sabato 30 novembre 2019
Rubare ai poveri
Dice Salvini che il Mes ruba ai ricchi per dare ai poveri. Al di la' delle patetiche e idiote semplificazioni, quelle semplificazioni tanto amate da gran parte delle italiche genti, notoriamente refrattarie al pensiero critico ma anche al pensiero in generale, ci sarebbe da far notare che anche la famigerata flat tax ad aliquota unica, come pensata in origine dalla Lega, non e' esattamente uno strumento che agevola i poveri rispetto ai ricchi. Ma lasciamo pure perdere: tentare di spiegarlo all'elettore medio leghista sarebbe il non plus ultra della perdita di tempo.
The Wall, quarant'anni dopo
In questi giorni cade il quarantennale dell'uscita di The Wall, dei Pink Floyd. The Wall e' l'album che mi ha fatto conoscere e amare la leggendaria band inglese capitanata da Roger Waters prima e David Gilmour poi (prima di Waters c'era Syd Barrett, uscito pero' di scena poco dopo la fondazione del gruppo per problemi di droga). Quando usci' l'album io avevo nove anni ed ero un timidissimo bambino all'ultimo anno di elementari, che se le cavava bene nei temi e male a far di conto e che di musica ancora non si interessava. I Pink Floyd li avrei conosciuti qualche anno dopo, per puro caso.
Durante il primo anno di superiori - nel frattempo un po' della timidezza delle elementari se n'era andata, ma appena un po' - divenni particolarmente amico di un tale Alberto, di cui non ricordo il cognome e neppure so che fine abbia fatto, e capitava spesso che il pomeriggio andassi a casa sua; ufficialmente per studiare, in realta' per cazzeggiare (le pagelle di entrambi fornivano ampio riscontro di questo cazzeggio improduttivo). Alberto aveva un fratello piu' grande di cui non so piu' il nome, se mai l'abbia saputo, che era appassionato di musica e che nella sala aveva un impianto stereo notevole corredato di un nutrito numero di vinili. Ogni volta che arrivavo a casa sua, aveva sul piatto questo vinile. Una volta gli chiesi di chi fosse quella musica e lui mi rispose: "Boh, non lo so, sulla copertina si vede solo il disegno di un muro, non ci sono scritte."
"Eh, ho capito," gli risposi io, "ma e' un album doppio, all'interno della copertina ci sara' scritto qualcosa, no?"
"Si', ma chi se ne frega! L'importante e' che non mi becchi mio fratello: se scopre che vado attorno ai suoi dischi..."
Insomma, come e' e come non e', a forza di ascoltare quell'album, seppure a pezzetti - Alberto selezionava solo i pezzi che piacevano a lui - ne memorizzai lentamente le tracce: Mother, Young lust, Another brick in the wall, Hey you, The trial... e non lo abbandonai piu'. Poi, naturalmente, a mo' di slavina venne tutto il resto: Wish you were here, The dark side of the moon, The final cut... e oggi, quarant'anni dopo, i Pink Floyd sono ancora li' a tenermi graditissima compagnia. Quel tipo di compagnia a cui sono collegati ricordi di una giovinezza ormai andata, che si rifanno vivi ad ogni ascolto.
Dalla ringhiera
La donna con l'impermeabile imboccò la scalinata, ricavata nella roccia, che conduceva al piccolo terrazzino dirimpetto sul mare. Era un terrazzino piccolo, pochi metri quadrati, una specie di nicchia, delimitato da una ringhiera in ferro arrugginita in molti punti. Era una mattinata fredda e umida, la foschia aleggiava tutt'intorno e il mare era visibile solo a tratti. In lontananza si sentivano stridere i gabbiani. La donna si avvicinò alla ringhiera bagnata e vi appoggiò sopra una mano, ma la ritrasse immediatamente: era fredda e bagnata. C'erano un tavolino di legno e alcune sedie, al centro del terrazzino, e sopra il tavolo c'era un portacenere di plastica con ai lati impressa la marca di una birra, vestigia di una estate ormai andata in cui sul quel terrazzino si consumavano animate bisbocce serali. Il tavolino era infarcito di scritte, incise con coltellini o chiavi dalla marea di maleducati in circolazione che si credono gli Ungaretti del terzo millennio: date, frasi, citazioni, oscenità, insulti, promesse d'amore eterno, cuori trafitti dalle tante frecce che un instancabile Cupido si ostina ancora a lanciare su questa terra, probabilmente ignorando che gran parte di quelle frecce continuano a rivelarsi buchi nell'acqua.
La donna si sedette su una sedia e si accese una sigaretta. Il fumo azzurrognolo si mescolava alla foschia. Ogni tanto nella foschia si apriva qualche squarcio ed era possibile vedere scorci di mare, un mare grigio come quella giornata. Le venne in mente una canzone, di cui non ricordava il titolo, in cui si parlava del mare d'inverno come di un concetto che il pensiero non considera, e pensò che il mare d'inverno ha invece un fascino particolare che gran parte della gente tende a ignorare.
Con la stessa rapidità con cui si era aperto, quel breve squarcio di visibilità si richiuse. La donna distolse lo sguardo e fissò il fumo azzurrognolo che saliva dalla sigaretta disperdendosi nella foschia. E ripensò al pomeriggio del giorno prima, quando quell'uomo le si avvicinò con la scusa di chiederle se sapesse dove fosse il bagno. Avrebbe potuto chiederlo al barista, ma lo chiese a lei, un modo come un altro, neanche dei più originali, per intavolare una conversazione con una sconosciuta che prende un caffè al bar. Lei glielo indicò e lui la ringraziò, chiedendole se al suo ritorno l'avrebbe trovata ancora seduta lì. Lei gli rispose di no. "Peccato" le disse lui con un sorriso rassegnato, e si avviò. Sì, peccato, pensò la donna. Poi si alzò e se ne andò.
Si aprì un altro squarcio nella foschia e la donna abbandonò quei pensieri, tornando sul terrazzino. Spense la sigaretta nel portacenere che reclamizzava la marca di una birra, si alzò e, prima di andarsene, diede un'ultima occhiata a quel mare grigio che stava al di là della ringhiera, e ai gabbiani che volteggiavano e stridevano forte.
venerdì 29 novembre 2019
Venerdì mattina presto
C'è una barista nuova, stamattina, da Urbinati. Una ragazza bionda che mi fa venire in mente quella "dietro al banco che mischiava birra chiara e Seven Up, bionda senza averne l'aria" di una celebre canzone di Guccini. Cioè, mi fa venire in mente quella canzone, non la ragazza, dal momento che Guccini non la descrive.
La radio passa Bella senz'anima di Cocciante, la bella e dannata a cui Cocciante intima di spogliarsi "come sai fare tu", ché tanto lui non ci casca più. Ma qui non si spoglia nessuno. C'è nebbia fitta, fuori del bar, e le figure che passano sulla strada, tutte belle imbacuccate, compaiono e scompaiono da quella nebbia come spettri in un romanzo di King.
C'è un tipo, due tavolini di fianco a me, che sembra quasi addormentato, il marsupio gli è caduto per terra. Il tipo classico che si incontra nei bar notturni.
Vabbe', vado al lavoro. Buon venerdì a chi passerà di qui.
mercoledì 27 novembre 2019
Tutti promossi
Leggo che alla maturità di quest'anno i promossi sono stati il 99,6% degli studenti ammessi, addirittura in aumento rispetto al 2018. A me piacerebbe chiedere a qualcuno di quello 0,4% come ha fatto a farsi bocciare, quanto impegno ci ha dovuto mettere.
Scherzo, naturalmente, ma mi chiedo quale sia la ratio di queste promozioni di massa. E non mi venite a dire che quel quasi 100% di promossi è effettivamente composto dagli studenti bravi, volenterosi e studiosi, perché non ci credo. Lì in mezzo ci saranno, equamente divisi, quelli che si sono impegnati durante i cinque anni e quelli che non hanno fatto niente, e che senso ha che quelli che non hanno fatto niente vengano promossi come quelli che si sono impegnati? Non è il segno più evidente del fallimento della scuola?
Scherzo, naturalmente, ma mi chiedo quale sia la ratio di queste promozioni di massa. E non mi venite a dire che quel quasi 100% di promossi è effettivamente composto dagli studenti bravi, volenterosi e studiosi, perché non ci credo. Lì in mezzo ci saranno, equamente divisi, quelli che si sono impegnati durante i cinque anni e quelli che non hanno fatto niente, e che senso ha che quelli che non hanno fatto niente vengano promossi come quelli che si sono impegnati? Non è il segno più evidente del fallimento della scuola?
In un mondo perfetto
Sto pensando che in un mondo perfetto non sarei qui in azienda a fare la pausa pranzo, ma sarei un recensore di libri, magari remunerato. Cioè, invece di passare otto ore in magazzino passerei otto ore a leggere libri per poi magari scriverne le recensioni. Questo sì che sarebbe un bel mestiere. Ma i mondi perfetti, si sa, non esistono.
lunedì 25 novembre 2019
Violenza sulle donne, non c'entra il raptus
Siamo abituati a sentir parlare, a ogni caso di femminicidio, di raptus, scatti incontrollabili di follia omicida e simili. E sinceramente non ho mai pensato che il cosiddetto raptus fosse invece una banale giustificazione e la causa reale fosse la mancata educazione ai sentimenti di "uomini cresciuti come bestie."
domenica 24 novembre 2019
Rimini non abbocca
Poi magari l'Emilia-Romagna te la prenderai, e anzi i sondaggi ti danno avanti di cinque/sei punti. Ma io, vivaddio, sarò sempre dall'altra parte. E fortunatamente non da solo.
(fonte immagine: newsrimini)
Doctor Sleep
Cosa si fa nelle domeniche pomeriggio piovose? Si comincia a leggere il seguito di Shining. Ovvio, no?
Ius soli (ma siamo ancora in grado di pensare?)
Un bambino che nasce a Santarcangelo (o dove volete voi), va a scuola a Santarcangelo, si crea un giro di amicizie a Santarcangelo, impara il dialetto santarcangiolese, mangia la piadina col prosciutto, mi spiegate perché non può avere la cittadinanza italiana? E perché se la dovrebbe guadagnare, come spesso ripetono Salvini, Meloni e soci? E Salvini e Meloni e soci cosa hanno fatto di particolare per guadagnarsela, la cittadinanza, oltre a essere nati in Italia? Ma in questo paese siamo ancora in grado di pensare, di stabilire un seppur embrionale processo sinaptico in grado di valicare la ormai generalizzata atrofizzazione dei cervelli?
Il professore anti-sardine
A parte tutto il resto, di cui si è già ampiamente parlato, il solo fatto di mettere cinque puntini di sospensione alla fine di un periodo è per me già motivo più che sufficiente per qualificare un professore di italiano e storia.
sabato 23 novembre 2019
Canzoni al pianoforte
Ogni tanto mi capita di avere una canzone che mi frulla per la testa. Il problema è che per ascoltarla dovrei per prima cosa ricordare il nome, poi andare a cercare il relativo CD tra le centinaia ammassati nella sala e accendere l'impianto stereo. Faccio molto prima a mettermi al pianoforte e accennarla lì.
