domenica 3 novembre 2019

Pubblicità e lager

Leggo sul sito di Repubblica un articolo sull'accordo (vergognoso) Italia-Libia relativo alla gestione del fenomeno migratorio. Nell'articolo si parla di cosa succede nei lager libici: lavori forzati, vessazioni, stupri di massa, torture, omicidi. Seguono alcune immagini. In una di queste si vedono persone legate a gruppi di tre per le caviglie e appese a testa in giù, dopo essere state seviziate, alle sbarre delle finestre in attesa di non si sa cosa, forse della morte. A un certo punto si apre un pop-up pubblicitario a tutta pagina e quelle persone, appese come salami dopo essere state seviziate con coltelli e bastoni, vengono coperte da una giovane e bella signorina che si dimena e balla, tra musica, luci e palo tipo lap-dance indossando un abitino discinto e altrettanto sluccicante di una nota catena di negozi di moda.

Ho pensato: Non ci dovrebbe essere un'etica nella gestione della pubblicità? Poi mi sono risposto da solo: No, perché denaro e mercato non hanno un'etica, non l'hanno mai avuta né mai l'avranno. E quello stridore, quella sensazione di ingiusto, di irrelato, di sbagliato, quel livellamento osceno di dolore, morte, povertà, consumismo, spreco, denaro, luci, non scuote più nessuno? A nessuno sembra mostruoso?

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