venerdì 31 gennaio 2020

La montagna incantata


Ho terminato poco fa questo monumentale romanzo di Thomas Mann. L'ho inizato una decina di giorni fa non sapendo bene cosa aspettarmi. Non avevo letto recensioni preventivamente e avevo solo una vaga idea della trama, conosciuta leggendo la breve sinossi nel risvolto di copertina. Adesso che ho terminato la navigazione e sono tornato in porto, posso dire che sì, si è effettivamente trattato di una navigazione nel mare. Questo romanzo è infatti così: un mare. Non solo per la sua vastità, ma perché, proprio come succede in mare, spesso si ha la sensazione di navigare a vista, di andare alla deriva in questa sconfinata massa di pagine dopo aver perso la rotta e i riferimenti. Poi, però, ogni volta si ritrova tutto, perché Mann è bravissimo a riprendere il lettore per mano e a ricondurlo dove vuole lui. Difficile pensare che inizialmente il grande scrittore tedesco avesse concepito quest'opera come romanzo breve, da vergare su ispirazione ricevuta da una visita a un sanatorio per tubercolotici svizzero. Eppure è così.

È un romanzo difficile da riassumere, data la sua mole, e a volte ho come l'impressione che non si tratti neppure di un romanzo in senso stretto ma di un trattato di volta in volta di filosofia, di economia, di religione, d'amore. Le interazioni tra i vari personaggi, Hans Castorp il protagonista, il razionalista Settembrini, il gesuita nichilista Leo Naphta, il consigliere Behrens, solo per citare i principali, sono infatti funzionali a una spropositata teoria di speculazioni sulla vita, sulla morte, sul senso del trascorrere del tempo, sulla malattia e chi più ne ha più ne metta. Poi, certo, ci sono pagine descrittive quasi ipnotiche che incollano alle pagine, come ad esempio la bellissima descrizione della camminata solitaria sulla neve di Hans Castorp, dove il protagonista rischia la vita perché sorpreso da una bufera ad alta quota.

In un oceano di parole la prolissità è da mettere in conto, e le novanta pagine impiegate da Mann solo per descrivere il primo giorno di permanenza di Castorp nel sanatorio svizzero di Davos ne sono la prova più evidente. È un romanzo che consiglio? Non so, dipende da cosa si è abituati a leggere. Se si è abituati a un tipo di narrativa "leggera" e veloce, con una ben definita sequenza di inizio, svolgimento, epilogo, allora è meglio soprassedere; se invece si apprezza il "mare aperto", non sempre ben definito, dai confini incerti, condito di speculazioni filosofiche, allora ci si può tuffare.

giovedì 30 gennaio 2020

Coronavirus vintage

Nel 1978 Stephen King pubblicò L'ombra dello scorpione, un tomone di oltre novecento pagine da cui fu successivamente tratto un film diviso in due parti. Il romanzo si inseriva grosso modo nel genere fantascientifico post-apocalittico e narrava la diffusione incontrollata, partita da un laboratorio segreto americano a causa di un errore umano, di un temibile virus che si propagò nel volgere di breve tempo su tutto il pianeta. Il 99% della popolazione non sopravvisse e i superstiti si divisero in due fazioni dando inizio a una guerra tra loro senza esclusione di colpi. Qualcosa che potrebbe assomigliare a The walking dead, per capirci. Lessi quel libro in seconda o in terza superiore invece di studiare, e infatti i risultati poi si videro: vabbe'. 

Mi è venuta in mente questa cosa mentre leggevo gli ultimi aggiornamenti sul virus partito dalla Cina che sta creando non pochi disagi e preoccupazioni in giro per il globo. Naturalmente mi auguro che l'epilogo sia diverso rispetto a quello del libro.

lunedì 27 gennaio 2020

Considerazioni sparse sulle regionali emiliano-romagnole

Come ho già scritto nel post precedente, sono ampiamente soddisfatto del risultato delle regionali di ieri qui in Emilia-Romagna, un risultato che, complice il mio innato pessimismo, francamente non mi aspettavo. Alla coalizione capitanata da Stefano Bonaccini avrei concesso, ottimisticamente, uno spettro di risultati compreso tra una sonora sconfitta e una vittoria di strettissima misura. Mi sono sbagliato e sono lieto di essermi sbagliato - otto punti percentuali di scarto non sono certo pochi. L'ultima volta che ho provato una simile soddisfazione è stato quando, alla fine del 2016, quasi venti milioni di elettori mandarono a quel paese Matteo Renzi e la sua riforma costituzionale: un momento bellissimo e liberatorio, dopo che per mesi aveva stressato con quel progetto di revisione costituzionale totalmente inutile e senza senso - io aspetto ancora un politico veramente rivoluzionario che si adoperi per l'abrogazione dell'art. 7 della Costituzione, ma temo non arriverà mai e i motivi sono facilmente intuibili. Tra l'altro, e i miei lettori di più vecchia data probabilmente lo sanno già, ho sempre considerato la cialtronaggine di Renzi uguale se non leggermente inferiore a quella di Salvini. Insomma, coi due Matteo non sono mai andato molto d'accordo.

Tornando a ieri, penso che adesso l'errore che il centrosinistra deve assolutamente evitare di commettere sia quello di adagiarsi sugli allori e pensare che l'avanzata leghista si sia arrestata. Non è così. Salvini ha perso una battaglia e l'ha persa male, ma l'onda populista/sovranista ha solo trovato un ostacolo sulla sua strada, un ostacolo facilmente aggirabile che, temo, non ne pregiudicherà significativamente l'avanzata. Quindi, occhio. Altra cosa. Salvini ha fallito la spallata al governo nazionale, obiettivo principe della sua battaglia di questi mesi (dell'Emilia-Romagna a lui non è mai fregato nulla, come del resto non gli è mai importato nulla della Calabria). Il Conte due ora potrà un po' respirare, avrà maggiore tempo per assestarsi e cercare di rimettere insieme in qualche modo i numerosi pezzi, spesso incompatibili tra loro, di cui è composto. Chi scrive si augura che riesca a trovare una qualche forma di intesa che lo porti a eleggere il successore di Mattarella, il cui mandato scade nel 2022. Forse è eccessivamente ottimistico pensare che una combriccola così raffazzonata come quella che è al governo possa durare fino a tale data ma qua lo si spera. L'idea che il prossimo Presidente della Repubblica possa essere nominato da un parlamento a maggioranza leghista dà i brividi.

Il grosso della campagna elettorale di Salvini, come sicuramente vi sarete accorti, ha avuto come tema Bibbiano, la località emiliana al centro dello scandalo dei presunti affidi illeciti di minori. Lo slogan accompagnatore era il famigerato e stupido "Parlateci di Bibbiano", che la signora Borgonzoni arrivò a mostrare stampato su una maglietta in una famosa e patetica seduta parlamentare. Sono seguiti ripetuti sciacallaggi a suon di comizi in quella località, con tanto di esposizione di mamme e bambini sul palco dei comizianti, una delle pagine più indegne della storia delle campagne elettorali nel nostro paese. Bene, quasi come una nemesi, il comune di Bibbiano è stato teatro di uno dei più marcati flop del centrodestra: 56,7% dei consensi per Bonaccini contro un misero 37,4% della coalizione a trazione leghista. Segno che i bibbianesi (ma in generale tutti gli emiliani) si sono dimostrati molto più intelligenti di quello che Salvini pensava che fossero. Sarebbe interessante chiedere a lui, adesso, di parlarci di Bibbiano.

Altra cosa che mi ha fatto molto piacere è stata l'ottimo risultato conseguito da Elly Schlein (22.098 voti personali), la ragazza volto di Emilia-Romagna Coraggiosa, movimento a cui ho dato il mio voto, che qualche giorno fa ha messo al muro Matteo Salvini contenstandogli, dati alla mano, il suo leggendario fancazzismo al Parlamento europeo. Sono contento per questa ragazza, davvero. Per quanto riguarda i miei "posti", ossia i comuni con cui per vari motivi ho più a che fare, Rimini è andata in controtendenza rispetto alla regione: Lucia Borgonzoni chiude al 47,48% rispetto al 46,53% di Bonaccini. Più ampio il margine della coalizione del centrodestra (49,46%) rispetto a quella del centrosinistra (42,96%). La Lega, a Rimini, è il primo partito col 34,42%, poi il PD col 31,71%. Vabbe', non si può avere tutto. Santarcangelo elargisce invece un buon 50,40% a Bonaccini e un 44% secco alla signora Borgonzoni.

Chiudo queste brevi considerazioni con l'immagine che vedete qui sotto: la prima pagina di Libero di questa mattina. Libero è assieme a Il Giornale e a La Verità (nome appena appena pretenzioso, non vi pare?) il maggior quotidiano espressione della destra di cui fanno parte Salvini, Meloni, Berlusconi e populisti/sovranisti vari assortiti. Ecco, col voto di ieri abbiamo evitato che la parte di elettorato che si riconosce in questa roba qua prendesse possesso dell'Emilia-Romagna. Ricordiamocelo e facciamo tesoro di questo risultato.


