stesso Tolardo, ha saltato a piè pari qualsiasi via "diplomatica".
Comunque sia, se per i suddetti articoli che ho citato c'è il rischio di incorrere in grane legali, non c'è che dire, il limite minimo di "querelabilità" si è notevolmente abbassato.
lunedì 22 ottobre 2007
Domenica sulla neve
Sabato notte ha fatto la sua comparsa la neve sui monti dei dintorni, e purtroppo le mie figlie sono venute a saperlo. :-)
Ne abbiamo quindi approfittato per una gitarella domenicale nei dintorni di Villagrande, e per l'occasione ho caricato qualche foto su Flickr. Se volete darci un'occhiata potete sfogliarne qualcuna.
"Why not", arrivederci
Premetto che non sono un esperto di inchieste giudiziarie, né, allo stesso modo, mi intendo di modalità di svolgimento delle stesse per tutto quel che concerne spostamenti di magistrati, incompatibilità, avocature di inchieste e così via. Mi limito semplicemente a leggere le notizie e a cercare di capire alcune cose. Alcune volte ci riesco, altre no. In questo caso la cosa che non capisco (o che forse capisco troppo bene) ha a che fare con la sottrazione dell'inchiesta why not al pm De Magistris (foto), per presunte e non meglio precisate forme di "incompatibilità".
Ma vediamo di riassumere i fatti per chi magari fosse all'oscuro della vicenda.
Brevemente, Luigi De Magistris è il pubblico ministero (ex) titolare, a Catanzaro, dell'inchiesta denominata why not. Tale inchiesta ha a che fare con una specie di "nuova tangentopoli", che ha per oggetto tutta una serie di reati finanziari che vanno dalla truffa riguardo a finanziamenti europei per finire col finanziamento illecito ai partiti e con l'appropriazione indebita e l'abuso di ufficio. La lista di nomi eccellenti coinvolti a vario titolo in questa vicenda è piuttosto lunga e contempla al suo interno giornalisti, uomini d'affari, agenti del Sismi, della Dia, prefetti e qualche politico. Già, i politici. Attualmente, tra quelli "eccellenti", risultano indagati nell'ambito di questa inchiesta Romano Prodi, attuale Presidente del Consiglio, e Clemente Mastella, Ministro della Giustizia. Il primo si dice "tranquillo" e il secondo "sereno". Vabbé.
Per una di quelle strane "coincidenze" per le quali per il momento non abbiamo elementi - se non semplici supposizioni - per definire diversamente, al pm De Magistris, già da tempo nelle mire del guardasigilli, viene avocata l'inchiesta. L'avocatura è una particolare procedura espressamente prevista dal nostro ordinamento giuridico, che consiste nel trasferimento a sé, da parte di una procura, di un'inchiesta di cui titolare è un altro soggetto (generalmente di "grado" inferiore).
Bene. Fin qui i fatti. Ora ci sarebbe da fare qualche considerazione personale, Proviamo.
Ufficialmente il magistrato inquirente è stato rimosso per "incompatibilità". Ma incompatibilità di che tipo? Ambientale? Parentale? Territoriale? Non si sa, perché non c'è scritto da nessuna parte chiaramente. Le fonti che (a fatica) ho trovato, parlano genericamente di una qualche incompatibilità di tipo ambientale (quotidiano.net qui), probabilmente nata in seguito al provvedimento disciplinare (anche qui i motivisono ignoti sono chiarissimi) scaturito dopo le ispezioni disposte dal ministro Mastella (guarda a caso l'indagato). Quindi, stringendo, ci troviamo di fronte a un magistrato che è stato - per "coincidenza" - esautorato dal suo incarico in concomitanza con l'indirizzamento della sua indagine verso i "piani alti". A questo punto verrebbe da dire troppo alti.
Che l'indagine del pm avesse preso una direzione un pò pericolosa, diciamo così, se n'era già accorto da qualche tempo qualcun'altro, tanto che sia De Magistris che la sua collega Clementina Forleo (il giudice che sta indagando sulla liceità della scalata alla Banca Antonveneta da parte dell'ex Bpl, nella quale sarebbero implicati altri politici eccellenti) sono da tempo bersagli di intimidazioni e minacce, come giustamente segnalato da Romina nel suo blog.
Ora, sia chiaro, può essere benissimo che gli ispettori di Mastella abbiano trovato elementi che giustifichino in qualche modo il provvedimento disciplinare e il conseguente "invito" al pm ad abbandonare l'inchiesta, così come può essere benissimo che Biancaneve sia stata svegliata dal principe azzurro col bacio dopo aver morsicato la mela avvelenata, ma a mio parere (e penso non solo mio) le motivazioni potrebbero essere anche altre.
A questo punto ognuno può tirare le sue conclusioni. Mastella ha annunciato nuovamente in queste ore di non avere nulla da temere e di sperare anzi che l'inchiesta avanzi il più celermente possibile (ovviamente senza il De Magistris). Ha fatto benissimo. Se l'inchiesta, una volta giunta finalmente al termine, dimostrerà la completa estraneità del ministro, io sarò il primo a ripubblicare con gioia la notizia sul mio blog. Ma, per ora, mi limito a chiudere questo piccolo post con alcune parole del magistrato tratte da una sua intervista rilasciata a Repubblica (qui):
Ma vediamo di riassumere i fatti per chi magari fosse all'oscuro della vicenda.
Brevemente, Luigi De Magistris è il pubblico ministero (ex) titolare, a Catanzaro, dell'inchiesta denominata why not. Tale inchiesta ha a che fare con una specie di "nuova tangentopoli", che ha per oggetto tutta una serie di reati finanziari che vanno dalla truffa riguardo a finanziamenti europei per finire col finanziamento illecito ai partiti e con l'appropriazione indebita e l'abuso di ufficio. La lista di nomi eccellenti coinvolti a vario titolo in questa vicenda è piuttosto lunga e contempla al suo interno giornalisti, uomini d'affari, agenti del Sismi, della Dia, prefetti e qualche politico. Già, i politici. Attualmente, tra quelli "eccellenti", risultano indagati nell'ambito di questa inchiesta Romano Prodi, attuale Presidente del Consiglio, e Clemente Mastella, Ministro della Giustizia. Il primo si dice "tranquillo" e il secondo "sereno". Vabbé.
Per una di quelle strane "coincidenze" per le quali per il momento non abbiamo elementi - se non semplici supposizioni - per definire diversamente, al pm De Magistris, già da tempo nelle mire del guardasigilli, viene avocata l'inchiesta. L'avocatura è una particolare procedura espressamente prevista dal nostro ordinamento giuridico, che consiste nel trasferimento a sé, da parte di una procura, di un'inchiesta di cui titolare è un altro soggetto (generalmente di "grado" inferiore).
Bene. Fin qui i fatti. Ora ci sarebbe da fare qualche considerazione personale, Proviamo.
