"Il Pdl va rassomigliando sempre di più al Partito comunista di un tempo". Ernesto Galli Della Loggia, noto editorialista del Corriere, del quale tutto si può dire tranne che appartenga alla numerosissima schiera dei "comunisti" che "remano contro", iniziava ieri con queste parole il suo editoriale. Un editoriale che non c'entra, se non indirettamente, con la tempesta partita venerdì sera dopo la firma di Napolitano in calce al famoso "decreto interpretativo", ma che è la risposta a una specie di piccola diatriba sorta alcuni giorni fa tra lui e alcuni esponenti di punta del Pdl. C'è però da dire che, almeno col titolo, non è che poi sia andato tanto lontano da quello che è la realtà, a meno che non si voglia inquadrare il decreto tappa-buchi firmato da Napolitano come qualcosa che ha a che fare con la democrazia. Richiederebbe un notevole sforzo una simile pretesa.
A questo proposito volevo solo fare una breve (si fa per dire) riflessione sulla lettera scritta da Napolitano, pubblicata nientemeno che sul sito del Quirinale - procedura abbastanza inusuale -, con la quale il presidente della Repubblica in qualche modo cerca di giustificare il suo operato. Già qui mi pare di ravvisare una prima piccola anomalia: perché Napolitano ha sentito il bisogno di dare questa sorta di giustificazione per aver firmato un decreto? Certo, non sono in pochi ad aver notato che le modalità con cui si è giunti alla sua promulgazione sono perlomeno strane. Letto in poco più di 30 minuti; firmato quasi alla chetichella in piena notte; insomma gli estremi per capire che c'era sotto qualcosa non dico di strano, ma di inusuale c'erano tutti. Timori che poi si sono trasformati in realtà quando si è appreso che era stato firmato un provvedimento che sostanzialmente sanava per legge un'illegalità. Ci si può girare attorno finché si vuole, si può cercare di indorare la pillola in ogni modo, ma alla fine questo è stato. Il resto sono chiacchiere. E' vero, dal punto di vista meramente formale e tecnico questo decreto non ha il potere di riammettere le liste escluse - quello spetta solo ai magistrati -, ma un atto di legge che indica loro come "interpretare" i regolamenti, impone sostanzialmente ai magistrati del Tar una sorta di aut aut: o fate come "consiglia" il decreto oppure facciamo sfracelli. D'altra parte il senso delle parole di La Russa ("Non potevamo aspettare: questo decreto serve al Tar per decidere meglio. Ora è impossibile che ci dia torto") è lampante. E va ricordato, oltretutto, che lo stesso Napolitano si è trovato preso in questa sorta di "ricatto". Non lo dico per sminuire la sua responsabilità, ma perché sono molti i resoconti dettagliati di quello che è successo quando Berlusconi si è presentato da lui per la firma della porcata. Un incontro che di cordiale ha avuto ben poco, se è vero che Berlusconi stesso avrebbe minacciato cose come "o firmi o scateno la piazza!". Insomma, Napolitano si è trovato davanti questo decreto, che tra l'altro aveva già rispedito al mittente il giovedì sera, purgato di alcuni evidenti elementi di incostituzionalità e ha dovuto scegliere: firmare o rispedirlo per la seconda volta - l'ultima, il tempo era scaduto - al mittente. Ha ritenuto - parole sue - che il decreto così modificato non contenesse vizi di incostituzionalità e lo ha firmato.
Ha scelto in sostanza il (per lui) male minore. Cosa sarebbe successo infatti se non lo avesse firmato è facile da immaginare: tutti i berluscones, da ogni latitudine, avrebbero cominciato a strillare a reti unificate al furto del diritto di voto; Napolitano, da ottimo presidente che è adesso, si sarebbe visto appioppato di nuovo lo status di comunista incallito che se ne sbatte della democrazia; insomma sarebbe successo un finimondo probabilmente peggiore di quello che ha messo in atto in questi giorni l'opposizione. Ieri, a tal proposito, ad avallare in qualche modo le posizioni di Bersani e c. è arrivata pure la CEI, la quale - senza strafare, intendiamoci - ha detto testualmente: "Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è già in atto è altamente scorretto, perchè si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettono un gioco un valore". Perbacco, la cosa deve essere davvero grave se pure i vescovi, cui notoriamente l'entourage di governo è legato a doppio filo, hanno abbandonato la loro filosofica calma in favore di una dichiarazione di questo tono.