"E adesso vai a citofonare a casa di stocazzo!"

L'aulica perifrasi che leggete qui sopra l'ha appena pronunciata, soddisfatto, il simpatico vecchietto che due tavolini più in là sfoglia i giornali appena arrivati, freschi di stampa, sorseggiando il caffè, ed è sanguigna e vera espressione di una soddisfazione che è anche mia e, immagino, di ogni emiliano-romagnolo che non si è fatto irretire dalla becera propaganda elettorale del felpato.

Ci sarà tempo per analizzare i dettagli di ciò che è successo ieri, ma il dato politico che conta è che qua in Emilia-Romagna il salvinismo non ha prevalso, anzi ne è uscito piuttosto male, rincuorando notevolmente i pessimisti come lo scrivente, il quale pensava che stavolta l'Emilia-Romagna sarebbe capitolata sotto i colpi delle bordate leghiste. Non è successo. Questo consente, come dicevo, al centrosinistra di sospirare, ma deve essere anche sprone per ripensare tutta la sua politica e il suo modo di porsi nei confronti dell'elettorato, perché la Lega ha perso, ma è indubbio il progresso che ha comunque fatto qua come altrove.

Adesso vado al lavoro, soddisfatto, e uscendo dal bar sorrido al vecchietto due tavoli più in là.

Buon lunedì a tutti.

domenica 26 gennaio 2020

Passaggio a nord-ovest

Fragili

Se l'epidemia partita dalla Cina ha un merito, è quello di dimostrare che in fondo siamo fragili, perché spesso, narcotizzati dal senso di onnipotenza che ci pervade, ce ne dimentichiamo. Sì, è vero, abbiamo colonizzato il pianeta, l'abbiamo modellato (versione edulcorata di devastato), l'abbiamo piegato alle nostre esigenze, l'abbiamo sottomesso, poi, non paghi, siamo andati sulla Luna e non è escluso che a breve si arrivi a mettere il piede su altri pianeti. Ci crediamo già gli indiscussi Masters of the universe, per citare un vecchio fumetto della Marvel, se ricordo bene. 

Poi, all'improvviso, zacchete! Un microscopico virus esce dal nostro controllo e andiamo nel panico: cordoni sanitari, quarantenne, mascherine, macchine/treni/aerei bloccati, milioni di persone impaurite che si rinchiudono in casa, morti, contagio dilagante, e tutto d'un tratto ci ritroviamo fragili, incredibilmente impotenti, inermi, e ci chiediamo come sia possibile che con tutta la tecnologia di cui disponiamo non riusciamo ad aver ragione di una microscopica forma di vita. 

Poi, certo, ne verremo a capo, come del resto è sempre successo, e anche l'impertinente virus sarà messo in condizioni di non nuocere e tornerà nei ranghi. Nel frattempo, però, è probabile che avremo un po' smobilitato e messo in crisi l'antico pregiudizio della razza umana invincibile che domina incontrastata su tutto. Un piccolo bagno di umiltà che ogni tanto può anche far bene.

sabato 25 gennaio 2020

Emilia-Romagna Coraggiosa?

Invogliato da questo bel post del sempre ottimo Leonardo Tondelli, salvo ripensamenti dell'ultima ora credo che domani voterò Emilia-Romagna Coraggiosa, la lista pro Bonaccini capitanata da Elly Schlein, bolognese doc ed ex parlamentare europea. Ho letto il relativo programma e le proposte e li ho trovati tutti più che condivisibili.

Piccola curiosità: Elly Schlein è la ragazza che qualche giorno fa ha atteso Salvini all'uscita di un ristorante di San Giovanni in Persiceto, chiedendogli i motivi per cui né lui né alcun altro esponente leghista si siano mai presentati, nel corso degli anni, ad alcuno degli incontri tenuti in Europa per definire gli accordi di Dublino sull'immigrazione. Ventidue riunioni europee tutte disertate dalla Lega.

La risposta di un impotente Salvini la potete vedere da voi, risposta che è solo l'ennesima conferma di come a Salvini non freghi nulla del problema dell'immigrazione, perché se gliene fregasse qualcosa il primo passo che farebbe sarebbe di andare là dove si prendono le decisioni, cosa che invece non ha mai fatto. Del resto, politicamente è molto più redditizio fare migliaia di tweet pieni di altrettanti vuoti slogan, piuttosto che mettersi seriamente a tavolino per cercare di risolvere i problemi.

Non gli frega nulla di immigrazione così come non gli frega nulla dell'Emilia-Romagna, di cui non conosce niente, e neppure della Calabria, se non nel limite in cui questi due temi sono funzionali al potenziamento della sua carriera politica. Tutto qua.

venerdì 24 gennaio 2020

Citofoni e storia

Se Salvini avesse una qualche nozione di storia, saprebbe che la sceneggiata col citofono, attuata in seguito a delazione, è la copia perfetta di una pratica in voga nei regimi comunisti dell'Est del secolo scorso, dove tra vicini di palazzo ci si spiava a vicenda e poi si andava dalle autorità a sporgere denuncia qualora si sospettasse che il vicino poteva essere un anticomunista, o comunque si sospettava che svolgesse attività contro il regime. Ma, è noto, Salvini è un somaro patentato, e poi con la Russia odierna ha un certo feeling, com'è altrettanto noto.

Thomas Mann e la morte

A metà del terzo romanzo di Thomas Mann mi sono reso conto che tra i tanti temi cari al grande scrittore tedesco c'è quello della morte, che è una costante del suo narrare. Basta pensare al bellissimo romanzo breve La morte a Venezia, giusto per farsi un'idea. Ma anche ne La montagna incantata, che sto leggendo in questi giorni, la morte è un tema ricorrente. Sembra quasi un tema seducente per lui, per certi versi quasi affascinante, e se da un lato la considera antagonista della vita, dall'altro (e questa visione viene resa da un bellissimo dialogo tra il protagonista, l'ingegnere navale Hans Castorp, e il massone e umanista Lodovico Settembrini) la considera parte integrante della stessa vita, e per sfuggire all'inevitabile angoscia generata dal pensiero dell'ineluttabilità del dover morire, può essere d'aiuto considerare la morte semplicemente come parte naturale del ciclo vitale: si nasce, si cresce, si invecchia e si muore, punto e a capo. Facile a dirsi, più difficile è accettarlo, come si intuisce.

Questa visione dell'inevitabile da parte di Mann ricorda un po' quella degli antichi greci, secondo i quali, al pari delle piante e degli animali, l'uomo nasce, cresce, genera, invecchia e muore, e il ciclo si chiude, senza tanti patemi e tante sceneggiate (è la nota visione ciclica del tempo di quell'antica civilità).

Naturalmente Mann non è stato il solo a interrogarsi sul senso della morte e a tentare di elaborarne un significato, è una cosa che gli uomini fanno più o meno da quando hanno messo piede sulla terra. E ogni civilità ha elaborato tentativi più o meno originali e più meno fantasiosi per cercare di "lenire questa morte sicura", per dirla alla Guccini. Gli antichi egizi, ad esempio, pensavano che la vita continuasse dopo la morte a patto che il corpo non subisse il disfacimento, e anche molte civiltà precolombiane avevano questa idea. Ma le strategie per tentare di neutralizzare l'inevitabile sono state tantissime, basta pensare all'invenzione dell'immortalità dell'anima, oppure alla reincarnazione buddista, alla rinascita tibetana, alla risurrezione cristiana e via andare. Forse non esiste altro campo del pensare umano in cui l'uomo si è prodotto in un così numeroso florilegio di invenzioni, segno di quanto sia difficile accettare la morte come fine di tutto. Per come la vedo io, il modo più serio di intendere la morte è stato quello degli antichi greci, condiviso sostanzialmente anche da Mann.

mercoledì 22 gennaio 2020

Datemi un "chissenefrega?" e vi solleverò il mondo (semicit.)

In un mondo non dico perfetto, ché i mondi perfetti non esistono, ma anche solo normale, Di Maio che si dimette da capo politico dei Cinquestelle sarebbe relegato in un trafilettino a pagina diciotto, dopo i necrologi e prima della cronaca locale. Stesso discorso per Meghan e Harry o per le quotidiane fesserie con cui Salvini dà nutrimento alle sue mandrie. E invece no, non c'è verso, non si riesce ad aprire un sito internet o affacciarsi a un telegiornale qualsiasi senza che ci si imbatta in questo nulla cosmico spacciato per grandi notizie. E mi sono stupito che alcuni siti abbiamo avuto il coraggio di mettere in home page (ma ci è rimasta poco) la notizia della morte di Emanuele Severino. Ottimisticamente, il 99% degli elettori leghisti, Salvini compreso, manco sa chi era. Siamo circondati da un nulla deprimente che avanza e che ricorda quello del celebre romanzo di Michael Ende. Io cerco di sfuggirgli tenendo la televisione spenta e leggendo Thomas Mann.

sabato 18 gennaio 2020

Ripieghi obbligati

E niente, uno si alza con le migliori intenzioni (due ore di passeggiata in collina), apre la finestra e scopre che piove. Sole tutta la settimana e pioggia il sabato. Che si fa? Si ripiega sui libri, tanto per cambiare.
E vabbe'...

venerdì 17 gennaio 2020

La Cassazione sentenzia che Carola Rackete non andava arrestata

La Cassazione ha messo oggi la parola fine, salvo sviluppi futuri che a questo punto paiono abbastanza improbabili, alla vicenda di Carola Rackete, sentenziando che il suo arresto fu illegittimo e confermando quindi la linea della giudice Alessandra Vella che non convalidò il fermo a cui fu sottoposta dopo aver forzato il blocco imposto dall'allora ministro dell'Interno. Sembra quasi incredibile che si debba arrivare fino in Cassazione per certificare che non sta né in cielo né in terra che si vada al gabbio per aver salvato dei naufraghi in mare.