La cultura sta in fondo
Non so chi ancora legga i giornali. Quelli che lo fanno si saranno sicuramente accorti che le pagine della cultura stanno sempre in fondo. Si comincia con una decina di pagine dedicate alla politica, un'altra decina alla cronaca (specie la nera, quella che tira di più, anzi più nera è e meglio è), poi c'è l'angolo della posta, poi le cronache locali (su Il resto del Carlino, ad esempio, l'inserto "Rimini"), poi arriva lo sport con un'altra bella decina di pagine, infine ecco un paio di paginette, quando va bene, di cultura: qualche frettolosa recensione degli ultimi libri usciti, una intervista a un famoso direttore d'orchestra e poco altro. La pubblicità va considerata a parte, dal momento che è presente in ogni pagina. Ecco, se uno si vuole fare un'idea di come è organizzata la nostra società, è sufficiente che sfogli un quotidiano qualsiasi, ne è lo specchio esatto.
venerdì 22 novembre 2019
[...]
Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perchè con questa spada vi uccido quando voglio.
Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria, ma non avete scorza; godetevi il successo, godete finchè dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe. Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna. Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!
Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte, tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese. Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato; coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!
Ma quando sono solo con questo naso al piede, che almeno di mezz'ora da sempre mi precede, si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore che a me è quasi proibito il sogno di un amore; non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, per colpa o per destino le donne le ho perdute, e quando sento il peso d' essere sempre solo mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo. Ma dentro di me sento che il grande amore esiste, amo senza peccato, amo, ma sono triste perchè Rossana è bella, siamo così diversi, a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...
Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita; se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l'avete già tradito, e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali; tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti. Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada, ma in questa vita oggi non trovo più la strada. Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo, tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo: dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto. Non ridere, ti prego, di queste mie parole, io sono solo un' ombra e tu, Rossana, il sole, ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora ed io non mi nascondo sotto la tua dimora perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano, se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano
Venerdì
Stessa ora e stessa situazione di venerdì scorso, perché nella vita abbiamo bisogno anche di ritualità. Manca solo la signora tititi che vuole cappuccino di soia e pasta vegana. Scrivo da un tavolino del bar deserto, alla radio Vasco Rossi dice che vuole una vita spericolata, e quindi adesso vado anch'io a farmi le ultime otto, spericolate ore di lavoro prima del weekend, altre otto ore di questa vita scandita a botte di otto ore alla volta.
Vabbe', buon venerdì a chi passerà di qui.
giovedì 21 novembre 2019
Tutti sapevano
Quindi, non solo la società che gestiva l'autostrada sapeva fin dal 2014 che il ponte Morandi era a rischio crollo, ma dal 2015 ne era al corrente anche il ministero delle Infrastrutture. Ricapitolando, TUTTI sapevano da anni com'era messo quel ponte ma ciò non ha impedito che l'anno scorso crollasse portandosi via tutte quelle persone. Ma cosa vogliamo sperare, se siamo a questo punto?
L'Italia araba
Difficile condensare in un post la bellezza di questo saggio, che ho terminato poco fa dopo averlo letteralmente divorato. Anche se ci provassi, non saprei da dove cominciare. Molto brevemente, posso dire che si tratta di un viaggio nel nostro passato, un passato che muove a partire dalla metà del VII secolo, quando le prime navi more e saracene fecero la loro apparizione al largo delle nostre coste, mentre già l'Islam stava espandendosi velocemente verso Oriente e verso il nordafrica, e l'Italia meridionale era ancora bizantina mentre al nord c'erano i Longobardi.
Un viaggio che parte da Palermo - la Sicilia resterà sotto la dominazione musulmana per duecento anni, fino all'invasione normanna del XII secolo - per poi toccare Campania, Puglia e risalire quindi l'Adriatico fino a Venezia, la prima porta che dà sull'Oriente. Non esiste città italiana che non sia stata toccata da questa invasione e che non ne rechi tracce più o meno evidenti: da Palermo ad Amalfi, da Otranto a Bari a Fano, e poi Roma, Bologna, Torino, Venezia.
Secoli in cui lo stivale è stato terra di una ricchissima "mescolanza mediterranea" fatta di uomini, donne, viaggiatori, mercanti, ma anche oggetti, spezie, cibi, gioielli, tessuti, libri, racconti, idee, lingue, tutto ciò che ha contribuito a forgiare quella che oggi comunemente definiamo tradizione italiana.
Accenno solo due curiosità tra le più interessanti, ma non ditelo a Salvini. Il risotto allo zafferano (o risotto alla milanese) è una ricetta araba. Il riso fu infatti portato in Europa dai saraceni nel XII secolo, e a Milano arrivò dopo aver attraversato lo stivale. Lo stesso termine zafferano deriva dall'arabo za'faran, in persiano zaâfara, termini che stavano a indicare la pianta da cui appunto si ricava lo zafferano.
Amalfi, la celeberrima città dell'omonima costa, è un termine arabo che significa "qui sta la speranza" e le venne dato quando, durante il regno di Salerno, navigatori di quella costa veleggiarono verso Il Cairo, Alessandria e molte città della costa mediterranea, intessendo un fitto traffico di merci, ma anche di usi, costumi, tradizioni.
Il libro si concentra sulla storia araba del nostro paese, ma per lo stivale non sono passati solo i musulmani, sono passati gli angioini, i tedeschi, gli austriaci, gli spagnoli, i francesi, e ogni popolo che è passato ha lasciato qualcosa di sé. Quindi, quando sentite qualcuno blaterare di identità italiana, difesa delle tradizioni et similia, fate una bella risata e ditegli di leggere qualche libro.
Libera, nos Domine
Da morte nera e secca, da morte innaturale,
da morte prematura, da morte industriale.
Per mano poliziotta, di pazzo generale,
diossina o colorante, da incidente stradale.
Dalle palle vaganti d'ogni tipo e ideale,
da tutti questi insieme e da ogni altro male,
libera, libera, libera, libera nos Domine!
Da tutti gli imbecilli d'ogni razza e colore,
dai sacri sanfedisti e da quel loro odore,
dai pazzi giacobini e dal loro bruciore,
da visionari e martiri dell'odio e del terrore.
Da chi ti paradisa dicendo "è per amore",
dai manichei che ti urlano "o con noi o traditore!",
libera, libera, libera, libera nos Domine!
Dai poveri di spirito e dagli intolleranti,
da falsi intellettuali, giornalisti ignoranti,
da eroi, navigatori, profeti, vati, santi,
dai sicuri di sé, presuntuosi e arroganti.
Dal cinismo di molti, dalle voglie di tanti,
dall'egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti,
libera, libera, libera, libera nos Domine!
Da Te, dalle tue immagini e dalla tua paura,
dai preti d'ogni credo, da ogni loro impostura,
da inferni e paradisi, da una vita futura,
da utopie per lenire questa morte sicura.
Da crociati e crociate, da ogni sacra scrittura,
da fedeli invasati d'ogni tipo e natura,
libera, libera, libera, libera nos Domine.
mercoledì 20 novembre 2019
Birba e Sissi
La gatta rossa che ronfa tra le mie gambe è Sissi, quella nera attaccata alla mia coscia è Birba (nomi scelti dalle mie figlie quando le portammo a casa). Sono due gemelle, hanno dodici anni e da dodici anni, ogni volta che mi spaparanzo per leggere, subisco questa specie di assedio. Che in fondo non mi dispiace.
Un anno senza Silvia Romano
I commenti più gettonati sono grosso modo tutti dello stesso tenore: Se fosse rimasta a casa non le sarebbe successo niente. Certo, magari sarebbe stato così, ma magari no, chi può dirlo con certezza? Anche Cristoforo Colombo sarebbe potuto restare a casa sua, e noi non avremmo avuto le patate, le melanzane, i pomodori e tutto il resto. Invece no, lui doveva andare là, c'era quel tarlo che non gli dava pace, non lo faceva vivere, doveva scoprire cosa c'era al di là del mare. Anche Marco Polo avrebbe potuto continuare a fare la spola tra Venezia e Chioggia, come facevano tutti i ragazzetti della sua età. E invece no, sentiva che c'era qualcosa di più grande, di immensamente più grande di quel noioso tran-tran ed è andato a scoprire cosa fosse, e noi abbiamo avuto le spezie, la seta, le porcellane.
Silvia Romano, fresca di laurea, avrebbe potuto adagiarsi in una comoda vita all'insegna della più tranquilla normalità, magari in un noioso lavoro in qualche ufficio, cartellino da timbrare all'entrata e all'uscita, e poi il giro di amici, la pizza il sabato sera, i genitori e tutto il resto. E invece c'era qualcosa che la chiamava là e ha seguito quel richiamo, sicuramente mettendo in conto i rischi a cui sarebbe andata incontro. Ma ci è andata lo stesso. Incosciente? No, viva. C'è un bellissimo pezzo di Franco Battiato: L'animale. "Ma l'animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai, si prende tutto, anche il caffè, mi rende schiavo delle mie passioni. E non si arrende e non sa attendere. L'animale che mi porto dentro vuole te."
Gli antichi greci chiamavano quel tarlo eudaimonia, che significa buona riuscita del tuo dèmone. Il dèmone è la vocazione, diremmo oggi, ciò per cui si è portati, la realizzazione del quale è la chiave per raggiungere la felicità. Avete mai visto una foto di Silvia, delle tante che girano in rete, in cui non si mostri sorridente e felice? Eh, certo, fosse rimasta a casa, buona e tranquilla, non si sarebbe cacciata in questo pasticcio, ma magari non sarebbe stata neppure felice, aggiungo io. Quelli che pensano in questo modo sono quelli che vedono nel desiderio un pericolo. Diceva Giles Deleuze che il desiderio è potenzialmente rivoluzionario, perché chi desidera non è mai contento, non gli stanno bene le cose come sono, le vuole cambiare.
Silvia Romano, fresca di laurea, avrebbe potuto adagiarsi in una comoda vita all'insegna della più tranquilla normalità, magari in un noioso lavoro in qualche ufficio, cartellino da timbrare all'entrata e all'uscita, e poi il giro di amici, la pizza il sabato sera, i genitori e tutto il resto. E invece c'era qualcosa che la chiamava là e ha seguito quel richiamo, sicuramente mettendo in conto i rischi a cui sarebbe andata incontro. Ma ci è andata lo stesso. Incosciente? No, viva. C'è un bellissimo pezzo di Franco Battiato: L'animale. "Ma l'animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai, si prende tutto, anche il caffè, mi rende schiavo delle mie passioni. E non si arrende e non sa attendere. L'animale che mi porto dentro vuole te."
Gli antichi greci chiamavano quel tarlo eudaimonia, che significa buona riuscita del tuo dèmone. Il dèmone è la vocazione, diremmo oggi, ciò per cui si è portati, la realizzazione del quale è la chiave per raggiungere la felicità. Avete mai visto una foto di Silvia, delle tante che girano in rete, in cui non si mostri sorridente e felice? Eh, certo, fosse rimasta a casa, buona e tranquilla, non si sarebbe cacciata in questo pasticcio, ma magari non sarebbe stata neppure felice, aggiungo io. Quelli che pensano in questo modo sono quelli che vedono nel desiderio un pericolo. Diceva Giles Deleuze che il desiderio è potenzialmente rivoluzionario, perché chi desidera non è mai contento, non gli stanno bene le cose come sono, le vuole cambiare.
