In queste ore c'è un fuoco incrociato, che parte dal Pdl e va verso Napolitano. Perché? Il presidente della Repubblica ha rilasciato questa mattina un'intervista all'Unità nella quale afferma che a suo giudizio non è il caso di premere sull'acceleratore del ritorno al voto, la situazione del paese non lo consentirebbe.
Le sua parole esatte sono state (il neretto è mio): "Le mie responsabilità istituzionali entreranno in giuoco solo quando risultasse in Parlamento che la maggioranza si è dissolta e quindi si aprisse una crisi di governo. Compirò in tal caso tutti i passi che la Costituzione e la prassi ad essa ispiratasi chiaramente dettano. Sarebbe bene che esponenti politici di qualsiasi parte non dessero indicazioni in proposito senza averne titolo e in modo sbrigativo e strumentale".
I berluscones questa cosa non l'hanno mandata giù. Da Cicchitto, a Bondi, a Gasparri, a Stracquadanio; tutti a dire che in caso di crisi si deve obbligatoriamente tornare a votare, in quanto un governo tecnico o di transizione andrebbe contro il volere espresso dagli italiani.
Ora, io non sono preoccupato come Wil, ma quello che sta succedendo dimostra che questo branco di pseudo-parlamentari non ha capito un fico secco (oppure ha capito fin troppo bene). In caso di crisi di governo, infatti - e Napolitano l'ha detto molto chiaramente -, il ritorno alle urne è l'ultima opzione, che entra in gioco solo dopo che il capo dello Stato, come la Costituzione prevede, ha vagliato tutte le ipotesi alternative.
In altre parole, la palla passa a lui, che decide in via esclusiva cosa fare. Tutto il resto sono chiacchiere, quelle chiacchiere con cui quest'armata Brancaleone ci prende per i fondelli da troppi anni.
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