Elefantìasi letteraria

Leggo nelle note introduttive de La montagna incantata, di Thomas Mann, che mi appresto a cominciarr adesso, che l'opera, vergata in un periodo di dodici anni, dal 1912 al 1924, era stata pensata come racconto breve da inserire in appendice al romanzo Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull, che ho letto la settimana scorsa. Poi, come ebbe a dire lo stesso scrittore, "l'opera mi crebbe per così dire tra le mani" fino a raggiungere le 750 pagine circa. Anche I Buddenbrook fu concepito come romanzo breve sulla falsa riga di quelli del norvegese Kielland, ma poi arrivò a mille pagine. La morte a Venezia, invece, pensato da Mann come racconto breve da pubblicare sulla rivista Semplicissimus, si trasformò in un romanzo breve.

Pur facendo le dovute differenze, credo che Mann fosse affetto dalla stessa patologia di cui soffre Stephen King e che quest'ultimo usa chiamate elefantìasi letteraria.

E il Signore parlò a Mosè


Riemergo adesso dalla lettura di questo bellissimo saggio storico scritto dal docente di Studi religiosi ed Ebraismo alla Brown Univesity (Rhode Island) Michael Satlow. Un libro appassionante appunto perché è un saggio storico e a me la storia piace. Naturalmente è impossibile riassumere in un post ciò che l'autore scrive in oltre 450 pagine, quindi mi limito ad annotare brevemente alcuni concetti tra i tanti che hanno attirato la mia attenzione.

L'opera in questione si snoda su un arco temporale che parte dal regno settentrionale di Israele del XI secolo avanti Cristo e termina nella Galilea del III dopo Cristo, periodo nel quale, tra infinite vicissitudini, è nata, si è diffusa e ha assunto una forma più o meno definitiva e sacra la Bibbia, il testo fondamentale di riferimento per gli ebrei e i cristiani. A dire il vero, dal punto di vista storico non è che ci sia granché da dire. Sotto questa luce, infatti, la Bibbia non è nient'altro che uno dei tanti libri di storia che ogni popolo della terra ha scritto per narrare le proprie vicende. Quando si pensa a un libro, o meglio come in questo caso un insieme di libri, che vengono definiti sacri e forieri di una rivelazione divina, si pensa generalmente a degli scritti che hanno una loro coerenza, una loro definita linea narrativa e, perché no?, una loro bellezza. La Bibbia non ha nessuna di queste caratteristiche. Per rendersene conto basta leggere anche solo il Pentateuco, ossia i primi cinque libri partendo dal Genesi, quelli che le tradizioni cristiana ed ebra attribuiscono a Mosè. Si tratta di narrazioni incoerenti tra loro, raffazzonate, contraddittorie, e anche contraddistinte da una notevole ineleganza narrativa.

La cosa si spiega in maniera abbastanza semplice. La Bibbia è infatti il prodotto di "assemblaggio" di testi diversissimi tra loro vergati nel corso di secoli, testi che sono stati riscritti, tradotti, modificati, cambiati totalmente, allungati, accorciati, e tutto questo perché i testi biblici erano prodotti da scribi per altri scribi, e per un certo numero di secoli queste rielaborazioni sono state eseguite per meri scopi accademici, cioè si imparava a leggere e a scrivere (quei pochi a cui era concesso) e ci si faceva una cultura in questo modo. Nelle epoche in cui sono stati redatti, infatti, nessuno sapeva leggere, la lettura e la scrittura erano appannaggio delle classi più elevate, sia socialmente che economicamente (scribi, farisei, sadducei, sommi sacerdoti ecc.), mentre la stragrande maggioranza della popolazione non sapeva né leggere né scrivere. Paradossalmente, le vicende riguardanti il popolo ebreo narrate in quei testi erano praticamente sconosciute alla quasi totalità del popolo oggetto di quegli scritti. E questa situazione resterà invariata sostanzialmente fino a tutto il primo secolo dopo Cristo: la lettura e la scrittura rimanevano prerogativa di pochi eletti, la stragrande maggioranza della popolazione continuava a vivere nella sua ignoranza. Questa cosa, scrive l'autore, è corroborata anche da alcuni passi dei Vangeli. Quando Gesù si mette a spiegare a chi si trova nei paraggi passi delle scritture, si rivolge sempre agli astanti dicendo: "Avete inteso/udito che fu detto...", mai "avete letto che fu detto...", proprio perché nessuno sapeva leggere.

Dal momento che i pochi eletti che scrivevano e riscrivevano quei testi lo facevano sostanzialmente per altri pochi eletti e non per le masse, i verganti scrivevano sostanzialmente ciò che volevano, spesso producendosi in esercizi di vera e propria libera narrativa. I testi biblici non sono mai stati considerati sacri fino a tutto il terzo secolo dopo Cristo e la loro autorità fino a quel momento era di carattere escusivamente oracolare. La sacralità venne istituita più o meno in epoca medievale per ragioni principalmente di prestigio sociale e potere. Oggi, sia gli ebrei che i cristiani, accettano pacificamente (gli ebrei un po' meno, a dire il vero) la matrice divina di quei testi e la loro valenza profetico-messianica, pur sapendo che i canoni "definitivi" sia dell'antico che del nuovo testamento sono stati codificati solo attorno al X secolo dopo Cristo, e pur sapendo che i testi che vengono definiti canonici sono composti da codici selezionati (con quale criterio non è chiaro ma è intuibile) tra migliaia trovati e scartati. Il Nuovo testamento ne è l'esempio più vicino. I quattro vangeli canonici sono infatti stati scelti tra centinaia di codici, di cui non ne esitono due uguali.

Essendo tutta questa massa di letteratura stata prodotta nel corso dei secoli da personaggi sconosciuti, non hanno alcuna attendibilità neppure le attribuzioni, che sono invece state concesse per "tradizione" e non certo per documentazione. In sostanza, e questo più o meno è noto anche a chi non ha dimestichezza con questi argomenti, non c'è un solo versetto sia del vecchio che del nuovo testamento di cui si possa dire con certezza da chi sia stato scritto. Anche qui, niente di nuovo, dato che la stessa Chiesa cattolica ammette pacificamente che i quattro vangeli canonici sono stati attribuiti a Marco, Matteo, Luca e Giovanni arbitrariamente ma nessuno sa chi li abbia scritti. Satlow, tra i tanti esempi che porta, cita, riguardo all'antico testamento, il libro di Isaia. Questo libro si compone di circa una sessantina di sottolibri, se così si può dire. I primi 39, come scrive la stessa Commissione Pontificia, sono stati attribuiti a Isaia "perché non esistono motivi seri per dubitare che non li abbia scritti lui" (motivazione sostanziosa, no?); i libri dal 40 al 60 sono invece attribuiti al cosiddetto Deutero-Isaia (chiunque esso sia), che scrive una sessantina di anni dopo il primo; i libri dal 60 al 66 al Trito-Isaia (chiunque esso sia), e tutto questo nell'arco di due secoli. Tutto questo guazzabuglio viene però attribuito a Isaia.

Quindi, per tirare un po' le somme, antico e nuovo testamento non sono altro che una serie di testi prodotti lungo i secoli da autori sconosciuti, e poi cambiati, modificati, riscritti, tradotti innumerevoli volte, e dopo un lunghissimo processo (comprese guerre con morti e feriti) sono stati in qualche modo codificati in un canone e oggi vengono considerati sacri e forieri di rivelazione divina e verità fondamentali. Alla fine, la parte più bella del libro non è neppure questa, dal momento che tratta di cose che sono più o meno note, ma la parte storica, ossia la narrazione delle travagliate e interessantissime vicende politiche, belliche e geoterritoriali che hanno caratterizzato la lunghissima storia di quella martoriata (già allora) zona di Medio oriente.

giovedì 16 gennaio 2020

Sì, Salvini sa leggere e capire, siete voi di Repubblica che non ci arrivate

Ieri la versione cartacea di Repubblica titolava a tutta pagina Cancellare Salvini, titolo che riassumeva la relativa intervista a Graziano Del Rio in cui si auspica la revisione dei famigerati Decreti sicurezza partoriti dal felpato durante il Conte uno. Oggi il direttore della suddetta testata, Repubblica appunto, verga un vibrante editoriale in cui rimprovera a Salvini l'aver utilizzato quel titolo in chiave propagandistico-elettorale, sbandierandolo sotto il naso del suo popolo sui social e accusando Repubblica di fomentare l'odio verso la sua persona.