C'è una ragazza che abita qua vicino a casa mia, medico, laureata da poco. È partita per il Mozambico con Medici senza Frontiere, perché quel tarlo, quell'animale "che ci portiamo dentro" non le dava pace. Incosciente? Può darsi. Ma la storia l'hanno fatta quelli che sono andati, non quelli che hanno timbrato un cartellino per trent'anni.
martedì 19 novembre 2019
Sardine
Quindi, ora, abbiamo queste sardine, nome, se vogliamo, a prima vista abbastanza divertente per identificare un movimento politico. Che poi non è neanche un movimento politico, a ben vedere, si tratta semplicemente - Il Post lo spiega bene qui - di aggregazione spontanea apartitica, organizzata col passaparola via social, nata con l'intento di contrastare per quanto possibile l'avanzata verde in Emilia-Romagna e di manifestare nella maniera più pacifica ma più determinata possibile il dissenso nei confronti del leader della Lega e di tutto ciò che rappresenta.
Mi piacciono questi ragazzi, mi piace quello che stanno facendo e come lo stanno facendo, anche se, realisticamente, non nutro eccessive speranze sul fatto che possano in qualche modo influire sul risultato elettorale di gennaio. Lo spero, ovviamente; l'idea che anche la mia regione possa aggiungersi all'elenco di quelle conquistate dal partito del felpato mi preoccupa non poco. Ma la storia insegna che un conto sono le manifestazioni di piazza, anche molto partecipate, un altro paio di maniche è l'esercito silenzioso che si riversa poi nelle cabine elettorali.
Il ragazzo intervistato nel video del Post, uno dei quattro giovani che insieme hanno ideato il tutto, dice che la caratteristica che li accomuna è il credere nell'utopia. Bellissima, questa frase. Sa il cielo quanto abbiamo bisogno di utopie, oggi.
L'Italia araba
Mi è capitato per caso in mano questo saggio e non ho resistito: l'ho portato a casa. È uno di quei libri che, come si intuisce già dal titolo, potrebbe far venire l'orticaria a Salvini, e questo è già un motivo più che sufficiente per leggerlo.
Non è infatti un mistero, tranne che per i suoi seguaci, notoriamente refrattari ai libri e a qualunque rudimento di storia, che la nostra penisola, posta al centro del Mediterraneo, abbia in passato avuto molto a che fare con la cultura e il mondo musulmani, nella forma degli arabi, dei turchi, dei persiani, e non solo limitatamente alla Sicilia o alla Puglia ma a gran parte del territorio. E tantissime tracce sono rimaste di quella cultura, che tra il 1000 e il 1100 era infinitamente più sviluppata della nostra (Tommaso D'Acquino studiava sui classici greci che venivano tradotti dai musulmani in latino, giusto per fare un esempio), tracce spesso nascoste, mascherate o volutamente dimenticate.
Lo inizio a leggere con la stessa, come dire?, tensione positiva che avverto ogni volta che comincio un libro.
lunedì 18 novembre 2019
Poe che diverte
Mi sono imbattuto in un racconto intitolato Vita letteraria di Thingum Bob, ultimo direttore del Ghoosetherumfoodle, narrata dallo stesso, contenuto nella raccolta di novelle Racconti del terrore, di Edgar Allan Poe, che sto leggendo in questi giorni. La peculiarità di questo scritto, in cui si narrano le vicende di un aspirante, improbabile poeta e del direttore di un periodico letterario, è che è un racconto divertente che mi ha fatto fare delle belle risate. Curiosissima, questa cosa. Imbattersi in un racconto divertente di Poe è un po' come imbattersi in una cosa intelligente detta dalla Meloni, quando succede si resta sorpresi.
Non è (mai) tempo di Ius soli
Il problema, come si intuisce facilmente, non è il maltempo e neppure l'Ilva, come in passato non lo sono stati gli infiniti pretesti che si sono puntualmente tirati fuori ogni volta che si provava a parlare di Ius soli. Il problema è che ogni provvedimento di buon senso, potenzialmente in grado di rendere questo paese un po' più avanzato e civile, non porta consenso, quindi si accantona. È un eterno accantonare. Viviamo in un periodo storico in cui, per una sorta di paradosso, leggi giuste e civili non portano consenso mentre nefandezze legislative e umane come i due famigerati decreti sicurezza fanno vincere ogni tornata elettorale. Qualche domanda toccherà porcela, prima o poi.
domenica 17 novembre 2019
Se tornassi indietro...
Uno dei più grandi rimpianti della mia vita è quello di non aver studiato. Un errore di gioventù con cui faccio i conti ogni giorno. Sarà che a vent'anni, a volte, si è stupidi davvero, come diceva Guccini, o non lo so, so solo che se tornassi indietro studierei, studierei eccome, ma ormai è andata così e indietro non si torna. Certo, nel corso degli anni mi sono poi parzialmente rifatto per conto mio, diciamo così, leggendo un sacco e di tutto (dei settanta/ottanta libri che leggo ogni anno una metà buona è composta da saggi sui tanti argomenti a cui sono interessato).
Oltre a leggere tanto, sono attratto e affascinato dall'ascolto di quelli che hanno studiato, siano essi scienziati, filosofi, teologi, storici, letterati ecc. Ogni persona con una competenza specifica mi affascina e la ascolto come se fossi una spugna. Forse questo mio interesse è un tentativo di recuperare il tempo perduto, le occasioni non afferrate, certi treni che sono passati senza che li abbia presi, non lo so, so solo che è andata così e amen.
sabato 16 novembre 2019
Le due di notte
La donna entrò nel bar alle due di notte. Trovare un bar aperto alle due di notte è strano? Sì, può sembrare strano se si tratta del bar di un piccolo paesino come quello, ma in fondo neanche tanto, oggi, dove tutto si confonde e si sovrappone. Chiuse la porta dopo essere entrata, buttò indietro il cappuccio del giaccone e rimase un attimo lì, ferma, guardandosi intorno. Il locale, un piccolo bar con le luci basse che stava tutto dentro a una specie di stanzone, era deserto, eccetto che per un tizio seduto a un tavolino all'angolo, la testa appoggiata di lato sul braccio destro e nel sinistro un bicchiere con dentro un residuo di liquido dal colore scuro, che sicuramente non era Coca-Cola. Dormiva così, in quella posizione. Dietro il bancone stava un uomo corpulento con una lercia parannanza legata in vita e un paio di baffi a ricciolo che sicuramente erano il suo orgoglio. Asciugava dei bicchieri. La donna giudicò dovesse avere una cinquantina d'anni, forse più. Si avvicinò al bancone, vi appoggiò sopra la borsa e si sedette su uno degli sgabelli girevoli piazzati lì davanti.
"Capita raramente la visita di una signora a quest'ora" fece il barista dopo avere appoggiato un bicchiere appena asciugato. "Cosa posso servirle?"
"Un caffè forte e un pacco di Marlboro" rispose la donna.
"Sigarette non ne ho, mi spiace, non ne posso tenere. Le faccio il caffè."
"Sì che le hai, tutti i baristi le hanno, anche quelli che non le possono tenere. Di solito le nascondono sotto il bancone in qualche scomparto poco visibile." Il barista corpulento rimase un attimo interdetto.
"Sarà mica della Finanza, lei?" le chiese con aria sospettosa.
"Ma quale Finanza, su, sono solo una donna che è scesa poco fa dal treno e si è infilata nel primo bar aperto che ha trovato, dal momento che quello della stazione a quest'ora è chiuso." Il barista si arrese e andò in fondo al bancone, aprì uno sportello in basso e tirò fuori una stecca di Marlboro, la scartò e ne estrasse un pacchetto, poi tornò dalla donna e glielo porse. Lei ringraziò e lui cominciò a prepararle il caffè. Su una parete dello stanzone c'era un orologio a muro, segnava le due e un quarto.
"Cosa l'ha portata qui, in questo buco di paese, in piena notte?" le chiese il barista porgendole il caffè e avvicinandole il contenitore con le bustine dello zucchero. "Se non sono indiscreto, naturalmente."
"No, figurati, quale indiscreto? È la stessa domanda che mi rivolgono tutti quelli a cui mi presento la notte." Il barista non rispose e prese a rigirarsi i baffi con le dita, pensoso. Aveva davanti una donna che alle due di notte era entrata nel suo bar chiedendo un caffè e delle sigarette, apparentemente senza alcun altro scopo. Perché? Fece mentalmente qualche congettura. Forse era una donna che scappava da qualcosa, o da qualcuno. Forse era pazza. E se fosse stata un'assassina con l'hobby di uccidere i baristi di notte? No, impossibile, le cronache ne avrebbero parlato, e poi non aveva l'aspetto di un'assassina, ammesso che gli assassini avessero un aspetto peculiare.
"Non serve che tu ti sprema più di tanto le meningi" disse la donna interrompendo i pensieri del barista. "Sono semplicemente una che ama vivere di notte, perché la notte mi aiuta ancora a vivere felice. Quando non vado in giro e rimango a casa, non appena scende la notte e il cielo dorme apro le finestre e comincio a contemplarla. Ne annuso l'odore, ne sento il sapore, ne ascolto i suoni, quei suoni che non essendo inquinati dal frastuono caotico del giorno, arrivano in tutta la loro limpidezza e purezza, ed è facile coglierli e apprezzarli una volta che si è imparato a farlo." Ho capito, questa è pazza, pensò il barista ricominciando ad asciugare i bicchieri già asciutti e sperando che quella strana donna, vedendolo indaffarato, smettesse di delirare e magari se ne andasse. Ma lei proseguì.
"Ognuno vive la notte a modo suo. La maggior parte delle persone dormendo, il tizio al tavolo laggiù ubriacandosi, tu lavorando. Pochi riescono a cogliere ciò che si nasconde realmente al suo interno, ma quei pochi, una volta che l'hanno colto, ne escono cambiati, è come se vivessero più forte, non so come dire." Il barista annuì con condiscendenza ma senza alcuna convinzione, continuando ad asciugare i bicchieri asciutti. "Quanto ti devo per le sigarette e il caffè?" chiese poi la donna, prendendo la sua borsa. Il barista, visibilmente sollevato, fece il conto; lei pagò il dovuto, poi si alzò e si avviò verso la porta, lo salutò e uscì, facendosi inghiottire dalla notte, quella notte da cui poco prima era comparsa come per incanto. Lui ristette, e a un certo punto gli venne il dubbio di essersi sognato tutto quanto. Forse quella donna non era mai stata lì, se l'era semplicemente immaginata.
