lunedì 28 febbraio 2022

Il danno scolastico


Ogni tanto si sente dire che la scuola italiana, oggi, è disastrosa. Non lo si sente tanto in tv, telegiornali o media mainstream in genere, quanto maggiormente da singole voci isolate (Galimberti, ad esempio, nelle sue conferenze batte molto su questo, attirandosi tra l'altro gli strali di docenti e professori). Naturalmente generalizzare è sempre scorretto, ma che la scuola sia oggi in uno stato disastroso credo sia sotto gli occhi di tutti. L'Ocse che un paio d'anni fa certificava come noi italiani siamo in Europa all'ultimo posto nella comprensione di un testo scritto, cioè sappiamo leggere ma non capiamo cosa leggiamo, è forse la dimostrazione più lampante di questo disastro.

Questo libro, scritto dalla scrittrice Paola Mastrocola e da Luca Ricolfi, sociologo e docente di Analisi dei dati, racconta questo disastro e come ci si è arrivati. È un libro crudo, un j'accuse che non fa sconti a nessuno e che racconta, lucidamente e impietosamente, le tappe ("riforme") che hanno nel corso degli anni abbassato la qualità e il livello formativo della scuola, dalle medie inferiori all'università, fino quasi ad azzerarsi. Ma questo libro fa anche altro: dimostra empiricamente, ossia alla luce dei dati, che la narrazione secondo cui una scuola più facile e di bassa qualità diminuisce il solco tra ceti alti e ceti bassi è privo di fondamento. È l'esatto contrario: "Chi crede nell'uguaglianza delle condizioni di partenza, chi pensa davvero, come recita la Costituzione, che 'i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi', dovrebbe battersi perché tutti possano cimentarsi con successo in studi alti, non abbassare il livello perché tutti possano vincere. E invece è precisamente questo - abbassare per democratizzare - che è stato fatto, proprio da coloro che proclamavano di avere a cuore le sorti degli umili."

Il grande problema della scuola di oggi, secondo la Mastrocola, che oltre che scrittrice è stata insegnante di lettere nei licei per trentacinque anni, è che gli otto anni tra elementari e medie non preparano più a ragionare. Il grande problema del divario nel successo negli studi non è dovuto solo al vecchio luogo comune che chi ha maggiori possibilità economiche, relazionali, di status riesce meglio degli altri, ma a una mancanza generale di preparazione dovuta alla scarsissima qualità formativa degli otto anni in questione. Cito qui di seguito un brano che a questo proposito mi sembra oltremodo significativo: 

 Va bene, la tesi dei fautori della "scuola democratica" è dunque più che confermata: le origini e l'ambiente contano. Cose risapute. E ripetute fino alla nausea. Ma la loro tesi si ferma qui. Non mi basta, mi sembra che manchi un pezzo molto importante. Un aspetto che viene sempre trascurato. Un "piccolo dettaglio" che da anni cerco di mettere in evidenza. [...] Questo aspetto trascurato, questo minuscolo dettaglio è... la preparazione. Il livello di studio. La qualità e quantità delle "cose" insegnate-imparate. Torno al figlio dell'idraulico e formulo la mia ipotesi: se spesso non arriva a laurearsi, forse non è soltanto perché è figlio dell'idraulico (ipotesi vecchia, datata, fortemente ideologica: insomma, troppo facile!); forse non fa il liceo e non arriva a laurearsi... perché non ci riesce. E non ci riesce perché ha fatto una scuola che non lo ha preparato abbastanza. Ecco. Per questo mi arrabbio da una ventina d'anni (una ventina d'anni, direi dalla riforma Berlinguer in poi: governo progressista, incredibile!). Perché io questo ho visto nella scuola. Ho visto ragazzi (non solo figli di idraulici, ma figli di quella classe media o medio-bassa non così svantaggiata ma neanche così agiata) che arrivano in prima liceo totalmente digiuni di nozioni basilari, di quel minimo di conoscenze dovute e, soprattutto, necessarie ad andare avanti negli studi. [...] Un ragazzo non potrà fare il liceo se noi per otto anni (cinque di elementari e tre di medie) non gli abbiamo insegnato quasi niente o, se gli abbiamo insegnato qualcosa, poi non abbiamo anche deciso di esigere e di pretendere che quelle cose le sapesse! Non farà né il liceo né l'università, un ragazzo, se non sa scrivere, non sa fare un discorso compiuto, se non sa capire il senso (profondo, sfumato, metaforico, ironico...) di quel che legge, e se non sa ripetere con parole su quel che ha studiato. Siamo stati noi a farne uno svantaggiato, uno che non parte uguale, che non ha le stesse opportunità iniziali. Noi! [...] Non possiamo lasciarli uscire così impreparati dopo otto anni di scuola! Allo stesso modo, all'università non sono in grado di affrontare gli esami (se non quelli più facili delle cosiddette facoltà deboli, la cui laurea però non li porterà da nessuna parte), per cui s'iscrivono, arrancano un anno o due e poi mollano. Per questo mollano: per questa loro inadeguatezza cognitiva e culturale, che è il risultato delle scelte scriteriate che noi abbiamo compiuto nella scuola, soprattutto, lo ripeto, negli ultimi vent'anni. Mollano a causa della scuola che noi abbiamo deciso per loro, non è il colmo?

La lunga stagione di smantellamento della qualità dell'offerta formativa della scuola parte nel 1963 con l'abolizione dell'avviamento e l'introduzione della scuola media unica, senza l'obbligo del latino, e arriva fino a oggi. A questo proposito scrive Luca Ricolfi:

Fu così che Marco [suo fratello] e io avemmo la fortuna, e il privilegio, di frequentare la "vecchia" scuola media con il latino, l'analisi logica, l'Iliade, la geometria analitica e tutto il resto. Di quel periodo ricordo soprattutto tre cose, una oggettiva e le altre due soggettive e private. La cosa oggettiva è che, in quei tre anni, grazie a due professoresse eccezionali, una di italiano e latino, l'altra di matematica, imparai più cose, e cose più durature, di quelle che avrei imparato nei successivi cinque anni di liceo classico. Le medie dure resero più leggeri i miei anni di liceo, consentendomi, specie in latino e in italiano, di "vivere di rendita".

Lo smantellamento della scuola media, iniziato con le riforme dei primi anni Sessanta ebbe il suo colpo di grazia nell'anno 2000, con la riforma Berlinguer, quella che istituì i progetti extracurriculari, la valutazione oggettiva (i test), e il diritto al successo formativo. Cambiava la sostanza: la scuola diventava un'impresa, si agganciava al mondo del lavoro, o meglio, tentava goffamente di assumere i valori e i criteri della produzione e del mercato. E contribuì a produrre i risultai che Paola Mastrocola racconta così:

Ogni anno prendevo una nuova prima e ogni anno mi trovavo davanti una trentina di ragazzi tra i quattordici e quindici anni sempre più impreparati. O meglio, incapaci. Non era tanto l'impreparazione (la pura mancanza di nozioni) a stupirmi, quanto l'incapacità di parlare e scrivere. Due "cose" che reputavo fin da allora abbastanza basilari. Negli scritti facevano errori ortografici e grammaticali, ma soprattutto non riuscivano a costruire un discorso dotato di senso e strutturato secondo una logica, voglio dire con i nessi logici bene al loro posto. Nelle interrogazioni orali non ce la facevano a parlare per più di un minuto, poi si fermavano muti, o balbettavano qualche parola spersa nel vuoto. Ricordo che guardavo l'orologio per misurare il tempo esatto in cui riuscivano a tenere il discorso; non lo facevo per crudeltà, ma perché non ci potevo credere, e avevo bisogno di capire. Altro fatto sconcertante: di fronte ai romanzi che normalmente da anni ero abituata ad affidare in lettura, i miei nuovi allievi restavano basiti e mi dicevano di non averci capito un bel niente. In particolare capitò con Il fu Mattia Pascal: mezza classe mi disse proprio così, che non aveva capito non tanto le parole, quanto il senso delle frasi. Me lo ricordo perché nella mia mente si disegnò netto il disastro, mi vidi tutte le frasi di Pirandello cadere in un precipizio. Allora cominciai a poco a poco a cambiare tutto. Diminuii le ore di letteratura (riducendo i brani antologici da leggere) e aumentai le ore di grammatica. Mi misi anche a fare dettati ortografici, e smisi di fare leggere certi autori: Pirandello e Pavese furono i primi a cadere, tra gli italiani. Poi toccò a Calvino. Sì, persino a Calvino, dico Il barone rampante... In prima liceo... Ci fu una madre che, ai consigli di classe, mi chiese espressamente di non farlo leggere più: troppo difficile, come potevo dare un libro simile a ragazzi di quell'età? Non capii bene che cosa stesse succedendo. Mi limitai a constatare. Mi era chiaro, però, che il problema stava a monte: quei ragazzi arrivavano così da otto anni di scuola. Che cosa avevano studiato? E in che modo? E cosa potevamo fare noi per loro, al liceo?

Mi fermo qui perché non posso citare tutto il libro. Ma spero di avere reso l'idea di cosa contiene. A me ha dato un'idea lucida e chiara delle reali dimensioni di quel disastro di cui finora avevo solo sentito parlare qua e là, in maniera discontinua e sconnessa. Mi è servito per mettere insieme tutti i pezzi e capire. 

Di solito non invito a leggere i libri di cui parlo, mi limito a recensirli alla bell'e meglio, ma se l'argomento vi interessa e volete capire da dove arriva quell'analfabetismo funzionale di cui deteniamo il triste primato in Europa, leggetelo. Non è solo un atto d'accusa spietato e dolente, è soprattutto un grande atto d'amore verso il mondo della scuola e dell'università.

domenica 27 febbraio 2022

Un'altra prospettiva

Da qualche anno, anzi anche più di qualche anno, ho affiancato alla narrativa la saggistica. E, progressivamente, questa quota, inizialmente minoritaria, è via via aumentata fino quasi a diventare maggioritaria. Ieri, dopo aver terminato il saggio sulla storia dell'omosessualità di cui ho parlato nel post precedente, pensavo che mi piacerebbe accantonare definitivamente la narrativa per dedicarmi solo alla saggistica. Il problema è che la narrativa mi piace un sacco, sono nato ("librescamente" parlando) con quella e sarebbe difficile abbandonarla. Mi è venuto questo pensiero perché mi sono reso conto che la saggistica mi dà qualcosa che la narrativa non mi dà, o che mi dà in misura molto minore: la conoscenza delle cose e, attraverso questa, maggiore capacità di capire il mondo e il suo funzionamento.

