venerdì 17 gennaio 2020

E il Signore parlò a Mosè


Riemergo adesso dalla lettura di questo bellissimo saggio storico scritto dal docente di Studi religiosi ed Ebraismo alla Brown Univesity (Rhode Island) Michael Satlow. Un libro appassionante appunto perché è un saggio storico e a me la storia piace. Naturalmente è impossibile riassumere in un post ciò che l'autore scrive in oltre 450 pagine, quindi mi limito ad annotare brevemente alcuni concetti tra i tanti che hanno attirato la mia attenzione.

L'opera in questione si snoda su un arco temporale che parte dal regno settentrionale di Israele del XI secolo avanti Cristo e termina nella Galilea del III dopo Cristo, periodo nel quale, tra infinite vicissitudini, è nata, si è diffusa e ha assunto una forma più o meno definitiva e sacra la Bibbia, il testo fondamentale di riferimento per gli ebrei e i cristiani. A dire il vero, dal punto di vista storico non è che ci sia granché da dire. Sotto questa luce, infatti, la Bibbia non è nient'altro che uno dei tanti libri di storia che ogni popolo della terra ha scritto per narrare le proprie vicende. Quando si pensa a un libro, o meglio come in questo caso un insieme di libri, che vengono definiti sacri e forieri di una rivelazione divina, si pensa generalmente a degli scritti che hanno una loro coerenza, una loro definita linea narrativa e, perché no?, una loro bellezza. La Bibbia non ha nessuna di queste caratteristiche. Per rendersene conto basta leggere anche solo il Pentateuco, ossia i primi cinque libri partendo dal Genesi, quelli che le tradizioni cristiana ed ebra attribuiscono a Mosè. Si tratta di narrazioni incoerenti tra loro, raffazzonate, contraddittorie, e anche contraddistinte da una notevole ineleganza narrativa.

La cosa si spiega in maniera abbastanza semplice. La Bibbia è infatti il prodotto di "assemblaggio" di testi diversissimi tra loro vergati nel corso di secoli, testi che sono stati riscritti, tradotti, modificati, cambiati totalmente, allungati, accorciati, e tutto questo perché i testi biblici erano prodotti da scribi per altri scribi, e per un certo numero di secoli queste rielaborazioni sono state eseguite per meri scopi accademici, cioè si imparava a leggere e a scrivere (quei pochi a cui era concesso) e ci si faceva una cultura in questo modo. Nelle epoche in cui sono stati redatti, infatti, nessuno sapeva leggere, la lettura e la scrittura erano appannaggio delle classi più elevate, sia socialmente che economicamente (scribi, farisei, sadducei, sommi sacerdoti ecc.), mentre la stragrande maggioranza della popolazione non sapeva né leggere né scrivere. Paradossalmente, le vicende riguardanti il popolo ebreo narrate in quei testi erano praticamente sconosciute alla quasi totalità del popolo oggetto di quegli scritti. E questa situazione resterà invariata sostanzialmente fino a tutto il primo secolo dopo Cristo: la lettura e la scrittura rimanevano prerogativa di pochi eletti, la stragrande maggioranza della popolazione continuava a vivere nella sua ignoranza. Questa cosa, scrive l'autore, è corroborata anche da alcuni passi dei Vangeli. Quando Gesù si mette a spiegare a chi si trova nei paraggi passi delle scritture, si rivolge sempre agli astanti dicendo: "Avete inteso/udito che fu detto...", mai "avete letto che fu detto...", proprio perché nessuno sapeva leggere.