"Giovanni svegliati! Devo chiudere" disse rivolto al tipo ubriaco che dormiva sul tavolino all'angolo. Giovanni si svegliò di soprassalto, frastornato. Cercò di capire dove fosse, poi tornò alla realtà e un accenno di delusione comparve sul suo volto. Si alzò lentamente e barcollando un po' si avviò verso l'uscita, tentando di salutare il barista con un semplice cenno di una mano, il massimo che era in grado di fare in quelle condizioni. Quest'ultimo, uscito Giovanni, chiuse la due finestre dello stanzone, spense le luci e si avviò a sua volta verso la porta. Uscì, abbassò la saracinesca e chiuse il lucchetto. Poi si rialzò in piedi, si guardò attorno. Si era alzato un po' di vento e sotto il lampione all'angolo si vedeva danzare qualche foglia. Lì, in piedi, osservò per un attimo quella strana danza, annusò l'aria, si mise in ascolto di... chissà che cosa. Poi si avviò verso casa, inghiottito anche lui dalla notte.
"Capita raramente la visita di una signora a quest'ora" fece il barista dopo avere appoggiato un bicchiere appena asciugato. "Cosa posso servirle?"
"Un caffè forte e un pacco di Marlboro" rispose la donna.
"Sigarette non ne ho, mi spiace, non ne posso tenere. Le faccio il caffè."
"Sì che le hai, tutti i baristi le hanno, anche quelli che non le possono tenere. Di solito le nascondono sotto il bancone in qualche scomparto poco visibile." Il barista corpulento rimase un attimo interdetto.
"Sarà mica della Finanza, lei?" le chiese con aria sospettosa.
"Ma quale Finanza, su, sono solo una donna che è scesa poco fa dal treno e si è infilata nel primo bar aperto che ha trovato, dal momento che quello della stazione a quest'ora è chiuso." Il barista si arrese e andò in fondo al bancone, aprì uno sportello in basso e tirò fuori una stecca di Marlboro, la scartò e ne estrasse un pacchetto, poi tornò dalla donna e glielo porse. Lei ringraziò e lui cominciò a prepararle il caffè. Su una parete dello stanzone c'era un orologio a muro, segnava le due e un quarto.
"Cosa l'ha portata qui, in questo buco di paese, in piena notte?" le chiese il barista porgendole il caffè e avvicinandole il contenitore con le bustine dello zucchero. "Se non sono indiscreto, naturalmente."
"No, figurati, quale indiscreto? È la stessa domanda che mi rivolgono tutti quelli a cui mi presento la notte." Il barista non rispose e prese a rigirarsi i baffi con le dita, pensoso. Aveva davanti una donna che alle due di notte era entrata nel suo bar chiedendo un caffè e delle sigarette, apparentemente senza alcun altro scopo. Perché? Fece mentalmente qualche congettura. Forse era una donna che scappava da qualcosa, o da qualcuno. Forse era pazza. E se fosse stata un'assassina con l'hobby di uccidere i baristi di notte? No, impossibile, le cronache ne avrebbero parlato, e poi non aveva l'aspetto di un'assassina, ammesso che gli assassini avessero un aspetto peculiare.
"Non serve che tu ti sprema più di tanto le meningi" disse la donna interrompendo i pensieri del barista. "Sono semplicemente una che ama vivere di notte, perché la notte mi aiuta ancora a vivere felice. Quando non vado in giro e rimango a casa, non appena scende la notte e il cielo dorme apro le finestre e comincio a contemplarla. Ne annuso l'odore, ne sento il sapore, ne ascolto i suoni, quei suoni che non essendo inquinati dal frastuono caotico del giorno, arrivano in tutta la loro limpidezza e purezza, ed è facile coglierli e apprezzarli una volta che si è imparato a farlo." Ho capito, questa è pazza, pensò il barista ricominciando ad asciugare i bicchieri già asciutti e sperando che quella strana donna, vedendolo indaffarato, smettesse di delirare e magari se ne andasse. Ma lei proseguì.
"Ognuno vive la notte a modo suo. La maggior parte delle persone dormendo, il tizio al tavolo laggiù ubriacandosi, tu lavorando. Pochi riescono a cogliere ciò che si nasconde realmente al suo interno, ma quei pochi, una volta che l'hanno colto, ne escono cambiati, è come se vivessero più forte, non so come dire." Il barista annuì con condiscendenza ma senza alcuna convinzione, continuando ad asciugare i bicchieri asciutti. "Quanto ti devo per le sigarette e il caffè?" chiese poi la donna, prendendo la sua borsa. Il barista, visibilmente sollevato, fece il conto; lei pagò il dovuto, poi si alzò e si avviò verso la porta, lo salutò e uscì, facendosi inghiottire dalla notte, quella notte da cui poco prima era comparsa come per incanto. Lui ristette, e a un certo punto gli venne il dubbio di essersi sognato tutto quanto. Forse quella donna non era mai stata lì, se l'era semplicemente immaginata.
"Giovanni svegliati! Devo chiudere" disse rivolto al tipo ubriaco che dormiva sul tavolino all'angolo. Giovanni si svegliò di soprassalto, frastornato. Cercò di capire dove fosse, poi tornò alla realtà e un accenno di delusione comparve sul suo volto. Si alzò lentamente e barcollando un po' si avviò verso l'uscita, tentando di salutare il barista con un semplice cenno di una mano, il massimo che era in grado di fare in quelle condizioni. Quest'ultimo, uscito Giovanni, chiuse la due finestre dello stanzone, spense le luci e si avviò a sua volta verso la porta. Uscì, abbassò la saracinesca e chiuse il lucchetto. Poi si rialzò in piedi, si guardò attorno. Si era alzato un po' di vento e sotto il lampione all'angolo si vedeva danzare qualche foglia. Lì, in piedi, osservò per un attimo quella strana danza, annusò l'aria, si mise in ascolto di... chissà che cosa. Poi si avviò verso casa, inghiottito anche lui dalla notte.
Le cinque
Le cinque e mi ritrovo qua a scrivere. Uno aspetta il sabato per tutta la settimana, pensando che finalmente potrà dormire fino alle dieci, e invece niente. Ho provato a rimettermi giù, ho contato un esercito di pecore, ho tentato mentalmente di ricantare le canzoni più noiose di Biagio Antonacci, cioè quasi tutte, ma niente, non funziona, quindi tanto vale arrendersi, abbandonare il teatro della follia che sono i sogni e cominciare un'altra giornata.
Ricordo brandelli di ciò che sognavo prima di svegliarmi: sono talmente assurdi... Mi trovavo su una imbarcazione militare, ero con un altro; inizialmente eravamo ospiti, poi mi sono stati dati i comandi dell'imbarcazione, forse era una specie di corso per entrare nella Marina, chissà. A un certo punto c'era una scogliera, ci stavo andando contro, ho virato bruscamente per evitarla, pensavo di non farcela e invece ce l'ho fatta, pericolo scampato. Chissà se in caso di impatto sarei fuggito come Schettino dalla Costa Concordia? Mah...
Vabbe', ormai sono sveglio, non lo saprò mai, e comunque io gli scogli li ho evitati, a differenza di lui. Accendo la luce sul comodino, ho un libro di racconti lasciato a metà di Edgar Allan Poe, un altro che con la follia non scherzava. Sarà per questo che i suoi racconti sono così belli, perché non c'è creatività senza follia, dalla razionalità non è mai nato niente. Chiedete a Van Gogh o Picasso.
Vabbe', buon sabato a chi passerà di qui. Almeno voi cercate di dormire, oggi, ok?
venerdì 15 novembre 2019
Ilaria Cucchi
Ci sono voluti dieci anni ma alla fine giustizia è stata fatta, e gli sbagli di chi ha sbagliato sono stati svelati e certificati. E averne di sorelle così, che per dieci anni lottano contro tutto e contro tutti pur di ottenere giustizia. Lottano contro i muri, i depistaggi a tutti i livelli, i bastoni tra le ruote, l'omertà scambiata per spirito di cameratismo, le battute stupide e gravide di insinuazioni dei Giovanardi, dei Salvini e di tutti quelli che in questi dieci anni hanno strumentalmente cercato di dare a intendere che Stefano Cucchi è morto di droga e non massacrato di botte da funzionari dello Stato.
Giustizia è stata fatta, anche se ogni attore di questa tragedia ha, alla fine, avuto da perdere qualcosa. E dobbiamo anche ringraziare questa donna, perché da oggi, grazie a lei, forse siamo un paese un po' più civile.
Sondaggi
Ogni giorno esce un sondaggio. Magari proprio ogni giorno no, facciamo ogni settimana, via. D'altra parte viviamo ormai nella società dei sondaggi, da cui i politici pendono come gli antichi greci pendevano dall'Oracolo di Delfi: questa settimana mezzo punto di consenso in più, quella scorsa uno in meno e così via. E loro stanno lì ad annusare, a cercare di capire cosa vuole la gente per servirglielo su un piatto in cambio di un altro mezzo punto in più. Non c'è una visione, un disegno a lunga (andrebbe bene anche media) gittata, c'è solo la ricerca del consenso immediato.
Quando Mitterrand, grande presidente francese, fu eletto, i suoi collaboratori gli fecero notare che secondo i sondaggi la maggioranza dei francesi era favorevole alla pena di morte e volevano mantenerla. Lui rispose che non gliene fregava niente, perché lui aveva una sua visione, una sua idea, una sua storia, cose che non si cambiano. E se ai francesi non stava bene, la prossima volta avrebbero potuto votare qualcun altro, non c'era problema. Nel 1981, con Mitterrand, la Francia abolì la pena di morte.
Pensate ai politici che abbiamo oggi, che cambiano idea ogni due ore, un giorno dicono una cosa e quello successivo la ritrattano, a seconda di come tira il vento e degli umori dell'elettorato. Non è politica, questa, non so nemmeno io dire cosa sia. So solo dove ci sta portando, e non è difficile capirlo.
La gente della mattina presto
La gente che entra nel bar alle sei di mattina è la più varia. C'è l'assonnato, c'è quello che entra tutto pimpante che sembra pronto a spaccare il mondo, c'è lo spazzino del turno di notte che prova a svegliarsi con un caffè forte, c'è la signora tutta in ghingheri che ordina cappuccino di soia e pasta vegana mentre io, al tavolino a fianco, mi abbuffo con un cappuccino pieno di latte e cannolo fritto ricoperto di zucchero e traboccante di crema, e chi se ne frega delle analisi? La signora in ghingheri mi guarda e in quello sguardo leggo il suo pensiero: Se continui a mangiare quella roba te ne andrai presto. Sì, può darsi.
Se c'è un posto dove si osserva la più varia umanità è il bar Urbinati, qui a Santarcangelo, la mattina presto.
Ora vado al lavoro. Spero di vivere un altro po'.
giovedì 14 novembre 2019
Sparirai
Sparirai anche tu, come sono spariti tutti, alcuni più velocemente altri meno; forse tu impiegherai un po' di più ma sparirai anche tu. La storia terrà a mente i De Gasperi, i Moro, i Berlinguer e pochi altri mentre tu cadrai nell'oblio in cui cadono tutti quelli che non hanno fatto niente per farsi ricordare. Scriveva Sofocle: "L’aratro ferisce la terra, ma questa si ricompone dopo il suo passaggio. Allo stesso modo la nave fende la calma trasognata del mare, ma le acque si ricompongono dopo il suo passaggio perché la natura è sovrana." Allo stesso modo, di te non resterà nulla.
