Alla fine, il nocciolo di tutta la questione è la mancata libertà di scegliere come e quando morire. Tutto qua. Tutto il resto è inutile chiacchiericcio e ozioso blaterare. Se io decido in piena coscienza che quella che sto vivendo non è più vita, perché mi deve venire impedito di porre fine alle mie sofferenze in modo dignitoso? Dice che la vita è sacra. Ma chi lo dice? La vita è quella cosa che ha fatto di Adinolfi ciò che è, giusto per fare un esempio, e già questo è sufficiente per smontare seduta stante l'assunto di una qualsiasi forma di sacralità di cui sarebbe rivestita la suddetta vita. Porto nocumento a qualcuno se prendo una decisione che riguarda esclusivamente me stesso? No. Quindi di cosa stiamo parlando? Di cosa stiamo discutendo?
martedì 28 febbraio 2017
domenica 26 febbraio 2017
Fabiano
Andrea
Il Gabibbo è morto qualche giorno fa, più o meno nell'indifferenza generale. In realtà si chiamava Andrea - il cognome non lo ricordo - Gabibbo era solo una specie di soprannome affibbiatogli dalla gente del paese, ed era un ragazzo disadattato, abbandonato dai genitori subito dopo la nascita, che ha trascorso i suoi trenta e rotti anni in una comunità protetta qui poco distante da casa mia.
Era molto grasso, condizione maturata dal non avere probabilmente avuto nessuno che gli abbia insegnato le basi di una alimentazione decente. Alcuni lo ritenevano un po' svitato, altri no, semplicemente uno abbandonato a se stesso.
Lo vedevo spessissimo attendere l'autobus alla fermata di fronte a casa mia. A volte per andare su verso Montebello e a volte per andare giù verso Santarcangelo o forse Rimini. Sgranocchiava sempre qualcosa e con sé aveva sempre una borsa di plastica con chissà cosa dentro. A volte pure io gli davo uno strappo quando lo incontravo a Santarcangelo che faceva l'autostop.
Era un rompipalle, certo, spesso invadente, un rompipalle invadente, ma di animo buono, dolce perfino, e quell'invadenza era solo generata dal quasi mai corrisposto desiderio di poter parlare con qualcuno, perché se non si ha mai nessuno con cui parlare si può pure morire. Dicono che sia morto di infarto, oppure diabete, vista la sua obesità, ma sono chiacchiere. Sui manifesti c'è scritto solo che se n'è andato. Forse è morto appunto perché non aveva mai nessuno con cui parlare.
Mi sei venuto in mente, Andrea, quando stamattina ho aperto la finestra e alla fermata del bus non c'era nessuno.
sabato 25 febbraio 2017
Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank
Non date retta agli stereotipi, ai luoghi comuni, agli inquadramenti a priori; se il mondo è messo come è messo, gran parte della responsabilità è di questa roba qua. Quando sentite nominare Stephen King, ad esempio, rifuggite la tentazione di dare credito al luogo comune che si tratti di uno scrittore che verga banali racconti horror. Non è così. Certo, si è cimentato anche con quelli, ma la maggior parte dell'immensa mole dei suoi scritti ha avuto come protagonisti quegli ingredienti capaci di far vibrare certe corde interiori. E King l'ha fatto riuscendovi come pochi altri.
Messi quindi da parte i pregiudizi, andate in libreria, o in biblioteca o dove volete voi, e cercate un libro chiamato Stagioni diverse. È una raccolta di racconti pubblicata nel 1989. Il primo di questi racconti si chiama Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank. Leggetelo tutto, sono poco più di cento pagine, una volta arrivati in fondo proverete, come è successo a me, un moto di commozione e di ammirazione per come King riesca a raccontare certe cose e a trascinare il lettore dentro la storia, e avrete demolito in un colpo solo tutti i luoghi comuni di cui sopra.
Sala d'aspetto
Gianni si rese conto di essere arrivato in stazione in anticipo. Il treno che lo avrebbe riportato a casa, infatti, sarebbe passato solo fra tre quarti d'ora. Si avvicinò all'edicola e chiese all'edicolante se fosse rimasto un quotidiano del giorno. L'edicolante non si scompose, non alzò neppure gli occhi, e continuando a leggere il suo libro rispose: "Tre copie di Corriere della Sera."