Dal momento che i pochi eletti che scrivevano e riscrivevano quei testi lo facevano sostanzialmente per altri pochi eletti e non per le masse, i verganti scrivevano sostanzialmente ciò che volevano, spesso producendosi in esercizi di vera e propria libera narrativa. I testi biblici non sono mai stati considerati sacri fino a tutto il terzo secolo dopo Cristo e la loro autorità fino a quel momento era di carattere escusivamente oracolare. La sacralità venne istituita più o meno in epoca medievale per ragioni principalmente di prestigio sociale e potere. Oggi, sia gli ebrei che i cristiani, accettano pacificamente (gli ebrei un po' meno, a dire il vero) la matrice divina di quei testi e la loro valenza profetico-messianica, pur sapendo che i canoni "definitivi" sia dell'antico che del nuovo testamento sono stati codificati solo attorno al X secolo dopo Cristo, e pur sapendo che i testi che vengono definiti canonici sono composti da codici selezionati (con quale criterio non è chiaro ma è intuibile) tra migliaia trovati e scartati. Il Nuovo testamento ne è l'esempio più vicino. I quattro vangeli canonici sono infatti stati scelti tra centinaia di codici, di cui non ne esitono due uguali.

Essendo tutta questa massa di letteratura stata prodotta nel corso dei secoli da personaggi sconosciuti, non hanno alcuna attendibilità neppure le attribuzioni, che sono invece state concesse per "tradizione" e non certo per documentazione. In sostanza, e questo più o meno è noto anche a chi non ha dimestichezza con questi argomenti, non c'è un solo versetto sia del vecchio che del nuovo testamento di cui si possa dire con certezza da chi sia stato scritto. Anche qui, niente di nuovo, dato che la stessa Chiesa cattolica ammette pacificamente che i quattro vangeli canonici sono stati attribuiti a Marco, Matteo, Luca e Giovanni arbitrariamente ma nessuno sa chi li abbia scritti. Satlow, tra i tanti esempi che porta, cita, riguardo all'antico testamento, il libro di Isaia. Questo libro si compone di circa una sessantina di sottolibri, se così si può dire. I primi 39, come scrive la stessa Commissione Pontificia, sono stati attribuiti a Isaia "perché non esistono motivi seri per dubitare che non li abbia scritti lui" (motivazione sostanziosa, no?); i libri dal 40 al 60 sono invece attribuiti al cosiddetto Deutero-Isaia (chiunque esso sia), che scrive una sessantina di anni dopo il primo; i libri dal 60 al 66 al Trito-Isaia (chiunque esso sia), e tutto questo nell'arco di due secoli. Tutto questo guazzabuglio viene però attribuito a Isaia.

Quindi, per tirare un po' le somme, antico e nuovo testamento non sono altro che una serie di testi prodotti lungo i secoli da autori sconosciuti, e poi cambiati, modificati, riscritti, tradotti innumerevoli volte, e dopo un lunghissimo processo (comprese guerre con morti e feriti) sono stati in qualche modo codificati in un canone e oggi vengono considerati sacri e forieri di rivelazione divina e verità fondamentali. Alla fine, la parte più bella del libro non è neppure questa, dal momento che tratta di cose che sono più o meno note, ma la parte storica, ossia la narrazione delle travagliate e interessantissime vicende politiche, belliche e geoterritoriali che hanno caratterizzato la lunghissima storia di quella martoriata (già allora) zona di Medio oriente.

5 commenti:

  1. Ci sarebbe poi da aggiungere che la Bibbia non è la stessa per tutti, confessioni diverse adottano versioni diverse.

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    1. Sì, ogni confessione adotta la sua "versione", diciamo così, nel senso che dell'insieme totale dei libri che compongono la Bibbia, le varie confessioni ne riconoscono alcuni e ne disconoscono altri; ognuno, insomma ha il suo particolare canone. Un elenco di questi canoni è qui.
      Una curiosità. Qui in Europa, tra il 1200 e il 1800 circa, chi veniva trovato in possesso della Bibbia poteva cadere nelle grinfie della Santa Inquisizione. Le Bibbie che circolavano erano generalmente in latino e quelle non impensierivano più di tanto, perché il latino era la lingua dei nobili e la maggior parte delle genti non lo conosceva. Circolavano però delle versioni della Bibbia tradotte in volgare e leggibili da tutti. Ecco, chi veniva trovato in possesso di queste incorreva nelle ire dell'Inquisizione.

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  2. Un testo davvero interessante. Ciao Andrea.
    sinforosa

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  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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