Si, lo so, sembra la classica frase fatta, trita e ritrita, che ogni tanto si sente ripetere in giro, ma a mio giudizio credo abbia un buon fondo di verità. Il saggio di cui sopra, ad esempio, mi è stato utilissimo non solo per sapere la storia dell'omosessualità negli ultimi 2500 anni, ma perché attraverso questa lunga storia ho compreso meglio la situazione attuale. Terminato quello, ieri ho iniziato un saggio di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi sulle varie tappe ("riforme") che dal 1962 a oggi hanno portato alla meticolosa, scientifica, pianificata distruzione della scuola italiana, dalle elementari all'università. Il libro in questione non è utile solo per sapere i vari passaggi di questa devastazione programmata, ma perché capire come si è arrivati a questo smantellamento aiuta a comprendere meglio la situazione attuale e autorizza a lanciarsi in qualche previsione sul futuro.

La saggistica, poi, ho notato, aiuta molto a guardare le cose da prospettive diverse da quelle comuni. Molti saggi che ho letto in questi ultimi due o tre anni, ad esempio, e anche molte delle conferenze che ho seguito e seguo, hanno a che fare con l'antropologia, con l'evoluzione, con la psicologia e i comportamenti della mente umana (come questa, bellissima, di Giorgio Vallortigara, uno dei più noti neuroscienziati italiani), e questo bagaglio di informazioni conduce, col tempo, al cambio di prospettiva cui accennavo.

Prendete Putin, ad esempio, giusto per restare nel tema drammatico di questi giorni. La stragrande maggioranza dei commenti relativi all'invasione che circolano sui media riguarda le cause politiche o geopolitiche che l'hanno provocata, accompagnate da ipotesi che in genere lasciano il tempo che trovano relative all'evoluzione della crisi e alle conseguenze future. A me, invece, accanto a questo, è venuto da chiedermi perché, psicologicamente, Putin l'abbia fatto. Non un perché di tipo "oggettivo" (cause geopolitiche) ma psicologico, comportamentale. In sostanza la domanda che mi sono posto io, detta rozzamente, è perché la testa gli abbia detto così, e mentalmente sono andato a cercare riscontri di tipo comportamentale nei libri che ho letto e nelle conferenze che ho seguito. Poi, certo, la cosa di per sé non serve a niente, e comunque non ho trovato risposta, ma è solo per rimarcare il diverso tipo di approccio alle questioni che deriva dall'aver avuto un certo tipo di letture.

Questo vale per tantissimi altri fatti che accadono e che magari vengono rilanciati dai media. Penso a cose tipo Salvini che a favore di telecamere va davanti all'ambasciata ucraina a Roma a pregare; oppure penso ai tanti episodi di cronaca che indignano (bullismo, angherie verso i più poveri, i più deboli, gli stranieri), e l'elenco sarebbe lunghissimo. Normalmente, e un po' superficialmente, la faccenda di Salvini si potrebbe liquidare spiegandola con la sua leggendaria cretinaggine (o furbizia, a seconda dei punti di vista), ma avendo la mente impostata in un certo modo, a me viene da pensare a questi comportamenti in chiave, come dire?, antropologica, comportamentale, e quindi vado con la mente ai libri letti e alle conferenze seguite per cercare di capire questi comportamenti oltre la facciata visibile a tutti. In definitiva, i saggi aiutano a guardare gli avvenimenti e i comportamenti sotto una luce diversa da quella immediatamente visibile. Almeno, per me è così.

Non credo di essere riuscito a spiegare ciò che volevo dire, non sono mai stato bravo a fare capire le cose. Comunque, tornando alla narrativa, alla fine no, non credo l'abbandonerò, era solo un'idea così. E poi la letteratura è giusto che sia anche d'intrattenimento, che sia leggere per il gusto di leggere e per farsi coinvolgere dalle storie. E chi l'ha detto, poi, che anche da certi romanzi non si possa capire cosa frulla nella testa di Putin o di Salvini?

sabato 26 febbraio 2022

Tutta un'altra storia


Era da tempo che avevo intenzione di documentarmi seriamente sulla storia dell'omosessualità e direi che l'esaustività di questo saggio ha soddisfatto come meglio non si potrebbe questo mio desiderio. L'interesse per questo argomento nasce da una serie di fattori, tra cui la millenaria demonizzazione di cui gli omosessuali, sia maschi che femmine, storicamente più i maschi delle femmine, sono stati (e sono ancora) vittime. Demonizzazione, ostracismo, persecuzione di un orientamento sessuale che, la biologia e la psicologia l'hanno da tempo definitivamente accertato, è perfettamente normale (in natura è praticato da oltre 250 specie) e come diffusione è secondo soltanto all'eterosessualità riproduttiva. Impossibile, naturalmente, riassumere in un post 550 pagine di storia dell'omosessualità (l'autore, lo storico Giovanni Dall'Orto, si limita a prendere in esame la nostra cultura occidentale) che partono dalla classicità greco-romana al secondo dopoguerra, mi limiterò quindi ad accennare gli aspetti che ho trovato più interessanti.

Lasciando stare culture sostanzialmente prive di agganci alla nostra, come gli antichi egizi, gli antichi babilonesi, gli antichi ittiti ecc., il punto di partenza quasi obbligato sono Adamo ed Eva, ossia la Bibbia, il libro che maggiormente, nel bene e nel male (per quanto riguarda il tema in oggetto sicuramente nel male), ha influenzato e influenza tuttora la nostra civiltà occidentale, e, soprattutto, il libro che più di ogni altro ha influenzato il destino di chi abbia avuto la sventura di essere attratto da persone dello stesso sesso. A questo proposito l'autore fa una prima interessante osservazione che riguarda il trattamento della Bibbia, da parte di molti fedeli, come una sorta di "manuale di istruzioni sull'uso della vita" al quale obbedire ciecamente. Che in linea di principio potrebbe anche andare bene. Il problema è che questo "manuale" dice cose oggi assurde, come ad esempio le istruzioni su come vendere schiava una figlia o acquistare schiavi (rispettivamente: Esodo 21:7-11 e Levitico 25:44-49), e qui scatta quell'atteggiamento che l'autore definisce del "supermercato": si entra con il carrello della spesa, si prende ciò che serve e si lascia giù tutto il resto. Oppure, come fa ogni integralista che dice di seguire ciò che c'è scritto in ogni dettaglio, a parole si afferma di prendere tutto, ma in realtà lo si fa tacendo, trascurando, ignorando, traducendo faziosamente (gli imbarazzanti schiavi nelle traduzioni italiane sono regolarmente "promossi" a servi), cancellando, fraintendendo, travisando ecc.

A proposito di questi travisamenti, l'episodio più universalmente noto che ha dato la stura alla demonizzazione delle persone omosessuali dall'antichità fino a noi è quello, raccontato nel Genesi, di Sodoma e Gomorra. La storia è più o meno nota. Le città di Sodoma e Gomorra (tra l'altro assieme ad altre cinque che non avevano fatto nulla di male) furono distrutte dal dio Yahweh con una pioggia di zolfo e fuoco come punizione per un tentativo di stupro compiuto ai danni di due angeli. I due angeli in questione erano stati mandati da Dio per verificare il grado di corruzione che regnava nelle due città (qui ci sarebbe qualcosa da dire riguardo al fatto che un dio onnisciente abbia bisogno di mandare due "ispettori" che gli facciano poi rapporto, ma proseguiamo). A Sodoma viveva Lot, il quale, vedendo passare i due angeli-ispettori, li invitò a passare la notte a casa sua. A questo punto "gli uomini della città [...] si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo" dicendo a Lot di mandare fuori gli stranieri perché li volevano "conoscere". Ora, il verbo usato per "conoscere", yadah, in ebraico ha oltre al significato letterale anche quello di "avere un rapporto sessuale con qualcuno".

Le traduzioni cristiane rendono dunque yadah con "abusare sessualmente". Ma anche lo stesso Lot sembra aver capito la stessa cosa, perché, per evitare l'oltraggio ai due ospiti, arriva a offrire alla folla le sue due figlie vergini (Genesi 19:6-8), ottenendo dalla suddetta folla "una risposta violenta". Viene quindi salvato dai due angeli, i quali accecano con un bagliore gli assalitori e invitano Lot a uscire dalla città con tutti i parenti prima che sia distrutta. Solo moglie e figlie, però, accettano di andare con lui e gli angeli gli intimano di fuggire senza fermarsi e senza mai voltarsi indietro. Lot, temendo di non riuscire ad arrivare sulle montagne, chiede di potersi fermare a Zoar, la quale scampa così alla distruzione mentre Sodoma, Gomorra "e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo" vengono distrutti dal fuoco. La moglie di Lot, però, commette il gravissimo errore di voltarsi durante la fuga contravvenendo all'intimazione degli angeli e viene trasformata seduta stante in una statua di sale. 

A questo punto succede un fatto strano (come se quelli narrati finora non lo fossero): Lot prende le sue figlie, abbandona Zoar e va a rifugiarsi in una caverna sulle montagne. Qui una delle due figlie dice all'altra (Genesi 19:31-32); "Il nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l'uso di tutta la terra. Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre". Da questo rapporto incestuoso nascono due figli: Moab e Ammon. Moab sarà il capostipite dei Moabiti, Ammon degli Ammoniti, che, tra parentesi, saranno i progenitori delle nazioni nemiche degli ebrei nei secoli a venire.

Questo è l'episodio biblico sul quale si pretende di basare una morale sessuale sulla Bibbia, ma, come osserva l'autore, tra tutti gli esempi possibili è sicuramente il più anticristiano che si potesse usare. Lot si salva infatti dalla distruzione di Sodoma in quanto "giusto", ma la povera moglie, solo per aver contravvenuto all'ordine di non girarsi, viene uccisa da Yahweh seduta stante. Come se non bastasse, cosa dire riguardo a uno, il "giusto" Lot, che non si fa scrupolo di offrire le figlie, vantando pure la loro verginità, affinché vengano violentate al posto dei due angeli? Ancora: come è possibile giustificare che in Sodoma (lasciando perdere le altre città che non c'entravano niente) siano stati uccisi tutti gli abitanti, compresi i familiari (mogli, figli ecc.) di ogni appartenente alla folla che avrebbe voluto stuprare i due angeli? Se tutto ciò aveva una sua plausibilità all'interno del contesto fortemente patriarcale in cui il testo fu vergato, dove mogli e figli non avevano dignità giuridica autonoma e quindi pagavano per le colpe dei maschi adulti della famiglia di appartenenza, tutto ciò crolla dinanzi alla morale cristiana di oggi, dove la responsabilità delle azioni è personale e alla fine si verrà giudicati per le azioni personalmente compiute.