Ufficialmente il magistrato inquirente è stato rimosso per "incompatibilità". Ma incompatibilità di che tipo? Ambientale? Parentale? Territoriale? Non si sa, perché non c'è scritto da nessuna parte chiaramente. Le fonti che (a fatica) ho trovato, parlano genericamente di una qualche incompatibilità di tipo ambientale (quotidiano.net qui), probabilmente nata in seguito al provvedimento disciplinare (anche qui i motivi
Che l'indagine del pm avesse preso una direzione un pò pericolosa, diciamo così, se n'era già accorto da qualche tempo qualcun'altro, tanto che sia De Magistris che la sua collega Clementina Forleo (il giudice che sta indagando sulla liceità della scalata alla Banca Antonveneta da parte dell'ex Bpl, nella quale sarebbero implicati altri politici eccellenti) sono da tempo bersagli di intimidazioni e minacce, come giustamente segnalato da Romina nel suo blog.
Ora, sia chiaro, può essere benissimo che gli ispettori di Mastella abbiano trovato elementi che giustifichino in qualche modo il provvedimento disciplinare e il conseguente "invito" al pm ad abbandonare l'inchiesta, così come può essere benissimo che Biancaneve sia stata svegliata dal principe azzurro col bacio dopo aver morsicato la mela avvelenata, ma a mio parere (e penso non solo mio) le motivazioni potrebbero essere anche altre.
[...] "Per una volta, inseguire gli aspetti tecnico-giuridici della decisione del Procuratore generale di Catanzaro di strappare di mano l’inchiesta “Why Not” su Prodi, Mastella & C. al titolare, cioè al pm Luigi De Magistris, è inutile e fuorviante. Meglio andare subito alla sostanza, che è questa: il magistrato che aveva raccolto elementi sufficienti per indagare Mastella per abuso, truffa e finanziamento illecito, cioè riteneva di aver trovato i soldi, non potrà portare a termine la sua indagine, ormai in dirittura d’arrivo. Il fascicolo passerà a un altro magistrato, che impiegherà mesi per studiarsi tutti gli atti. E, se non vorrà fare la fine di De Magistris - attaccato da destra e da sinistra, difeso da nessuno, ispezionato per mesi e mesi, trascinato dinanzi al Csm, proposto per il trasferimento immediato e infine espropriato del suo lavoro - ascolterà l’amorevole consiglio che gli danno il governo e l’opposizione una volta tanto compatte: archiviare tutto, lasciar perdere, voltarsi dall’altra parte". [...]Questa, naturalmente (estratto di un articolo di Travaglio pubblicato qui), è una possibile ipotesi, ma a mio avviso quella che più si avvicina alla realtà dei fatti. A noi piacerebbe credere che effettivamente il magistrato sia stato esautorato dal suo incarico per incompatibilità, ma, abbiate pazienza, come si fa a crederlo veramente? Su quali basi? Non esiste il movente, si direbbe se si parlasse del delitto di Cogne. Anche qui non esiste il movente, che invece è ben chiaro nel caso opposto, quello cioè che il pm sia stato tolto dalle balle perchè stava arrivando troppo in sù.
A questo punto ognuno può tirare le sue conclusioni. Mastella ha annunciato nuovamente in queste ore di non avere nulla da temere e di sperare anzi che l'inchiesta avanzi il più celermente possibile (ovviamente senza il De Magistris). Ha fatto benissimo. Se l'inchiesta, una volta giunta finalmente al termine, dimostrerà la completa estraneità del ministro, io sarò il primo a ripubblicare con gioia la notizia sul mio blog. Ma, per ora, mi limito a chiudere questo piccolo post con alcune parole del magistrato tratte da una sua intervista rilasciata a Repubblica (qui):
[...] "Se uno arresta chi fa la tratta di esseri umani o i trafficanti di droga gli arrivano i telegrammi e gli applausi, gli dicono che è il magistrato più bravo d'Italia. Ma poi viene cacciato quando indaga sulla pubblica amministrazione. Cosa significa allora? A questo punto la partita non può essere più - visto che il tema è così alto - trasferite o non trasferite De Magistris. Io pongo un altro problema: un magistrato così può rimanere in magistratura. E io, così lo so fare il magistrato, anche se mi mandano a Bolzano o a Novara o a Cagliari. Questo è il tema che è in gioco nel Paese: se un magistrato può continuare a indagare su tutti i cittadino oppure no". [...].
domenica 21 ottobre 2007
[libri] La scomparsa dei fatti [/libri]
Ho appena terminato di leggere La scomparsa dei fatti, di Marco Travaglio. Si potrebbero dire parecchie cose di questo libro; innanzitutto lo consiglio a tutti quelli che ancora pensano (qualcuno c'è sicuramente) che l'informazione in Italia sia corretta, limpida, precisa e autonoma, e che il giornalismo sia un servizio reso al cittadino.
L'autore, infatti, tra le altre cose, analizza in dettaglio i metodi con cui vengono "selezionate" le notizie dalle redazioni di tg e giornali prima di essere date in pasto al pubblico. Notizie che vengono modificate, alterate geneticamente, pompate più o meno vistosamente a seconda di come - a giudizio del direttore di testata, in genere asservito a qualche corrente politica - devono essere "interpretate" dal pubblico.
Un'informazione che si permette di "interpretare" pure le sentenze di chi è stato condannato (o prosciolto) in via definitiva, e che in caso di assoluzione di qualche potente si limita a riportare la lettura del semplice dispositivo, perché magari andando a leggere le motivazioni si scopre che l'assoluzione può essere conseguenza di una decorrenza di termini, piuttosto che di una reale estraneità ai fatti imputati.
E tutto questo nell'ottica di idee - ormai divenute regola per la maggior parte della nostra informazione - che il potente possibilmente non deve essere indagato, e se anche viene indagato non dev'essere condannato, e se malauguratamente viene condannato non si deve sapere. Il tutto scritto in maniera semplice, scorrevole e a volte ironica.
Un libro per cui vale sicuramente la pena spegnere la tv un'ora prima la sera.
L'autore, infatti, tra le altre cose, analizza in dettaglio i metodi con cui vengono "selezionate" le notizie dalle redazioni di tg e giornali prima di essere date in pasto al pubblico. Notizie che vengono modificate, alterate geneticamente, pompate più o meno vistosamente a seconda di come - a giudizio del direttore di testata, in genere asservito a qualche corrente politica - devono essere "interpretate" dal pubblico.
Un'informazione che si permette di "interpretare" pure le sentenze di chi è stato condannato (o prosciolto) in via definitiva, e che in caso di assoluzione di qualche potente si limita a riportare la lettura del semplice dispositivo, perché magari andando a leggere le motivazioni si scopre che l'assoluzione può essere conseguenza di una decorrenza di termini, piuttosto che di una reale estraneità ai fatti imputati.
E tutto questo nell'ottica di idee - ormai divenute regola per la maggior parte della nostra informazione - che il potente possibilmente non deve essere indagato, e se anche viene indagato non dev'essere condannato, e se malauguratamente viene condannato non si deve sapere. Il tutto scritto in maniera semplice, scorrevole e a volte ironica.
Un libro per cui vale sicuramente la pena spegnere la tv un'ora prima la sera.
sabato 20 ottobre 2007
Nuovi papà crescono
Ci sono alcune cose nella vita che si sa essere bellissime. Un conto però è saperlo perché si immagina che non possa essere altrimenti, un conto è saperlo perché questa cosa capita realmente.
