PADOVA (27 novembre) - Niente buono pasto da parte del Comune per un bimbo padovano di 5 anni, se la famiglia non salderà un debito di 460 euro nei confronti dell'amministrazione municipale per i mancati pagamenti della mensa nel corso del 2008.
A denunciare l'episodio è la mamma di tre figli, separata dal marito, che si è vista consegnare un foglietto scritto a mano con il quale la scuola materna chiedeva ai genitori di venire a prendere il piccolo prima del pranzo, in mancanza del buono pasto. Per tutta risposta la donna ha deciso ieri di tenere a casa il figlio dall'asilo per non fargli subire un trattamento diverso dai compagni e di chiedere spiegazioni all'amministrazione scolastica sull'accaduto.
Quante storie di questo tipo esistono in Italia? Molte? Poche? Non si sa. Questa comunque è venuta alla luce, e per certi versi forse sarebbe stato meglio se fosse rimasta nell'ombra. Ma andiamo avanti. Il 7 dicembre un'altra mamma, una imprenditrice, venuta a conoscenza della vicenda si fa avanti e salda senza pensarci il debito.
La mattina stessa ha telefonato al servizio scolastico comunale di Padova e inviato per conto corrente postale la somma richiesta. «Mi hanno assicurato che il bambino sarebbe stato reintegrato a mensa il giorno stesso - spiega oggi al quotidiano marchigiano -, in un primo momento avevo capito che il bambino era uno solo, di 5 anni, poi mi hanno detto che anche il fratellino era stato escluso dai buoni pasto, e che i 460 euro bastavano a ripianare il debito del 2008 di tutti e due».
Tutto bene, quindi. Un bel lieto fine. In un'Italia dipinta spesso come gretta ed egoista episodi come questo dimostrano che esiste ancora la solidarietà, che non è vero che il cinismo e l'indifferenza hanno occupato tutto. La mamma imprenditrice non sapeva chi fossero i due bimbi, né tantomeno conosceva l'altra mamma, ma non sopportava l'idea che fossero discriminati per motivi economici. Ma a questo punto, la sorpresa: l'assessore alle politiche scolastiche di Padova, infatti, dice chiaramente che «Ognuno farebbe bene a guardare a casa propria». E giù tutta una serie di giustificazioni più o meno verosimili che parlano di carte, presunta mancanza di documentazione dello stato di indigenza della signora, situazione gestionale ricevuta in eredità dalla precedente maggioranza comunale e storie simili.
Piccata la risposta dell'imprenditrice:
«Io non faccio politica, e non entro nel merito delle scelte politico-amministrative del Comune di Padova, dico solo che non devono coinvolgere la salute e la serenità di un bambino». Fiorella Faggiolati non nega che le parole dell'amministratore padovano l'hanno «offesa». «Avrei fatto la stessa cosa se quei bambini fossero stati marchigiani, siciliani, o piemontesi - replica -, e credo di essere libera di dire quello che penso». E poi, conclude, «se davvero il Comune di Padova non voleva aiuti, perché quando ho telefonato al Servizio scolastico non mi hanno risposto "non si preoccupi signora, ci pensiamo noi", ma hanno accettato il mio bonifico?'»
La storia, come dicevo, si è chiusa con un lieto fine. Voi direte: la cittadinanza onoraria alla generosa signora? No: le scuse della mamma imprenditrice all'assessore per il suo gesto.
Che amarezza! Questo paese mi sta diventando sempre più antipatico, giorno dopo giorno, a causa delle enormi ingiustizie alle quali dobbiamo assistere, a ogni livello. Ogni tanto mi capita di pensare di volermene andare.
RispondiEliminaDover poi vedere che una brava signora viene trattata così aumenta il mio profondo senso di nausea. Immagino che qualcuno difenderà pure certi comportamenti, chiamando in causa la burocrazia. Lasciamo perdere!
>Ogni tanto mi capita di pensare di volermene andare
RispondiEliminaAnche a me capita. Purtroppo adesso come adesso non posso, altrimenti probabilmente l'avrei già fatto.