La spiegazione di tutto sta, molto semplicemente, nel fatto che l'ignoto estensore del libro della Genesi aveva tutt'altri obiettivi rispetto alla volontà di regolare i comportamenti sessuali tra gli uomini o di indicare una morale sessuale, anche perché, obiettivamente, le morali sessuali che si potrebbero trarre dal racconto non sono proprio il massimo esempio di virtù possibile, almeno stando ai canoni morali odierni. E i veri obiettivi che si prefiggeva l'estensore del testo sono scritti chiaramente nella stessa Bibbia. Nel libro di Ezechiele (16:49-50) si legge infatti: "Ecco, questa fu l'iniquità di tua sorella Sodoma: essa e le sue figlie avevano superbia, ingordigia, ozio indolente, ma non stesero la mano al povero e all'indigente: insuperbirono e commisero ciò che è abominevole dinanzi a me: io le vidi e le eliminai."

Come si può vedere, nelle motivazioni espresse da Yahweh per giustificare la distruzione di Sodoma e delle altre città non c'è alcuna menzione ad alcun tipo di peccato sessuale. Yahweh a questa cosa non ci pensa proprio, adducendo tutte altre motivazioni. Torniamo a questo punto al concetto di Bibbia-supermercato. Il fatto che molto difficilmente sentirete da un cristiano omofobo citare questo passo, che indica le vere motivazioni che portarono alla distruzione di Sodoma, è una delle tante dimostrazioni della consistenza del concetto. Ma ormai il danno è fatto, il brano biblico in questione è stato sapientemente propagandato nel corso dei secoli come colonna portante di una morale sessuale che demonizza l'omosessualità e non è stato più possibile tornare indietro. La condanna e la repressione dell'omosessualità che, pur all'interno di diverse "faglie epistemologiche", attraverserà l'impero romano, il Medioevo e l'età moderna, originano da qui. Questo è il motivo per cui mi sono dilungato su questo episodio.

Per quanto riguarda le civiltà pagane precristiane, come la Grecia classica e i Romani - qui sintetizzo maggiormente -, c'è da dire che il concetto di omosessualità non esisteva, nel senso che l'attrazione sessuale verso persone dello stesso sesso aveva la stessa dignità dell'attrazione sessuale verso persone dell'altro sesso. La differenza la facevano gli atti e le azioni sessuali in sé, erano infatti questi a essere considerati "filosoficamente" sbagliati. Il primo motivo stava nel fatto che gli atti omosessuali andavano contro il piano divino della natura che era la procreazione. Quando si faceva sesso bisognava farlo per procreare, per intenderci, un po' come del resto prescrive ancora oggi la dottrina cattolica, anche se largamente disattesa. Il secondo motivo che faceva ritenere gli atti omosessuali filosoficamente sbagliati risiedeva nella provocazione del discredito del soggetto passivo. Insomma, il soggetto passivo veniva disonorato. Per capire questo bisogna tenere conto che nella Grecia classica l'atto sessuale non era inteso allo stesso modo in cui lo intendiamo noi. L'atto sessuale era inteso come qualcosa che qualcuno faceva a qualcun altro, c'erano quindi un soggetto attivo e uno passivo. Queste due figure non erano di valore paritario; chi aveva un ruolo attivo era considerato superiore a chi aveva un ruolo passivo, il quale era subordinato a un ruolo di sottomissione. Questa cosa non creava nessun problema nei rapporti eterosessuali perché nella Grecia classica la donna, in quanto donna, era già considerata inferiore per natura. E non creavano problemi neppure i rapporti omosessuali con gli schiavi, in quanto questi ultimi non erano considerati persone ma beni materiali, e come beni materiali totalmente immuni dal rischio di perdere l'onore. L'atto sessuale, quindi, nell'antichità classica impregnata fino al midollo di maschilismo e di ossessione per la virilità, era concepito come atto di presa di possesso, e tra l'altro questo concetto è rimasto ancora oggi quando si dice "possedere una donna", al quale, non a caso, non corrisponde l'equivalente "possedere un uomo". In definitiva, nell'antichità ciò che contava nei rapporti sessuali era mantenere il ruolo attivo, altrimenti ne avrebbero fatto le spese l'onore e la virilità. Stabilito questo, tutto era lecito.

La "rivoluzione", se così si può dire, portata dall'avvento del cristianesimo si è realizzata nel cambio totale di questo paradigma. Col cristianesimo, che basava la sua morale sessuale sulle condanne bibliche, la stessa attrazione omosessuale era già considerata peccato, indipendentemente dal ruolo passivo o attivo che si assumeva durante l'atto sessuale. In pratica, la differenza sostanziale tra le due visioni era che nell'antichità classica erano gli atti a essere filosoficamente sbagliati, non il desiderio o l'attrazione omosessuale in sé; col cristianesimo è il desiderio stesso dell'omosessualità a essere sbagliato, peccaminoso, non tanto perché ispirato da un istinto interiore sregolato, ma perché ispirato addirittura dal diavolo stesso.

Da qui comincia la lunghissima e travagliata storia dei rapporti tra cristianesimo e omosessualità che attraverserà l'Impero romano e il Medioevo, per arrivare all'Italia del fascismo e della liberazione passando per la Firenze del Quattrocento, la Spagna del Seicento, la Francia di Napoleone e attraversando secoli e secoli di persecuzioni, processi, roghi, gogne, privazioni, torture, abusi a cui sono stati sottoposti milioni di persone colpevoli solo di avere un orientamento sessuale perfettamente naturale ma non conforme agli "standard".

Chi ci rimette

Sono al tavolino del bar. Entra una ragazza ucraina che lavora qui in Italia. Sua sorella è rimasta là con due bambini piccoli e il marito di lei è in Germania per lavoro. Né lei né il marito della sorella possono mandare soldi perché i canali per farli arrivare sono interrotti. È chiusa in casa coi suoi bambini; non arriva acqua e pure luce e riscaldamento vanno e vengono. I militari sono per le strade e si sentono continuamente esplosioni. La ragazza si appoggia al banco e piange, sfogandosi con la barista. Io vorrei dirle qualcosa, fare qualcosa, ma non so cosa.
Ci saranno torti e ragioni, non discuto, è materia per analisti, ma alla fine la guerra è sempre questa schifezza qua, e, come diceva Gino Strada, chi ci rimette è sempre la povera gente e quelli che non c'entrano niente.

venerdì 25 febbraio 2022

Sul libertinismo

Scrive Giovanni Dall'Orto in Tutta un'altra storia. L'omosessualità dall'antichità al secondo dopoguerra, di cui parlerò più approfonditamente una volta terminato il libro, che il libertinismo, una corrente di pensiero nata in Italia nella prima metà del Cinquecento e terminata, o meglio fortemente ridimensionata, dalla Controriforma del Seicento, è un insieme di punti di vista che hanno come elemento comune l'idea che l'anima umana, così come quella degli altri animali, muore assieme al corpo. Ciò implica automaticamente (a) la falsità di tutte le religioni e delle loro promesse; (b) l'impossibilità di basare la morale sulla religione e (c) la volontà di basarla sulla ragione. 

Tutto questo cozza vistosamente con l'idea di libertinismo di oggi, idea che - scrive sempre Dall'Orto - è sostanzialmente una caricatura messa in circolazione dai suoi "nemici", cioè le Chiese di allora. Per queste ultime, infatti, il libertino è un misero senzadio che, rifiutando la morale religiosa, è di conseguenza completamente amorale e dedito solamente alla ricerca del piacere fisico (specie sessuale), ossia al libertinaggio.

In effetti, pensandoci, è vero, il termine libertino rimanda ancora oggi, nel sentire comune, a persona sostanzialmente anarchica e di facili e liberi costumi. Mentre invece c'è ben altro.

Sordi e la Padania

Il 24 febbraio 2003 se ne andava Alberto Sordi. All'epoca la Padania, organo della Lega Nord, scrisse qualcosa tipo "Un romano simpatico", come a voler dire che tutti gli altri romani erano antipatici se non peggio. Mi ricordo questo particolare perché all'epoca girava in rete e questa uscita della Padania fece irritare parecchio la blogosfera. 
Solo per ricordare ai tanti più o meno finti distratti cos'era la Lega prima della svolta nazionalista del "prima gli italiani".

giovedì 24 febbraio 2022

Domande

Mentre seguo ciò che succede non posso fare a meno di pensare che, se racchiudiamo in uno solo i circa 4 miliardi di anni dalla comparsa della vita a oggi sul nostro pianeta, dal primo gennaio al 2 novembre abbiamo solo semplicissime forme di vita unicellulari come i virus e i batteri. Poi l'evoluzione decide di cominciare a sperimentare e nascono forme di vita più complesse. I dinosauri arrivano a metà dicembre. I primi esseri a staccarsi dallo scimpanzé e a essere catalogati nel genere Homo, i nostri più lontani antenati, compaiono il 31 dicembre. La nostra specie, Homo Sapiens, compare negli ultimi minuti prima di Capodanno. La scrittura negli ultimi secondi. In altre parole, siamo su questa pianeta da un niente, siamo gli ultimi arrivati e in questo niente abbiamo fatto i peggiori disastri di ogni altra forma di vita mai apparsa in quattro miliardi di anni. Sarà il caso di farci qualche domanda, o no?

Salario minimo

Senza troppo clamore, almeno qua da noi, la Germania del neonato governo socialdemocratico post-Merkel ha innalzato, a partire dal prossimo ottobre, il salario minimo di tutti i lavoratori portandolo da 9,82 a 12 euro l'ora. Un lavoratore che copre le 40 ore settimanali si vedrà quindi riconosciuto - stiamo parlando di medie, ovviamente - uno stipendio che gira attorno ai 2100 euro. In Italia il reddito minimo nazionale non esiste. Non esiste cioè una soglia legale minima sotto la quale il datore di lavoro non possa scendere per retribuire il lavoratore; esiste solo una giungla (più di 800) di centinaia di contratti collettivi diversi tra loro. 