Insomma, tutto questo per segnalare - e divenire così partecipe della sua gioia - che uno dei miei più affezionati lettori sta vivendo la seconda opzione.
Insomma, tutto questo per segnalare - e divenire così partecipe della sua gioia - che uno dei miei più affezionati lettori sta vivendo la seconda opzione.
Rutelli è pronto a chiudere il portale di Gioacchino Fellini
Ovviamente Gioacchino Fellini è in realtà Federico, il noto regista nato in quel di Rimini e non a Pesaro. E il portale è invece l'ormai arcinoto webmostro italia.it, quello che nelle intenzioni iniziali doveva rappresentare il portale dell'italia nel mondo, quello che avrebbe dovuto imprimere una spinta propulsiva senza eguali al turismo di casa nostra.
Ho parlato spesso nel mio blog di italia.it, un portale costato 45 milioni di euro pubblici (alle cui richieste di chiarimenti sono sempre arrivate risposte molto esaurienti), e che si è rivelato un'opera (opera?) inutile, con poche visite e grossolani e macroscopici errori di contenuti (tipo l'Abruzzo senza coste, il Monte Rosa in Lombardia, il Trentino senza Dolomiti e altre "leggerezze" tipo quelle evidenziate a inizio articolo).
Ieri il ministro Rutelli (foto) ha annunciato - preso atto che il rapporto costi/benefici non pende decisamente a favore dei secondi - di essere pronto a chiuderlo, come si chiude uno stabilimento non più produttivo o come si abbatte un ecomostro quando ci si accorge (sempre dopo) che è stato costruito violando qualche vincolo ambientale.
Intanto i 90 miliardi di soldi pubblici del vecchio conio sono stati spesi. Sarebbe auspicabile che qualcuno di autorevole (che so, qualche procura, la Corte dei Conti) si interessasse seriamente a come sono stati effettivamente spesi questi nostri soldi, ma esperienza insegna che resterà probabilmente solo un auspicio.
Ho parlato spesso nel mio blog di italia.it, un portale costato 45 milioni di euro pubblici (alle cui richieste di chiarimenti sono sempre arrivate risposte molto esaurienti), e che si è rivelato un'opera (opera?) inutile, con poche visite e grossolani e macroscopici errori di contenuti (tipo l'Abruzzo senza coste, il Monte Rosa in Lombardia, il Trentino senza Dolomiti e altre "leggerezze" tipo quelle evidenziate a inizio articolo).
Ieri il ministro Rutelli (foto) ha annunciato - preso atto che il rapporto costi/benefici non pende decisamente a favore dei secondi - di essere pronto a chiuderlo, come si chiude uno stabilimento non più produttivo o come si abbatte un ecomostro quando ci si accorge (sempre dopo) che è stato costruito violando qualche vincolo ambientale.
Intanto i 90 miliardi di soldi pubblici del vecchio conio sono stati spesi. Sarebbe auspicabile che qualcuno di autorevole (che so, qualche procura, la Corte dei Conti) si interessasse seriamente a come sono stati effettivamente spesi questi nostri soldi, ma esperienza insegna che resterà probabilmente solo un auspicio.
venerdì 19 ottobre 2007
Sono pronto a chiudere il mio blog e il mio sito
Questo articolo è stato aggiornato dopo la sua pubblicazione iniziale.
Scrivo queste righe frettolosamente, mentre sto ancora cercando di capire bene i termini della questione che sta tenendo banco in rete da qualche ora e che sta allarmando chi si interessa di divulgazione e diffusione di contenuti (blogger compresi, a quanto pare).
In attesa di approfondire un pò il tutto, vi lascio alcuni link che parlano della questione:
link 1
link 2
link 3
link 4
Come giustamente osserva Paolo De Andreis, direttore di Punto Informatico, ci troviamo di fronte a un provvedimento che andrà poco lontano, tanto è raffazzonato, scritto male e macroscopicamente inapplicabile. E probabilmente presto cadrà nel dimenticatoio (mi auguro).
Se per qualche oscuro motivo ciò non dovesse accadere, sono pronto a chiudere all'istante sia il mio blog che il mio sito internet. Io non sono un giornalista professionista: scrivo per passione. Non ho nessun ritorno economico da ciò che scrivo: i miei articoli così come i miei howto di informatica che trovate nel mio sito li scrivo nel tempo libero, per pura passione.
Se per continuare a fare questo sarò obbligato a registrarmi all'Autorità delle Telecomunicazioni, pagare bolli e produrre certificati solo per essere più pesantemente colpito in caso di querela, beh, mi dispiace, ne trarrò le relative conseguenze.
Per adesso questo è quanto. Seguirò da vicino la vicenda in caso ci siano novità (che spero positive).
Aggiornamento 21:10.
Ho passato buona parte del pomeriggio per cercare di approfondire un pò la questione. Ho fatto una sorta di comparazione tra quanto riportato dai vari siti internet in proposito (che stanno via via ancora pubblicando articoli e commenti in proposito), e mi sono spulciato l'intero disegno di legge.
La conclusione a cui sono giunto è che probabilmente mi sono allarmato (insieme a molti altri) per niente. Una cosa del genere non potrà infatti mai passare: per il semplice motivo che se passasse sarebbe la conferma definitiva che ci governa non ci merita. Non siamo noi che non ci meritiamo loro, ma loro che non meritano noi.
Abbiamo avuto nel corso del tempo ampie dimostrazioni del livello di ignoranza in materia di internet e di comunicazione interattiva digitale propria di chi ci governa. Esempi se ne potrebbero citare a bizzeffe. Uno per tutti: la recente proposta di Frattini di abolire le parole sgradite dai motori di ricerca, come se bannare (spiegando ovviamente come si fa) termini come "bomba", "terrorismo" o "uccidere" significasse automaticamente la fine di questi problemi. Per fare un paragone sarebbe come pretendere di eliminare il bullismo dalle scuole cancellando le parolacce dal dizionario di italiano.
Questo è il livello di cultura e di conoscenza delle dinamiche della rete dei nostri politici (con eccezioni che si contano sulle dita di una mano). E la trovata di bannare i termini "pericolosi", tra l'altro, non l'ha sparata un politico qualsiasi (tipo uno di quelli che pensano che il Darfur sia uno stile di vita veloce), ma il vice presidente della Commissione Europea, il cui invio a Bruxelles con tale carica si è evidentemente rivelata una delle mosse più azzeccate del precedente esecutivo.
Tornando al provvedimento in oggetto, un altro dei motivi per cui non passerà mai è che internet è libera in tutto il mondo, senza eccezioni. Vi immaginate cosa comporterebbe, anche solo a livello di immagine di fronte al resto della comunità mondiale, la tassazione e la schedatura dei blog? Vi immaginate le risate (di compatimento) di chi dall'esterno vedrebbe il nostro governo impegnato in una seria opera di "medievalizzazione" (passatemi il termine) di internet?
Per ora ne ho abbastanza, e, a meno che non sopravvengano novità degne di nota, non ho intenzione di tornare ancora sull'argomento, se non quando verrà finalmente messa la parola fine a questa grottesca vicenda.