Magari sbaglio, ma forse non ci voleva un genio per immaginare che per Salvini un titolo simile sarebbe stato un assist strepitoso, così come non ci vuole un genio per capire che in questo periodo di campagna elettorale, dove tutto, e quando dico tutto intendo proprio TUTTO, è funzionale alla propaganda, ogni riferimento alla sua persona può essere utilizzato da lui stesso in questa chiave.

Quindi sì, carissimo Carlo Verdelli, Salvini è molto più intelligente di quanto pensiate, sa leggere e capire, e il sotteso di quel titolo l'ha compreso benissimo, siete voi di Repubblica che non avete capito niente, e sottovalutare l'intelligenza di un avversario non è mai un buon viatico per averne ragione in battaglia.

Lunga e diritta

Dalla frazione di san Michele fino ad arrivare a Santarcangelo la Santarcangiolese corre dritta per tre chilometri, quasi tutta in mezzo alla campagna; percorrerla, fa venire alla mente il leggendario incipit "Lunga e diritta correva la strada..." di gucciniana memoria. Ma è una canzone che finisce male, meglio non pensarci. E poi quella narrata da Guccini è un'autostrada, questa è una semplice provinciale, tanto è vero che quando si sollecita la sindaca a rattoppare la pista ciclabile che le corre a fianco lei risponde che è competenza della Provincia. Chissà perché, in Italia è sempre tutto competenza di qualcun altro.

La Santarcangiolese, dicevo, corre per quei tre chilometri in mezzo ai campi, campi a destra e campi a sinistra, alcuni (pochi) ricoperti da un sottile velo di erba verde a sua volta ricoperto di brina; la maggior parte, invece, marroni, brulli e spogli. Stamattina, sia sui verdi che sui marroni aleggia uno strato di foschia, a tratti più evanescente e a tratti più compatto, e da quella specie di cuscino bianco emergono i pali su cui viaggiano i fili dell'elettricità, i quali pali danno l'impressione di non essere piantati nella terra gelata ma in quel cuscino bianco. Un po' come quei legnetti con la bandierina che fuoriescono dalla panna messa sopra a una tazza di cioccolata.

Poi la campagna finisce e si entra a Santarcangelo, col suo casino, con le sue macchine alle rotonde e ai semafori che fumano incolonnate, perché c'è sempre qualcuno che deve attraversare. Dopo la rotonda della pieve, a margine delle strisce, c'è un bambino, forse otto anni, forse nove, la sua pelle nera offre un bellissimo risalto sul grembiulino azzurro e il giacchetto grigio, e il cappellino rosso è la ciliegina sulla torta di questa bellissima congerie di colori. Mi fermo e lo lascio passare, provocando il fastidio della macchina dietro la mia, perché ho interrotto il flusso. Chi se ne frega... Il bambino parte trotterellando col suo zaino che gli ballonzola allegramente sulla schiena: è talmente grande, quello zaino, che forse ci starebbe dentro anche lui.

Poi riparto, e mi lascio alle spalle quel bambino, che continua a trotterellare sul marciapiede col suo zaino che gli ballonzola dietro.

mercoledì 15 gennaio 2020

Speculazioni politiche

Pensavo: e se nelle imminenti regionali emiliano-romagnole vincesse il centrodestra a trazione leghista? L'ipotesi non è così campata in aria, purtroppo, dal momento che ogni rilevazione dà entrambe le coalizioni grossomodo appaiate. E il recente caso dell'Umbria non autorizza certo ad assumere un atteggiamento improntato alla tranquillità: tutt'altro. Quindi non mi sbilancerò in previsioni, vada pure come vada.

Il centrosinistra, in Emilia Romagna, se non sbaglio governa ininterrottamente da qualche decennio e ciò dimostra da una parte che ha governato bene, o meglio che il grosso degli emiliano-romagnoli sono contenti di come vanno le cose, che non è esattamente lo stesso, dall'altra parte, però, è verosimile pensare che un così lungo dominio non abbia potuto non generare nel corso dei decenni l'incancrenirsi di un circuito ben poco virtuoso di clientelismi, ruffianerie, giri viziosi di nomine, favoritismi di stampo clientelare e così via, situazioni ineluttabili ogni volta che si instaura un longevo sistema di potere.

Alle regionali di cinque anni fa, in cui fu eletto presidente Bonaccini, oggi sfidato dalla prestanome di Salvini la signora Bergonzoni, si recò a votare il 38% degli aventi diritto, il che significa che alla grossa maggioranza degli emiliani (62%) di quelle elezioni non fregò nulla. Perché? E chi lo sa! Forse ritenevano inutile recarsi ai seggi dal momento che la vittoria di Bonaccini era ampiamente data per sicura; forse l'andamento generale delle cose in Emilia Romagna era ritenuto soddisfacente e quindi a che pro andare a votare, dal momento che l'andazzo era comunque buono? Tutto può essere.

Oggi le cose sono radicalmente diverse. L'ennesima riconferma del centrosinistra non è affatto scontata e Salvini già pregusta il colpaccio, meticolosamente coltivato grazie ad un tour de force che lo vede già da settimane impegnato a battere, giornalmente, ogni paese e ogni frazione del suolo emiliano-romagnolo. Domenica scorsa, ad esempio, era qua a Verucchio alla Fira de bagòin (fiera del maiale, per i non romagnoli), e da alcune foto che giravano in rete mi pare non sfigurasse affatto in una simile compagnia, ma questa è un'impressione mia.

Quindi, tornando a quanto dicevo sopra, se il centrodestra leghista vincesse? Una piccola parte di me (molto piccola, tranquilli) in un certo senso auspica che ciò accada. Non perché io pensi che una raffazzonata armata Brancaleone populista/sovranista possa rappresentare un cambiamento in meglio dello status quo, figuriamoci, ma per vedere, tra cinque anni, le reazioni dei tanti che tra pochi giorni voteranno Lega sperando in un cambiamento/miglioramento. Perché il modo migliore per verificare la fondatezza di un convincimento è andarci a sbattere il muso contro. Volete la Lega al governo dell'Emilia-Romagna per i prossimi cinque anni? Bene, votatela e poi, fra un lustro, tiriamo le somme. Tra l'altro, siccome mi sono sempre sforzato di essere intellettualmente onesto, sono disposto tra cinque anni a riconoscere tale miglioramento, se ci sarà.

Come molti prevedono, una eventuale vittoria della Lega in Emilia-Romagna produrrebbe scossoni di entità tale da mettere seriamente in pericolo la già traballante tenuta del governo nazionale, e anche qui c'è sempre la piccola parte di me cui accennavo sopra a cui non dispiacerebbe che ciò accadesse, perché ciò significherebbe la caduta del governo in carica e il ricorso immediato alle urne - Mattarella è stato chiarissimo in proposito: se cade questo governo si torna a votare. Punto. Anche qui, il mio auspicio non è dettato dal pensiero che un governo nazionale guidato dalla Lega possa essere foriero di quel cambiamento/miglioramento di cui si attende l'avvento da lustri, ma è dettato dalla concessione della possibilità a tutti quelli che pensano che ciò accadrà di andarci a sbattere il muso contro. In sostanza, vale per il governo nazionale ciò che vale per l'Emilia-Romagna: volete un governo con Salvini presidente del Consiglio, una Meloni agli Interni e un futuro Gasparri o La Russa al posto di Mattarella? Accomodatevi. Poi, fra cinque anni, tiriamo le somme.

Naturalmente, io spero sempre che la piccola parte di me che auspica il realizzarsi degli inquietanti e purtroppo plausibili scenari sopra descritti non abbia soddisfazione: di fronte a certe prospettive credo infatti sia di gran lunga conveniente restare nel dubbio.

martedì 14 gennaio 2020

Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull

Ho terminato poco fa, dopo soli tre giorni di lettura, questo ottimo romanzo di Thomas Mann, trovato per caso nella libreria di mia mamma. Thomas Mann è uno scrittore che ho conosciuto da poco e quasi per caso (lo conoscevo di fama, naturalmente, ma non avevo mai letto nulla di suo) e la curiosità nei suoi confronti è nata dopo che Paolo Crepet, in una sua conferenza di qualche tempo fa, citò La montagna incantata, uno dei suoi romanzi più belli e universalmente noti. 

Ho cercato quel libro in un paio di librerie ma occorreva ordinarlo e ho lasciato perdere, mettendomi con pazienza ad aspettare che chi l'aveva preso in prestito dalla biblioteca lo riconsegnasse. Nel frattempo ho letto altri due libri di Mann: una raccolta di tre racconti, tra cui il bellissimo La morte a Venezia, trovato per caso su una bancarella di libri usati a Santarcangelo, e il già citato Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull. 

