giovedì 18 giugno 2009

Caso Welby, arrivano le prime condanne per diffamazione

Piergiorgio Welby, forse molti di voi ricorderanno, è quel signore che verso la fine del 2006 è balzato agli onori della cronaca internazionale (e della storia, direi) per la sua vicenda personale e per la sua battaglia, portata avanti con determinazione fino all'ultimo giorno di vita (vita?). Una battaglia in nome della libertà e dell'autodeterminazione, che nello specifico si intende libertà di decidere autonomamente cosa fare della propria vita, come gestirla e, perché no, come terminarla.

Una battaglia contro l'accanimento terapeutico, insomma, specie quando questo è finalizzato unicamente a mantenere attive funzioni biologiche come contorno di una vita che di questa ha solo il nome. Welby, in sostanza, ha combattuto per ottenere il diritto, dopo molti anni passati immobile in un letto, di andarsene. Sui dettagli della vicenda non mi pare il caso di tornare, anche perché ho già scritto all'epoca molti articoli in merito che se volete potete leggere spulciando gli archivi del blog.

All'epoca la vicenda provocò delle fortissime divisioni tra i sostenitori delle idee di Welby, quelli in pratica favorevoli al distacco del respiratore che lo teneva in vita, e i contrari. Una contrapposizione che ebbe come protagonisti indiscussi i media: giornali, tv, internet. E fu proprio sui media, come del resto è avvenuto più recentemente per il caso Englaro, che la "battaglia" ebbe le sue propaggini più violente, tanto che non furono pochi i giornali e i commentatori che si spinsero a usare termini come "omicidio", "assassinio", spesso riferiti al medico che materialmente staccò a Welby il respiratore, il dottor Mario Riccio. E' superfluo farlo, ma ricordo a tal proposito che il dottor Riccio agì nel pieno rispetto della legge, e cioè sulla base di una sentenza definitiva di un tribunale, tanto è vero che fu poi prosciolto definitivamente da tutti i procedimenti avviati a suo carico.

Oggi, a più di due anni di distanza dai fatti, molti nodi cominciano a venire al pettine, e le prime sentenze per diffamazione per le affermazioni fatte sull'operato del dottor Riccio cominciano a fioccare. Non preoccupatevi, notizie come questa non le troverete sui giornali; può darsi pure che non siano importanti, ma per me, che sulla questione Welby ho scritto molto condividendo in pieno le sue idee e le sue battaglie, lo sono eccome.

Per la precisione, sono stati condannati in primo grado per diffamazione a mezzo stampa Maurizio Belpietro, all'epoca dei fatti direttore de Il Giornale, il giornalista della stessa testata Stefano Lorenzetto e l'associazione politico-religiosa Militia Christi. A riportarlo sono articolo21.info e il sito dell'associazione Luca Coscioni. Articolo, questo, che riporto qui sotto integralmente.


Iniziano a giungere le prime condanne per diffamazione sul caso Welby, che, come il caso Englaro, ha visto scendere in campo una portentosa opera di disinformazione e manipolazione della verità a danno, anzitutto, dei cittadini che vengono ritenuti ‘popolo bue’ al quale dare a credere qualsiasi ciarpame pur di evitare che si formi una coscienza collettiva, basata sulla conoscenza, su temi quali il fine vita.

E così l’opera volta a ristabilire la verità ed a restituire l’onore e la reputazione ai diffamati deve giungere attraverso i Tribunali Italiani. E’ recente, difatti, la condanna per il reato di diffamazione inflitta in sede penale, in primo grado, dal Tribunale di Desio, Sezione distaccata del Tribunale di Monza, a Maurizio Belpietro, 800,00 Euro di multa – all’epoca direttore de Il Giornale – ed al giornalista Stefano Lorenzetto, 1.200,00 Euro di Multa. Diffamato il dott. Mario Riccio, difeso dall’avv. Giuseppe Rossodivita, al quale il Tribunale ha riconosciuto tra risarcimento e riparazione pecuniaria la somma di 53.000,00 Euro, oltre la riparazione specifica della pubblicazione della sentenza su Il Giornale.

L’articolo, pubblicato in prima pagina il 23.12.2006, titolava in riferimento a Piergiorgio Welby “Nessun rispetto nemmeno per la sua volontà” ed ‘illuminava’ i lettori su come “il dr. Mario Riccio, il medico venuto da Cremona”, che ha adottato il metodo “dei boia aguzzini che eseguono le sentenze capitali negli USA”, se ne fosse “fregato della volontà di Welby.” Ricorda il Tribunale che la critica per essere socialmente utile e dunque legittima, anche quando lesiva della reputazione di terzi, deve avere come presupposto dei fatti veri; in caso contrario è un mero pretesto per diffamare. Ed è di oggi, ancora, la sentenza del Tribunale Civile di Roma, resa in primo grado, con la quale il Movimento Politico Cattolico Militia Christi, è stato condannato con sentenza immediatamente esecutiva a risarcire la somma totale di 60.000 Euro, pari a 20.000,00 Euro ciascuno, a favore dell’Associazione per la Libertà della ricerca scientifica Luca Coscioni, dell’Associazione La Rosa nel Pugno e del dr. Mario Riccio, tutti difesi dall’Avv. Giuseppe Rossodivita.

Il Tribunale ha anche ordinato la definitiva rimozione dal sito internet dell’Associazione Cattolica del comunicato stampa dal titolo “Profanatori ed assassini”. La senatrice Binetti, anch’ella convenuta in giudizio dal dr. Mario Riccio, dall’Associazione Coscioni e da Radicali Italiani, davanti al Tribunale di Roma, come anche per altra diversa causa l’on. Luca Volontè convenuto in giudizio da Marco Pannella, Emma Bonino e Marco Cappato, si sono invece trincerati dietro l’immunità parlamentare e l’insindacabilità delle opinioni espresse da parlamentari attraverso i giornali ed i comunicati. Parlano, scrivono comunicati, rilasciano interviste, ma poi non ci pensano neppure – o forse ci pensano sin troppo bene - a difendere le loro affermazioni in Tribunale.



Certo, qualcuno potrà obiettare che in fondo le pene comminate, specialmente a Belpietro e Lorenzetto, sono perlopiù simboliche, vista la loro esigua entità, ma non è questo il fatto importante, quello che conta è il principio. La giustizia italiana avrà certamente i suoi tempi, e questo è noto, ma chi racconta balle o diffama prima o poi ne risponde.

3 commenti:

  1. se ho capito bene, la sentenza deve essere pubblicata anche su "Il Giornale"??

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  2. Sì. Si tratta di una prassi abbastanza comune, specie nei casi di condanna per diffamazione.

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  3. sarà un'edizione da comprare, allora... più che altro per vedere come scriveranno il pezzo :-)

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