Questi, più o meno, sono i fatti di ieri. Ma torniamo alla lettera "autogiustificatrice" di Napolitano. Il passaggio più controverso, quello cioè dal quale meglio si intuisce che ha "sbroccato" (scusate, quando ci vuole ci vuole) è questo: "Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall'ufficio competente costituito presso la corte d'appello di Milano. Erano in gioco due interessi o 'beni' entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi". Prima cosa: perché era importante "garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici"? Qui, infatti, non si sta parlando di elezioni politiche nazionali - nel qual caso non sarebbe comunque cambiato niente; si sta parlando di elezioni regionali in cui ci sono due regioni menomate di una lista. Importante, certo, ma pur sempre una lista; tutte le altre (quelle che hanno regolarmente raccolto le firme e le hanno consegnate nei tempi stabiliti) c'erano. E scusate: se una lista non è presente nelle urne perché per sua esclusiva responsabilità non è riuscita a presentarsi, saranno o no cavoli suoi? Se io arrivo in stazione in ritardo e il treno che devo prendere parte in orario, con chi me la prendo, col treno?
Anche sul "Erano in gioco due interessi o 'beni' entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi" c'è qualcosa da dire. A parte che, come abbiamo visto, il diritto dei cittadini di scegliere col voto non è stato minimamente toccato - scusate, qualcuno avrebbe impedito loro di presentarsi alle urne? -, rimane il fatto che questo benedetto stato di diritto, compreso il diritto di andare a votare, passa inevitabilmente attraverso il rispetto delle regole, quelle stesse regole di cui Napolitano dovrebbe essere custode e garante. Come è possibile mettere sullo stesso piano il rispetto delle norme di legge e il diritto dei cittadini? Che diritti mai avrebbero i cittadini senza regole? Già il solo fatto che per andare a votare occorra seguire alcune di queste (recarsi nei seggi giusti, tessera elettorale in regola, documenti validi, ecc...) dimostra che non è possibile esercitare un diritto (in questo caso il voto) senza seguire delle procedure prestabilite. Ecco, venerdì queste regole sono state infrante (diciamo che il processo era già iniziato da tempo, questo è stato in pratica il vaso di cristallo che è definitvamente caduto dalla mensola). A mio avviso non esagerano affatto quello che parlano di morte della democrazia, di golpe, di stato da paese sudamericano - pure Prodi, che di solito è uno che non si sbottona mai più di tanto, ha dichiarato di cominciare ad avere paura. Ogni limite della decenza è stato ampiamente e definitivamente superato. Pensate adesso cosa succederà ad ogni futura tornata elettorale: qualsiasi partito si arrogherà il diritto di presentare le firme in barba a ogni regola di legge ricordando questo precedente.
Oltre a tutto questo, c'è da menzionare, fatto di non poca importanza, il pessimo esempio che la politica ha dato al popolo - ultimo esempio di una lunga serie, intendiamoci. Quel popolo che è notoriamente succube della burocrazia e degli adempimenti verso la pubblica amministrazione e che non può certo contare su escamotage o trucchetti ad personam (salvo ovviamente trovare funzionari compiacenti) per sottrarvisi. Questi signori hanno dato dimostrazione che loro possono. Se io, comune cittadino, salgo sul bus senza biglietto e il controllore mi becca, niente mi salverà da una multa (o dal ritrovarmi appiedato); se l'"infrazione" (chiamamola così) la fanno loro, una leggina auto-prodotta e la cosa si risolve. Davanti a questo scempio, non solo della democrazia, ma di ogni regola del vivere civile, il premier non ha trovato di meglio, ieri, per giustificare questa vergogna, che dire: "la sinistra sa solo insultare e criticare". Naturalmente, dal suo punto di vista, l'insulto viene da chi scende in piazza per cercare di preservare gli ultimi brandelli di democrazia e civiltà, e non da chi, sistematicamente, da quasi 20 anni ne fa polpette.
La cosa che, seppure parzialmente, consola è che sicuramente Berlusconi e la sua cricca hanno vinto la prima battaglia, ma sulla guerra ci sono alcuni dubbi. E i primi scricchiolii si sentono già.
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