Sì, hai avuto gioco facile a farti notare, e ancora questo gioco sembra funzionare. Hai giocato sulle paure innate che si hanno nei confronti del diverso, dello straniero, del più debole, ne hai strumentalmente ingigantito la portata e hai fatto leva sull'ignoranza e sulla disperazione di tanti, ben conscio che quando l'orizzonte è buio e non si hanno prospettive si è disposti a buttarsi in braccio al primo arruffapopolo che arriva. Hai messo in mano a tanti disperati delle pistole cariche, che hanno usato contro altri disperati; hai aizzato gli uni contro gli altri in una guerra senza senso, e ti sei eretto a sovrano che regna sulle macerie provocate da questa guerra. La storia è piena di gente come te, tu non sei che l'ultimo arrivato.
Hai speculato sull'odio, sulle paure, ne hai inventate di inesistenti, di nuove, e sulla meticolosa e ossessiva coltivazione di queste hai costruito il tuo consenso. Un lavoretto facile, perché migranti e stranieri sono un nemico a buon mercato, costa poco attaccarli e accusarli di tutti i mali del paese e il ritorno in consensi è altissimo. Non hai fatto nulla di propositivo, di buono, di utile alla collettività, solo misure dannose che avevano l'unico scopo di accrescere il consenso. Null'altro.
Ma passerai. "Ne abbiam visti maghi e genî uscire a frotte, per poi scomparire" scriveva Guccini. Passerai e un altro prenderà il tuo posto, un altro salvatore della patria che stregherà le italiche genti raccontando altre fanfaluche, ancora più mirabolanti delle tue. E ancora in tanti, purtroppo, ci cascheranno, perché è un gioco ormai collaudato, funziona, e finché funziona, perché smettere?
mercoledì 13 novembre 2019
Riders e Bukowski
Mi è capitato qualche sera fa di imbattermi in Report, la trasmissione di Raitre che una volta conduceva la Gabanelli. Si parlava di Riders, l'esercito di fattorini che in sella alle loro bici, ventiquattr'ore su ventiquattro, consegnano pasti pronti che la gente ordina da casa via internet. Ho seguito per una decina di minuti, poi ho spento e sono tornato al mio libro.
Ho spento per non arrabbiarmi più del dovuto, e mi chiedevo come sia possibile che si sia arrivati a questo punto: considerare le persone come numeri insignificanti, semplici numeri che si possono all'occorrenza cancellare con un clic del mouse. Numeri senza la minima tutela e paghe che neanche i raccoglitori stranieri di pomodori in Puglia. E pensavo a quella frase che disse Charles Bukowski e che Umberto Galimberti ama ripetere nelle sue conferenze: "Il capitalismo ha sconfitto il comunismo. Bene. Ora il capitalismo divora se stesso."
martedì 12 novembre 2019
lunedì 11 novembre 2019
Conte a Taranto
La visita di Conte a Taranto, qualche giorno fa, mi ha fatto una buona impressione. Non apprezzo questo governo, allo stesso modo in cui detestavo il precedente, e non concedo alcun credito alla classe politica che ha governato il paese negli ultimi cinque lustri perché la ritengo, nel suo complesso, totalmente incapace di capire l'evoluzione della società e del mondo in cui viviamo, i loro grandissimi cambiamenti, e di legiferare di conseguenza.
Chiarito questo, dico che in quel particolare frangente Giuseppe Conte mi è piaciuto. Siamo abituati da sempre a politici che, di fronte a qualsiasi dramma sociale, con la sicumera idiota che li contraddistingue hanno, a parole, sempre una soluzione per ogni problema (bisogna fare così, bisogna fare cosà, il governo farà così, il governo risolverà ecc.). Sempre. Per la prima volta, indipendentemente dalla finalità più meno propagandistica di quella trasferta a Taranto, un politico si butta in mezzo a quel dramma e a quelle persone, beccandosi oltretutto vagonate di insulti, dicendo loro con umiltà di non avere soluzioni. Non è andato in una prefettura a fare una conferenza stampa con pochi eletti per poi sparire, mettendosi facilmente in tasca qualche titolo di telegiornale, è andato da solo a parlare direttamente con quegli operai, e mi è piaciuto.
Chi è senza peccato
Terminata la fiera, restano le solite inutili polemiche, tipo quella delle bancarelle che per stare lì pagano duecento euro al giorno e il neretto che stende il tappeto per vendere le sue carabattole non paga nulla. Verissimo, intendiamoci, è palese che non sia né corretto né giusto. Mi piacerebbe però sapere se quelli che si stracciano le vesti si fanno fare tutti la fattura dal dentista, oppure dall'oculista, o dal meccanico che fa loro il tagliando alla macchina, o dall'idraulico che viene a casa a riparare lo scarico, e si potrebbe continuare.
Giusto per essere chiari, non sto difendendo il neretto che vende abusivamente le sue carabattole, mi infastidisce l'indignazione a senso unico, perché i cento miliardi all'anno di evasione fiscale che strangolano il nostro paese non li fa lui, o almeno non solo lui, sappiamo benissimo chi li fa. Però ci si scaglia contro il neretto. Del resto viviamo in un periodo storico in cui tutti sono bravissimi a identificare il nemico con cui prendersela.
Giusto per essere chiari, non sto difendendo il neretto che vende abusivamente le sue carabattole, mi infastidisce l'indignazione a senso unico, perché i cento miliardi all'anno di evasione fiscale che strangolano il nostro paese non li fa lui, o almeno non solo lui, sappiamo benissimo chi li fa. Però ci si scaglia contro il neretto. Del resto viviamo in un periodo storico in cui tutti sono bravissimi a identificare il nemico con cui prendersela.
domenica 10 novembre 2019
[...]
Dove c'è molta apparenza, raramente c'è sotto qualcosa di solido.
(Letta ora in un libro di racconti di Edgar Allan Poe.)
Invito al viaggio
Ti invito al viaggio
In quel paese che ti somiglia tanto
I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati
Laggiù tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà
Il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro
Dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri
Le matin j'écoutais les sons du jardin
Le langage des parfums des fleurs
Vi è mai capitato di svegliarvi con in testa una canzone?
Buona domenica a chi passerà di qui.
sabato 9 novembre 2019
Omeopatia
Ho appena terminato di leggere questo bel saggio di Roberto Burioni, Omeopatia, bugie, leggende e verità. La prima impressione che ho avuto è che si tratta di un libro che non servirà a niente, nel senso che chi crede a questa pseudo-medicina e ne fa uso difficilmente leggerà libri come questo e, anche in caso qualcuno lo leggesse, dubito che leggerlo servirebbe non dico a fargli cambiare idea ma anche solo a insinuargli qualche tarlo. È un po' come per i vaccini, dal momento che, è noto, gli antivaccinisti non si smuovono neppure davanti alle evidenze.
Diciamo che questo saggio ha una sua validità in senso storico, perché permette di conoscere (Burioni è un ottimo divulgatore) nel dettaglio la storia di questa "medicina": il fondatore, l'epoca in cui è nata, il contesto sociale, la sua evoluzione ecc. Segnalo un paio di cose, tra le tante, che mi hanno colpito.
L'omeopatia nacque attorno al 1800 da un'intuizione del medico tedesco Samuel Hahnemann. A quell'epoca una delle malattie più letali in circolazione in vaste aree del mondo era la malaria, di cui nessuno, per lungo tempo, riuscì a capire le cause e, conseguentemente, neppure a trovare una cura. Solo nel 1880, in Algeria, un medico francese, Alphonse Laveran, scoprì e isolò il batterio responsabile delle febbri malariche, il plasmodio. In realtà, già da molto tempo prima (ma in Europa non lo sapeva nessuno) gli indigeni del Sudamerica avevano scoperto una cura facendo essiccare la corteccia dell'albero della china, la quale contiene un alcaloide, il chinino, dalle elevate proprietà "febbrifughe".
Hahnemann venne a sapere questa cosa dagli scritti di un medico scozzese, William Cullen, che spiegava in che modo il chinino contrastava efficacemente le febbri malariche. Hahnemann, però, non era convinto di quelle spiegazioni e un giorno ebbe l'idea di fare un esperimento, che consistette nell'ingurgitare grandi dosi di estratti di corteccia di chinino. Si accorse con meraviglia che l'ingestione massiccia di questa sostanza gli provocava i medesimi sintomi della malaria: febbre, brividi e spossatezza, e da qui postulò, per fantasiosa analogia, che ciò che provocava i sintomi di una malattia sarebbe stato anche in grado di elimunarla. In sostanza, il simile cura il simile (il termine omeopatia significa questo).
Proseguendo questi esperimenti, però, si imbatté inevitabilmente in altre sostanze che non erano innocue come il chinino, che al massimo provocava febbre e un po' di stanchezza, ma molto più pericolose (mercurio, arsenico, belladonna, ipecacuana ecc.), sostanze che provocavano seri problemi al paziente e in molti casi lo spedivano direttamente al creatore (sapete com'è: se si ingurgita l'arsenico...). Da qui l'idea di cominciare a diluire le sostanze progressivamente fino a renderle innocue, nella convinzione che più fossero diluite e maggiore fosse il loro potere terapeutico. Oggi queste cose fanno ridere, ma è su questo ridicolo e assurdo principio che ancora, duecento anni dopo la sua invenzione, si regge l'omeopatia odierna.
L'altra cosa degna di nota è che, paradossalmente, all'epoca di Hahnemann l'omeopatia otteneva più risultati degli altri rimedi medici. Questa cosa si spiega, in realtà, col fatto che nel periodo in cui visse il medico tedesco la medicina era a livelli infinitamente più arretrati rispetto a quelli di oggi e le poche "cure" disponibili, principalmente i famigerati salassi, uccidevano più persone di quante ne guarissero. Le cure omeopatiche, invece, non contenendo nulla non uccidevano nessuno (non guarivano neppure, naturalmente), e quindi le normali remissioni spontanee delle malattie (ogni malattia ne ha una certa percentuale) venivano attribuite alle cure omeopatiche.
Insomma, all'epoca l'omeopatia poteva avere un senso, oggi non più. Sarà per questo che il fatturato dell'omeopatia, in Italia, si aggira attualmente attorno ai 300 milioni di euro all'anno: più le cose non hanno senso e più diamo loro credito.
Predappio - Auschwitz
La vicenda è nota: il sindaco di Predappio nega un contributo di 370 euro a due ragazzi per andare ad Auschwitz col Treno della memoria, motivando la decisione sulla base di una presunta imparzialità dell'iniziativa. Il contributo all'iniziativa sarà elargito, dice, anche quando si organizzeranno treni verso le foibe, il Muro di Berlino e i gulag in cui Stalin rinchiudeva gli oppositori politici.
Non c'è niente da fare, non riusciamo, sicuramente non ci riesce il sindaco di Predappio, a emanciparci da quella tendenza infantile e un po' idiota di incasellare ogni tragedia della storia in un riferimento e un interesse politico, e non riusciamo così a guardare quegli orrori per quello che sono, cioè orrori, non orrori di destra o di sinistra, orrori e basta, e restiamo pateticamente ancorati a quell'atteggiamento infantile di gerarchizzare la gravità degli orrori della storia.