Due aspetti, principalmente, apprezzo dell'arte letteraria del premio Nobel tedesco. La vena ironica che, almeno nei suoi lavori letti finora, traspare qua e là e che caratterizza un tipo di prosa spesso ricercato e raffinato che rende particolarmente scorrevole e piacevole la lettura; accanto a questo, la neanche tanto velata critica alla società borghese dalla quale alla fine pure lui proviene e che mostra il grosso del suo declino nel periodo di maggiore prolificità letteraria dello scrittore.

Adesso ho finalmente sottomano il celeberrimo La montagna incantata, sul quale nutro grosse aspettative e che comincerò una volta terminato E il Signore parlò a Mosè, un bellissimo saggio storico del docente di studi ebraici Michael L. Satlow, che spiega come la Bibbia, in origine un libro storico come tantissimi altri scritti nella storia dell'umanità, fu trasformato in libro sacro. 

Diciamo che in questo periodo di ferie non mi sto affatto annoiando.

lunedì 13 gennaio 2020

Così parlò Ratzinger sul celibato dei preti

Chi conosce qualcosa di Ratzinger, uno dei papi più oscurantisti, intransigenti, fondamentalisti e intolleranti (a confronto Wojtyla, che pure lui non scherzava, era un mansueto agnellino) della storia recente, non si stupisce più di tanto della levata di scudi di ieri sul celibato dei preti, condizione indispensabile, ribadisce, per poter adempiere pienamente al ministero pastorale. E poco importa che per altre confessioni cristiane, come ad esempio gli ortodossi, questa imposizione non esista, perché la verità, ossia la corretta interpretazione di pagine della scrittura che definire ambigue è un eufemismo, ce l'ha Ratzinger, non gli altri. Lo disse esplicitamente nel 2006: la religione Cattolica è l'unica vera, le altre possono accomodarsi dalla parte del torto e sono caldamente invitate a tornare all'ovile. La perentorietà di quell'esternazione fece imbestialire, come era logico aspettarsi, la vasta platea di varianti cristiane al cattolicesimo, gettando alle ortiche decenni di faticosi tentativi di percorsi ecumenici cominciati col Concilio Vaticano II.

Tutto il pontificato di Ratzinger, a dire il vero, è costellato di uscite che hanno irritato altre confessioni religiose: protestanti, ebrei, e come dimenticare il famoso discorso di Ratisbona, una dura condanna dell'Islam che fece incazzare un miliardo di musulmani nel mondo e permise al suo estensore di entrare definitivamente nelle grazie di Salvini (a tutt'oggi il papa più citato nei suoi comizi)? Quest'ennesima uscita del longevo papa tedesco è la dimostrazione che le religioni rappresentano un ventaglio amplissimo di possibilità, e ognuno in questo ventaglio si può scegliere la propria, quella che più lo aggrada e con cui si trova più in sintonia. Chi ad esempio voglia professarsi cristiano ma non voglia dare alcun credito alla lunga sequela di dogmi cattolici può aderire ai già citati ortodossi, ad esempio (ma anche ad altri), si ritroverà a non dover più fare i conti col purgatorio, con l'inferno, e potrà in un colpo solo liberarsi di queste paure e vivere più tranquillo, senza dover per forza disconoscere Cristo, Dio ecc.

Nel mondo ci sono circa un paio di centinaia di religioni (se si considerano solo le maggiori, altrimenti si viaggia sulle migliaia), e a chi nasce all'interno di uno qualsiasi di questi contesti viene sempre spiegato e inculcato che la sua è quella giusta, le altre sono fallaci. Ogni religione fa esattamente ciò che ha fatto Ratzinger: si proclama l'unica vera. Per questo fanno sorridere tutte le sceneggiate a favor di telecamera che ogni tanto si vedono, dove capi delle maggiori religioni si danno convegno per discutere ecumenicamente e tentare di avviare un dialogo tra esse. Dialogo che naturalmente è pura utopia, perché se ognuno è convinto di possedere la verità assoluta che senso ha dialogare? Io dialogo con uno da cui mi aspetto che abbia un gradino di verità superiore al mio, come dice Umberto Galimberti, ma se ognuno ha la propria verità e non la mette in discussione, come si può instaurare un dialogo?

Quindi, cari preti, compresi voi tanti che da anni e anni auspicate quanto meno una ridiscussione dottrinale della direttiva che impone a voi il celibato (recentemente pure Bergoglio ha timidamente aperto in tal senso), state buoni e non vi agitate, ché sennò Ratzinger si arrabbia.

domenica 12 gennaio 2020

Non potrei mai fare il barista

In genere sono uno che si adatta, ma se c'è un mestiere che credo non potrei mai fare è il barista. Perché il barista non è solo il tipo che sta dietro il bancone a servire colazioni e bibite ma è anche, a seconda dei casi, psicologo, interlocutore, confessore e via andare. Il logorroico vecchietto che stamattina, appoggiato al bancone del bar, ha intrattenuto il paziente barista ne è l'esempio più lampante. Io ho osservato la scena dal tavolino a cui ero seduto mentre sorseggiavo il cappuccino e sfogliavo il Carlino. E sorridevo.
Il logorroico vecchietto, con la scusa di un caffè, ha cominciato a ricoprire il buon Marco (il barista) con una marea di chiacchiere che abbracciavano un arco temporale che andava dalla sua infanzia, trascorsa giocando con una cassetta di uva mentre i genitori facevano la vendemmia in un podere dalle parti di Roncofreddo, fino alle ultime incazzature con la Fornero. Un arco temporale lungo, eterno, e il povero Marco, stoicamente, se ne è sorbito buona parte. Poi, certo, ogni tanto ha cercato di divincolarsi in qualche modo dalla tentacolare logorrea del vecchietto, mettendosi ad asciugare bicchieri già asciutti, facendo il gesto di dover svuotare la lavastoviglie vuota, andando nell'altra sala fingendo di dover andare a prendere qualcosa con la speranza che nel frattempo il vecchietto demordesse. Niente da fare, lui stava lì ad aspettare che tornasse e riprendeva da dove si era interrotto. Finché, dopo una mezzoretta, è arrivato il fatidico "Adesso è ora che vada." Sollievo.
Una volta uscito, Marco ha appoggiato sul banco lo straccio con cui asciugava i bicchieri già asciutti ed esausto ha dichiarato: "Basta, per oggi ho dato, chiudo e vado a casa." Al che io gli ho fatto notare, ridendo, che quello di barista non è solo un mestiere ma anche una missione, e che lui deve un po' calarsi nei panni del missionario. Mi ha cortesemente mandato a cagare.
Ecco perché, dicevo, io non potrei mai fare il barista: non ho la vocazione del missionario e ho pochissima pazienza; se a questo aggiungiamo la mia indole caratterizzata da una certa misantropia, il cerchio si chiude.

sabato 11 gennaio 2020

Scusate, ci siamo sbagliati

Un errore umano. Forse un problema di comunicazione radio. Nel dubbio, il militare spinge il pulsante. Puf! 175 persone morte.

Ops, scusate, ci siamo sbagliati.

venerdì 10 gennaio 2020

La mia macchina nuova è già vecchia

L'estate scorsa ho comprato una macchina nuova, una normale utilitaria senza pretese, pagata per metà a rate perché qua non si nuota nell'oro e si vive all'insegna del tanti presi, tanti spesi. L'utilitaria in questione andava a sostituire la mia macchina precedente, stesso segmento, che aveva sul groppone una quindicina d'anni e 250.000 chilometri. Il nuovo acquisto era una versione molto recente di quel modello di auto, sul mercato forse da un paio d'anni, non di più. Poco prima di Natale mi sono accorto che è cominciata a girare la pubblicità di una nuova versione del modello di auto da me acquistato. La cosa mi ha lasciato un po' perplesso, e mi sono chiesto quale grandi innovazioni tecnologiche abbiano giustificato l'immissione di un nuovo modello di auto a nemmeno due anni dall'uscita di quello precedente. Risposta: nessuna innovazione tecnologica, solo la necessità di far girare un mercato (non solo auto, tutte le cose) che se si ferma provoca il collasso della nostra civiltà.

Libri in tasca?