C'è da qualche tempo, depositato al Senato, un disegno di legge a firma Nunzia Catalfo per introdurre il salario minimo fissandone la soglia a 9 euro all'ora lordi (che è una roba ridicola, ma l'alternativa è il niente). Se diventasse legge, nessun contratto collettivo potrebbe scendere sotto questa soglia. Confindustria e sindacati piangono, ovviamente. La prima perché le aziende dovrebbero pagare di più i lavoratori, i secondi perché perderebbero potere nelle contrattazioni (i sindacati ne hanno tantissimo nella definizione dei contratti collettivi). 

Bene. La notizia è che Pd, Forza Italia e Lega, cioè destra e (finta) sinistra allegramente insieme, hanno presentato emendamenti per "svuotare", di fatto sabotare, questa legge, proponendo di eliminare qualsiasi riferimento alla soglia minima di nove euro all'ora. Confindustria sorride, i sindacati sono felici, e quel 30% di lavoratori, spesso poveri, che avrebbero avuto diritto a godere di questo beneficio, rimanono come al solito con le pive nel sacco.

Pazienza Forza Italia e Lega, che sono di destra e la destra ha storicamente visto i lavoratori come sappiamo; ma il Pd? Letta non ha niente da dire? La cosa divertente, si fa per dire, è che poi questi signori sono gli stessi che strillano e si appellano ai giovani perché non se ne vadano dall'Italia.

Guerra

Questa mattina presto Putin ha iniziato l'invasione dell'Ucraina, assediando varie città e bombardando varie strutture nell'est del paese. Non c'è granché da dire che non sia già stato detto riguardo ai motivi che l'hanno spinto a dare inizio a un conflitto alle porte orientali dell'Europa, conflitto che più o meno direttamente è inevitabile che avrà prima o poi ricadute anche per noi - diversi analisti hanno ipotizzato che l'invasione dell'Ucraina potrebbe trasformarsi nel più vasto conflitto europeo dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Se in effetti si guarda alle modalità con cui si è originata l'ultima guerra, che poi non sono molto diverse da quelle che hanno originato quella del 15-18, si vede che i prodromi sono i medesimi. 

A margine, a me viene da chiedermi quanto si debba essere fuori dalla realtà per prendere simili decisioni. La maggior parte dello stesso popolo russo non ha mai voluto questa guerra, non solo perché conscio delle ricadute in termini di perdite umane che provocherà, ma per le conseguenze sul piano economico e sociale prodotte dalle sanzioni che i paesi NATO infliggeranno alla Russia e che andranno ad aggravare una situazione economica che già adesso non si può certo definire prospera. 

Ma è sempre così: chi sta nelle stanze dei bottoni è come se vivesse in un pianeta a sé stante, totalmente refrattario a ogni contatto col mondo reale, quello composto di persone che spesso devono arrabattarsi in qualche modo per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena.

mercoledì 23 febbraio 2022

Post rimossi

Mi è arrivata questa mattina una mail dalla legale di un uomo politico, ex ministro, abbastanza noto una dozzina d'anni fa. Nella mail mi si chiede cortesemente di rimuovere alcuni post relativi a questa persona che scrissi all'epoca, quando mi interessavo molto di politica (oggi non me ne frega quasi più niente) e di questi temi parlavano la quasi totalità delle cose che scrivevo qui.

La richiesta mi è stata rivolta in ossequio a ciò che viene definito Diritto all'oblio, dal 2018 regolato da apposita legge. In pratica, avvalendosi di questo diritto, il personaggio in questione chiede la rimozione di tutto ciò che lo riguarda e che è reperibile in rete. In effetti avevo scritto parecchi post su di lui, anche in virtù di una vicenda giudiziaria che all'epoca lo interessò.

Ho rimosso i post segnalatimi senza problemi, tranne alcuni che col personaggio in questione e la sua vicenda non c'entravano niente e che probabilmente mi sono stati segnalati per una svista. Stavo però pensando che in passato, come dicevo, ho scritto molto di politica e di politici, e se questa cosa del diritto all'oblio prende piede, mi sa che faccio prima a chiudere il blog.

martedì 22 febbraio 2022

L'altro da sé (su internet)

Ogni tanto Telmo Pievani torna su questa cosa, cosa che a me lascia sempre un po' di perplessità. Sintetizzando, dal punto di vista evolutivo le neuroscienze hanno dimostrato attraverso molteplici studi che il nostro cervello si porta dietro il retaggio di quando i nostri antichi predecessori vivevano in piccoli gruppi. Fino all'inizio del neolitico (tra 10 e 12.000 anni fa), quando l'uomo ha inventato l'agricoltura e l'allevamento, i nostri antenati hanno vissuto per milioni di anni come cacciatori-raccoglitori, e per tutto questo tempo la loro vita si è sempre svolta in piccoli gruppi nomadi generalmente formati da poche decine di persone. Oggi, nonostante viviamo da sedentari nel cosiddetto "villaggio globale", il nostro cervello lavora ancora come se fossimo quelli là; gli è cioè rimasto l'adattamento ad avere un certo numero di relazioni all'interno di un gruppo più o meno grande che lo protegge, esattamente come succedeva nel paleolitico.

Questo spiega, tra le altre cose, le polarizzazioni che si verificano ad esempio in quella sterminata prateria che è internet. La tendenza tipica dei social a formare gruppi distinti in cui ci si riconosce, in cui è possibile trovare chi la pensa come noi e nel gioco dei quali scatta l'ostracismo verso chi la pensa diversamente o la vede in un altro modo, è appunto retaggio di questo antico modus operandi del nostro cervello. Paradossalmente, noi umani abbiamo tra le mani forse il più libertario, anarchico, globale strumento di libertà espressiva mai concepito, ma ci muoviamo al suo interno con le stesse modalità di fare di quel grosso mammifero antropomorfo nato in Africa cinque milioni di anni fa. Fin qui la scienza, e ci sta.

Quello che me lascia perplesso è però l'incompletezza del discorso. Se è vero, come è vero, che in rete, ma anche fuori, esistono le cosiddette echo chambers, è anche vero che la loro nascita non è dovuta solo al modo arcaico e anacronistico in cui ragiona il nostro cervello, ma anche alla palese impossibilità che le cose procedano in un altro modo. Mi spiego con un esempio calzante col periodo che stiamo vivendo. Se io penso che il green pass sia uno strumento utile, assieme ai vaccini e a tutto il resto, per combattere la pandemia, è logico che vedrò di buon occhio e mi riconoscerò in chi in rete e fuori la vede come me. E siccome l'argomento green pass è per sua natura analizzabile e valutabile da diverse angolazioni, sono anche disposto a mettermi in ascolto di chi la pensa diversamente, sentendo le ragioni che portano a identificare il green pass come uno strumento inutile. Questo perché, e mi pare sia una cosa palese, il green pass per come è stato concepito e attuato ha sì molti pregi ma allo stesso tempo molti difetti; questo credo sia innegabile.

Ma questo discorso, se ha una sua validità per il green pass, non ce l'ha ad esempio nei confronti di un terrapiattista, perché un conto sono le molteplici variabili con cui è possibile valutare il green pass, un altro è la pretesa di mettersi ad ascoltare le ragioni di chi crede che il nostro pianeta sia piatto - il fatto che la Terra non è piatta non può essere oggetto di discussione a meno di non considerare il famoso "c'est l'absurde" di Sartre. In questo caso, quindi, la formazione di due gruppi rigorosamente separati (chi considera la Terra piatta e chi sferica) non nasce dal modus operandi arcaico del nostro cervello, o almeno non solo da quello, ma un dato di fatto oggettivo. C'è differenza tra le due cose, e molta, ed è strano che Pievani non l'abbia menzionata.

Se mai avrò occasione di assistere a una sua conferenza, non mancherò di chiedergliene ragione (parla di questi argomenti a partire dal minuto 36:30 del video qui sotto).

Ristoro

A me il sostantivo "ristoro" inteso come risarcimento o compensazione non piace, anche se ormai è stato definitivamente sdoganato con la pandemia. Non è sbagliato, beninteso, ma, come si legge nel dizionario Treccani, è desueto, di antico uso letterario. Al termine ristoro ho sempre assegnato la valenza di sollievo: il ristoro/sollievo di un bicchiere d'acqua quando si è assetati, il ristoro/sollievo di una notte di sonno quando si crolla di stanchezza e così via. Siccome sono ormai anziano e si sa che gli anziani hanno una mente meno malleabile e sono meno inclini al cambiamento, per adesso continuerò a utilizzare e intendere il termine ristoro come sinonimo di sollievo e risarcimento come compensazione o rifondazione economica di un danno, poi si vedrà.

lunedì 21 febbraio 2022

Salvatore

La mattinata è stata ventosa. Un vento fortissimo ha spazzato il cielo da ogni nube e ha permesso al sole di splendere come solo lui sa fare. Fa un certo effetto pensare che la grandezza, la potenza e la magnificenza del sole debbano chiedere il permesso di mostrarsi a quegli insignificanti sbuffi di niente chiamati nuvole, ma così è. 

A metà pomeriggio il sole si è piano piano nascosto. Da azzurro e pulito che era, il cielo si è sporcato del colore dell'ardesia, il vento si è fermato ed è cominciato a piovere. Una pioggerellina leggera, ma insistente e fastidiosa. Sotto quella pioggerellina fastidiosa ho visto dalla finestra Salvatore passare in bicicletta. Tornava a casa. 

Salvatore abita poco distante da me. È un maresciallo dell'Aereonautica in pensione, o qualcosa del genere, e tutti i giorni, inverno o estate che sia, con la sua bicicletta e la sua valigetta scende giù a Santarcangelo. Qui prende il 9 e va a Rimini. Non so cosa ci vada a fare, ma ci va ogni giorno e nel tardo pomeriggio torna a casa. Per qualche motivo, quando mi vede mi saluta sempre, e io contraccambio. 

