martedì 21 settembre 2021

Nati per credere


Nati per credere è un saggio antropologico pubblicato nel 2008 e scritto da tre personalità di primo piano nell'ambito della scienza e della psicologia: Vittorio Girotto, psicologo cognitivo; Telmo Pievani, filosofo della scienza e biologo; Giorgio Vallortigara, docente universitario di neuroscienze cognitive. È un saggio che, nonostante in alcune parti l'abbia trovato abbastanza complesso, mi ha entusiasmato e che ho letto praticamente tutto in un fiato.

Descrive, in sostanza, i motivi di ordine evoluzionistico e psicologico per cui il nostro cervello tende in maniera innata a fraintendere la teoria di Charles Darwin dell'evoluzione per selezione naturale. Non a fraintendere, in realtà, ma a preferire alla casualità dell'evoluzione della vita, che è alla base della teoria darwiniana, quella del famoso disegno intelligente (divino o naturale che sia). C'è da premettere, a questo proposito, che lo stesso Darwin, che elaborò la sua rivoluzionaria teoria nell'Inghilterra vittoriana di metà Ottocento, questa difficoltà l'aveva ampiamente prevista e messa in conto. In molti passaggi del suo corposo epistolario scriveva esplicitamente di essere conscio che la sua scoperta avrebbe incontrato fortissime resistenze, fino ad accettare e mostrare perfino comprensione nei confronti dei tanti che non l'avrebbero capita e accettata. Perché tutto ciò? Perché era, ed è ancora oggi, una teoria che andava contro il senso comune dell'epoca, metteva in discussione secoli e secoli di pensiero, ormai definitivamente sedimentato, che vedeva nell'origine del mondo, della vita, delle cose non quella casualità oggi definitivamente accertata dalla genetica, dalla biologia, dall'antropologia, ma un progetto concepito da qualcuno o da qualcosa, da una mente suprema.

Nonostante sia passato più di un secolo e mezzo da Darwin, ancora oggi questa resistenza ad accettare il meccanismo evolutivo casuale è diffusissima. Il neo-creazionismo americano, che oggi sta conoscendo una diffusione notevolissima, non è nient'altro che la versione odierna di quel rifiuto generalizzato di accettare l'evoluzionismo di cui parlava Darwin nei suoi scritti. Questo succede perché, come già accennato, il nostro cervello si è evoluto in modo da trovare più facile, più semplice, più gratificante l'idea di un disegno, di un progetto concepito da un dio o comunque da una mente superiore, specie quando il prodotto di questo progetto è particolarmente complesso, come l'uomo o il mondo. Scrive a questo proposito Telmo Pievani: "Se camminando per una brughiera noi incappiamo in un artefatto, per esempio un orologio di pregiata fattura, siamo portati automaticamente a ritenere, in virtù della sua forma e delle relazioni complesse tra le sue componenti, che sia esistito un orologiaio che lo ha progettato e costruito. Sappiamo cioè che si tratta del prodotto di un'attività intenzionale. Se invece inciampiamo in una pietra, siamo autorizzati a pensare che essa si trovi lì da sempre, senza alcuna ragione particolare, per puro caso. Allo stesso modo, quando volgiamo lo sguardo all'universo, ci accorgiamo della sua straordinaria armonia e articolazione, ben superiore a quella di un orologio. Non possiamo che dedurne, a maggior ragione, l'esistenza di una mente suprema che ha progettato l'universo, proprio come l'orologiaio ha progettato il suo congegno. Possiamo adesso articolare lo stesso ragionamento osservando le ingegnose opere della natura sul nostro pianeta, gli adattamenti perfetti delle specie, le forme degli animali: l'organizzazione complessa delle loro parti non può essere il prodotto di un processo casuale come il rotolare di una pietra. È in azione un "disegno intelligente", la cui natura, fatte le debite proporzioni con l'orologio di foggia umana, non potrà che essere divina. La trasformazione delle specie non è negata per principio: l'evoluzione esiste, ma è il frutto di un'intenzione progettuale. Si tratta di un ragionamento intuitivo, immediato, che non richiede di considerare né i tempi lunghi di un processo di trasformazione né una sequenza di meccanismi, ma solo la riconoscenza di fronte allo spettacolo della natura in sé. È una forma di pensiero diretta e persuasiva che risponde all'istinto con cui la mente di ciascuno di noi associa la complessità di un sistema all'esistenza di un progetto e la funzione di un organo a un fine."

Questa descrizione di Pievani del fatto che il nostro cervello associa in maniera automatica la complessità di un sistema all'esistenza di un progettista, mi ha fatto venire in mente un episodio che mi capitò da piccolo e che, in virtù dei misteriosi meccanismi che regolano il funzionamento della selettività della nostra memoria, mi è rimasto impresso fino a oggi. Una domenica pomeriggio stavamo facendo una gita in macchina con tutta la famiglia e la strada, a un certo punto, attraversò un bosco, con le sue varietà di alberi intervallati ogni tanto da prati verdi. Mia mamma, che è sempre stata fervente credente, a un certo punto, mentre ammirava lo spettacolo offerto dalla natura, disse (vado a memoria): "E poi dicono che non esiste Dio. Come fanno a dirlo davanti a tutto questo?" La domanda che fece allora mia mamma mi è tornata in mente più volte proprio mentre leggevo questo libro, quasi a conferma degli assunti esposti dai suoi autori, e cioè l'automatica associazione tra un sistema complesso e un progettista. 