Non so se si riesce a leggere. Comunque, questa specie di annuncio pubblicitario compare sul retro di copertina di una collana di libri Mondadori chiamata Gli oscar settimanali, pubblicata a metà degli anni '60 del secolo scorso. Libri, recita l'annuncio, "per gli italiani che lavorano": operai, tecnici, impiegati, funzionari, dirigenti ecc. Libri tascabili da portare con sé in tram, autobus, taxi, treno, barca, transatlantico, fabbrica, ufficio, bar e così via. Leggendo questo annuncio, mi viene da pensare che negli anni '60 i libri fossero oggetti comuni, utilizzati da tutti e portati sempre con sé allo stesso modo in cui ai giorni nostri si tengono in tasca gli smartphone, e non quegli oggetti oggi anacronistici e guardati con perplessità e sospetto. In realtà non so se all'epoca fosse realmente così, ma è bello pensarlo.

mercoledì 8 gennaio 2020

Storici e filosofi in televisione

Ieri sera ho seguito per un quarto d'ora la trasmissione su RaiTre condotta da Bianca Berlinguer. A interloquire con lei, Massimo Cacciari e Paolo Mieli. Cacciari è un filosofo, Mieli è uno storico, di cui tra l'altro ho letto recentemente un suo saggio molto bello chiamato Le verità nascoste. Da entrambi, in quel quarto d'ora, ho sentito solo cose di buon senso, intelligenti, e le tragiche vicende dell'Iran erano affrontate con piglio storicamente documentato, con analisi retrospettive articolate e dettagliate. Due persone, cioè, che sapevano la storia di quelle zone martoriate del medio oriente, gli accadimenti geopolitici recenti e anche più lontani nel tempo. Due persone competenti, insomma. E mi chiedevo perché tali persone, invece di stare in tv, non stiano in parlamento, magari in posti particolarmente delicati come il Ministero degli esteri, attualmente occupato da un ex bibitaro al San Paolo.

martedì 7 gennaio 2020

Cuori in Atlantide

Ieri sera ho guardato Cuori in Atlantide, film con Anthony Hopkins tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King di parecchi anni fa. Quel romanzo lo lessi da giovane, e ricordo che mi piacque: un'ottima trama e mai noioso. Il film, invece, è di una noia mortale e lento all'inverosimile. Mia moglie si è addormentata dopo un quarto d'ora, io sono arrivato fino alla fine ma molto faticosamente. È che non imparo mai la lezione: mai guardare la trasposizione cinematografica di un romanzo che mi è piaciuto.

Preghiere, Dio e Whatsapp

In questi giorni di festa appena conclusi mi sono arrivate tramite Whatsapp un paio di esortazioni a pregare Dio, con l'aggiunta di far girare le esortazioni di cui sopra a tutti i miei contatti. L'oggetto delle preghiere che avrei dovuto rivolgere al tipo lassù in alto e di cui avrei dovuto poi farmi latore presso i miei contatti riguardava gli incendi in Australia e i bambini che muoiono per la guerra civile in Siria. Immediatamente ho fatto un paio di considerazioni. Di solito le tengo per me; stavolta le pubblico qui nella speranza che qualcuno dei miei contatti Whatsapp le legga ed eviti in futuro di inviarmene altre. Sono considerazioni perlopiù di carattere logico-razionale e so bene che Dio e ragione non vanno d'accordo, ma d'altra parte a me hanno insegnato a ragionare razionalmente e io questo faccio.

La prima considerazione è che, a livello dottrinale, almeno per quanto ne so io, le preghiere, intese come richieste a Dio di miracoli, favori, o comunque esaudimenti di desideri terreni, non hanno alcun senso, per il semplice fatto che Dio, per i cattolici e i cristiani in generale, quali presumo essere i mittenti dei messaggi di cui sopra, è onnisciente. Onnisciente significa che conosce il passato, il presente e il futuro, il quale futuro, come ricordo ci diceva don Natale a catechismo, è già scritto. E se sia il passato che il presente che il futuro sono già scritti, che senso ha pregare Dio perché intervenga per spegnere gli incendi in Australia o per fermare la guerra in Siria? Se tutto è già scritto fino alla fine dei tempi e Dio sa già come si svolgeranno le cose, che senso ha pregare perché modifichi ciò di cui lui conosce già l'epilogo? È un po' il discorso di quando Dio piazza Adamo ed Eva nel paradiso terrestre e li mette alla prova. Se è onnisciente, come ci raccontano le scritture, sapeva già come sarebbe andata a finire, no?

La seconda considerazione è di logica stretta. Se si accetta che Dio possa intervenire per modificare situazioni contingenti, e presumo che i miei contatti di cui sopra questa cosa la diano per scontata, a questo punto gli si può chiedere direttamente perché, ad esempio a proposito della guerra in Siria, ha permesso che la suddetta guerra avesse inizio. Se si crede che blandendolo con particolari preghiere lui abbia il potere di fermarla, è evidente che aveva anche il potere di impedire che iniziasse, tanto più considerando che nel Credo cattolico lo si definisce onnipotente, se non ricordo male.

Ora, dal momento che io per quanto riguarda le questioni di fede mi inserisco nella corrente dell'Irrilevanteismo, faccio queste considerazioni per il puro piacere di speculare su questioni di logica e ragione, ma ciò che mi chiedo è perché chi mi invia quelle richieste queste domande non se le ponga. Credere che un dio, qualsiasi dio, possa essere blandito con particolari riti e preghiere perché esaudisca desideri è una pratica che risale ai nostri antenati quando erano ancora cacciatori-raccoglitori e bazzicavano per le immense savane del continente africano o le steppe dell'Asia. Nel frattempo un po' siamo andati avanti.

Forse.

Tra classici e best sellers

Umberto Eco, più o meno a partire dal minuto 2:00 di questo suo intervento, osserva una cosa molto interessante. Noi, oggi, in letteratura tendiamo a distinguere tra i cosiddetti classici e i best sellers, ascrivendo i primi a tutta quella serie di libri, generalmente appartenenti a un passato più o meno remoto, che possono essere inseriti in un canone e che sono considerati seri e fondamentali per la nostra cultura; i secondi a quel genere letterario contemporaneo prevalentemente composto da libri più "leggeri" che in genere si leggono per diletto.

Qual è l'osservazione di Eco? Che anche quelli che oggi consideriamo classici in passato sono stati best sellers. Lo era la Bibbia, lo erano I promessi sposi, e lo erano anche molti testi che poi, per qualche motivo, non sono sopravvissuti. Della poetica di Aristotele, ad esempio, ci sono arrivate alcune tragedie di Sofocle mentre altre sono andate perdute; nel 1700 a Dante non lo poteva vedere più nessuno, tanto che ci è mancato poco che cadesse per sempre nel dimenticatoio e via dicendo. E i motivi per cui certi classici sono arrivati a noi e altri no, è spesso da addebitare al caso o alla fortuna.

Certamente le implicazioni di queste osservazioni non sono di poco conto, perché da esse potrebbe conseguire che tra i classici di domani potremmo trovare Fabio Volo, e ad accostare un libro di Volo a Madame Bovary di Flaubert o a Delitto e castigo di Dostoesvkij può capitare di avvertire un pelino di stridore. Ma se è vero che molti di quelli che oggi consideriamo classici sono arrivati fino a noi anche per caso o fortuna, non è effettivamente da escludere che i posteri potrebbero annoverare Volo tra i suddetti classici.

lunedì 6 gennaio 2020

Ferie

Mentre domani tutti rientrano al lavoro e alle rispettive attività, io comincio quindici bei giorni di ferie. Ci sta, no?, dal momento che il periodo natalizio l'ho passato lavorando. Programmi? Niente di che: libri, passeggiate (se non farà troppo freddo), pianoforte, forse qualche racconto da buttare giù e, cosa più importante, quindici giorni di libertà dalla schiavitù della sveglia alle 5:45 del mattino. Sarebbe bello che facesse la neve, mi piacerebbe aprire le finestre, appena sveglio, e trovare tutto bianco. 

Vabbe', forse chiedo troppo :-)

Il film su Craxi

Sta per uscire un film su Craxi. Ai tempi in cui lui e la sua cricca imperavano io ancora non mi interessavo di politica, ricordo solo che in tv lui c'era sempre, in ogni telegiornale, su ogni canale che passava lui o qualcuno dei suoi c'era. Poi, successivamente, ho approfondito qualcosa su di lui seguendo le vicende televisive dell'imprenditore Berlusconi, a cui Craxi era legato da un forte rapporto improntato al do ut des - forse, senza Craxi, la storia del Berlusconi imperatore delle televisioni avrebbe preso un'altra piega. È probabile che il film avrà una forte caratterizzazione revisionista, dal momento che viviamo in un periodo storico in cui tutto è oggetto di revisioni più o meno campate per aria. Per chi fosse interessato, qui c'è un bel post del sempre ottimo Gilioli in cui si spiega sinteticamente cos'è stato il craxismo nel nostro paese.

Risposte sproporzionate

Dice il guerrafondaio: "Se l'Iran dovesse attaccare qualunque persona o obiettivo americano gli Stati Uniti colpiranno subito anche in maniera sproporzionata." Quindi, per capirci, il presidente di un paese dà mandato al suo esercito di uccidere un esponente militare di un paese terzo e sovrano, perpetrando ciò che a tutti gli effetti è un atto di guerra. Se il paese offeso tenterà qualche reazione sarà colpito da quello che ha scatenato l'offensiva con ancora maggiore violenza.