È curiosa questa cosa, a pensarci. A volte si cominciano a salutare persone mai conosciute solo per il fatto di incrociarle con una certa regolarità. Cioè, non ci si conosce, si sa poco o nulla reciprocamente, ma ci si incontra di sfuggita quasi ogni giorno e ci si comincia a salutare. Anche oggi l'ho salutato dai vetri della finestra ma lui non ha potuto rispondere, perché con una mano teneva il manubrio della bici e con l'altra si reggeva la valigetta sulla testa per ripararsi dalla pioggia. Ma credo che abbia risposto al mio saluto con un cenno del capo.

Padova

Ieri e sabato io e signora siamo stati a visitare Padova. Ogni volta che esco dal mio piccolo paese di campagna, dove siamo quattro gatti e più o meno ci conosciamo tutti, e vado in una grande città rimango sempre stupito, stupito piacevolmente, dalla grande varietà di umanità che vi si può incontrare. Certo, si sa che è così, si sa che a Padova non ci sono più solo padovani, a Milano non ci sono più solo milanesi, a Bologna solo bolognesi, a Rimini solo riminesi e così via, ma un conto è saperlo e un conto è vederlo e trovarcisi in mezzo. E a me piace vedere nello stesso posto il musulmano che dietro la sua bancarella al mercatino dell'usato tira fuori il suo tappeto, lo stende, vi si inginocchia girato verso La Mecca e prega recitando nenie incomprensibili assieme al cristiano che, nella basilica di sant'Antonio, si inginocchia anche lui e prega il suo dio con nenie altrettanto incomprensibili (le prime su un piano linguistico-concettuale, le seconde solo concettuale). E lo dice uno che non prega nessun dio. In generale, mi piace che le città siano oggi diventate un grande melting pot di culture, origini, religioni diverse (a New York il 55% dei suoi quasi nove milioni di abitanti è di origine straniera, ad esempio). Mi piace perché dall'alba dei tempi è così che le civiltà sono nate, progredite e si sono arricchite reciprocamente. Tutte le grandi civiltà sono storicamente nate sui porti o sui grandi snodi continentali come la via della Seta, luoghi dove genti diverse si incontravano; non ho notizie di civiltà nate sulle cime delle montagne. Poi, certo, non sono così ingenuo da pensare che il suddetto melting pot non sia anche foriero di problemi di tutti i tipi, spesso immani, da gestire.

I padovani sono cordiali, gentili, ma quando è ora non te le mandano a dire. Mi è capitato ad esempio di essere apostrofato a voce alta con l'epiteto "somaro", declinato naturalmente nella parlata locale che qui non posso riproporre, dopo aver imboccato inavvertitamente un senso vietato, in pieno centro, per un errore del navigatore della macchina. Ma ci sta (mia moglie ci è andata giù ancora più pesantemente, per dire). Come ogni grande città, anche Padova cerca di risolvere come può (spesso male) i suoi problemi più visibili. Davanti alla basilica di Santa Giustina, ad esempio, due vigili urbani cercavano con ben poca diplomazia di allontanare un mendicante che se ne stava seduto tranquillamente sulla scalinata davanti all'ingresso, senza importunare nessuno. Non importunava nessuno però non stava bene che fosse lì, il decoro prima di tutto, anche prima del paradosso insito nel fatto che un mendicante venga allontanato dal luogo in cui si venera un tizio che i mendicanti li aveva gerarchicamente messi in cima a tutto. Ma si sa che le amministrazioni comunali a queste cose non badano.

Le attrazioni artistiche principali della città siamo riusciti a vederle, l'unico grosso dispiacere è non essere riusciti a visitare la Cappella degli Scrovegni coi suoi celebri affreschi di Giotto, capolavori indiscussi dell'arte occidentale, ma bisognava prenotare e io non lo sapevo. Ho cercato comprensione tirando fuori tutta la mia leggendaria arte affabulatoria e, armato di quella, spiegando al funzionario all'entrata che venivamo dalla lontanissima (lontanissima, vabbe'...) provincia di Rimini apposta per vedere gli affreschi; ho cercato di fare leva sul suo senso di comprensione. Niente da fare: la fiducia nell'efficacia della mia arte affabulatoria ne è uscita fortemente ridimensionata.

La basilica di sant'Antonio era affollatissima. D'altra parte è molto bella, ricchissima di storia, ma mentre la visitavo non potevo fare a meno di chiedermi perché in luoghi come le basiliche, e in generale le chiese, non è obbligatorio accedere col green pass. Lo vogliono in musei, cinema, negozi, pizzerie, ristoranti, bar e chi più ne ha più ne metta, ma nei luoghi sacri no, pure se si verificano assembramenti a volte maggiori che negli altri luoghi menzionati. Una possibile risposta, comunque, ce l'ho. 
 
Una nota divertente. Dentro la basilica, seguendo un percorso delimitato da transenne, è possibile vedere le reliquie contenenti la lingua di sant'Antonio. Narra la leggenda che nel 1263, in occasione della riesumazione del cadavere del santo allo scopo di traslarlo in un sepolcro più dignitoso, nello specifico la parte terminale della basilica all'epoca in costruzione, ci si accorse che, mentre il resto del corpo era ormai ridotto in polvere, la lingua, "benché fosse stata sotto terra per trentadue anni, era cosí fresca, rossa e bella, come se il padre santissimo fosse appena morto". La preziosa reliquia, chiamata la "Lingua incorrotta di sant'Antonio", fu quindi posta nel reliquiario che è ancora oggi meta di pellegrinaggio. Bene. Davanti a noi, in fila, c'era una coppia di una certa età, verosimilmente marito e moglie. Lui teneva in mano l'opuscolo contenente la storia della lingua incorrotta e la spiegava alla moglie. Al termine della spiegazione, alzando gli occhi dall'opuscolo e guardando la teca con la preziosa reliquia, dice: "Mah, sarà anche una lingua incorrotta, ma non sarà mai come la tua!"

Divertentissimo sipario su questi due giorni a Padova.

sabato 19 febbraio 2022

Crisanti e la villa

A me, sinceramente, non importa niente che Andrea Crisanti si sia comprato una villa del '500. Importa limitatamente al fatto che sono contento per lui perché ha potuto coronare un suo desiderio e soddisfare così la sua passione per il restauro. Poi, del come l'abbia pagata non mi interessa, sono fatti suoi. In generale, ritengo che questa vicenda non sia neppure una notizia, se a questo sostantivo vogliamo dare il suo significato precipuo. E il fatto che se ne parli così diffusamente, e per gran parte a sproposito, credo dica ben poco sul virologo e molto sullo stato dell'informazione e della società nel nostro paese.

Non abbiamo più spalle di giganti su cui salire

Ieri nasceva Fabrizio De André, oggi moriva Umberto Eco. Quasi ogni giorno è nato o è morto qualcuno che è stato importante per qualche motivo. Parlo per me, ovviamente, ma credo che ognuno possa fare lo stesso discorso a livello personale. Io mi ritengo abbastanza fortunato, perché per qualche misterioso motivo sono sempre stato appassionato di cose ritenute futili o noiose dalla stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che mi ruotano attorno, ma che su di me hanno sempre esercitato una attrazione fortissima. Come i libri, ad esempio. Sono nato curioso e credo che morirò curioso. Mi ha sempre appassionato il cercare di sapere e di capire e ho sempre provato una smisurata stima nei confronti di chi poteva soddisfare in ogni modo questa mia curiosità.

A loro modo, e ognuno nel proprio ambito, sia De André che Eco, insieme a tantissimi altri, hanno fatto questo e continuano a farlo tuttora. A proposito di Eco, mi dispiace tanto che se ne sia andato presto, troppo presto. Mi sarebbe piaciuto leggere i suoi commenti sugli accadimenti di questi ultimi anni. Eco ha sempre avuto la capacità offrire analisi originali di tutto ciò che accadeva, ha sempre fornito spunti e visto le cose da angolazioni diverse rispetto a quelle della massa, e cerco di immaginare i suoi commenti su questi due anni di pandemia, sulla crisi russo-ucraina, sul vuoto di pensiero dilagante e il baratro culturale in cui è precipitata la nostra società (anche se su questo aveva già ampiamente scritto).

Ciò che dispiace è che, guardando attorno, non si vedono più giganti sulle cui spalle poter salire. Sia in campo artistico che culturale non si scorge più nessuno che si elevi dal magma amorfo in cui c'è tutto e niente. Certo, ci sono ottimi divulgatori e filosofi contemporanei, ma non credo che resteranno. Fra duecento anni si canterà ancora La donna cannone di De Gregori e si leggerà ancora Il nome della rosa di Eco, ma per il resto...

venerdì 18 febbraio 2022

De André

Il 18 febbraio 1940 nasceva Fabrizio De André e ogni volta che penso a lui, all'importanza che ha avuto nella mia vita, mi viene in mente Salvini, quando disse pubblicamente che De André è stato uno dei suoi cantautori preferiti. Che poi, magari, non è neppure vero e lui manco lo conosce, a De André, e ha detto così in occasione di un suo anniversario o di una commemorazione solo per il gusto di salire sul treno delle celebrazioni, come suo solito. Ma a me questa cosa irrita fortemente. Il fatto che mi venga automatica questa associazione, dico.

De André è stato il cantore degli ultimi, degli esclusi, dei soli, dei disperati: gli zingari, i poveri, gli stranieri, gli emarginati per il loro orientamento sessuale, esattamente le stesse categorie di persone detestate da Salvini. Eppure lui, De André, era il suo cantautore preferito, dice. Vorrei non avere mai letto quella cosa; adesso non lo saprei e non mi verrebbe questa associazione ogni volta.


giovedì 17 febbraio 2022

Due concezioni del dolore

A pensarci, è perfettamente legittimo che i cattolici siano contrari all'eutanasia, è perfettamente coerente col loro credo. In primo luogo perché l'eutanasia cozza contro l'assunto dottrinale che la nostra vita non è nella nostra disponibilità e quindi non siamo noi quelli titolati a deciderne le sorti; in secondo luogo perché l'eutanasia è sinonimo di emancipazione dal dolore e dalla sofferenza, e il dolore e la sofferenza per il cristianesimo sono valori positivi, da celebrare, perché rappresentano una forma di espiazione del peccato e una caparra per l'eternità. 

Rimane la solita domanda, che fa capolino ogni volta che si parla di questi argomenti: perché i cattolici sono contrari a una legge che non obbligherebbe nessuno a ricorrere all'eutanasia (quindi chi desiderasse, in virtù del proprio credo, soffrire potrebbe continuare a farlo senza problemi) ma consentirebbe di farvi ricorso solo a chi lo desidera?

