domenica 12 gennaio 2020

Non potrei mai fare il barista

In genere sono uno che si adatta, ma se c'è un mestiere che credo non potrei mai fare è il barista. Perché il barista non è solo il tipo che sta dietro il bancone a servire colazioni e bibite ma è anche, a seconda dei casi, psicologo, interlocutore, confessore e via andare. Il logorroico vecchietto che stamattina, appoggiato al bancone del bar, ha intrattenuto il paziente barista ne è l'esempio più lampante. Io ho osservato la scena dal tavolino a cui ero seduto mentre sorseggiavo il cappuccino e sfogliavo il Carlino. E sorridevo.
Il logorroico vecchietto, con la scusa di un caffè, ha cominciato a ricoprire il buon Marco (il barista) con una marea di chiacchiere che abbracciavano un arco temporale che andava dalla sua infanzia, trascorsa giocando con una cassetta di uva mentre i genitori facevano la vendemmia in un podere dalle parti di Roncofreddo, fino alle ultime incazzature con la Fornero. Un arco temporale lungo, eterno, e il povero Marco, stoicamente, se ne è sorbito buona parte. Poi, certo, ogni tanto ha cercato di divincolarsi in qualche modo dalla tentacolare logorrea del vecchietto, mettendosi ad asciugare bicchieri già asciutti, facendo il gesto di dover svuotare la lavastoviglie vuota, andando nell'altra sala fingendo di dover andare a prendere qualcosa con la speranza che nel frattempo il vecchietto demordesse. Niente da fare, lui stava lì ad aspettare che tornasse e riprendeva da dove si era interrotto. Finché, dopo una mezzoretta, è arrivato il fatidico "Adesso è ora che vada." Sollievo.
Una volta uscito, Marco ha appoggiato sul banco lo straccio con cui asciugava i bicchieri già asciutti ed esausto ha dichiarato: "Basta, per oggi ho dato, chiudo e vado a casa." Al che io gli ho fatto notare, ridendo, che quello di barista non è solo un mestiere ma anche una missione, e che lui deve un po' calarsi nei panni del missionario. Mi ha cortesemente mandato a cagare.
Ecco perché, dicevo, io non potrei mai fare il barista: non ho la vocazione del missionario e ho pochissima pazienza; se a questo aggiungiamo la mia indole caratterizzata da una certa misantropia, il cerchio si chiude.

11 commenti:

  1. Questo succede solo nei bar dove il barista conosce i clienti. Del resto i barman nei grandi alberghi sono quasi dei confessori. Ne conosco uno che mi racconta certe cose...

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    1. Sì, in effetti il bar qui a fianco a casa mia è piccolino e bene o male ci si conosce un po' tutti.

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  2. In effetti, i lavori "frontali" sono tutti un po' così, in bene e in male.
    L'importante è che non si esageri come cliente, ma è anche giusto che un barista sappia interpretare, ascoltare e accogliere i propri clienti.
    Fa parte del gioco, del lavoro^^

    Moz-

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    1. Il problema è che, spesso, il cliente non si accorge quando esagera :)

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  3. Tutti i lavori a contatto con le persone diventano lavori di immensa pazienza, condita da ascolto, attenzione e dialogo in una parola empatia. Ciao Andrea, buona fine di domenica.
    sinforosa

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  4. Bar in cui dai del "tu".
    Una battuta storica in un bar dove andavo a Sarzana: l'avventore alla bella barista: "Se salto il bancone non sai cosa ti faccio!" . E lei : "E cosa vuoi fare? Laverai due tazze!". Steso!

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  5. Credo dipenda molto dal luogo, se come da te vi conoscete un po' tutti è facile che fare il barista sia quasi una missione, altrimenti nelle città in generale il barista ti chiede l'ordinazione te la serve e stop.

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  6. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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