Scrivo queste righe frettolosamente, mentre sto ancora cercando di capire bene i termini della questione che sta tenendo banco in rete da qualche ora e che sta allarmando chi si interessa di divulgazione e diffusione di contenuti (blogger compresi, a quanto pare).
In attesa di approfondire un pò il tutto, vi lascio alcuni link che parlano della questione:
link 1
link 2
link 3
link 4
Come giustamente osserva Paolo De Andreis, direttore di Punto Informatico, ci troviamo di fronte a un provvedimento che andrà poco lontano, tanto è raffazzonato, scritto male e macroscopicamente inapplicabile. E probabilmente presto cadrà nel dimenticatoio (mi auguro).
Se per qualche oscuro motivo ciò non dovesse accadere, sono pronto a chiudere all'istante sia il mio blog che il mio sito internet. Io non sono un giornalista professionista: scrivo per passione. Non ho nessun ritorno economico da ciò che scrivo: i miei articoli così come i miei howto di informatica che trovate nel mio sito li scrivo nel tempo libero, per pura passione.
Se per continuare a fare questo sarò obbligato a registrarmi all'Autorità delle Telecomunicazioni, pagare bolli e produrre certificati solo per essere più pesantemente colpito in caso di querela, beh, mi dispiace, ne trarrò le relative conseguenze.
Per adesso questo è quanto. Seguirò da vicino la vicenda in caso ci siano novità (che spero positive).
Aggiornamento 21:10.
Ho passato buona parte del pomeriggio per cercare di approfondire un pò la questione. Ho fatto una sorta di comparazione tra quanto riportato dai vari siti internet in proposito (che stanno via via ancora pubblicando articoli e commenti in proposito), e mi sono spulciato l'intero disegno di legge.
La conclusione a cui sono giunto è che probabilmente mi sono allarmato (insieme a molti altri) per niente. Una cosa del genere non potrà infatti mai passare: per il semplice motivo che se passasse sarebbe la conferma definitiva che ci governa non ci merita. Non siamo noi che non ci meritiamo loro, ma loro che non meritano noi.
Abbiamo avuto nel corso del tempo ampie dimostrazioni del livello di ignoranza in materia di internet e di comunicazione interattiva digitale propria di chi ci governa. Esempi se ne potrebbero citare a bizzeffe. Uno per tutti: la recente proposta di Frattini di abolire le parole sgradite dai motori di ricerca, come se bannare (spiegando ovviamente come si fa) termini come "bomba", "terrorismo" o "uccidere" significasse automaticamente la fine di questi problemi. Per fare un paragone sarebbe come pretendere di eliminare il bullismo dalle scuole cancellando le parolacce dal dizionario di italiano.
Questo è il livello di cultura e di conoscenza delle dinamiche della rete dei nostri politici (con eccezioni che si contano sulle dita di una mano). E la trovata di bannare i termini "pericolosi", tra l'altro, non l'ha sparata un politico qualsiasi (tipo uno di quelli che pensano che il Darfur sia uno stile di vita veloce), ma il vice presidente della Commissione Europea, il cui invio a Bruxelles con tale carica si è evidentemente rivelata una delle mosse più azzeccate del precedente esecutivo.
Tornando al provvedimento in oggetto, un altro dei motivi per cui non passerà mai è che internet è libera in tutto il mondo, senza eccezioni. Vi immaginate cosa comporterebbe, anche solo a livello di immagine di fronte al resto della comunità mondiale, la tassazione e la schedatura dei blog? Vi immaginate le risate (di compatimento) di chi dall'esterno vedrebbe il nostro governo impegnato in una seria opera di "medievalizzazione" (passatemi il termine) di internet?
Per ora ne ho abbastanza, e, a meno che non sopravvengano novità degne di nota, non ho intenzione di tornare ancora sull'argomento, se non quando verrà finalmente messa la parola fine a questa grottesca vicenda.
La "Settimana Santa" dell'informazione
Ieri sera i tg delle ore 20 delle reti ammiraglie Rai e Fininvest hanno entrambi aperto le rispettive edizioni con ampi servizi sulle ultime esternazioni di Ratzinger e company. E' stato un pò il culmine, o, se volete, la degna conclusione di una settimana in cui giornali e tv hanno fatto da corridoio privilegiato alle varie prese di posizione dell'entourage papale in merito a varie questioni sociali in questo periodo sul tappeto.
Ovviamente non c'è niente di male in tutto questo (al limite c'è sempre il telecomando): abbiamo infatti la fortuna di non abitare in realtà tipo la Cina, dove la Chiesa (e più in generale la libertà di espressione) viene perseguitata senza andare tanto per il sottile, ma in un paese libero e democratico dove non si nega a nessuno la possibilità e l'opportunità di dire la sua.
Opportunità che i zelanti rappresentanti delle alte sfere ecclesiali si guardano comunque bene dal lasciarsi sfuggire. E infatti ogni santo giorno ci dobbiamo sorbire i pistolotti, le esternazioni, le direttive, le critiche, gli anatemi e i moniti di prelati, cardinali e monsignori vari in merito a eutanasia, famiglia, matrimonio e chi più ne ha più ne metta. Per chiudere col diretto discendente di San Pietro che ieri si è accorto della presenza nel nostro paese di un elevatissimo tasso di lavoro precario (ma dov'è stato finora?) che "non permette ai giovani di potersi costruire una famiglia", con tutto ciò che ne consegue.
Ora, va giustamente sottolineato, è naturale che il Papa rivolga i suoi appelli principalmente ai credenti e a chi, a vario titolo, si impegna a seguire le direttive ecclesiali (come giustamente sottolineato dai vari quotidiani che hanno riportato le sue esternazioni), ma a mio avviso la cosa è andata ben al di là di un certo limite, che è quello di chi, laico, rivendica il diritto di non trovarsi tutti i giorni (e quando dico tutti intendo tutti) in prima pagina o in apertura dei tg le ultime news dal Vaticano.
Badate bene, non si tratta di censura. Nessuno vuole censurare nessuno, tanto meno la Chiesa (anche perché difficilmente si può censurare chi controlla quotidiani, settimanali, mensili, stazioni radio, ecc...), ma solo riuscire a capire qual'è il limite entro il quale i pensieri e le esternazioni papali appartengono al normale diritto di cronaca e quando, invece, questo limite viene superato. Lo so, qualcuno potrebbe dirmi di cambiare quotidiano o telegiornale, ma non servirebbe a niente perché non scampa nessuno a questo "obbligo", neppure l'Unità o il Manifesto o il tg3 (controllare per credere). L'asservimento è totale.
Io non concordo con la linea della Chiesa su molti aspetti, tra cui - solo per citarne due - eutanasia e famiglia, e non voglio ritrovarmi tutti i giorni in prima pagina gli anatemi del Papa o di Bagnasco, intenti a ripetermi che "la vita e il matrimonio sono valori non negoziabili". Ma che ne sanno loro di matrimonio? Che ne sanno di figli? Che ne sanno di cosa vuol dire mandare avanti una famiglia, cercare di mettere d'accordo tutti, "combattere" ogni giorno coi figli che crescono e con la fatica di saper prendere certe decisioni? Oppure come fanno a definire "vita" lo stare 15 anni in un letto in coma o 30 attaccato a un respiratore muovendo solo le palpebre? Naturalmente questi sono temi che richiederebbero un ben diverso tipo di approccio e non certo le poche righe di un post; ho fatto solo per riportare degli esempi (approfondirò meglio e con più calma più avanti).