Per capirci, è come se all'uscita di scuola un bullo prepotente prendesse a botte un compagno di scuola e poi gli dicesse che se reagirà gliele darà ancora più forte. Il guaio è che qui non stiamo parlando di schermaglie tra ragazzini di scuola, ma di azioni sconsiderate che potrebbero avere effetti imprevedibili sui già delicati equilibri geopolitici di vaste zone del mondo. E questo la dice lunga circa la conferma dei sospetti che si ebbero già all'indomani dell'insediamento alla Casa Bianca di Trump, sospetti secondo cui un pericoloso e incauto incompetente era entrato nella stanza dei bottoni.

domenica 5 gennaio 2020

Tre racconti di Mann


Qua a Santarcangelo, la prima domenica di ogni mese c'è il mercatino della roba usata, che noi usiamo chiamare, in maniera ironica, il "mercato dell'immondizia". Bancarelle sparse in piazza vendono mobili vecchi, quadri vecchi, improbabili utensili antichi di ogni tipo e naturalmente libri usati. Di solito mi fiondo su quelli e lascio perdere tutto il resto, e mi capita spesso di trovare cose interessanti. Oggi, ad esempio, ho trovato questo libro di Thomas Mann che raccoglie i tre racconti che vedete nell'immagine. Perché proprio questo? in realtà è già da parecchio tempo che cerco La montagna incantata, sempre di Mann, di cui ho sentito parlare Galimberti in una sua conferenza. Non sono ancora riuscito a trovarlo ma non demordo. Nel frattempo l'occhio mi è caduto appunto su questo e l'ho preso al volo, memore di una lettrice blogger (non ricordo più chi) che qualche tempo fa ne parlò nel suo blog. E niente, il tempo di finire Il barone rampante e mi ci butto.

L'alcol va bene?

Le sei persone morte stanotte in Trentino sono state uccise da un ventottenne italiano che guidava ubriaco. Così come da un ragazzo in stato di ebbrezza sono state uccise un paio di settimane fa le due ragazze nella zona di ponte Milvio di cui si è tanto parlato. Se otto persone nel giro di pochi giorni sono morte per mano di persone ubriache, a me viene da pensare che un problema di diffusione di alcol nel nostro paese ci sia. Eppure non mi sembra che la questione alcol sia oggetto di grosse attenzioni da parte delle istituzioni; non ho mai sentito Salvini o la Meloni, ma anche nessun altro, twittare o fare comizi in piazza parlando di questo problema. Eppure è un problema reale, ed è un problema che incide sulla sicurezza delle persone, come dimostra la cronaca di ogni giorno.

Visto che è un problema che ha a che fare con la sicurezza, io mi aspetterei che un politico che sulla sicurezza ha costruito una intera carriera politica, domattina si alzasse ed emanasse un provvedimento che imponesse la chiusura di ogni negozio che vende alcol. E invece no. Il politico in questione si alza e fa un provvedimento con cui chiude i negozi di cannabis legale. Quante persone sono morte nell'anno appena trascorso, ma anche in quelli precedenti, per mano di automobilisti sotto i fumi della cannabis legale? Nessuno. Per il semplice motivo che la cannabis legale, depotenziata, ha in pratica gli stessi effetti di un farmaco omeopatico, cioè nulli.

Quindi, sulla piaga dell'alcol che uccide, tutti zitti, sulla (non)piaga della cannabis legale che non uccide, strali e provvedimenti inibitivi. Non è una presa di posizione in favore della cannabis, la mia, è solo il rimarcare l'ennesimo esempio di come l'azione politica, in particolare di certi personaggi, non sia rivolta alla risoluzione dei problemi reali, ma dei problemi che vengono spacciati come reali per puro tornaconto elettorale. Ma magari sono cose che si sapevano già.

Il falso testamento

Una delle più recenti, e più documentate, conferenze di Mauro Biglino.

sabato 4 gennaio 2020

Zalone e i migranti

Mentre guardavo il film di Checco Zalone sui migranti, oggi pomeriggio, pensavo che il fenomeno dell'immigrazione è diventato in questi ultimi anni una specie di miniera d'oro. Lo è per molti cantanti che hanno scritto pezzi sul tema, per il cinema (il film di Zalone sta battendo ogni record di incassi) e lo è soprattutto per la politica: partiti e personaggi politici con pochissimi scrupoli hanno accumulato e continuano ad accumulare consensi altissimi, in Italia ma anche altrove, sfruttando opportunamente la paura (immotivata) del fenomeno.

Riguardo al film, cosa dire? È certamente istruttivo, se così si può dire, in quanto la descrizione del viaggio che intraprendono i migranti che partono dall'Africa subsahariana per arrivare in Europa (deserto, lager libici, attraversamento del Mediterraneo) è tutto sommato ben resa e non sarebbe male che qualche leghista lo guardasse giusto per aprire un po' gli occhi sul fenomeno. Per il resto, si avverte sempre quel leggero stridore che nasce quando si costruisce un film che ha dichiarati intenti comici su una tragedia che nella realtà di comico ha ben poco.

Ancora sulla chiusura della DIMAR

Ogni tanto mi arriva qualche commento - l'ultimo poco fa - a un post, questo, che scrissi più di dieci anni fa, post in cui parlavo della chiusura della DIMAR. Ogni volta che succede lo rileggo e... ancora mi assale quel sottile senso di malinconia.

Soleimani di qua e di là

Non sono un esperto di politica estera, tanto meno di faccende mediorientali, già molto complesse di per se stesse, e mi pare che questo mio capirci poco sia prerogativa anche della maggior parte del mondo politico nostrano e non solo. Deduco ciò dal fatto che il tenore delle reazioni all'azione omicida ordinata da Trump non si basa su analisi oggettive di ciò che è successo ma sulla fede politica dei commentatori. Da esponenti di destra arrivano generalmente elogi, da esponenti di sinistra generalmente stigmatizzazioni (uso i termini destra e sinistra come macrocategorie per rendere l'idea). E questo sia che ci si riferisca all'Italia (Salvini elogia Trump, Zingaretti lo stigmatizza), sia che ci si riferisca all'Inghilterra (i conservatori elogiano e i laburisti condannano) o agli stessi USA.

Io, che come ho detto non ho un'idea precisa, taccio. L'unico aspetto che mi inquieta della vicenda è che un uomo, in questo caso Trump, un bel giorno si alzi e decida di uccidere alcune persone di un altro paese, in un'altra parte del mondo, con la stessa naturalezza con cui ci si alza la mattina e si beve un cappuccino. Magari questo generale Soleimani non era uno stinco di santo, può essere benissimo, ma in passato aveva avuto ottime relazioni con gli USA ed era considerato dai predecessori di Trump il miglior referente per quanto riguarda il medio Oriente. Poi qualcosa dev'essere cambiato e, come è prassi, quando qualcuno o qualcosa non serve più si può tranquillante eliminare.

Le giustificazioni di Trump alla sua impresa si limitano a una asserita e generica possibilità che il generale iraniano stesse pianificando azioni offensive contro diplomatici americani di stanza in quelle zone. Non è dato conoscere la solidità di queste possibilità, e l'azione di Trump ha tutta l'aria di inserisi nell'abusato filone del processo alle intenzioni. Intenzioni tutte da dimostrare, oltretutto.

venerdì 3 gennaio 2020

Ritorno ai classici


Quest'anno ho deciso di concedere minore spazio alla saggistica e maggiore alla narrativa, in particolar modo ai classici. Questo perché ho tantissimo da recuperare in questo settore e ci sono libri celeberrimi di cui ho sempre sentito parlare ma che non ho mai letto. Non è che nell'anno appena concluso non ne abbia letto nessuno, naturalmente, penso ad esempio a Madame Bovary, Moby Dick, Delitto e castigo, I dolori del giovane Werther, Il grande Gatsby, Il giovane Holden e altri, ma rispetto alla totalità di quelli letti rappresentano una parte molto minoritaria.

Non so se Il barone rampante, primo libro di questo 2020 appena iniziato, si possa considerare un classico in senso stretto, anche perché, generalmente, il termine classico rimanda a periodi anteriori a quello in cui Calvino lo scrisse, che è il 1957. Comunque, insomma, immagino sia chiaro dove voglio andare a parare.

Queste sono le intenzioni. Poi, si sa, coi libri è sempre abbastanza azzardato tentare di pianificare strategie di lettura, perché loro fanno ciò che vogliono e difficilmente si lasciano imbrigliare in percorsi predefiniti. E questo succede, come ogni topo di biblioteca (o libreria) ben sa, perché generalmente è il libro che sceglie il lettore e non viceversa, come comunemente si crede.

giovedì 2 gennaio 2020

La fine dei Sapiens


Ho terminato poco fa quello che probabilmente è il libro più bello che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni e sicuramente quello che ho sottolineato di più e a cui ho fatto più orecchie. È un saggio storico-scientifico che racconta in cinquecento pagine la storia della nostra specie, gli Homo Sapiens, partendo dal loro più lontano progenitore, un essere umano che 2,5 milioni di anni fa fece la sua comparsa in un vasto territorio dell'Africa occidentale e da lì partì alla conquista del pianeta.