"Va bene, me dia una," e tirò fuori dalla tasca due monete da 50 centesimi. Gliele porse. L'edicolante le prese e allungò a Gianni il giornale che aveva chiesto. Fece tutto meccanicamente, senza sollevare lo sguardo dal suo libro, come se quell'azione l'avesse già fatta un milione di volte. Gianni pensò che sicuramente era così. Anzi, sicuramente l'aveva fatta anche più di un milione di volte. Prese il giornale e si avviò verso la sala d'aspetto, senza salutare l'edicolante, tanto era sicuro che comunque, anche se l'avesse fatto, quest'ultimo non avrebbe risposto.
La sala d'aspetto era piccola, vuota, non c'era nessuno. Le pareti erano colorate di bianco. O meglio, una volta erano colorate di bianco, e immaginò che l'ultima volta che erano state accarezzate da un pennello, probabilmente ci doveva essere ancora qualche velociraptor in circolazione. A regnare incontrastate erano le scritte fatte con gli spray. Si poteva leggere di tutto: dalle dichiarazioni d'amore agli insulti, più geroglifici vari assortiti. Gli angoli delle pareti erano pieni di umidità e muffa. File di sedie a incastro erano disposte a ridosso dei muri. Gianni preferì uscire e si sedette su una panchina, sotto la pensilina che sovrastava l'unico binario di quella piccola stazione.
Appoggiò accanto a sé la sua ventiquattrore e aprì il giornale appena comprato. A ogni pagina che sfogliava, buttava l'occhio all'orologio della stazione, come se questa azione avesse il potere di accelerare il tempo che ancora mancava all'arrivo del suo treno. Arrivò all'ultima pagina e fece per mettere via il giornale, ormai tutto spiegazzato. Fu un attimo. Si bloccò, alzò gli occhi e vide che sulla panchina di fronte alla sua, dall'altra parte del binario, c'era una donna. Ma da dove era arrivata? pensò Gianni. Da quanto tempo era lì? Come aveva fatto ad arrivare senza che lui se ne accorgesse? Forse era sempre stata lì e lui non ci aveva fatto caso? La donna se ne stava seduta sulla panchina, non aveva bagaglio. Gianni giudicò che dovesse avere una trentina d'anni, forse qualcosa di più. Aveva un vestito leggero, bianco, puntellato di fiori rossi e gialli. I biondi capelli, lisci, le cadevano sul volto, che teneva leggermente reclinato in avanti. Gianni la fissava insistentemente, era incuriosito, ammaliato da quella figura femminile che a lui sembrava così fuori posto, lì. La donna non si muoveva, e continuava a tenere il capo leggermente reclinato in avanti. Ogni tanto qualche leggero alito di vento le muoveva i capelli. Gianni rivolse lo sguardo all'orologio della stazione: tra dieci minuti sarebbe arrivato il suo treno. Come posso andarmene senza sapere chi è quella donna? pensò. All'improvviso, come se lei avesse potuto sentire quella domanda, che in realtà era solo nella mente di Gianni, alzò il viso e lo guardò. Gianni scostò immediatamente lo sguardo da lei, si sentì colto in flagrante, come un ladro che viene sorpreso in piena notte dal padrone di casa. Poi tornò a guardarla. Adesso lei sorrideva, mentre continuava a guardarlo. Poi si alzò, attraversò i binari camminando lentamente. Andò verso Gianni. Quando gli fu di fronte si scostò i capelli dal viso e gli disse: "Non siamo forse tutti soli nella vita?" Poi si incamminò verso la sala d'aspetto, e da lì verso l'uscita della piccola stazione. Gianni rimase interdetto a quelle parole. Era come se fosse in trance, o addormentato. Poi tornò in sé, si svegliò, come quando i prestigiatori risvegliano con uno schiocco di dita chi è sotto ipnosi. Si guardò intorno, la donna dal vestito a fiori non c'era più. Corse verso la sala d'aspetto: anche lì nessuno, solo le scritte sui muri fatte con gli spray.
Forse quella donna non c'era mai stata, forse era stata tutta un'invenzione della sua fantasia. Forse era sempre stato solo, lì, in quella stazione. In fondo "non siamo tutti soli nella vita?"
Tornò sotto la pensilina. Il suo treno era arrivato.
venerdì 24 febbraio 2017
Facciamo lo stato
mercoledì 22 febbraio 2017
Obiezione di coscienza e Costituzione
Trono di spade
martedì 21 febbraio 2017
Un'ingiustizia lunga vent'anni
lunedì 20 febbraio 2017
Ma a chi interessa?