La cosa che irrita di più, oltretutto, è il fatto che queste direttive non si limitano a essere indirizzate ai credenti, ma vengono espressamente rivolte anche a chi, laico, è impegnato in politica. "Nel diretto impegno politico i laici sono chiamati a spendersi in prima persona attraverso l'esercizio delle competenze e contestualmente in ascolto del Magistero della Chiesa", ha detto ieri Bagnasco rivolgendosi ai politici nell'ambito dell'apertura della Settimana Sociale dei cattolici. Ora, un conto è che i "consigli" dei vescovi siano indirizzati ai politici di ispirazione cattolica, ma altro conto è che vengano indirizzati indistintamente a tutti, compresi quelli che non sanno cosa farsene di tali inviti (ricordate quando nel 2005 Fassino in occasione della discussione sui pacs invitò senza tanti giri di parole Ruini a farsi gli affari propri?).
Bene, oggi la situazione è questa. Ratzinger e company hanno carta bianca, gentilmente concessa da tutti i mezzi di informazione, per poter pontificare a piacimento su tutto lo scibile umano - compresa la politica - senza che nessuno (politici, giornalisti, direttori di giornali) si senta in dovere non dico di censurare - la censura è sempre sbagliata -, ma quantomeno di mettere dei paletti all'invadenza vaticana nella vita della società. Di dire senza mezzi termini: "Scusate, volete farvi un pò gli affari vostri che al limite sappiamo sbagliare da soli?".
Ovviamente non c'è niente di male in tutto questo (al limite c'è sempre il telecomando): abbiamo infatti la fortuna di non abitare in realtà tipo la Cina, dove la Chiesa (e più in generale la libertà di espressione) viene perseguitata senza andare tanto per il sottile, ma in un paese libero e democratico dove non si nega a nessuno la possibilità e l'opportunità di dire la sua.
Opportunità che i zelanti rappresentanti delle alte sfere ecclesiali si guardano comunque bene dal lasciarsi sfuggire. E infatti ogni santo giorno ci dobbiamo sorbire i pistolotti, le esternazioni, le direttive, le critiche, gli anatemi e i moniti di prelati, cardinali e monsignori vari in merito a eutanasia, famiglia, matrimonio e chi più ne ha più ne metta. Per chiudere col diretto discendente di San Pietro che ieri si è accorto della presenza nel nostro paese di un elevatissimo tasso di lavoro precario (ma dov'è stato finora?) che "non permette ai giovani di potersi costruire una famiglia", con tutto ciò che ne consegue.
Ora, va giustamente sottolineato, è naturale che il Papa rivolga i suoi appelli principalmente ai credenti e a chi, a vario titolo, si impegna a seguire le direttive ecclesiali (come giustamente sottolineato dai vari quotidiani che hanno riportato le sue esternazioni), ma a mio avviso la cosa è andata ben al di là di un certo limite, che è quello di chi, laico, rivendica il diritto di non trovarsi tutti i giorni (e quando dico tutti intendo tutti) in prima pagina o in apertura dei tg le ultime news dal Vaticano.
Badate bene, non si tratta di censura. Nessuno vuole censurare nessuno, tanto meno la Chiesa (anche perché difficilmente si può censurare chi controlla quotidiani, settimanali, mensili, stazioni radio, ecc...), ma solo riuscire a capire qual'è il limite entro il quale i pensieri e le esternazioni papali appartengono al normale diritto di cronaca e quando, invece, questo limite viene superato. Lo so, qualcuno potrebbe dirmi di cambiare quotidiano o telegiornale, ma non servirebbe a niente perché non scampa nessuno a questo "obbligo", neppure l'Unità o il Manifesto o il tg3 (controllare per credere). L'asservimento è totale.
Io non concordo con la linea della Chiesa su molti aspetti, tra cui - solo per citarne due - eutanasia e famiglia, e non voglio ritrovarmi tutti i giorni in prima pagina gli anatemi del Papa o di Bagnasco, intenti a ripetermi che "la vita e il matrimonio sono valori non negoziabili". Ma che ne sanno loro di matrimonio? Che ne sanno di figli? Che ne sanno di cosa vuol dire mandare avanti una famiglia, cercare di mettere d'accordo tutti, "combattere" ogni giorno coi figli che crescono e con la fatica di saper prendere certe decisioni? Oppure come fanno a definire "vita" lo stare 15 anni in un letto in coma o 30 attaccato a un respiratore muovendo solo le palpebre? Naturalmente questi sono temi che richiederebbero un ben diverso tipo di approccio e non certo le poche righe di un post; ho fatto solo per riportare degli esempi (approfondirò meglio e con più calma più avanti).
La cosa che irrita di più, oltretutto, è il fatto che queste direttive non si limitano a essere indirizzate ai credenti, ma vengono espressamente rivolte anche a chi, laico, è impegnato in politica. "Nel diretto impegno politico i laici sono chiamati a spendersi in prima persona attraverso l'esercizio delle competenze e contestualmente in ascolto del Magistero della Chiesa", ha detto ieri Bagnasco rivolgendosi ai politici nell'ambito dell'apertura della Settimana Sociale dei cattolici. Ora, un conto è che i "consigli" dei vescovi siano indirizzati ai politici di ispirazione cattolica, ma altro conto è che vengano indirizzati indistintamente a tutti, compresi quelli che non sanno cosa farsene di tali inviti (ricordate quando nel 2005 Fassino in occasione della discussione sui pacs invitò senza tanti giri di parole Ruini a farsi gli affari propri?).
Bene, oggi la situazione è questa. Ratzinger e company hanno carta bianca, gentilmente concessa da tutti i mezzi di informazione, per poter pontificare a piacimento su tutto lo scibile umano - compresa la politica - senza che nessuno (politici, giornalisti, direttori di giornali) si senta in dovere non dico di censurare - la censura è sempre sbagliata -, ma quantomeno di mettere dei paletti all'invadenza vaticana nella vita della società. Di dire senza mezzi termini: "Scusate, volete farvi un pò gli affari vostri che al limite sappiamo sbagliare da soli?".
giovedì 18 ottobre 2007
Il Viagra, l'Italia e Google
Il noto motore di ricerca Google ha una funzione che consente di di comparare i vari termini inseriti per vedere quanto sono ricercati, sia a livello temporale che geografico. Questo servizio è Google Trends. Osservate cosa succede inserendo il termine "Viagra":
Ecco qua, siamo il paese al mondo che più di tutti gli altri cerca informazioni riguardo alla famosa pasticca blu. Questo naturalmente non significa niente; i motivi infatti per cui si ricerca questo termine possono essere molteplici, e non implicano necessariamente una compromissione della nostra fama di latin lover. :-)
Se volete, potete sbizzarrirvi anche voi con qualsiasi termine. Se volete una panoramica di quelli maggiormente ricercati in correlazione al paese di riferimento la trovate qui.