Io non so se si organizzano treni verso il muro di Berlino o verso i gulag e sinceramente non mi interessa, so però che ognuno fa i conti con la propria storia, e noi in italia non abbiamo avuto lo stalinismo (per fortuna), abbiamo avuto vent'anni di dittatura nazifascista responsabile dello sterminio di sei milioni di ebrei tra cui ebrei italiani. Non credo che se in Russia si organizzassero visite ai gulag per ricordare quegli orrori, si alzerebbe qualcuno della parte politica opposta a sollecitare per par condicio visite ai luoghi in cui Mussolini confinava gli oppositori politici, perché la Russia è con quella storia lì, la sua storia, che deve fare i conti, non con altre.
Niente, non ce la faremo mai.
Non c'è niente da fare, non riusciamo, sicuramente non ci riesce il sindaco di Predappio, a emanciparci da quella tendenza infantile e un po' idiota di incasellare ogni tragedia della storia in un riferimento e un interesse politico, e non riusciamo così a guardare quegli orrori per quello che sono, cioè orrori, non orrori di destra o di sinistra, orrori e basta, e restiamo pateticamente ancorati a quell'atteggiamento infantile di gerarchizzare la gravità degli orrori della storia.
Io non so se si organizzano treni verso il muro di Berlino o verso i gulag e sinceramente non mi interessa, so però che ognuno fa i conti con la propria storia, e noi in italia non abbiamo avuto lo stalinismo (per fortuna), abbiamo avuto vent'anni di dittatura nazifascista responsabile dello sterminio di sei milioni di ebrei tra cui ebrei italiani. Non credo che se in Russia si organizzassero visite ai gulag per ricordare quegli orrori, si alzerebbe qualcuno della parte politica opposta a sollecitare per par condicio visite ai luoghi in cui Mussolini confinava gli oppositori politici, perché la Russia è con quella storia lì, la sua storia, che deve fare i conti, non con altre.
Niente, non ce la faremo mai.
venerdì 8 novembre 2019
Notte e pioggia
È notte e piove. Sono in macchina, fermo davanti alla gelateria in cui lavora Francesca, che dovrebbe smontare tra poco. La aspetto. La pioggia che cade sul parabrezza deforma e rende irreale tutto ciò che è all'esterno: la strada bagnata, gli alberi lungo la strada, i lampioni, le poche macchine che passano. La radio passa Black and white, di Jackson Browne, uno dei miei miti giovanili, e sembra avere capito chi sono (semicit.).
Per venire a prendere Francesca ho attraversato Santarcangelo, una Santarcangelo assediata dagli stand che si preparano al weekend di san Martino. Piove ma per le strade c'è gente comunque. Molti camminano rannicchiati sotto gli ombrelli, altri si accalcano sotto i portici del centro e in qualche locale. Anche il luna park all'area Campana è tutto acceso, ma lì non c'è nessuno, e passando ho intravisto dalla strada il bigliettaio del calcinculo, che se ne sta lì ad aspettare chissà chi o chissà cosa.
Tra pioggia, Graz e omeopatia
Il pomeriggio è piovoso e i pomeriggi piovosi in genere li trascorro sul divano tra libri e gatti. A dire il vero, anche i pomeriggi in cui non piove, ma soprassediamo. Tra una pagina e l'altra, ogni tanto butto un occhio a Whatsapp, dove Michela continua senza soluzione di continuità a inviare immagini e video dall'Austria. Oggi ha mandato delle bellissime foto della biblioteca universitaria di Graz, dove è andata a studiare per un esame che avrà a breve. Chissà, forse una volta terminata la specializzazione in pedagogia si dedicherà ai reportage naturali, vista la passione per la documentazione. Con la pedagogia non c'entra un tubo, naturalmente, ma si sa che a volte nella vita si finisce per fare tutt'altro rispetto a ciò che ci si era prefissati.
Le pagine che ho menzionato sopra sono del libro Omeopatia, bugie, leggende e verità, dello scienziato Roberto Burioni, che sto leggendo in questi giorni. È un saggio divulgativo che spiega cosa si nasconde dietro l'omeopatia, cioè nulla, dal momento che nei prodotti omeopatici, come è noto, non c'è letteralmente niente. Eppure questo niente in Italia muove un mercato di circa 300 milioni di euro all'anno. Trecento milioni di euro buttati in "medicine" a base di acqua e zucchero. Difficile nutrire qualche speranza sul futuro.
giovedì 7 novembre 2019
Cattolici che non sanno
Mi sono reso conto, e me ne rendo sempre più conto, specie parlando con cattolici o sedicenti tali (nel mio giro di amici e colleghi di lavoro ne ho abbastanza), di sapere di cristianesimo più io, che cristiano non sono, di molti di essi. Non è una critica, badate bene, è una semplice constatazione. Ho letto molti saggi sulla storia del cristianesimo, è vero, e quando me ne capita qualcuno sottomano ne leggo ancora, cosa che immagino molti "fedeli della domenica" non abbiano mai fatto, e quindi, in fin dei conti, è abbastanza normale che ne sappia più io di costoro.
Non mi riferisco a complicate controversie teologiche, sulle quali non mi permetteri mai di mettere becco, ma anche a cose piuttosto basilari. Un mio collega di lavoro, ad esempio, mi ha mostrato tutta la sua incredulità quando gli ho fatto notare che nessuno sa chi abbia scritto realmente i quattro vangeli canonici (questa cosa la ammette la stessa Chiesa), fittiziamente attribuiti ai quattro evangelisti che tutti conosciamo. Così come quando faccio notare che non esiste una sola riga della Bibbia di cui si possa dire con certezza chi l'abbia scritta, quando l'abbia scritta, come l'abbia scritta e come si leggeva quando è stata scritta, e che molte delle storie lì raccontate, come ad esempio la Creazione o il diluvio universale ma anche altre, siano riproposizioni di miti già noti da millenni e risalenti ad antiche civiltà sumeriche e babilonesi (il diluvio, ad esempio, non è nient'altro che la riproposizione dell'epopea di Gilgamesh, poema mesopotamico risalente al VII secolo avanti Cristo).
Si potrebbe continuare. Pochissimi cattolici sanno ad esempio che il concetto di anima (vedi Galimberti), e relativa immortalità, nella tradizione giudaico-cristiana non è mai esistito. Fu Sant'Agostino a prelevarlo dalla cultura dell'antica Grecia (il concetto di anima lo inventò Platone) e a trapiantarlo nel cristianesimo. Tanto è vero che quando in chiesa si recita il Credo non si dice di credere nell'immortalità dell'anima ma nella risurrezione dei corpi. E a volte mi chiedo come sia possibile credere in una religione, qualsiasi religione, senza conoscerne almeno l'ABC. Paradossalmente - neanche tanto, poi - avendo anche un certo numero di colleghi di religione musulmana, mi sono reso conto che sanno molto di più loro della loro religione dei cattolici del Cattolicesimo.
Non mi riferisco a complicate controversie teologiche, sulle quali non mi permetteri mai di mettere becco, ma anche a cose piuttosto basilari. Un mio collega di lavoro, ad esempio, mi ha mostrato tutta la sua incredulità quando gli ho fatto notare che nessuno sa chi abbia scritto realmente i quattro vangeli canonici (questa cosa la ammette la stessa Chiesa), fittiziamente attribuiti ai quattro evangelisti che tutti conosciamo. Così come quando faccio notare che non esiste una sola riga della Bibbia di cui si possa dire con certezza chi l'abbia scritta, quando l'abbia scritta, come l'abbia scritta e come si leggeva quando è stata scritta, e che molte delle storie lì raccontate, come ad esempio la Creazione o il diluvio universale ma anche altre, siano riproposizioni di miti già noti da millenni e risalenti ad antiche civiltà sumeriche e babilonesi (il diluvio, ad esempio, non è nient'altro che la riproposizione dell'epopea di Gilgamesh, poema mesopotamico risalente al VII secolo avanti Cristo).
Si potrebbe continuare. Pochissimi cattolici sanno ad esempio che il concetto di anima (vedi Galimberti), e relativa immortalità, nella tradizione giudaico-cristiana non è mai esistito. Fu Sant'Agostino a prelevarlo dalla cultura dell'antica Grecia (il concetto di anima lo inventò Platone) e a trapiantarlo nel cristianesimo. Tanto è vero che quando in chiesa si recita il Credo non si dice di credere nell'immortalità dell'anima ma nella risurrezione dei corpi. E a volte mi chiedo come sia possibile credere in una religione, qualsiasi religione, senza conoscerne almeno l'ABC. Paradossalmente - neanche tanto, poi - avendo anche un certo numero di colleghi di religione musulmana, mi sono reso conto che sanno molto di più loro della loro religione dei cattolici del Cattolicesimo.
La scorta a Liliana Segre
Così, istintivamente, penso che la scorta concessa a Liliana Segre sia inutile. Voglio sperare che sia inutile. Lo penso perché le minacce di morte via social sono generalmente inviate dai famosi leoni da tastiera, i quali, come indica il nome stesso, sono leoni finché pestano coi loro ditini sulla tastiera di un computer nel chiuso di una stanza. Nella vita reale, di fronte alle persone in carne e ossa, ritornano i timidi agnellini un po' frustrati di sempre.
Credo comunque che questa storia debba far pensare, soprattutto relativamente alla strada imboccata ormai da tempo dalla nostra società.
mercoledì 6 novembre 2019
Cosa vuol dire essere blogger alle soglie del 2020
Sollecitato da Sinforosa, che ha avuto la bontà di taggarmi in questo suo post, provo a rispondere alle sei domande in questione.
1) Quali sono le ragioni che ti hanno spinto ad aprire un blog?
Aprii questo blog nel 2006, in un periodo in cui il fenomeno dei blog esplodeva (ne nascevano di nuovi con la stessa frequenza con cui oggi ci si iscrive a un social). Precedentemente avevo già un sito mio, ospitato sulla piattaforma Libero.it (non c'entra niente col giornalaccio di Feltri, non facciamo confusione). Era un sito statico che aggiornavo scrivendo manualmente testi e pagine in html tramite un apposito editor html che mi pare fosse OpenOffice o qualcosa del genere, non ricordo più. L'evoluzione dal sito statico al blog fu naturale, e la nascita di tutto ciò avvenne come risposta a un bisogno di comunicare e raccontare in rete le cose di cui ero appassionato, ma anche per commentare vicende e fatti di cronaca e attualità, e per dire la mia su ciò che mi accadeva intorno.
2) Come nasce l'idea dietro ai tuoi post?
In modo totalmente casuale, almeno la maggior parte delle volte. Un pensiero qualsiasi mi frulla per la testa? lo butto giù, senza programmare niente. Naturalmente nei limiti del tempo e delle possibilità.
3) Quali mezzi utilizzi per il blogging?
Principalmente lo smartphone per una questione di comodità, specie quando sono spaparanzato sul divano. Ma non disdegno il mio pc fisso che ho in casa.