 

mercoledì 16 febbraio 2022

Referendum negato

Non mi aspettavo, sinceramente, che la Corte costituzionale respingesse il referendum sull'eutanasia, che io ho convintanente sottoscritto, e sarà interessante leggerne le motivazioni integrali. Sono deluso e anche abbastanza amareggiato perché credevo che lo scoglio più grosso da superare fosse quello di riuscire a raggiungere il numero di firme necessario, non l'ammissibilità costituzionale del quesito. Quando ho visto che le firme necessarie sono state raccolte abbastanza rapidamente, tra l'altro con un successo di adesioni che credo abbia sorpreso lo stesso Cappato (1,2 milioni di firme raccolte), mi sono rincuorato e ho pensato che il più fosse fatto.

Non sono naturalmente irritato con la Consulta, la quale ha deliberato in ossequio al rispetto di princìpi costituzionale che evidentemente il quesito violava (per questo sono curioso di leggere le motivazioni integrali); sono irritato coi partiti che, in tre anni di tempo, e cioè da quando la corte ha sentenziato sul famoso caso di dj Fabo invitando, anzi pressando, la politica affinché si decidesse a legiferare in materia, i suddetti partiti non hanno trovato il tempo di voluto farlo e hanno continuato a fare melina in attesa e con la speranza che la Consulta mandasse il quesito al macero, come è effettivamente accaduto.

Quindi, per qualche tempo ancora si andrà avanti così come si è fatto fino a oggi: chi potrà permettersi di smettere di soffrire andrà in Svizzera o resterà qui andando ad ingrossare le file dell'eutanasia illegale, gli altri continueranno a soffrire nei loro letti fino alla morte. Amen.

martedì 15 febbraio 2022

Pensioni

La notizia, in realtà, non è che la pandemia ha fatto risparmiare all'Inps 1,1 miliardi di euro solo nel 2020, come titola Repubblica. La cosa era immaginabile, dal momento che i decessi per covid riguardano per gran parte persone anziane (e, tra l'altro, quante battute idiote sono state fatte a tal proposito...). La notizia è che, a tutt'oggi, ci sono in Italia quasi 500.000 persone andate in pensione nel 1980, retaggio di una certa politica economica clientelare dei decenni passati, di cui ho già scritto qui e su cui non mi va di tornare.

Che ognuno faccia come vuole


A me non importa assolutamente niente che chi voglia porti le mascherine all'aperto anche se non più obbligatorie. Così come m'importava poco che, sempre all'aperto, tantissimi non le portassero quando erano obbligatorie (m'incazzavo molto di più con chi non le indossava nei luoghi chiusi). Del fatto che adesso ognuno possa effettivamente fare come crede non dovrebbe importare niente neppure a Ruggeri, ma è noto che le innate velleità proselitistiche insite in ognuno di noi è spesso difficile metterle a tacere.

domenica 13 febbraio 2022

Quei pomeriggi in cui mi viene voglia di rovinare una canzone di De Gregori

La lettera scarlatta

 


Mi stupisce sempre, ogni volta che leggo un classico, notare le differenze stilistiche tra la prosa di questi ultimi e quella della narrativa contemporanea. La prosa della narrativa contemporanea è in genere più "veloce", immediata, il susseguirsi degli eventi, delle situazioni e dei dialoghi è più rapido, probabilmente specchio della veloce e rutilante società contemporanea influenzata dalla rapidità di internet e dei social. I classici, invece, sono più "lenti"; le descrizioni, i dialoghi e le situazioni hanno un più ampio respiro, fino a volte a eccedere in ridondanze e ripetizioni - chi ha letto libri come ad esempio Il conte di Montecristo sa cosa voglio dire.

La lettera scarlatta fu pubblicato per la prima volta nel 1850 ed è un classico della letteratura statunitense. È ambientato nella Nuova Inghilterra puritana e arretrata del XVII secolo e narra le vicende di Hester Prynne, una ragazza accusata di adulterio che, secondo le leggi religiose di quei tempi, venne condannata inizialmente alla gogna e poi a trascorrere il resto della sua vita con lettera A rossa cucita addosso al vestito, a simboleggiare pubblicamente la sua condizione di donna adultera. È un romanzo storico, abbastanza scarno di dialoghi e con pochi personaggi principali, che ha il merito di descrivere con una certa precisione che cos'è stato il puritanesimo e le derive a cui possono condurre il fanatismo religioso e l'ignoranza. 

Piccola curiosità: dal tenore dello scritto si evince chiaramente l'avversità dell'autore del romanzo verso il puritanesimo e le sue leggi, avversione che portò lo scrittore, Nathaniel Hawthorne, ad aggiungere una lettera al suo cognome per modificarlo. Il cognome originario della famiglia di origine, infatti, era Hathorne, privo della "w", la quale fu aggiunta dallo scrittore a simboleggiare il distacco da un suo predecessore, John Hathorne, che fu uno dei giudici del tristemente famoso processo alle streghe di Salem.

Articoli sulla guerra

I due articoli più completi relativi alla genesi della crisi tra Russia e Ucraina mi pare che siano questo di Open e questo de Il Post, al quale mi riprometto sempre di abbonarmi ma non mi decido mai. Anche questo breve intervento di Alessandro Barbero, che da storico va alle origini dell'antica faida tra i due territori, è pregevole pur nella sua brevità. Per il resto, non mi pare ci sia granché da dire, specie quando nessuno, neppure i maggiori esperti di geopolitica, sanno prevedere cosa accadrà. Gli americani dicono che l'invasione del territorio ucraino da parte di Putin è imminente; i russi replicano - il ministro degli esteri Sergej Viktorovič Lavrov l'ha ribadito più volte - che non è in programma alcuna invasione dell'Ucraina da parte della Russia, assunto, questo, difficilmente sostenibile alla luce dell'impressionante concentramento di contingenti militari lungo gran parte dei 2200 chilometri del confine che separa i due stati.

L'unica cosa certa, in questo guazzabuglio di ipotesi allo stesso tempo verosimili e inverosimili, è che Putin non è un mistero che per l'Ucraina abbia da sempre una vera e propria ossessione per tutta una serie di motivi, principalmente identitari e geopolitici. Poi ci siamo noi, qua, noi comuni mortali che guardiamo il possibile inizio di una guerra in Europa come qualcosa di incomprensibile e inquietante. 

Dall'ultima guerra mondiale sono passati più di settant'anni e chi è nato a partire dagli anni Cinquanta in qua della guerra ha solo letto sui libri di storia o sentito parlare i propri genitori o nonni. Per tutti questi decenni siamo vissuti in un contesto europeo di pace e unità, almeno formali. Con la sola carta d'identità, oggi, si può andare da Trapani a Helsinki e dalle coste atlantiche del Portogallo agli Urali senza incontrare ostacoli e senza dover mostrare passaporti. Chi ha la mia età ha probabilmente figli che hanno viaggiato e studiato in giro per l'Europa col programma Erasmus e simili, e che hanno nella loro visione un'Europa non intesa come un'accozzaglia di diversi stati ma come una unica grande realtà in cui muoversi liberamente. Per i nativi della nostra epoca è impossibile immaginare che Francia e Germania possano oggi farsi la guerra, perché il contesto sociale, politico e ideologico rende inconcepibile anche solo immaginarlo. Mentre non era affatto così per le generazioni vissute prima di questi settant'anni di pace, che speriamo non si interrompano la prossima settimana.

venerdì 11 febbraio 2022

Dal calzolaio

I miei, nel loro girettino pomeridiano, sono andati a Novafeltria, una ventina di chilometri da qui, a portare ad aggiustare da un calzolaio (l'ultimo calzolaio rimasto in Italia?) un paio di scarpe di mio babbo. Curiosa, questa cosa, a pensarci. Oggi le scarpe rotte si buttano, non si portano ad aggiustare. Forse perché loro (mio padre classe '43, mia madre '45) sono cresciuti in un'epoca in cui avere le cose costava fatica, sacrificio, e una volta che si era riusciti ad averle si faceva il possibile perché durassero e se si rompevano si portavano ad accomodare, spesso anche più volte. Credo che, a loro modo, siano inconsapevoli testimoni di un mondo che non esiste più, dove forse, sotto certi aspetti, si stava anche meglio. Chissà.

Puritanesimo

Leggo ne La lettera scarlatta le modalità con cui, nella Nuova Inghilterra puritana del XVII e XVIII secolo, una donna accusata di adulterio veniva condotta nella pubblica piazza e messa alla gogna. La gogna era un palco su cui la donna (perché si puniva l'infedeltà femminile, mica quella maschile, scherziamo?) veniva legata e assicurata a dei ceppi a volte per giorni, e in questo periodo veniva esposta al pubblico ludibrio e alle contumelie degli appartenenti al villaggio, i quali, all'occorrenza, non disdegnavano di lanciare oggetti addosso alla malcapitata. Leggo queste cose e non posso fare a meno di pensare che sono accadute per davvero, e che forse un Pillon o un Adinolfi in certi ambienti non si sarebbero trovati troppo a disagio.

mercoledì 9 febbraio 2022

Armi, acciaio e malattie

 


Questo saggio storico-geografico-antropologico ha vinto nel 1998 il Premio Pulitzer per la saggistica. Dopo Sapiens, da animali a dèi, di Yuval Noah Harari, credo che sia il saggio più bello che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni, saggio che narra la storia umana e le vicende del mondo negli ultimi tredicimila anni. Naturalmente, narrare tredici millenni in meno di cinquecento pagine ha richiesto giocoforza delle semplificazioni e una suddivisione della narrazione per punti principali, ma tale semplificazione ha un vantaggio: la prospettiva a lungo termine e su vaste aree permette, come scrive l'autore, intuizioni che uno studio più particolareggiato non consentirebbe. Perché questo testo prende in esame gli ultimi tredicimila anni della nostra storia? Perché tredicimila anni fa è successa una cosa che ha cambiato - in meglio o in peggio è tuttora oggetto di discussione - per sempre la nostra storia: è nata l'agricoltura e l'uomo, dopo milioni di anni in cui è stato cacciatore-raccoglitore nomade, è diventato sedentario e ha cominciato a lavorare la terra e ad addomesticare gli animali, con tutto ciò che ne è conseguito. Ma facciamo un passo indietro.