Ecco qua, siamo il paese al mondo che più di tutti gli altri cerca informazioni riguardo alla famosa pasticca blu. Questo naturalmente non significa niente; i motivi infatti per cui si ricerca questo termine possono essere molteplici, e non implicano necessariamente una compromissione della nostra fama di latin lover. :-)
Se volete, potete sbizzarrirvi anche voi con qualsiasi termine. Se volete una panoramica di quelli maggiormente ricercati in correlazione al paese di riferimento la trovate qui.
Primo arresto per phishing in Italia: "Non credevo abboccassero in tanti"
La notizia del recente arresto per phishing del giovane di Varese (riportata anche dal Corriere), presenta due peculiarità molto interessanti. La prima è che si tratta del primo arresto in Italia per reati di questo genere (speriamo il primo di una lunga serie), e la seconda è rappresentata dalla frase pronunciata dal giovane al giudice: "Non credevo abboccassero così in tanti".
Questa affermazione la dice lunga su tutta una serie di cose, la più importante delle quali è sicuramente la conferma della gravità e dell'estensione del fenomeno phishing - tanto da lasciare sbalordito lo stesso autore della "bravata" -, molto spesso sottovalutata dall'utenza internet in genere.
Questa affermazione la dice lunga su tutta una serie di cose, la più importante delle quali è sicuramente la conferma della gravità e dell'estensione del fenomeno phishing - tanto da lasciare sbalordito lo stesso autore della "bravata" -, molto spesso sottovalutata dall'utenza internet in genere.
Per la maggior molti di noi, infatti, viene ormai naturale cancellare le varie e-mail con mittente Poste.it, Banca Intesa, Banca di Roma, ecc. Ma, purtroppo, in egual misura (se non maggiore), altrettanti abboccano e danno in pasto tranquillamente ai criminali della rete i propri dati personali.
Tutto ciò è confermato anche dal (triste) resoconto trimestrale pubblicato da anti-phishing.it (qui in pdf) relativo al primo trimestre di quest'anno. Solo per citare qualche cifra, estrapolata da tale rapporto, nei soli primi tre mesi di quest'anno la diffusione di questo pericoloso fenomeno ha avuto un'impennata in termini percentuali superiore al 1.700% (225 attacchi contro i 12 dello stesso periodo dell'anno precedente), con obiettivo preferito - come facilmente intuibile - l'ente Poste (87% degli attacchi).
In mezzo a tutto ciò ci sono i normali utenti, equamente divisi tra chi ha ormai fatto sua la buona abitudine di non lasciarsi "gabbare", cestinando subito tutto ciò che è di provenienza sospetta, e chi, invece, incautamente, continua a fidarsi di tutto ciò che gli piove nella casella di posta.
Speriamo solo che la notizia dell'arresto (con condanna tutt'altro che lieve) del phisher nostrano serva un pò da deterrente (anche se nutro qualche dubbio) contro chi in futuro avrà voglia di provarci di nuovo.
mercoledì 17 ottobre 2007
Wordreference.com, il vocabolario universale
Può capitare di aver bisogno di tradurre un termine in più lingue. Se volete evitare la scocciatura di dover aprire diverse pagine per raggiungere lo scopo, potete fare un giro su Wordreference.com (versione italiana qui).
E' sufficiente inserire il termine da ricercare nell'apposito spazio e mettere il segno di spunta nell'opzione corrispondente alla lingua in cui lo vogliamo tradurre:
Oltre a ciò, una peculiarità interessante del sito è la possibilità di vedere la coniugazione completa, in qualsiasi lingua, delle varie forme verbali nel caso il termine ricercato sia appunto un verbo. E tutto ciò semplicemente cliccando sul simbolo "=>" accanto al risultato ottenuto:
Mi pare che, specialmente per chi ha spesso necessità di consultare più lingue straniere, questo sito meriti sicuramente un posto nei segnalibri.
E' sufficiente inserire il termine da ricercare nell'apposito spazio e mettere il segno di spunta nell'opzione corrispondente alla lingua in cui lo vogliamo tradurre:
Oltre a ciò, una peculiarità interessante del sito è la possibilità di vedere la coniugazione completa, in qualsiasi lingua, delle varie forme verbali nel caso il termine ricercato sia appunto un verbo. E tutto ciò semplicemente cliccando sul simbolo "=>" accanto al risultato ottenuto:
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Mi pare che, specialmente per chi ha spesso necessità di consultare più lingue straniere, questo sito meriti sicuramente un posto nei segnalibri.
Andrea, perché non rispondi più alle e-mail?
M'aspettavo, prima o poi, di dover scrivere questo post, anche se speravo di poterlo rimandare ulteriormente. Abbiate pazienza, non ce l'ho con voi, ma da oggi ho deciso di non rispondere più alle e-mail che mi chiedono assitenza tecnica (solo ieri ne ho ricevute ben 4).
Finché la cosa era gestibile (per gestibile intendo qualche messaggio ogni tanto) ho cercato di rispondere e di dare - nei limiti delle mie capacità - le dritte e i suggerimenti che potevo dare, ma purtroppo ora non è più possibile. E ciò per alcune semplici ragioni che vi illustro brevemente:
Approfitto per suggerire a chi avesse qualunque tipo di problema (col pc, ma non solo) di usare la rete per risolverlo, che è forse la risorsa più utile e immediata che ci sia. Motori di ricerca, forum, gruppi di discussione: internet brulica di questi strumenti che, opportunamente sfruttati e utilizzati, consentono di trovare la risposta praticamente a tutto.
Amici come prima?
Finché la cosa era gestibile (per gestibile intendo qualche messaggio ogni tanto) ho cercato di rispondere e di dare - nei limiti delle mie capacità - le dritte e i suggerimenti che potevo dare, ma purtroppo ora non è più possibile. E ciò per alcune semplici ragioni che vi illustro brevemente:
- Non sono un tecnico specializzato, ma solamente un appassionato che a furia di combinare disastri qualcosina ha imparato. Tuttavia, comprenderete, è molto difficile spiegare "perché la mia distro Debian non vede la mia fotocamera nuova?", oppure "il Norton mi dice che ha eliminato un virus, ma al riavvio del pc è ancora lì!", o ancora "ho installato il firewall tal dei tali e non riesco più a usare eMule...", "come faccio a installare una distro Linux in dual boot con Xp?" Insomma, dovrei perlomeno essere lì per tentare di essere utile. Quindi capite facilmente anche voi che non è più una cosa fattibile.
- Non ho tempo. Lo so che sembra la più classica delle giustificazioni, ma è proprio così: non ho tempo. E' già difficile per me stare dietro al mio blog, al mio sito e a tutto il resto (tra le altre cose ho anche un lavoro, una moglie, un paio di figlie e due gatti a cui pensare), e perciò, per forza di cose, da qualche parte devo tagliare.
Approfitto per suggerire a chi avesse qualunque tipo di problema (col pc, ma non solo) di usare la rete per risolverlo, che è forse la risorsa più utile e immediata che ci sia. Motori di ricerca, forum, gruppi di discussione: internet brulica di questi strumenti che, opportunamente sfruttati e utilizzati, consentono di trovare la risposta praticamente a tutto.