4) Quanto impieghi per un post e come inserisci il blogging nel tuo tempo libero?
Dipende. Se si tratta solo di vergare un pensiero mi bastano anche due minuti. Per post più articolati mi ci vuole ovviamente di più, anche tre quarti d'ora o un'ora, ma in genere prediligo i post veloci per non sottrarre troppo tempo ai libri.
5) Qual è il tuo rapporto coi social network e come sono legati al tuo blog?
Coi social ho chiuso, quindi non sono legati in alcun modo al mio blog, ovviamente. Ho ancora aperto il mio canale YouTube ma non so se si possa definire social in senso stretto.
6) Vedi questa crisi del blogging in prima persona, tanto da aver avuto la tentazione di trasferirti in pianta stabile suo social?
La crisi dei blog è palese e bloggare è ormai un'attività di nicchia, pur avendo innegabilmente, questa nicchia, una certa propria vitalità. Per quanto mi riguarda, questo blog non ha grandi numeri (se non gli anni) né grande seguito, ma della cosa mi importa relativamente poco, dal momento che scrivo principalmente per me stesso (lo trovo terapeutico). Chiudo citando parte della risposta di Sinforosa: "Finché avrò il desiderio e il tempo di continuare questa mia comunicazione con voi continuerò a farlo, indipendentemente dalle mode del momento, dal numero di lettori, dal numero di commenti; anche se i miei post facessero piacere a un solo lettore questo sarebbe sufficiente per continuare a fare blogging".
Chi vuole partecipare a questo "gioco" tra blogger, ed eventualmente taggare qualcuno, può fare riferimento a Nino o a Miki.
1) Quali sono le ragioni che ti hanno spinto ad aprire un blog?
Aprii questo blog nel 2006, in un periodo in cui il fenomeno dei blog esplodeva (ne nascevano di nuovi con la stessa frequenza con cui oggi ci si iscrive a un social). Precedentemente avevo già un sito mio, ospitato sulla piattaforma Libero.it (non c'entra niente col giornalaccio di Feltri, non facciamo confusione). Era un sito statico che aggiornavo scrivendo manualmente testi e pagine in html tramite un apposito editor html che mi pare fosse OpenOffice o qualcosa del genere, non ricordo più. L'evoluzione dal sito statico al blog fu naturale, e la nascita di tutto ciò avvenne come risposta a un bisogno di comunicare e raccontare in rete le cose di cui ero appassionato, ma anche per commentare vicende e fatti di cronaca e attualità, e per dire la mia su ciò che mi accadeva intorno.
2) Come nasce l'idea dietro ai tuoi post?
In modo totalmente casuale, almeno la maggior parte delle volte. Un pensiero qualsiasi mi frulla per la testa? lo butto giù, senza programmare niente. Naturalmente nei limiti del tempo e delle possibilità.
3) Quali mezzi utilizzi per il blogging?
Principalmente lo smartphone per una questione di comodità, specie quando sono spaparanzato sul divano. Ma non disdegno il mio pc fisso che ho in casa.
4) Quanto impieghi per un post e come inserisci il blogging nel tuo tempo libero?
Dipende. Se si tratta solo di vergare un pensiero mi bastano anche due minuti. Per post più articolati mi ci vuole ovviamente di più, anche tre quarti d'ora o un'ora, ma in genere prediligo i post veloci per non sottrarre troppo tempo ai libri.
5) Qual è il tuo rapporto coi social network e come sono legati al tuo blog?
Coi social ho chiuso, quindi non sono legati in alcun modo al mio blog, ovviamente. Ho ancora aperto il mio canale YouTube ma non so se si possa definire social in senso stretto.
6) Vedi questa crisi del blogging in prima persona, tanto da aver avuto la tentazione di trasferirti in pianta stabile suo social?
La crisi dei blog è palese e bloggare è ormai un'attività di nicchia, pur avendo innegabilmente, questa nicchia, una certa propria vitalità. Per quanto mi riguarda, questo blog non ha grandi numeri (se non gli anni) né grande seguito, ma della cosa mi importa relativamente poco, dal momento che scrivo principalmente per me stesso (lo trovo terapeutico). Chiudo citando parte della risposta di Sinforosa: "Finché avrò il desiderio e il tempo di continuare questa mia comunicazione con voi continuerò a farlo, indipendentemente dalle mode del momento, dal numero di lettori, dal numero di commenti; anche se i miei post facessero piacere a un solo lettore questo sarebbe sufficiente per continuare a fare blogging".
Chi vuole partecipare a questo "gioco" tra blogger, ed eventualmente taggare qualcuno, può fare riferimento a Nino o a Miki.
Quanto vale un operaio dell'Ilva?
Quando Salvini dice che un operaio dell'Ilva vale venti volte Balotelli dice una cosa sensata. Non sensata lato sensu, sensata dal suo punto di vista, che è un punto di vista purtroppo ormai generalizzato nella società odierna: attribuire a ogni cosa, persone comprese, un valore, generalmente economico.
Ora, nel presente caso, affermare che un operaio dell'Ilva vale più di Balotelli non è inteso dal lato economico, perché lì è chiaro che vale di più Balotelli, ma dal lato morale, se così si può dire, nel senso che nel sentire comune (e Salvini è maestro nell'annusare il sentire comune) un operaio che sgobba e lavora in una acciaieria ha più valore di un calciatore che guadagna cento volte tanto e fa un centesimo della sua fatica. (A Salvini sfugge che il paragone tra l'operaio e Balotelli avrebbe una sua intrinseca validità anche se si prendessero in esame un operaio e un politico, ma lasciamo stare.)
Ciò che voglio dire, in sostanza, è che ormai siamo talmente abituati a vivere in una società dove non abbiamo più un pensiero alternativo al far di conto, che dare un valore, economico o morale che sia, a una persona, stabilendo pure una classifica, è considerata una cosa normale. A tal proposito mi viene in mente una vecchissima canzone del Genrosso, di cui mi sfugge il titolo, una strofa della quale recita: "Ogni uomo è come un attimo del tempo, che viene, è stato e non si ripeterà mai più. Ogni uomo ha un valore immenso, che niente e nessuno potrà mai acquistare; non è la pelle, non è l'abito povero, non è l'età e non è il suo denaro. Chi ti potrà far dire quanto un uomo vale?"
Oggi abbiamo la risposta.
Ora, nel presente caso, affermare che un operaio dell'Ilva vale più di Balotelli non è inteso dal lato economico, perché lì è chiaro che vale di più Balotelli, ma dal lato morale, se così si può dire, nel senso che nel sentire comune (e Salvini è maestro nell'annusare il sentire comune) un operaio che sgobba e lavora in una acciaieria ha più valore di un calciatore che guadagna cento volte tanto e fa un centesimo della sua fatica. (A Salvini sfugge che il paragone tra l'operaio e Balotelli avrebbe una sua intrinseca validità anche se si prendessero in esame un operaio e un politico, ma lasciamo stare.)
Ciò che voglio dire, in sostanza, è che ormai siamo talmente abituati a vivere in una società dove non abbiamo più un pensiero alternativo al far di conto, che dare un valore, economico o morale che sia, a una persona, stabilendo pure una classifica, è considerata una cosa normale. A tal proposito mi viene in mente una vecchissima canzone del Genrosso, di cui mi sfugge il titolo, una strofa della quale recita: "Ogni uomo è come un attimo del tempo, che viene, è stato e non si ripeterà mai più. Ogni uomo ha un valore immenso, che niente e nessuno potrà mai acquistare; non è la pelle, non è l'abito povero, non è l'età e non è il suo denaro. Chi ti potrà far dire quanto un uomo vale?"
Oggi abbiamo la risposta.
martedì 5 novembre 2019
Vivere 120 anni?
Al minuto 7:30 circa di questo video di Massimo Polidoro si sente la ormai anzianotta signora ammettere che no, Panzironi non è un medico ma è un bravo ragazzo e molto simpatico. La signora mi ha fatto tristezza, e anche un po' rabbia, rabbia non provocata da lei ma da chi approfitta della creduloneria e della superficialità, specie delle persone dotate di minori strumenti culturali, per fare immensi guadagni sulla loro pelle.
E questi strumenti culturali devono essere effettivamente ben scarsi se il primo guru coi capelli a pagoda che arriva, sproloquiando che con un libro e un po' di integratori si può campare 120 anni, raccoglie moltitudini di persone che ci credono senza battere ciglio. D'altra parte, però, giova ricordarlo, siamo sempre il paese dei Simoncini, dei Di Bella, dei Vannoni. Perché stupirsi, quindi?
Cambia il tempo
La giornata è iniziata con un vento forte e caldo. Stamattina alle sei c'erano già quindici gradi. Poi, verso mezzogiorno, il cielo ha cominciato a coprirsi. Si sapeva che sarebbe piovuto, l'app dello smartphone aveva avvisato, anche se non ci azzecca quasi mai. E infatti verso l'una è cominciato a piovere forte e la temperatura si è notevolmente abbassata. Visto l'andazzo, credo pioverà fino a stasera, forse fino a domani, e Birba è già venuta qua con me, sul divano, a farmi compagnia mentre leggo Socrate.
Bryan Adams
Leggo che oggi Bryan Adams spegne 60 candeline. Da giovane lo ascoltavo, mi piaceva, e in giro dovrei ancora avere un paio di album suoi. Sono andato due o tre anni fa a sentirlo dal vivo, qua a Rimini: uno spettacolo notevole, bello davvero. E lui, dal vivo, oltre a non risparmiarsi ama anche intercalare qualche chiacchiera tra una canzone e l'altra, raccontando aneddoti sulla sua carriera e facendo battute spiritose. L'esecuzione in chiave rock della mitica Romagna mia, con cui chiuse lo spettacolo, mi fece strippare. Auguri, "vecchio" rocker!
lunedì 4 novembre 2019
È normale avere due mamme?
Spezzone di dialogo tra due uomini captato per caso oggi di fronte alla biblioteca.
"Ieri sera, alla TV, hanno trasmesso una fiction in cui una bambina aveva due mamme. Francesca [immagino sia la figlia] mi ha chiesto: 'Babbo, ma è normale?' Io le ho risposto no, non è normale. Scusa, eh, ma a una bambina di sei anni cosa dovevo dire, che è normale?"
"Non lo so, forse anche io le avrei risposto allo stesso modo, magari provando un po' a spiegare..."
Siccome ero di passaggio, non ho udito il resto della conversazione tra i due. Mentre camminavo mi sono però domandato cosa avrei risposto io al posto di quel padre, e credo che avrei detto che il concetto di normalità è sempre relativo e, specie nell'ambito familiare, ha ben poco senso usarlo.
Io, adulto, so benissimo che famiglia è ogni luogo in cui una o più persone si prendono cura dei figli, rispondono alle loro domande, soddisfano i loro bisogni, danno loro affetto e protezione, e tutto questo indipendentemente dal sesso, ma non sono altrettanto sicuro che una bambina di sei anni, cresciuta in una famiglia cosiddetta "normale" (dio, quanto odio questo termine!), possa capire.
