giovedì 4 marzo 2010

Ma vogliono davvero stravolgere l'art. 18?

Questo articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Come al solito, quando si tratta di leggi che toccano nel vivo una vasta platea di soggetti - qui si parla di lavoratori -, i media riportano sempre due campane, entrambe apparentemente attendibili e ovviamente totalmente contrastanti l'una dall'altra. La vicenda è abbastanza complessa, ve la sintetizzo brutalmente sperando di non fare troppa confusione.

E' diventata ieri legge definitiva dello stato, dopo l'ultimo passaggio in Senato, il ddl sul lavoro. In questa legge, una delle norme più contestate è quella che secondo molti aggirerebbe il famoso art. 18 dello statuto dei lavoratori, quello che in pratica regola "la giusta causa" nei licenziamenti. E lo farebbe permettendo (obbligando, secondo alcuni) al lavoratore che è stato licenziato di rivolgersi a un giudice arbitro anziché al normale giudice del lavoro, come è sempre stato fino ad ora. E qui c'è già il primo punto critico. E' vera questa cosa? E' vero cioè che il lavoratore che ritiene di essere stato licenziato ingiustamente non può più rivolgersi al normale tribunale del lavoro? Secondo Maurizio Sacconi, principale estensore della legge, no. "Il lavoratore avrà la possibilità in più di ricorrere all'arbitrato e il tutto sarà regolato da contratti collettivi", ha dichiarato abbastanza stizzito. Qualcuno dirà: ma che differenza c'è tra arbitro e giudice (all'inizio me lo sono chiesto anch'io)? Beh, secondo molti l'arbitrato offre molte meno garanzie al lavoratore in caso di controversie in quanto il suo è un giudizio "in via equitativa"; in pratica l'arbitro decide maggiormente secondo la sua sensibilità rispetto a ciò che effettivamente stabiliscono le varie normative (compreso l'art. 18). Ed è il motivo per cui Epifani, ad esempio, dice che i lavoratori saranno più deboli e ricattabili (e più facilmente licenziabili).

Altro punto controverso riguardo all'obbligatorietà o meno del ricorso all'arbitrato. Sacconi, come abbiamo visto, dice che si tratta sostanzialmente di uno strumento aggiuntivo, non di una scelta obbligata. Sarà, ma allora perché è previsto nella nuova legge che i datori di lavoro possono imporre come condizione, all'atto della firma del contratto di un nuovo assunto, che in caso di controversie ci si debba rivolgere "solo" all'arbitro? Dice a tal proposito Tiziano Treu, ex ministro del lavoro: "C'è poi una seconda possibilità consentita dalla norme volute dal governo e dalla sua maggioranza. E cioè che il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all'arbitrato per risolvere le controversie, incluso il ricorso all'arbitrato secondo equità. Cosa, quest'ultima, che implica la possibilità di bypassare le norme inderogabili di legge e quindi diritti come l'articolo 18 o come le retribuzioni o le ferie. È grave inoltre che un simile accordo può essere stretto anche in corso di rapporto di lavoro". Mi pare abbastanza chiaro.

E' vero, ci sono poi i sindacalisti come Bonanni che cercano di gettare acqua sul fuoco dicendo, come Sacconi, che la scelta resta comunque ai lavoratori sulla base dei contratti collettivi stipulati. Sia Bonanni che Sacconi, però, sembrano dimenticare che trascorsi 12 mesi senza che si sia giunti a un accordo entrerà in campo il governo, che tramite il competente ministro interverrà per decreto legge. Siamo quindi punto e a capo. Insomma, io la tranquillità di Bonanni e Sacconi non la condivido per niente. Anche perché non si capisce bene (a) perché è stata fatta questa legge, (b) a chi serve, (c) chi ne trae vantaggio e a scapito di chi. A tal proposito vale la pena ricordare che non si tratta della prima volta che il governo Berlusconi cerca di mettere le mani sull'art. 18, ma ci provò, fortunatamente senza successo, già nella sua precedente legislatura. La retromarcia di allora fu provocata dallo sciopero generale del 16 aprile 2002, quando scesero in piazza, oltre ad alcuni milioni di lavoratori, tutti i sindacati insieme, compreso l'UGL, noto sindacato vicino alla destra.

Si sperava che il governo allora avesse imparato la lezione. Evidentemente non è così.


Aggiornamento 15,04.

SkyTg24 ha pubblicato un servizio sulla vicenda piuttosto chiaro. Ve lo lascio qui sotto.

2 commenti:

  1. l'art. 18 è un articolo che andrebbe abolito con la scusa di salvaguardare gli operai è il manifesto del comunismo e li avvicina a valori dittatoriali di sinistra.
    le corporazioni ci vogliono non questa sorta di comunismo di diritti.

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  2. Ma, a voi vi fanno con lo stampino?

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