Mi è venuta in mente questa cosa mentre leggevo gli ultimi aggiornamenti sul virus partito dalla Cina che sta creando non pochi disagi e preoccupazioni in giro per il globo. Naturalmente mi auguro che l'epilogo sia diverso rispetto a quello del libro.
giovedì 30 gennaio 2020
Coronavirus vintage
Nel 1978 Stephen King pubblicò L'ombra dello scorpione, un tomone di oltre novecento pagine da cui fu successivamente tratto un film diviso in due parti. Il romanzo si inseriva grosso modo nel genere fantascientifico post-apocalittico e narrava la diffusione incontrollata, partita da un laboratorio segreto americano a causa di un errore umano, di un temibile virus che si propagò nel volgere di breve tempo su tutto il pianeta. Il 99% della popolazione non sopravvisse e i superstiti si divisero in due fazioni dando inizio a una guerra tra loro senza esclusione di colpi. Qualcosa che potrebbe assomigliare a The walking dead, per capirci. Lessi quel libro in seconda o in terza superiore invece di studiare, e infatti i risultati poi si videro: vabbe'.
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Chissà come andrà a finire, forse come la SARS.
RispondiEliminaMoz-
La Cina è un paese smisurato, difficile da governare proprio per questo, temo che periodicamente ci arriveranno queste "sorprese".
RispondiEliminaIo comincio a farmi venire l’ansia: prendo la metro e ho figli che ogni giorno vanno e vengono dalla scuola con la metro. Che si fa? Sono andata a comprare le mascherine, non la voglio sottovalutare sta cosa.
RispondiEliminaMa hai comprato quelle made in China? :P
EliminaÈ lo stesso pensiero che io ho avuto per l'Aids e la Sars, però non possiamo dimostrarlo.
RispondiEliminaNon ho idea, in generale, divquanto occorra preoccuparsi di questa cosa. Al momento sembra (ripeto: sembra) che in Italia non ci siano casi, in quanto i due coniugi cinesi a Roma riscontrati positivi al coronavirus non l'hanno contratto qua e sono stati messi subito in isolamento. Vedremo gli sviluppi.
RispondiEliminaInevitale non pensarlo... anche io ho scritto qualcosa al riguardo.
RispondiEliminahttps://leggerevolare.blogspot.com/2020/01/le-grandi-epidemie.html
Io, in generale non starei in ansia più di tanto. Certo, un po' c'è da preoccuparsi, ma occorre tenere a mente alcune cose. Innanzitutto, le vittime cinesi del coronavirus erano per la maggior parte in età avanzata e già colpite da altre patologie. Essere infettati dal virus, poi, non significa essere condannati a morte. Chi viene infettato sviluppa l'equivalente di una "normale" polmonite che in alcuni casi (una minoranza, basta guardare il numero di deceduti rispetto al numero di contagiati) si aggrava fino a diventare resistente ai normali antivirali, qui sta la sua letalità. Il tasso di mortalità, finora stimato al 2,7%, è inferiore a quello di altre epidemie sempre legate al coronavirus, tipo la Sars del 2003. Da quello che si sa finora, il contagio avviene esclusivamente tramite lo scambio di goccioline respiratorie, quindi è necessario che un eventuale persona infetta tossisca in faccia a un'altra per trasmettergli il virus (due persone che, ipoteticamente, si trovino nella stessa stanza respirando normalmente è molto difficile che se lo trasmettano, ad esempio). Infine, per sdrammatizzare un po' e ristabilire un qualche parametro di paragone, basta dire che ogni anno, in Italia, direttamente o indirettamento muoiono dalle 60.000 alle 80.000 persone per inquinamento atmosferico, cioè l'aria che respiriamo nelle nostre città.
RispondiEliminaQuindi, per chiudere, non dico di stare tranquilli, questo no, ma neanche di farsi prendere esageratamente dal panico.
Sono anni che, a ogni nuovo virus che si presenta, qualcuno tira fuori la Spagnola, dicendo che ogni tot anni (non ricordo quanti) si crea un virus letale in grado di sterminare mezzo pianeta, salvo poi scoprire che non è così. Sarà che sto invecchiando, ma quello che dico sempre in questi casi è che di qualcosa dovremo pur morire... (lo so, ho un senso dell'umorismo un po' macabro a volte ^___^)
RispondiElimina"Di qualcosa dovremo pur morire..."
EliminaConcordo in pieno!
Il grande Umberto Galimberti dice spesso, nelle sue conferenze, che noi non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire. :-)
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