Amici come prima?
martedì 16 ottobre 2007
"Nightmare" Iraq
Non hanno suscitato molto clamore, purtroppo, le recenti dichiarazioni del generale Ricardo Sanchez, ex comandante in capo delle forze armate USA in Iraq. "La guerra in Iraq è un incubo senza fine", ha affermato in una dichiarazione riportata dalla BBC e ripresa, poi, qui da noi da Repubblica. Una notizia che è stata accuratamente (chissà come mai) evitata dai telegiornali di casa nostra e che ha trovato un qualche spazio solo in rete.
In sostanza l'alto ufficiale del Pentagono (tra l'altro in carica in Iraq ai tempi dello scandalo di Abu Ghraib) ha affermato davanti al mondo semplicemente quello che è sotto gli occhi dello stesso mondo, e che solo Bush ormai si rifiuta di vedere: la guerra in Iraq è stata ed è un fallimento, sia per come è stata concepita che per come viene condotta. La cosa che fa ridere (si fa per dire) è che si continua a parlare di "dopoguerra", mentre invece la guerra è più che mai adesso.
Una guerra che in poco più di 4 anni ha fatto un'enormità di morti, sia tra gli americani che, ancor di più, tra i civili iraqeni (più di 25.000 vittime solo quest'anno - fonte peacereporter.net - di cui la stragrande maggioranza tra i civili), e che viene condotta - parole dello stesso Sanchez - senza più neanche una precisa strategia, colpendo a vanvera qua e là dove capita a spese quasi esclusivamente dei civili.
Una guerra che ha sfiancato persino gli stessi soldati americani, che si stanno chiedendo (o forse se lo sono sempre chiesti) per cosa stanno combattendo perché non lo sanno più neanche loro (recentemente il New York Times ha pubblicato un articolo - qui - in cui è riportata la pressante richiesta del corpo dei Marines al Pentagono di lasciare l'Iraq e di essere impiegati piuttosto in Afghanistan per "sentirsi più utili").
Una marea di morti, in Iraq, per le quali nessuno mette sul suo sito un vessillo rosso - come avviene per i recenti fatti della Birmania - per cercare di tenere un pò alta l'attenzione su ciò che quotidianamente accade là. Non che non sia giusta e condivisibile l'iniziativa a favore della Birmania, per carità, ma se da una parte abbiamo un popolo che cerca giustamente di tornare alla democrazia dopo anni di oppressione e di angherie da parte di un regime militare che lo ha ridotto alla fame, dall'altra abbiamo quella che è universalmente considerata la più grande democrazia del pianeta che occupa un paese intero e si rende responsabile dell'equivalente di un genocidio sulla base di pure e semplici balle. E di questo nessuno parla quasi più.
Non c'è mai stato un Prodi o un Berlusconi o un D'Alema o un ministro del cavolo qualsiasi (a parte qualcuno della sinistra radicale, prontamente tacciato di essere amico dei terroristi) che sia mai stato folgorato da un barlume di buon senso e abbia chiesto di riportare a casa i nostri militari per evitare di continuare a essere complici di una guerra inutile, ingiusta, bugiarda, messa in piedi con la scusa di togliere dai piedi un dittatore di provincia da 4 soldi, come ce ne sono tanti in giro per il mondo dei quali non frega niente a nessuno.
Nessuno racconta più - probabilmente ormai si tratta di fatti digeriti e metabolizzati (o forse, più semplicemente, scomodi) - che le armi di distruzione di massa, le famose e terribili armi con le quali Saddam se non lo avessero tolto di mezzo avrebbe conquistato il mondo e che sono state il pretesto principe per dare il la alla guerra, non sono mai state trovate per il semplice fatto che non sono mai esistite. Nessuno racconta più, o forse non se ne è neppure mai parlato, della figuraccia di Blair, venuto in possesso nel 2003 - a suo dire - del documento definitivo che provava senza ombra di dubbio il possesso di Saddam delle fantomatiche armi, salvo poi scoprire che si trattava di un falso costruito a tavolino dai suoi collaboratori.
Ma davvero, poi, nessuno ricorda più quando Bush accusava di inefficienza Hans Blix, il capo degli ispettori incaricati di trovare in Iraq le famose armi, semplicemente perché lo stesso Blix aveva candidamente ammesso davanti all'ONU che in Iraq di quelle armi non c'era ombra (difficilmente infatti si riesce a trovare qualcosa che non esiste)?
Quando l'amministrazione americana, infine, ha capito che la balla delle armi di distruzione di massa cominciava a mostrare la corda, ecco che, prontamente, ha messo in campo la seconda balla (forse ancora più grossa della prima), quella dei presunti rapporti tra Saddam e Bin Laden (che neppure si conoscevano), storiella sbugiardata davanti a tutto il mondo da un rapporto redatto addirittura dal Pentagono (quello che invece dovrebbe avere tutto l'interesse a dimostrare il contrario) e reso pubblico dal prestigioso Washington Post. E via di questo passo: un mare (o una montagna, se preferite) di balle messe in fila una dietro all'altra nel tempo, con pervicace ostinazione, al fine di continuare a giustificare quello che non si può giustificare.
Adesso, come dicevo, è arrivato, dopo tanti prima di lui, questo generale del Pentagono a raccontare per l'ennesima volta cosa sta succedendo in Iraq, e anche lui è passato quasi in sordina (almeno qui da noi). D'altra parte ormai si sa: da che mondo è mondo le balle hanno sempre avuto infinita più risonanza dei fatti.
In sostanza l'alto ufficiale del Pentagono (tra l'altro in carica in Iraq ai tempi dello scandalo di Abu Ghraib) ha affermato davanti al mondo semplicemente quello che è sotto gli occhi dello stesso mondo, e che solo Bush ormai si rifiuta di vedere: la guerra in Iraq è stata ed è un fallimento, sia per come è stata concepita che per come viene condotta. La cosa che fa ridere (si fa per dire) è che si continua a parlare di "dopoguerra", mentre invece la guerra è più che mai adesso.
Una guerra che in poco più di 4 anni ha fatto un'enormità di morti, sia tra gli americani che, ancor di più, tra i civili iraqeni (più di 25.000 vittime solo quest'anno - fonte peacereporter.net - di cui la stragrande maggioranza tra i civili), e che viene condotta - parole dello stesso Sanchez - senza più neanche una precisa strategia, colpendo a vanvera qua e là dove capita a spese quasi esclusivamente dei civili.
Una guerra che ha sfiancato persino gli stessi soldati americani, che si stanno chiedendo (o forse se lo sono sempre chiesti) per cosa stanno combattendo perché non lo sanno più neanche loro (recentemente il New York Times ha pubblicato un articolo - qui - in cui è riportata la pressante richiesta del corpo dei Marines al Pentagono di lasciare l'Iraq e di essere impiegati piuttosto in Afghanistan per "sentirsi più utili").
