Di questa intervista, oltre a techcrunch e cnet, ha parlato Marco Calamari nella sua consueta rubrica su Punto informatico. In sostanza, questa fantomatica impiegata avrebbe fatto alcune dichiarazioni che la dicono lunga su molti aspetti della gestione della privacy e dei dati degli utenti che bazzicano nel noto social network. Per la verità la questione privacy non è nuova in Facebook, e ha sempre accompagnato, spesso con polemiche e proteste - ricordate ad esempio la questione della permanenza sui server dei dati anche dopo la cancellazione di un account? -, lo sviluppo e la sempre crescente notorietà del portale. Scrive Calamari:
Ma la notizia più importante, riferita testualmente nell'intervista, ma che permea anche ogni singola parola e fatto riferito, è che tutto, tutto, quello che un utente fa o carica su Facebook viene memorizzato permanentemente, permanentemente, in una struttura di database facilmente ricercabile e di cui vengono frequentemente salvati snapshot ed effettuate repliche tra i datacenter.
I punti salienti dell'intervista - scrive sempre Calamari - in merito alle presunte pratiche messe in atto da Facebook sono:
- l'esistenza di una master password per qualsiasi account di Facebook;
- impiegati licenziati per aver abusato dell'accesso agli account;
- il vero numero e le abitudini più strane degli utenti di Facebook
- numero, dimensioni e caratteristiche dei datacenter;
- future evoluzioni tecnologiche della piattaforma (HyperPHP);
- peculiarità ed abitudini degli sviluppatori;
- l'immenso database di immagini che Facebook sta accumulando.
Come dicevo, l'attendibilità di questa intervista potrà essere valutata per alcuni aspetti nel prossimo periodo. Si parla infatti, ad esempio, di alcune future evoluzioni tecnologiche della struttura della piattaforma. Se ciò effettivamente avverrà, sarà segno che qualcosa di vero c'è. Nel frattempo non mi sembra comunque il caso di allarmarsi più di tanto; nel senso che è vero che molti utenti questi problemi non se li pongono neppure, e forse quindi sottovalutano un po' la questione, ma è anche vero che la maggior parte di chi decide di utilizzare i vari Facebook, Google e simili, a un pezzo della sua privacy ha comunque rinunciato in partenza.
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