Non hanno suscitato molto clamore, purtroppo, le recenti dichiarazioni del generale Ricardo Sanchez, ex comandante in capo delle forze armate USA in Iraq. "La guerra in Iraq è un incubo senza fine", ha affermato in una dichiarazione riportata dalla BBC e ripresa, poi, qui da noi da Repubblica. Una notizia che è stata accuratamente (chissà come mai) evitata dai telegiornali di casa nostra e che ha trovato un qualche spazio solo in rete.
In sostanza l'alto ufficiale del Pentagono (tra l'altro in carica in Iraq ai tempi dello scandalo di Abu Ghraib) ha affermato davanti al mondo semplicemente quello che è sotto gli occhi dello stesso mondo, e che solo Bush ormai si rifiuta di vedere: la guerra in Iraq è stata ed è un fallimento, sia per come è stata concepita che per come viene condotta. La cosa che fa ridere (si fa per dire) è che si continua a parlare di "dopoguerra", mentre invece la guerra è più che mai adesso.
Una guerra che in poco più di 4 anni ha fatto un'enormità di morti, sia tra gli americani che, ancor di più, tra i civili iraqeni (più di 25.000 vittime solo quest'anno - fonte peacereporter.net - di cui la stragrande maggioranza tra i civili), e che viene condotta - parole dello stesso Sanchez - senza più neanche una precisa strategia, colpendo a vanvera qua e là dove capita a spese quasi esclusivamente dei civili.
Una guerra che ha sfiancato persino gli stessi soldati americani, che si stanno chiedendo (o forse se lo sono sempre chiesti) per cosa stanno combattendo perché non lo sanno più neanche loro (recentemente il New York Times ha pubblicato un articolo - qui - in cui è riportata la pressante richiesta del corpo dei Marines al Pentagono di lasciare l'Iraq e di essere impiegati piuttosto in Afghanistan per "sentirsi più utili").
Una marea di morti, in Iraq, per le quali nessuno mette sul suo sito un vessillo rosso - come avviene per i recenti fatti della Birmania - per cercare di tenere un pò alta l'attenzione su ciò che quotidianamente accade là. Non che non sia giusta e condivisibile l'iniziativa a favore della Birmania, per carità, ma se da una parte abbiamo un popolo che cerca giustamente di tornare alla democrazia dopo anni di oppressione e di angherie da parte di un regime militare che lo ha ridotto alla fame, dall'altra abbiamo quella che è universalmente considerata la più grande democrazia del pianeta che occupa un paese intero e si rende responsabile dell'equivalente di un genocidio sulla base di pure e semplici balle. E di questo nessuno parla quasi più.
Non c'è mai stato un Prodi o un Berlusconi o un D'Alema o un ministro del cavolo qualsiasi (a parte qualcuno della sinistra radicale, prontamente tacciato di essere amico dei terroristi) che sia mai stato folgorato da un barlume di buon senso e abbia chiesto di riportare a casa i nostri militari per evitare di continuare a essere complici di una guerra inutile, ingiusta, bugiarda, messa in piedi con la scusa di togliere dai piedi un dittatore di provincia da 4 soldi, come ce ne sono tanti in giro per il mondo dei quali non frega niente a nessuno.
Nessuno racconta più - probabilmente ormai si tratta di fatti digeriti e metabolizzati (o forse, più semplicemente, scomodi) - che le armi di distruzione di massa, le famose e terribili armi con le quali Saddam se non lo avessero tolto di mezzo avrebbe conquistato il mondo e che sono state il pretesto principe per dare il la alla guerra, non sono mai state trovate per il semplice fatto che non sono mai esistite. Nessuno racconta più, o forse non se ne è neppure mai parlato, della figuraccia di Blair, venuto in possesso nel 2003 - a suo dire - del documento definitivo che provava senza ombra di dubbio il possesso di Saddam delle fantomatiche armi, salvo poi scoprire che si trattava di un falso costruito a tavolino dai suoi collaboratori.
Ma davvero, poi, nessuno ricorda più quando Bush accusava di inefficienza Hans Blix, il capo degli ispettori incaricati di trovare in Iraq le famose armi, semplicemente perché lo stesso Blix aveva candidamente ammesso davanti all'ONU che in Iraq di quelle armi non c'era ombra (difficilmente infatti si riesce a trovare qualcosa che non esiste)?
Quando l'amministrazione americana, infine, ha capito che la balla delle armi di distruzione di massa cominciava a mostrare la corda, ecco che, prontamente, ha messo in campo la seconda balla (forse ancora più grossa della prima), quella dei presunti rapporti tra Saddam e Bin Laden (che neppure si conoscevano), storiella sbugiardata davanti a tutto il mondo da un rapporto redatto addirittura dal Pentagono (quello che invece dovrebbe avere tutto l'interesse a dimostrare il contrario) e reso pubblico dal prestigioso Washington Post. E via di questo passo: un mare (o una montagna, se preferite) di balle messe in fila una dietro all'altra nel tempo, con pervicace ostinazione, al fine di continuare a giustificare quello che non si può giustificare.
Adesso, come dicevo, è arrivato, dopo tanti prima di lui, questo generale del Pentagono a raccontare per l'ennesima volta cosa sta succedendo in Iraq, e anche lui è passato quasi in sordina (almeno qui da noi). D'altra parte ormai si sa: da che mondo è mondo le balle hanno sempre avuto infinita più risonanza dei fatti.
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