Circa sette milioni di anni fa un gruppo di scimmie antropomorfe africane si suddivise in vari sottogruppi, uno dei quali diede origine per evoluzione naturale ai moderni gorilla, un altro agli scimpanzé, un altro ancora all'uomo. La nostra storia evolutiva come specie separata iniziò proprio da lì. Dopo altri tre milioni di anni ci siamo alzati in piedi, siamo cioè diventati bipedi e abbiamo abbandonato la camminata a quattro zampe. Dopo un altro milione e mezzo di anni abbiamo avuto un aumento della massa corporea e del cervello e, circa un milione di anni fa, come Homo erectus, siamo per la prima volta usciti dall'Africa e siamo partiti alla conquista del mondo. Australopithecus africanus, Homo habilis e infine Homo erectus, erano specie protoumane, erano cioè i nostri più antichi progenitori. Noi, Homo sapiens, siamo gli ultimi arrivati e quelli che nella storia del mondo hanno fatto più disastri di tutte le altre specie di nostri predecessori messe assieme. Siamo una specie giovanissima e siamo nati anche noi in Africa circa duecentomila anni fa, che in termini evolutivi è pochissimo (per rendere l'idea, basta che ognuno di noi vada indietro di 4000 nonni e arriva all'origine dell'evoluzione umana dei Sapiens).

Noi Sapiens siamo i protagonisti della storia narrata nel libro, storia che origina da una domanda che un abitante della Nuova Guinea, Yali, pose a Jared Diamond nel 1972 mentre come antropologo si trovava sull'isola per i suoi studi: "Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo [per cargo si intendono le tecnologie in possesso degli Occidentali] e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?" La domanda colse alla sprovvista Diamond, che lì per lì non seppe cosa rispondere ma promise al suo amico Yali di pensarci e di fargli avere una risposta quanto prima. La risposta è in questo libro, che comincia con una storia.

Nel 1532, il conquistador spagnolo Francesco Pizarro sbarcò nella città andina di Camajarca e incontrò l'imperatore inca Atahualpa. Atahualpa reggeva come monarca assoluto il più grande e progredito stato del Nuovo Mondo, mentre Pizarro rappresentava Carlo I di Spagna, sovrano del Sacro romano impero, il re più potente d'Europa. Pizarro era a capo di un gruppo raccogliticcio di 168 soldati, si trovava in terre a lui sconosciute, isolato e nell'impossibilità di ricevere rinforzi. Per contro, Atahualpa era nel bel mezzo del suo impero, circondato da milioni di suoi sudditi e difeso da un esercito che contava 80.000 uomini. Ciò nonostante, pochi minuti dopo averlo incontrato, Pizarro fece prigioniero Atahualpa, lo tenne in ostaggio per otto mesi, durante il quale si fece consegnare il più grande riscatto della storia (circa 80 metri cubi d'oro) e infine, rimangiandosi ogni promessa, lo fece uccidere. 

Cosa permise allo spagnolo coi suoi pochi soldati raccogliticci di avere ragione dell'imperatore inca? La superiorità tecnologica. I 168 soldati spagnoli avevano cavalli, fucili, armature, conoscevano avanzate tecniche di guerra. Gli 80.000 uomini di Atahualpa disponevano solo di rudimentali armi (principalmente archi e frecce e qualche lancia) ed erano appiedati (il cavallo non era ancora arrivato in America). La superiorità tecnologica degli europei aveva compensato ampiamente la loro inferiorità numerica. Passando dal piccolo al grande, tra i due continenti, Europa e America, c'era all'epoca un divario tecnologico immenso, lo stesso divario che fece nascere a Yali la domanda che poi pose a Jared Diamond. E questo divario tecnologico è ciò che spiega i motivi per cui siamo stati noi europei, con le nostre navi, a conquistare le Americhe e non sono stati gli amerindi ad attraversare l'oceano e a venire a conquistare l'Europa. In poche parole, Pizarro ha vinto utilizzando i tre elementi che danno il titolo al libro: le armi, l'acciaio e le malattie (la conquista del Nuovo Mondo ebbe tra le sue principali cause le malattie portate dagli europei, sconosciute agli amerindi, che sterminarono la stragrande maggioranza di questi ultimi).

Nelle quasi cinquecento pagine del suo saggio, Diamond, dopo decenni di studi e ricerche, cerca di spiegare le ragioni di questo immenso divario tecnologico e, più in generale, le ragioni per cui nella storia del mondo alcuni popoli sono sempre stati, sotto svariati punti di vista, più progrediti di altri. In genere, si tende semplicisticamente a dare a tutto ciò una spiegazione di tipo antropologico, si tirano in ballo gli uomini, le loro attitudini. È la classica spiegazione di stampo razzista, tanto in voga ancora oggi, che si aggrappa alla biologia affermando che alcune popolazioni sono biologicamente migliori di altre (la classica spiegazione che viene fuori ogni volta che si fanno raffronti tra noi e l'Africa, ad esempio). Diamond respinge la spiegazione razzista non solo perché è odiosa, ma semplicemente perché è sbagliata, e dimostra nella maniera più convincente e documentata possibile che le differenze tra il maggiore e minore grado di progresso delle popolazioni umane hanno sempre avuto origini di tipo ambientale. Le diversità culturali non sono mai innate, ma affondano le loro radici in differenze geografiche, ecologiche e territoriali. Soprattutto geografiche.

Perché geografiche? Le più grandi scoperte della storia (l'agricoltura, la scrittura, la ruota, i metalli, gli stati ecc.) sono nate e si sono diffuse nel continente euroasiatico, poi, solo successivamente, sono arrivate negli altri continenti. Questo è successo - ecco qui la geografia - perché il continente euroasiatico è disposto nella direzione est-ovest sull'asse terrestre. Cosa implica, questo? Una maggiore facilità con cui animali, piante, idee, tecniche e popoli si potevano spostare nel suo territorio, perché questa disposizione permetteva di muoversi stando sempre a latitudini simili senza incontrare ambienti troppo diversi. Il Nuovo Mondo, invece (e anche l'Africa, seppur in misura minore), è orientato lungo l'asse nord-sud e strozzato all'altezza di Panama. Ciò significa che nelle Americhe la circolazione di popoli, idee, tecniche era molto più difficoltosa, rispetto a ciò che avveniva nel continente euroasiatico, a causa della molteplicità di barriere ecologiche, climatiche, territoriali, tutti ostacoli che nel passato hanno impedito il diffondersi delle tecnologie e delle scoperte. Questo è il motivo per cui quando gli europei sono arrivati nelle Americhe si sono incontrati con un mondo tecnologicamente molto più arretrato. In generale, il ragionamento applicato al caso Europa-America è valido per ogni altra situazione di disuguaglianza tra civiltà e popoli del mondo, a partire dal passato più remoto fino ad arrivare a oggi. La differenza la fa sempre l'ambiente, e nient'altro.

Mi accingo a riporre questo libro nella mia libreria con due stati d'animo. Il primo è un lieve dispiacere per il fatto di averlo terminato (mi sarebbe piaciuto che avesse avuto il doppio delle pagine); il secondo è un senso di appagamento per tutte le cose che non sapevo e che ora so. D'altra parte, a questo servono i libri, no?

martedì 8 febbraio 2022

Facoltà umanistiche da chiudere?

"Quanti laureati in Lettere, Beni culturali, Filosofia, Sociologia, Psicologia e anche Giurisprudenza ed Economia sono destinati a lavorare nel campo per cui hanno studiato? Quanti, per farlo, dovranno emigrare? Quanti faranno i rider, i commessi, gli assistenti senza borsa, le/i segretarie del professionista, quanti lavoreranno alle poste o occuperanno una cattedra nella scuola, senza formazione né voglia? E allora chiudiamole, queste fabbriche delle illusioni che sono le nostre facoltà, che formano sì persone competenti, ma disoccupate, sotto occupate o emigranti questuanti come furono i nostri nonni negli anni Cinquanta."

Lo sfogo della professoressa di lingua tedesca ripubblicato da Concita De Gregorio è uno sfogo-provocazione, naturalmente, ma affonda il coltello in una piaga che è da tanto tempo sotto gli occhi di tutti: la cultura non paga più. Come dice sempre Umberto Galimberti, chi oggi si laurea in filosofia la prima cosa che deve sapere è che non farà mai il professore di filosofia. Punto. Tutto il profluvio di romantica retorica sul valore della cultura, sulla necessità di acquisire un bagaglio di sapere per muoversi meglio nel mondo e cercare di venire a patti con la complessità della società in cui si vive, lascia ormai il tempo che trova. Cioè, chi ha voglia e possibilità di studiare, di approfondire, di padroneggiare una cultura, un sapere, magari anche per conto proprio, è chiaro che è più avvantaggiato, oggi, rispetto a chi non ha la possibilità (o l'interesse) a farlo, ma è un vantaggio che rimane improduttivo. Con quel vantaggio magari ti muovi meglio nel mondo, ne capisci meglio certi meccanismi complessi, certe dinamiche, ma non ci mangi, per farla semplice.

Non credo sia colpa di qualche soggetto in particolare, ammesso che si voglia provare a trovarlo, un colpevole; credo che, molto semplicemente, la società si sia evoluta (evoluta?) in una modalità esclusivamente "tecnica" che ha trasformato in inutile orpello, se non addirittura ostacolo, qualsiasi aspirazione di tipo umanistico. Ma l'uomo non è solo "tecnico", anzi per sua natura ne è l'esatto opposto. E quando abbiamo tolto la componente umana da una società, lasciandola in balia della sola razionalità tecnica, che cosa rimane?

Twitter visto da Umberto Eco :-)




lunedì 7 febbraio 2022

Il papa e i lager

Mi è piaciuto quel dire che in Libia ci sono i lager senza mezze parole, senza usare termini più dolci per edulcorare, come fanno tanti, la questione. Lo ha fatto un papa in prima serata su una televisione nazionale e la cosa mi è piaciuta. La questione dei lager in Libia si tende generalmente a farla passare sotto traccia, perché è sempre bello pensare che il mondo funzioni bene, un po' per non impressionarci e un po', forse, anche per evitare l'imbarazzo di dover ammettere che quei campi di concentramento sono finanziati anche da noi.