Eppure sì, credo che si debba comunque parlarne in questi termini. Magari lì per lì la bambina non capirà, lo troverà incomprensibile, forse sopraggiungerà un po' di turbamento, però incomincerà a rendersi conto che la realtà non è sempre e solo quella che viene raccontata e in cui si cresce, ma ha più forme e più sfaccettature, e quando, una volta cresciuta, si imbatterà in una di queste sfaccettature, diversa da quella in cui è cresciuta o che le è stata inculcata, avrà già gli strumenti per valutarla e affrontarla.
Mi rendo conto che l'argomento è complesso e muove certe corde che sono sempre un po' spinose, ma sono convinto, anche sulla base della mia esperienza di padre di due figlie ormai grandi, che sia il modo migliore di affrontare l'argomento coi figli.
domenica 3 novembre 2019
Insciallah
Il primo aggettivo che mi viene in mente per definire questo libro è monumentale. Non per le oltre ottocento pagine che lo compongono, neppure per la trama complessa e articolata e neanche per la moltitudine di personaggi che navigano in questo fiume di parole e storie, o almeno non solo per questi motivi. Monumentale perché è un viaggio dentro l'uomo, dentro la sua complessità, i suoi sentimenti, le sue caratteristiche, tutte peculiarità che risultano senza filtri, cristalline in un contesto di guerra. La guerra mostra l'uomo per quello che è, nel bene e nel male.
È un romanzo che fa riflettere, a volte incazzare, a volte divertire, a volte sorprendere, a volte anche annoiare (in ottocento e passa pagine qualche eccesso di ridondanza e prolissità e sempre probabile) e in cui ognuno è inevitabile che in qualche sua parte o personaggio si riconosca. Uno dei romanzi più belli letti quest'anno.
Tra umidità e garbino
Ieri sera sono rientrato a casa avvolto dall'umidità, quella "guazza" fastidiosa che dopo cinque minuti all'aperto ti bagna come se fossi sotto una pioggia scrosciante. Stamattina regna il garbino: impetuoso, anacronisticamente caldo, dispettoso (due vasi rovesciati in giardino nella notte), preludio all'ennesima giornata piovosa. Ma preferisco di gran lunga tuffarmi in un impetuoso vento caldo piuttosto che in un'umida e fredda bonaccia.
Pubblicità e lager
Leggo sul sito di Repubblica un articolo sull'accordo (vergognoso) Italia-Libia relativo alla gestione del fenomeno migratorio. Nell'articolo si parla di cosa succede nei lager libici: lavori forzati, vessazioni, stupri di massa, torture, omicidi. Seguono alcune immagini. In una di queste si vedono persone legate a gruppi di tre per le caviglie e appese a testa in giù, dopo essere state seviziate, alle sbarre delle finestre in attesa di non si sa cosa, forse della morte. A un certo punto si apre un pop-up pubblicitario a tutta pagina e quelle persone, appese come salami dopo essere state seviziate con coltelli e bastoni, vengono coperte da una giovane e bella signorina che si dimena e balla, tra musica, luci e palo tipo lap-dance indossando un abitino discinto e altrettanto sluccicante di una nota catena di negozi di moda.
Ho pensato: Non ci dovrebbe essere un'etica nella gestione della pubblicità? Poi mi sono risposto da solo: No, perché denaro e mercato non hanno un'etica, non l'hanno mai avuta né mai l'avranno. E quello stridore, quella sensazione di ingiusto, di irrelato, di sbagliato, quel livellamento osceno di dolore, morte, povertà, consumismo, spreco, denaro, luci, non scuote più nessuno? A nessuno sembra mostruoso?
sabato 2 novembre 2019
Pioggerellina
Non sono noioso quando piove, anzi la pioggia mi piace. Ciò che invece mi dà fastidio è quell'indecisione meteorologica in ossequio alla quale continua a cadere quella leggerissima pioggerellina, che a intervalli smette, poi ricomincia, poi smette, poi ricomincia, e uno non può neppure farsi una passeggiata in collina.
venerdì 1 novembre 2019
Il mondo come casa
Sala d'aspetto del dentista, ieri sera. A un certo punto entra una ragazza dai lineamenti tipici dell'estremo oriente, forse cinese, molto giovane, venti massimo ventidue anni, zaino e immancabile smartphone con auricolari. Saluta cordialmente me e mia moglie e si siede su una poltroncina in attesa, quindi si avventura in una intraducibile conversazione con qualcuno su whatsapp. Deduco fosse lingua cinese.
Terminata la conversazione in presunto cinese, la ragazza digita qualcosa sullo smartphone e avvia una conversazione con un altro suo conoscente in un inglese talmente fluente e spigliato che manco un madrelingua. Poi, dopo un ulteriore smanettamento di smartphone, parte con un'altra conversazione questa volta con un suo contatto italiano, e dialoga con quest'ultimo in un italiano migliore di quello usato da tanti leghisti.
Mentre la ascoltavo pensavo: Questa ragazza potrebbe trovarsi improvvisamente catapultata in qualsiasi parte del mondo e lo sentirebbe comunque casa sua. Molti giovani di oggi nascono in un posto ma hanno il mondo come casa.
E noi, vecchiacci, ancora qua a parlare di muri, recinti, confini...
Di scritti e di scrittori
[...]
Però che meraviglia, quel mostruoso connubio! Che privilegio fluttuarci, che sublime responsabilità! Te lo dimostrerò con l'aiuto di un argomento che oggi è tema di saggi accademici ed elaborate polemiche, litigi da salotto e best-seller, ma che quasi tutti affrontano scansando il punto che preme. Ecco qua. Apparteniamo a un epoca in cui cinema e tv si sostituiscono alla parola scritta, al racconto scritto, e nel dialogo con il mondo i registi anzi gli attori si sostituiscono agli scrittori. Nessuno infatti, neanch'io, resiste al narcotico richiamo dello schermo, al perpetuo svago offertoci da un sistema di comunicazione che trasforma in pubblico trastullo anche la sacra intimità del sesso e la inviolabile solennità della morte. Soggiogati, ipnotizzati dalla moderna Medusa, passiamo ore a guardare le sue immagini e ascoltare i suoi suoni. Di conseguenza leggiamo assai meno, e molti non leggono più. Ritengono che si possa vivere senza leggere cioè senza la parola scritta, il racconto scritto, gli scrittori. Invece no. No, e non tanto perché lo stesso cinema e la stessa tv non prescindono dalla parola scritta, dal racconto scritto, dagli scrittori, quanto perché lo schermo non permette e non permetterà mai di pensare come si pensa leggendo: le sue immagini e i suoi rumori distraggono troppo, impediscono di concentrarsi. Oppure suggeriscono riflessioni troppo superficiali e passeggere. Inoltre si preoccupa troppo di stupire e divertire, lo schermo, diverte e stupisce con mezzi troppo rudimentali e giocattoleschi: se ne frega delle tue meningi. È superfluo ricordare che per leggere ci vuole un minimo di meningi cioè di intelligenza e cultura. Superfluo sottolineare che qualsiasi idiota o qualsiasi analfabeta con due occhi e due orecchi può guardare le immagini e ascoltare i suoni della moderna Medusa. Ma per vivere, per sopravvivere, è necessario pensare! Per pensare è necessario produrre idee, fornirle. E chi più dello scrittore produce idee? Chi più di lui le fornisce? Lo scrittore è una spugna che assorbe la vita per risputarla sotto forma di idee, è una mucca eternamente incinta che partorisce vitelli sotto forma di idee, è un rabdomante che trova l'acqua in qualunque deserto e la fa zampillare sotto forma di idee: è un mago Merlino, un veggente, un profeta. Perché vede cose che gli altri non vedono, sente cose che gli altri non sentono, immagina e anticipa cose che gli altri non possono né immaginare né anticipare... e non solo le vede, le sente, le immagina, le anticipa: le trasmette. Da vivo e da morto. Cara, nessuna società si è mai evoluta al di fuori degli scrittori. Nessuna rivoluzione buona o cattiva che fosse è mai avvenuta al di fuori degli scrittori. Nel bene e nel male, sono sempre stati gli scrittori a muovere il mondo: cambiarlo. Sicché scrivere è il più utile mestiere che ci sia. Il più esaltante, il più appagante del creato.
[...]
Salvini e san Martino
Leggo che quest'anno, alla fiera di san Martino, qua a Santarcangelo, terrà un comizio il tizio con la felpa, comizio che seguirà un altro comizio tenuto da colui che alle elezioni regionali dell'Emilia Romagna, in gennaio, sarà il suo ideale avversario: Stefano Bonaccini, attuale presidente in quota Pd della suddetta Emilia Romagna.
Perché questi due comizi sono degni di nota? Perché è la prima volta, nella sua lunghissima storia, che questa fiera diviene teatro di propaganda politica. La fiera di san Martino, infatti, è sempre stata un evento apolitico, inteso come incontro di persone, di culture diverse (arrivano venditori con prodotti tipici di ogni parte d'Italia), di musica, di cantastorie e giocolieri per le strade. Da quest'anno sarà anche terreno di propaganda politica, cioè di scontro, perché oggi la politica è scontro e null'altro.
Sarà solo una parentesi o diventerà la regola, questo virare dell'evento verso qualcosa, il dibattito politico, che gli è sempre stato estraneo? Chissà. E chissà cosa ne penserebbe, se ci fosse ancora, il santo a cui è dedicata la fiera, quel Martino che, narra la leggenda, passando col suo cavallo e vedendo un povero che moriva di freddo tagliò in due il suo mantello e gliene diede metà. Forse no, forse Martino non avrebbe gradito la presenza di uno che prima di dare metà del suo mantello a un altro gli avrebbe chiesto la nazionalità, ma così va il mondo, oggi. Tutto si mischia, tutto si confonde, tutto si perde di vista, compreso lo spirito della fiera di san Martino.
L'odio e la commissione Segre
Premesso che nutro scarsa fiducia nel fatto che l'istituzione di una comunque lodevole commissione parlamentare possa avere una qualche efficacia nel combattere il razzismo, l'antisemitismo e l'odio, ormai sdoganati e branditi universalmente senza alcun ritegno, non mi stupisco più di tanto che la destra parlamentare a trazione leghista non l'abbia votata, mi sarei semmai stupito se fosse accaduto il contrario.
Ma scusate, pensate davvero che un partito che nell'arco di due anni è passato dal diciassette al quaranta percento grazie proprio al meticoloso utilizzo e scientifica esasperazione di quei sentimenti, avrebbe votato a favore dell'istituzione di una commissione che si propone di combatterli?
Iscriviti a:
Post (Atom)
Rifarei tutto
Indipendentemente da quale sarà la sentenza, dire "Rifarei ciò che ho fatto", "Rifarei tutto" ecc., cosa che si sente sp...
-
Sto leggendo un giallo: Occhi nel buio, di Margaret Miller. A un certo punto trovo una frase, questa: "Qualche minuto più tardi la luc...
-
L'estate scorsa ho comprato una macchina nuova, una normale utilitaria senza pretese, pagata per metà a rate perché qua non si nuota nel...
-
Nel racconto Direttissimo , di Dino Buzzati, si narra di un misterioso viaggiatore che sale su un treno, un treno potente, veloce, che scalp...