Come fa?
sabato 18 febbraio 2017
Baggio
venerdì 17 febbraio 2017
L'agonia (del PD)
giovedì 16 febbraio 2017
Lavagna
E
martedì 14 febbraio 2017
Come può un prete causare tanto male?
domenica 12 febbraio 2017
Il telefono fisso nell'Inghilterra degli anni '60
Quando leggo libri ambientati in un determinato periodo storico, mi viene sempre da pensare alle differenze tra il periodo preso in questione nel libro e il nostro, in particolar modo per quanto riguarda la socialità e la comunicazione. Il giallo Indagine a ritroso, di D. M. Devine, ad esempio, che sto leggendo in questi giorni, è ambientato nell'Inghilterra degli anni '60. In quel periodo non c'erano naturalmente i cellulari, non solo in Inghilterra ma anche da noi, men che meno gli smartphone, c'era appena il telefono fisso nelle case, e neppure in tutte. Quando ad esempio si andava in giro in macchina si era quindi isolati, e se la quattroruote si fermava per un guasto l'unico modo per non proseguire a piedi era quello di rintracciare una cabina telefonica, così come si era isolati quando si andava in giro a piedi; la sera si rientrava a casa e se non si aveva un compagno o una famiglia magari si guardava la televisione, oppure si leggeva un libro, e se si aveva voglia di fare due chiacchiere con qualcuno si alzava il telefono e si chiamava l'interessato. Bella differenza con la perenne connessione di tutti con tutti di adesso, perfino con persone che non si conoscono, virtuali, di cui non si sa niente. Una differenza abissale, che mi ricorda i tempi in cui ero bambino io, gli anni '70, anni in cui la cerchia di amici era quella della scuola e della parrocchia, e il passaparola per comunicare uno all'altro che il giorno dopo la scuola sarebbe stata chiusa per neve, giusto per fare un esempio, si faceva attraverso una catena di telefonate col telefono di casa: Tizio avvisava Caio, Caio avvisava Sempronio e così via. Adesso basta un messaggio sul gruppo Whatsapp della classe e tutti sanno tutto all'istante.
Meglio adesso o meglio allora? Meglio adesso, ovvio, ma si tratta di un meglio relativo, non definitivo, nel senso che è basato sul confronto tra una situazione precedente e quella attuale. Ma quella attuale non è statica, e non è detto che sia quella definitiva, che oltre non ci sia niente, anzi è sicuro che non sarà così. Tra dieci o quindici anni si svilupperà una tecnologia di comunicazione che farà sembrare obsoleto il messaggio collettivo su Whatsapp, e forse si guarderà a quest'ultimo con lo stesso dolce ricordo con cui oggi si ripensa al giro di chiamate dal telefono fisso. Quindi oggi è meglio di allora, e ci sembra il migliore dei mondi possibili, ma anche allora era meglio di quando non esisteva neppure il telefono fisso, e quell'allora ci sembrava il migliore dei mondi possibile.
E niente, torno al mio giallo, va'.
sabato 11 febbraio 2017
Salvini, Meloni e le foibe
Ci sarebbe da spiegare a Salvini e alla Meloni, che da giorni la menano con 'ste foibe, e che loro vanno a Basovizza, e perché Mattarella non viene e gnegnegne, che gli episodi tragici dei massacri delle foibe in particolare, e gli avvenimenti che ruotano attorno al cosiddetto confine orientale in generale, riguardano un periodo storico lungo, articolato e complesso, che addirittura affonda le sue radici nella disputa secolare tra popolazioni italiane e slave riguardo al possesso di quelle terre. Ridurre tutto questo a un singolo episodio storico, per quanto tragico, e strumentalizzarlo per bassi fini politici, è tipico di chi è ignorante e di storia sa poco o niente. E oltretutto è pure piuttosto squallido.
venerdì 10 febbraio 2017
Libero
A me provoca sempre un senso di leggera ilarità la puntuale ondata di indignazione che regolarmente segue certe prime pagine di Libero, tipo quella di stamattina sulla Raggi e la patata bollente. È così difficile capire che la suddetta ondata di indignazione collettiva è esattamente lo scopo che si prefigge chi fa quei titoli? Vi siete indignati in massa? Bene, avete fatto il gioco di Libero, e come se non bastasse pure Repubblica ha ripubblicato in cima all'home page quella cialtronata. Complimenti: Feltri ringrazia tutti per avergli regalato tanta pubblicità e probabilmente ha già pronto il titolo per fare indignare tutti anche domani, tanto sa già che saremo di nuovo ancora tutti lì a permettergli di continuare.