Una marea di morti, in Iraq, per le quali nessuno mette sul suo sito un vessillo rosso - come avviene per i recenti fatti della Birmania - per cercare di tenere un pò alta l'attenzione su ciò che quotidianamente accade là. Non che non sia giusta e condivisibile l'iniziativa a favore della Birmania, per carità, ma se da una parte abbiamo un popolo che cerca giustamente di tornare alla democrazia dopo anni di oppressione e di angherie da parte di un regime militare che lo ha ridotto alla fame, dall'altra abbiamo quella che è universalmente considerata la più grande democrazia del pianeta che occupa un paese intero e si rende responsabile dell'equivalente di un genocidio sulla base di pure e semplici balle. E di questo nessuno parla quasi più.
Non c'è mai stato un Prodi o un Berlusconi o un D'Alema o un ministro del cavolo qualsiasi (a parte qualcuno della sinistra radicale, prontamente tacciato di essere amico dei terroristi) che sia mai stato folgorato da un barlume di buon senso e abbia chiesto di riportare a casa i nostri militari per evitare di continuare a essere complici di una guerra inutile, ingiusta, bugiarda, messa in piedi con la scusa di togliere dai piedi un dittatore di provincia da 4 soldi, come ce ne sono tanti in giro per il mondo dei quali non frega niente a nessuno.
Nessuno racconta più - probabilmente ormai si tratta di fatti digeriti e metabolizzati (o forse, più semplicemente, scomodi) - che le armi di distruzione di massa, le famose e terribili armi con le quali Saddam se non lo avessero tolto di mezzo avrebbe conquistato il mondo e che sono state il pretesto principe per dare il la alla guerra, non sono mai state trovate per il semplice fatto che non sono mai esistite. Nessuno racconta più, o forse non se ne è neppure mai parlato, della figuraccia di Blair, venuto in possesso nel 2003 - a suo dire - del documento definitivo che provava senza ombra di dubbio il possesso di Saddam delle fantomatiche armi, salvo poi scoprire che si trattava di un falso costruito a tavolino dai suoi collaboratori.
Ma davvero, poi, nessuno ricorda più quando Bush accusava di inefficienza Hans Blix, il capo degli ispettori incaricati di trovare in Iraq le famose armi, semplicemente perché lo stesso Blix aveva candidamente ammesso davanti all'ONU che in Iraq di quelle armi non c'era ombra (difficilmente infatti si riesce a trovare qualcosa che non esiste)?
Quando l'amministrazione americana, infine, ha capito che la balla delle armi di distruzione di massa cominciava a mostrare la corda, ecco che, prontamente, ha messo in campo la seconda balla (forse ancora più grossa della prima), quella dei presunti rapporti tra Saddam e Bin Laden (che neppure si conoscevano), storiella sbugiardata davanti a tutto il mondo da un rapporto redatto addirittura dal Pentagono (quello che invece dovrebbe avere tutto l'interesse a dimostrare il contrario) e reso pubblico dal prestigioso Washington Post. E via di questo passo: un mare (o una montagna, se preferite) di balle messe in fila una dietro all'altra nel tempo, con pervicace ostinazione, al fine di continuare a giustificare quello che non si può giustificare.
Adesso, come dicevo, è arrivato, dopo tanti prima di lui, questo generale del Pentagono a raccontare per l'ennesima volta cosa sta succedendo in Iraq, e anche lui è passato quasi in sordina (almeno qui da noi). D'altra parte ormai si sa: da che mondo è mondo le balle hanno sempre avuto infinita più risonanza dei fatti.
lunedì 15 ottobre 2007
Un anno fa
Un anno fa, come oggi, scrivevo questo post. In genere ho poca memoria (e interesse) per le ricorrenze (cosa questa che mi fa dimenticare spesso anche il mio anniversario di matrimonio, con conseguenze facilmente immaginabili), ma il mio primo post me lo ricordo piuttosto bene.
Un anno e 650 post dopo (senza contare gli articoli sul mio sito, che continuo ad aggiornare abbastanza regolarmente) qualcosa è cambiato: tipo ad esempio la mia newsletter (quella citata nell'articolo), che non esiste più da tempo.
Per il resto non c'è granché da dire. Mi piace scrivere, ho uno zoccolo duro di persone che ogni giorno seguono (inspiegabilmente) le mie sgangherate farneticazioni letterarie, ho scritto alcuni articoli (tipo quello su drivecleaner e quello sullo scaricamento dei video da youtube) che ancora oggi la gente commenta e per i quali ricevo privatamente parecchie e-mail di ringraziamento, e niente di più.
Non so cosa succederà in futuro. Vorrei fare tante cose ma il tempo purtroppo è quello che è (ho ancora fermo in una cartella del mio pc un romanzo che avevo iniziato a scrivere un paio d'anni fa e che è ancora fermo al settimo capitolo).
Comunque sia, per adesso ho intenzione di continuare col blog, poi si vedrà.
Ciao a tutti. E grazie.
Un anno e 650 post dopo (senza contare gli articoli sul mio sito, che continuo ad aggiornare abbastanza regolarmente) qualcosa è cambiato: tipo ad esempio la mia newsletter (quella citata nell'articolo), che non esiste più da tempo.
Per il resto non c'è granché da dire. Mi piace scrivere, ho uno zoccolo duro di persone che ogni giorno seguono (inspiegabilmente) le mie sgangherate farneticazioni letterarie, ho scritto alcuni articoli (tipo quello su drivecleaner e quello sullo scaricamento dei video da youtube) che ancora oggi la gente commenta e per i quali ricevo privatamente parecchie e-mail di ringraziamento, e niente di più.
Non so cosa succederà in futuro. Vorrei fare tante cose ma il tempo purtroppo è quello che è (ho ancora fermo in una cartella del mio pc un romanzo che avevo iniziato a scrivere un paio d'anni fa e che è ancora fermo al settimo capitolo).
Comunque sia, per adesso ho intenzione di continuare col blog, poi si vedrà.
Ciao a tutti. E grazie.
domenica 14 ottobre 2007
Il prodigio (che prodigio non è)
Il Corriere, sempre sulla notizia, bolla come prodigiosa la foto che vedete qui sopra (fonte korazym.org) - che raffigurerebbe Giovanni Paolo II - con tanto di gente che già griderebbe al miracolo. Repubblica, Ansa e tutti gli altri, invece, più prudentemente, a più due ore di distanza dallo "scoop" del quotidiano di Via Solferino non fanno menzione della cosa.
Ovviamente mi pare sia inutile tentare di spiegare a quelli del Corriere che il miracolo, al limite, sarebbe una sequenza temporale piuttosto lunga di più immagini della figura stessa, e non una singola scattata casualmente proprio in quel preciso istante (sull'articolo del Corriere si parla di altre foto, ma per ora in rete non ce n'è traccia).
Nell'attesa di poter vedere le altre foto (della cui esistenza dubito fortemente) che proverebbero il prodigio, ricordo che è piuttosto facile, fissando insistentemente un falò, riuscire a catturare e fissare con gli occhi particolari forme. Così come è molto facile farlo osservando le nuvole in cielo (chiunque può provare).
Per adesso, almeno finché non ci saranno novità, per il Corriere è uno scoop, per me è una bufala (ovviamente intendo l'accostamento al Papa, non la foto in sé) delle tante che circolano in rete.
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