È soprattutto la storia di come noi Sapiens siamo riusciti a sbaragliare la "concorrenza" e tutte le altre specie di "Homo" e a divenire i padroni incontrastati del mondo, impresa che abbiamo compiuto utilizzando una facoltà apparentemente banale: l'immaginazione. Siamo stati cioè la prima specie animale capace di inventare religioni, leggi, enti giuridici ecc., tutte cose che nella realtà non esistono ma che vengono accettate da tutti e che hanno costituito il "collante" che ha permesso ai Sapiens di primeggiare.

Non è un libro noioso, come in genere si pensa dei saggi. Tutt'altro. Yuval Noah Harari ha la capacità, ricorrendo a vari espedienti retorici, di non annoiare mai il lettore anche quando affronta concetti che possono apparire complicati, e la lettura scorre quindi piacevole e fluida. Quasi un capolavoro.

Cellulari

Sala d'attesa del medico. Quindici persone (le ho contate), di cui quattordici, me compreso mentre scrivo questo post, con cellulare in mano. Mi viene in mente quanto lessi tempo fa in un libro di Paolo Crepet, e cioè che il cellulare è l'oggetto tecnologico maggiormente diffuso nel mondo. Nient'altro ha goduto di un successo anche lontanamente paragonabile; non la televisione, non i frigoriferi, non le automobili. E in quel libro Crepet citava un passaggio di un'intervista all'allora CEO di Apple secondo cui l'obiettivo delle maggiori aziende tecnologiche è dotare di telefonino ogni abitante del pianeta. Obiettivo inquietante, a prima vista, ma visto l'andazzo direi a portata di mano.

Lo stipendio della prefetta

Non so quale sia l'entità dello stipendio di un prefetto, immagino qualche migliaio di euro al mese. Probabilmente è per questo che mi ha sorpreso la vicenda accaduta a Cosenza, dove la locale prefetta è stata messa ai domiciliari per una tangente di settecento euro ricevuta da un imprenditore, cifra che Mario Chiesa, al suo confronto, sembra John Gotti.

La "ciccina"

Se a sedici anni ancora gli prepari il toast alle quattro del pomeriggio per la sua merendina, glielo tagli a quadrettini e glielo porti nel piattino in camera mentre il "piccino" sta spaparanzato sul letto con le cuffie, c'è qualcosa che non va; se a sedici anni ancora vai lì a tagliargli la "ciccina" e a portargli via i fili di grasso perché potrebbero fargli male, c'è qualcosa che non va.
Ancora.
Se sei più vicino ai trenta che ai venti e ancora non hai deciso cosa fare della tua vita (neppure una vaga idea), standotene comodamente al calduccio del facoltoso focolare domestico, c'è qualcosa che non va.
Io a diciotto anni ho fatto il militare e poi ho iniziato a lavorare, senza una meta precisa, ma mi sono dato da fare, mi sono impegnato e oggi, dopo trent'anni, sono sopravvissuto ai vari ridimensionamenti degli anni della crisi e lavoro ancora nella stessa azienda. A poco più di vent'anni ero già sposato e padre, una idea di come indirizzare la mia vita comunque ce l'avevo. Le mie figlie hanno seguito le mie orme; la piccola dopo la maturità ha provato l'università ma non è andata, così ha cominciato a lavorare e oggi fa un lavoro che le piace e che la gratifica. La grande si è laureata l'anno scorso, ora si sta specializzando all'estero e ha ben chiaro cosa vuole fare quando avrà terminato gli studi. Ha cominciato a lavorare come cameriera subito dopo la maturità, nei weekend, mentre gli amici uscivano, per pagarsi almeno parte degli studi. 
Quandi avevano sedici anni né io né mia moglie tagliavamo più la "ciccina" alle nostre figlie. Credo che il motivo per cui i giovani oggi non fanno rivoluzioni sia fin troppo chiaro.

mercoledì 1 gennaio 2020

L'era dello shopping

"L'economia capitalistica moderna, se vuole sopravvivere, ha come imperativo il costante incremento della produzione: è come un pescecane che deve nuotare incessantemente per non soffocare. Produrre, di per sé, non basta. Ci deve essere anche qualcuno che compra i prodotti, altrimenti gli industriali e gli investitori falliscono. Per evitare questa catastrofe, e per essere sicuri che la gente comprerà sempre ogni novità prodotta dall'industria, si è creata una nuova etica: il consumismo.
Nel corso della storia, la maggior parte dell'umanità è vissuta in condizioni di penuria. La parola d'ordine era quindi frugalità. L'austera etica dei puritani o quella degli spartani non sono che due esempi tra i più famosi. Una persona retta evitava i lussi, non buttava mai via il cibo e rattoppava i pantaloni rotti invece di comprarne un nuovo paio. Solo i re e i notabili potevano permettersi di rinunciare pubblicamente a tali valori e sfoggiare senza riguardo le proprie ricchezze.
Il consumismo invece considera positivo il consumo di un numero sempre maggiore di prodotti e servizi. Incoraggia le persone a gratificarsi, a viziarsi. E persino a uccidersi lentamente a furia di consumare. La frugalità è una malattia da curare."
[...]
"Il consumismo ha lavorato sodo, con l'aiuto della psicologia popolare ('Fallo e basta!'), per convincere la gente che l'indulgenza fa bene, mentre la frugalità è una forma di masochismo. E ci è riuscito. Siamo tutti dei bravi consumatori. Compriamo innumerevoli prodotti di cui non abbiamo veramente bisogno e di cui, fino a ieri, ignoravamo persino l'esistenza. I produttori progettano deliberatamente merci che non devono durare a lungo, e inventano nuovi e inutili modelli di prodotti che andavano benissimo ma che bisogna per forza comprare se si vuole essere "in". Lo shopping è diventato uno dei passatempi più diffusi, e i beni di consumo sono diventati mediatori essenziali nei rapporti tra i membri della famiglia, i coniugi e gli amici. Feste religiose come il Natale sono diventate un festival dello shopping. Negli Stati Uniti persino il Memorial Day, che in origine era una ricorrenza solenne per ricordare i soldati caduti, è ora occasione di saldi speciali. Molte persone scelgono proprio questo giorno per andare a far compere, forse per dimostrare che i difensori della libertà non sono morti invano.
La fioritura dell'etica consumistica si manifesta con particolare evidenza nel mercato alimentare. Le tradizionali società agricole vivevano sotto la spada di Damocle della fame. Nella società opulenta di oggi uno dei principali problemi della salute pubblica è l'obesità, che colpisce i poveri (che si rimpinzano di hamburger e pizza) anche più seriamente dei ricchi (che si nutrono di insalate e frullati di frutta). Ogni anno la popolazione degli Stati Uniti spende più soldi in diete di quanti ne basterebbero per dar da mangiare a tutta la gente che soffre la fame nel resto del mondo. L'obesità rappresenta per il consumismo una doppia vittoria. Invece di mangiare poco, cosa che porterebbe alla contrazione economica, la gente mangia troppo e poi compra anche i prodotti per la dieta, contribuendo doppiamente alla crescita economica."
[...]
"Come possiamo conciliare l'etica consumistica con l'etica capitalistica dell'uomo d'affari, secondo la quale i profitti non dovrebbero mai essere sprecati ma reinvestiti nella produzione? È semplice. Come nelle epoche precedenti, c'è oggi una divisione del lavoro fra le élite e le masse. Nell'Europa medievale gli aristocratici spendevano con noncuranza i propri soldi in lussi stravaganti, mentre i contadini vivevano frugalmente, stando bene attenti a ogni centesimo. Oggi lo schema si è rovesciato. I ricchi si prendono gran cura di gestire bene i propri beni e investimenti, mentre i meno abbienti fanno debiti per comprare macchine e televisori di cui non hanno veramente bisogno.
L'etica capitalistica e quella consumistica sono due facce della stessa medaglia, una fusione di due comandamenti. Il comandamento supremo del ricco è "Investi!" Il comandamento supremo di tutti noi è "Compra!"
L'etica capitalistico-consumistica è rivoluzionaria anche sotto un altro aspetto. Quasi tutti i sistemi etici proponevano agli uomini un patto piuttosto oneroso. Promettevano loro il paradiso, ma solo se gli uomini avessero coltivato la compassione e la tolleranza, vinto la bramosia e l'ira, contenuto i propri interessi egoistici. Per i più, questo era troppo difficile. La storia dell'etica è una storia triste di splendidi ideali a cui nessuno riesce a conformarsi. La maggioranza dei cristiani non ha imitato Cristo, la maggioranza dei buddisti non ha seguito l'esempio di Buddha e la maggioranza dei confuciani avrebbe fatto venire uno scatto di nervi a Confucio.
Per contrasto, quasi tutti oggi seguono con successo l'ideale capitalistico-consumistico. La nuova etica promette il paradiso a condizione che i ricchi restino avidi e trascorrano il loro tempo a fare ancora più soldi, e che le masse diano libero sfogo alle loro voglie e passioni, e comprino di più, sempre di più. Questa è la prima religione nella storia i cui seguaci fanno effettivamente ciò che viene chiesto loro di fare. Ma come facciamo a sapere che in cambio avremo davvero il paradiso? Beh, l'abbiamo sentito alla televisione."

(da Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità, Y. N. Harari)

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