mercoledì 20 novembre 2019

Un anno senza Silvia Romano

I commenti più gettonati sono grosso modo tutti dello stesso tenore: Se fosse rimasta a casa non le sarebbe successo niente. Certo, magari sarebbe stato così, ma magari no, chi può dirlo con certezza? Anche Cristoforo Colombo sarebbe potuto restare a casa sua, e noi non avremmo avuto le patate, le melanzane, i pomodori e tutto il resto. Invece no, lui doveva andare là, c'era quel tarlo che non gli dava pace, non lo faceva vivere, doveva scoprire cosa c'era al di là del mare. Anche Marco Polo avrebbe potuto continuare a fare la spola tra Venezia e Chioggia, come facevano tutti i ragazzetti della sua età. E invece no, sentiva che c'era qualcosa di più grande, di immensamente più grande di quel noioso tran-tran ed è andato a scoprire cosa fosse, e noi abbiamo avuto le spezie, la seta, le porcellane.

Silvia Romano, fresca di laurea, avrebbe potuto adagiarsi in una comoda vita all'insegna della più tranquilla normalità, magari in un noioso lavoro in qualche ufficio, cartellino da timbrare all'entrata e all'uscita, e poi il giro di amici, la pizza il sabato sera, i genitori e tutto il resto. E invece c'era qualcosa che la chiamava là e ha seguito quel richiamo, sicuramente mettendo in conto i rischi a cui sarebbe andata incontro. Ma ci è andata lo stesso. Incosciente? No, viva. C'è un bellissimo pezzo di Franco Battiato: L'animale. "Ma l'animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai, si prende tutto, anche il caffè, mi rende schiavo delle mie passioni. E non si arrende e non sa attendere. L'animale che mi porto dentro vuole te."

Gli antichi greci chiamavano quel tarlo eudaimonia, che significa buona riuscita del tuo dèmone. Il dèmone è la vocazione, diremmo oggi, ciò per cui si è portati, la realizzazione del quale è la chiave per raggiungere la felicità. Avete mai visto una foto di Silvia, delle tante che girano in rete, in cui non si mostri sorridente e felice? Eh, certo, fosse rimasta a casa, buona e tranquilla, non si sarebbe cacciata in questo pasticcio, ma magari non sarebbe stata neppure felice, aggiungo io. Quelli che pensano in questo modo sono quelli che vedono nel desiderio un pericolo. Diceva Giles Deleuze che il desiderio è potenzialmente rivoluzionario, perché chi desidera non è mai contento, non gli stanno bene le cose come sono, le vuole cambiare.

C'è una ragazza che abita qua vicino a casa mia, medico, laureata da poco. È partita per il Mozambico con Medici senza Frontiere, perché quel tarlo, quell'animale "che ci portiamo dentro" non le dava pace. Incosciente? Può darsi. Ma la storia l'hanno fatta quelli che sono andati, non quelli che hanno timbrato un cartellino per trent'anni.

4 commenti:

  1. Capisco bene quella sensazione, quel tarlo, quel demone. E concordo con te è chi ha seguito quella vocazione che ha cambiato il mondo e non chi l'ha soffocata.

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    1. Vero. Purtroppo oggi la tendenza generale è quella di "delegittimare" chi non vuole soffocare quel demone.

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  2. Ciao Andrea. Penso spesso alla dolce Silvia.
    Lei ha fatto bene a seguire la sua aspirazione.
    I pericoli sapeva quali fossero ma è comunque partita. Inoltre cosa poteva sapere lei che c'era qualcuno che le voleva male? Cosa ne poteva sapere lei che avrebbero fatto ciò che hanno fatto? Cosa ne sappiamo noi se si fosse, in realtà, semplicemente trovata in una situazione più grande di lei?
    Ho paura che le abbiano fatto del male. E che per sopravvivere non si ribelli. Ma di questo lei non ne ha colpa.
    Lei era lì per aiutare e spero che continui a farlo anche dove si trova ora. Almeno questo.
    Un abbraccio.

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    1. Non posso che concordare, sperando ovviamente che da questa situazione riesca a venire fuori nel migliore dei modi. Penso che rappresenti la nostra migliore gioventù.
      Ciao.

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