Anche altri papi hanno toccato spesso la questione dell'immigrazione, lo ha fatto Ratzinger e anche Wojtyla, ma sono sempre stati discorsi generici, quasi dovuti, in ossequio obbligato a quel "ero forestiero e mi avete accolto" su cui un papa non potrebbe sorvolare neppure se volesse; prese di posizione tranquille inserite quasi sempre in discorsi più ampi in cui venivano analizzati altri problemi. 

Invece Bergoglio, rappresentante di tutto ciò che è massimamente distante da me, è andato in televisione a dire che a un centinaio di chilometri da noi ci sono lager non molto diversi dai tanti che hanno tristemente costellato la storia del Novecento. Poi sulle implicazioni non mi dilungo, ma per una volta: bravo papa Bergoglio.

domenica 6 febbraio 2022

La necessità genera l'invenzione?

[...]

"Nel 1942, in piena guerra, il governo statunitense varò il Progetto Manhattan allo scopo esplicito di costruire una bomba atomica prima che lo facessero i tedeschi. Il progetto raggiunse i suoi obiettivi in tre anni, al costo di due miliardi di dollari di allora (circa venti di adesso). Altri esempi sono la sgranatrice inventata nel 1794 da Eli Whitney per rimpiazzare la faticosa sgranatura a mano del cotone, e la macchina a vapore di Watt del 1796, nata per risolvere il problema di pompare l'acqua al di fuori delle miniere.

Queste vicende molto note ci spingono a credere che gran parte delle invenzioni avvengano dietro sollecitazioni esplicite. Ma non è così: in realtà, molte idee sono state partorite grazie alla curiosità o alla voglia di giocherellare con le macchine, senza che ci fosse una richiesta specifica dall'esterno. Inventato un marchingegno, si trattava di trovare qualche applicazione: solo dopo averlo usato per parecchio tempo il pubblico si accorgeva di averne bisogno. In più, alcuni apparecchi pensati per esigenze specifiche finirono poi per essere utilizzati in modi inaspettati. Può sorprendere sapere che tra queste invenzioni in cerca di utilità ci siano alcuni oggetti fondamentali per la storia moderna come l'aeroplano, l'automobile, il motore a scoppio, la lampadina, il fonografo e il transistor. Spesso l'invenzione è la madre della necessità, e non viceversa.

Una storia istruttiva in questo senso è quella di Edison e del fonografo, che fu l'idea più originale del più grande inventore dei nostri tempi. Dopo aver costruito il prototipo nel 1877, egli scrisse un articolo in cui proponeva dieci possibili usi per il nuovo oggetto: fissare per sempre le ultime parole dei moribondi, registrare libri da fare ascoltare ai ciechi, annunciare l'ora esatta, insegnare a scrivere sotto dettato e altri ancora. La riproduzione della musica sembrava non interessarlo particolarmente. Dopo qualche anno Edison disse al suo assistente che il fonografo non aveva alcun valore commerciale. Ma dopo un po' ci ripensò, e si mise a venderli... come dittafoni per ufficio. Quando altri imprenditori lanciarono sul mercato il juke-box, che permetteva di ascoltare le canzonette al prezzo di una moneta, Edison criticò questo svilimento della sua invenzione. Solo dopo una ventina d'anni ammise, riluttante, che il suo fonografo serviva soprattutto a registrare ed ascoltare musica.

L'automobile ci sembra oggi rispondere a un bisogno del tutto ovvio, ma non fu inventata per soddisfare una particolare esigenza. Quando Niklaus Otto costruì il suo primo motore nel 1866, non si sentiva la necessità di un nuovo mezzo di trasporto: i cavalli servivano alla bisogna da 6000 anni (e non si vedevano segni di crisi dell'offerta) e le ferrovie a vapore funzionavano bene da qualche decennio. Il modello di Otto era poco potente, pesante e ingombrante, e non sembrava preferibile ai cavalli. Solo nel 1885 le migliorie tecniche permisero a Gottfried Daimler di installare il motore su una bicicletta e creare così la moto; per i camion si dovette aspettare il 1896. Nel 1905 le automobili erano ancora costose e poco affidabili, poco più che un giocattolo per ricchi. Il successo dei cavalli e delle ferrovie fu totale fino alla prima guerra mondiale, quando l'esercito si accorse di avere davvero bisogno di camionette a motore. Dopo la guerra, un'intensa attività di lobbying rese il pubblico consapevole dei suoi bisogni, e i camion presero a soppiantare i carri nei paesi industrializzati. Anche nelle grandi città americane, per la sostituzione totale ci vollero però cinquant'anni.

Gli inventori devono spesso giocherellare a lungo coi loro modelli, in assenza di una spinta data da un bisogno riconosciuto, perché i prototipi il più delle volte funzionano troppo male per avere un qualche uso. Le prime televisioni, macchine fotografiche e macchine per scrivere erano pessime, proprio come il motore gigante di Niklaus Otto. È difficile capire se un cattivo modello possa in futuro diventare qualcosa di utile, e quindi se valga la pena di spendere altro tempo e denaro a perfezionarlo. Ogni anno gli Stati Uniti rilasciano circa 70.000 brevetti, pochissimi dei quali raggiungono lo stadio dello sfruttamento commerciale: per ogni grande invenzione che trova alla fine un uso ce ne sono migliaia che si perdono per strada. E capita che una macchina progettata per soddisfare una certa esigenza si mostri più valida in altri campi: il motore di Watt doveva servire solo come pompa nelle miniere, ma presto fu utilizzato nei cotonifici e (con molto maggior profitto) sui treni e sulle navi."

[...]

(Jared Diamond. Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, 2014)

sabato 5 febbraio 2022

PIL (per chi?)

Narrano le cronache che nel 2021 appena concluso il PIL italiano è cresciuto del 6,5%, un balzo incredibile e inatteso rispetto a un disastroso 2020, tanto che, col solito trionfalismo d'accatto, l'Italia è già stata denominata la locomotiva d'Europa in virtù del fatto che nessun altro paese dell'eurozona è cresciuto allo stesso ritmo. Il PIL, in soldoni, è la ricchezza prodotta da un paese.

C'è però un problema che si evita quasi sempre di menzionare: l'aumento delle diseguaglianze. Conta poco che aumenti la ricchezza prodotta se poi quella ricchezza va per la maggior parte ad accumulare il capitale di pochi. Contestualmente ai dati del PIL, infatti, con molto meno clamore e molto meno trionfalismo è stato pubblicato l'annuale rapporto Oxfam dove si leggono dati impietosi. Lasciando stare l'aumento delle diseguaglianze globali (tipo ad esempio che Jeff Bezos ha incamerato nell'anno appena trascorso l'equivalente dell'intera spesa mondiale per i vaccini anti-covid), in Italia non siamo messi meglio.

Cito dal rapporto Oxfam che ho linkato: "Nel primo anno di convivenza con il coronavirus in Italia è cresciuta la concentrazione della ricchezza. La quota, in lieve crescita su base annua, di ricchezza detenuta dal top-1% supera oggi di oltre 50 volte quella detenuta dal 20% più povero dei nostri connazionali. Il 5% più ricco degli italiani deteneva a fine 2020 una ricchezza superiore a quella dell’80% più povero. Nei 21 mesi intercorsi tra marzo 2020 e novembre 2021 il numero dei miliardari italiani della Lista Forbes è aumentato di 13 unità e il valore aggregato dei patrimoni dei super-ricchi è cresciuto del 56%, toccando quota 185 miliardi di euro alla fine dello scorso novembre. I 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte)." 

In pratica, come scrivevo sopra, la collettività non trae alcun beneficio dall'aumento della ricchezza se la suddetta ricchezza non viene poi redistribuita. Se in Italia avessimo una sinistra degna di questo nome, la battaglia delle battaglie da fare sarebbe questa: la redistribuzione della ricchezza prodotta. Non c'è bisogno di leggere Marx per capire che un paese progredisce e sta meglio non se produce tanta ricchezza per pochi (Reagan e Bush su questa cosa qui ci hanno sbattuto il muso a più riprese), ma se produce un livello equo di ricchezza che viene poi redistribuita.

Ma in Italia non solo nessuno legge più Marx, ma non c'è più neppure una sinistra. E poi questa settimana c'è pure Sanremo, per cui...

venerdì 4 febbraio 2022

Proteste

Generalmente guardo sempre con simpatia le proteste degli studenti, ma quella in corso a Roma in queste ore mi lascia un po' perplesso. È senz'altro lodevole il fatto che tra i motivi ci sia la solidarietà a Lorenzo Parelli e la sensibilizzazione nei confronti dell'annosa e controversa questione dell'alternanza scuola-lavoro, ma che contestualmente si chieda che sia eliminata la prova scritta alla maturità in favore di una tesina non lo capisco, e soprattutto non vedo il nesso con lo spirito principale della protesta. La prova scritta non è mica il braccio armato del capitalismo. Così, a occhio, prima della prova scritta ci sono forse un milione di motivi, all'interno dell'universo scuola, per protestare.

Tra l'altro, a proposito di maturità, se proprio si vuole manifestare lo si faccia per la sua abolizione tout court. Quasi il 100 per cento di promossi ogni anno sono la prova provata della sua inutilità.

mercoledì 2 febbraio 2022

Tempo che (s)corre


Oggi, all'uscita dal lavoro, è venuta a prendermi Michela, mia figlia più grande. Mentre mi accompagnava a casa pensavo a quando ero io che andavo a prendere lei e Francesca all'uscita da scuola e le portavo a casa. Invece, adesso, è lei che, uscita dalla scuola in cui insegna, a volte viene a prendere me. Mi sorprende pensare a quanto veloce corra il tempo e agli sforzi che ognuno di noi fa per riuscire a fare entrare in "quel poco che a vivere ci è dato"(*) tutto ciò che vorrebbe fare entrare. Senza riuscirci.

(*) Cit. tratta da qui.

martedì 1 febbraio 2022

Fumatori no vax

Maurizio, con una leggera ironia, fa notare la eufemistica incongruenza dei fumatori no vax, che da oggi avranno l'obbligo di mostrare il green pass per andare in tabaccheria a comprare le sigarette :-)

Rifarei tutto

Indipendentemente da quale sarà la sentenza, dire "Rifarei ciò che ho fatto", "Rifarei tutto" ecc., cosa che si sente sp...