Perché la nostra mente ragiona così? Non c'è una risposta univoca a questa domanda, ma la teoria più accreditata dalla maggior parte degli studiosi è che questo modo di pensare abbia radici nell'evoluzione e sia il frutto di adattamenti che hanno avuto lo scopo di ottenere vantaggi per la specie. Scrivono gli autori (il neretto è mio): "La tendenza a un'iperattribuzione delle caratteristiche di agente e di intenzione sembra un tratto tipico della nostra specie. [...] Noi tendiamo naturalmente ad attribuire segni di intenzionalità simil-umana alle cose più diverse, dalle nuvole agli uragani, dalle rocce ai treni e ai vulcani. È come se fossimo ipersensibili ai segnali di intenzionalità, specialmente a quelli convogliati dal movimento. Ci sono buone ragioni evoluzionistiche per una tale accentuata sensibilità: meglio cauti che morti. È una buona idea, in generale, interpretare un ramo spezzato come segno del recente passaggio di un nemico o di un predatore, cioè di un agente causale, piuttosto che di un fenomeno fisico naturale, come l'azione del vento."

In questo contesto evolutivo si inseriscono anche le nozioni soprannaturalistiche e le credenze religiose, peculiarità esclusive della nostra specie. Dal punto di vista darwiniano le religioni hanno rappresentato una formidabile forma di "collante" che ha permesso a determinati gruppi umani di ottenere vantaggi notevolissimi per se stessi a scapito di altri. Allargando il discorso - questa cosa la scriveva Yuval Noah Harari nel suo libro Sapiens, da animali a dèi, di cui ho parlato qui -, la capacità solo umana di immaginare cose che non esistono, come le religioni, le leggi, le istituzioni, le idee, e di fare sì che attorno ad esse si aggregassero e cooperassero gruppi umani composti da centinaia di migliaia, ma anche milioni, di individui è ciò che ha permesso a noi Sapiens Sapiens di sbaragliare la concorrenza. La nostra specie, in altre parole, ha conquistato il pianeta grazie alla sua immaginazione. Questo, naturalmente, mette in una prospettiva diversa e nuova la questione religiosa. Scrivono gli autori: "Le credenze sovrannaturali affondano le loro radici in alcuni meccanismi, quelli della psicologia intuitiva, che sono parte integrante dei nostri normali processi cognitivi; che sono anzi così importanti da definire la natura stessa della nostra umanità (giacché il modulo per l'attribuzione di stati mentali agli altri individui raggiunge la sua massima sofisticatezza nella nostra specie) e che nel caso in cui siano assenti o deficitari a causa di una patologia, come nell'autismo, rendono problematica la stessa sopravvivenza. Le credenze sovrannaturali, perciò, non devono essere considerate sinonimo di immaturità mentale, bensì il sottoprodotto naturale di una mente che si è evoluta per pensare in termini di obiettivi e intenzioni."

In questo libro, che io ho cercato di riassumere malamente in un post, si cerca in pratica di spiegare perché la nostra mente ragiona così. Quello che oggi la moderna psicologia e antropologia spiegano in maniera chiara ed esaustiva, Darwin l'aveva già intuito nella sua epoca, e furono proprio queste sue intuizioni che lo portarono a predire l'insuccesso e gli enormi ostacoli che avrebbe incontrato la sua scoperta. Paradossalmente, fu proprio un prodotto dell'evoluzione (l'idea intuitiva di un progettista) a rappresentare il maggior ostacolo alla sua comprensione. Ma questo fu, e il fatto che Darwin abbia lottato tenacemente in difesa della sua teoria (le battaglie contro i pregiudizi e contro il comune sentire sono le più difficili da combattere) non ha fatto altro che certificarne la grandezza.

4 commenti:

Luigi ha detto...

Bellissima questa storia. Ma toglimi una curiosità: quanti libri leggi?

Andrea Sacchini ha detto...

In media 70/80 all'anno. Purtroppo ho anche altre cose da fare, tipo lavorare :-(

Ettore Fobo ha detto...

Bello. In tutti i campi predomina il pregiudizio della volontà e il caso spaventa molto perchè ci toglie il controllo illusorio sugli avvenimenti. Ti saluto con un verso del formidabile poeta inglese William Blake: "L'immaginazione non è una facoltà ma l'esistenza stessa".

Andrea Sacchini ha detto...

Bellissimo e profondamente (ed evolutivamente) vero. Grazie.
Ciao, Ettore.

Ritrovamenti

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