giovedì 9 febbraio 2017
L'intelligenza di Federico Braschi
Federico Braschi è stato eliminato subito da quella specie di circo dell'inutile che è Sanremo. La sua eliminazione ha suscitato l'immediato commento idiota, l'ennesimo, dell'idiota per eccellenza che bazzica per il web. Federico ha dimostrato fin da subito l'intelligenza che è propria di ogni artista, di ogni persona che faccia uso dei propri talenti e della propria sensibilità per creare arte, sia essa musica, poesia o quello che ognuno associa a questo sostantivo. E l'ha fatto evitando di ribattere a Salvini e di infilarsi in un improduttivo battibecco, ma invitandolo semplicemente ad ascoltare il brano, un brano che parla di immigrazione e che per questo ha suscitato gli strali del piccolo uomo con la felpa. Braschi è stato intelligentissimo, ha dato l'illuminato esempio del modo migliore per combattere quelli come Salvini: ignorarli. Perché questa gente qui se la ignori muore, è finita. E Braschi, ignorandolo, ha dimostrato la infinita superiorità che è propria dell'artista vero rispetto a chi intende l'arte al massimo come una gara di rutti a un raduno della lega. I commenti beffardi di Salvini per l'eliminazione di Braschi credo siano la migliore vittoria che il cantautore santarcangiolese potesse portare a casa.
mercoledì 8 febbraio 2017
Il golf e il DL salvabanche
Quindi, alla fine, c'è voluto Pietro Grasso per stralciare dal DL salvabanche l'emendamento del Pd che elargiva 97 milioni di euro per una competizione di golf prevista nel 2022, dico bene? (A proposito, che c'azzecca il golf con le banche? Mah!) E pare non sia passato neppure l'emendamento che prevedeva che la banca d'Italia rendesse pubblici i nomi di chi non ha onorato i debiti contratti con le banche salvate dallo Stato. Tra l'altro non si capisce il motivo. Se per salvare un istituto bancario si usano soldi pubblici, cioè di tutti, non è giusto che a quei tutti venga almeno riconosciuto il diritto di sapere i nomi dei grandi tromboni che hanno contribuito a generare il dissesto di quegli istituti? A me pare il minimo sindacale della decenza. Evidentemente per lorsignori non è così.
L'avversario
lunedì 6 febbraio 2017
Muri poco visibili
domenica 5 febbraio 2017
Gli studenti scrivono male
Onore al gladiatore
Sembra ci sia un bisogno generalizzato di vendetta. Viviamo in un periodo storico in cui pare aver rotto gli argini il desiderio imperioso di tornare al vecchio occhio per occhio, dente per dente. O forse questo anelito alla giustizia fai da te c'è sempre stato e non ce ne siamo mai accorti, tutti impegnati come siamo a cullarci nella falsa illusione che appartenga da tempo a un passato lontano, ché noi nel frattempo abbiamo imparato a essere civili, a credere nello stato di diritto, a ritenere moralmente giusta la giustizia anziché la vendetta. E invece non è così, o almeno non sembra che sia così; probabilmente questa pulsione primigenia a sopperire col brutale istinto animale, come è successo a Vasto, alla carenza e alle lacune della giustizia ufficiale era solo nascosta sotto il pelo dell'acqua, pronta a riemergere alla prima occasione. Vasto è solo l'ultima dimostrazione in ordine di tempo che testimonia come quegli argini siano ormai definitivamente rotti, e il riferimento non è limitato al singolo fatto in sé, ma alla generale ondata di solidarietà e apprezzamento circa l'operato di colui che è già stato elevato al rango di eroe.
Il cerchio formato da quelli che si oppongono e rifiutano questa visione e questa lettura della realtà è purtroppo sempre più piccolo. E non è escluso che sia destinato prima o poi a non esserci più.
venerdì 3 febbraio 2017
Blocchiamo i siti porno?
giovedì 2 febbraio 2017
50 libri
mercoledì 1 febbraio 2017
L'inglese
Quella tentazione latente
Mentalità di guerra
Dice il neo segretario della Nato che dobbiamo passare a una mentalità di guerra, che vuol dire dedicare una quota maggiore delle nostre sp...
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Sto leggendo un giallo: Occhi nel buio, di Margaret Miller. A un certo punto trovo una frase, questa: "Qualche minuto più tardi la luc...
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L'estate scorsa ho comprato una macchina nuova, una normale utilitaria senza pretese, pagata per metà a rate perché qua non si nuota nel...
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Nel racconto Direttissimo , di Dino Buzzati, si narra di un misterioso viaggiatore che sale su un treno, un treno potente, veloce, che scalp...