Poco fa, mentre camminavo da solo nel silenzio delle mie colline, pensavo che a volte mi sento un po' in colpa. È una sensazione fuggevole, che a tratti fa capolino e poi se ne va. Guardavo il panorama attorno a me e mi chiedevo: perché io posso camminare tranquillo e beato in mezzo alla natura ed altri no? Perché io posso uscire di casa senza preoccuparmi che qualcuno mi spari addosso, o che mi piova una bomba in testa, o che qualcuno distrugga la casa in cui abito o uccida i miei familiari e altri no?
Ho vissuto finora più di cinquant'anni, faccio un lavoro impegnativo e a tratti pesante ma sicuro, che probabilmente (mettiamoci una sospetta forma dubitativa, va') mi porterà alla pensione, se si escludono gli acciacchi tipici della mia età godo di buona salute, non sono ricco ma ho il sufficiente per vivere dignitosamente e oggi non è così scontato, ho una discreta quantità di tempo libero per suonare, leggere, scrivere, ho familiari anch'essi in salute a cui voglio bene e questo bene è contraccambiato, ho la fortuna di vivere in un angolo di mondo che, almeno fino ad oggi, ha conosciuto benessere e prosperità e non ha visto guerre da tre generazioni. In generale godo insomma di una certa serenità.
Poi, certo, magari mi lamento di mille cose ma sono quelle lamentele fisiologiche che fanno parte della nostra indole e che non riguardano problemi di sopravvivenza o salute o simili. Insomma, io camminavo e pensavo, guardando a tutto ciò che succede nel mondo, che a volte ci si sente (almeno per me è così) quasi in colpa a poter dire queste cose, che tutto va bene, che si gode di una certa serenità ecc.
Forse, se fossi credente, ringrazierei il dio in cui credo per tutto quello che ho. Ma subito dopo averlo ringraziato gli chiederei perché io sì e tanti altri no. Perché io abbia tutto e un altro niente, perché io sia in salute mentre un altro viene colpito da una malattia grave che lo uccide a una età minore della mia - questa forma di palese ingiustizia è tra l'altro uno dei (tanti) motivi per cui non credo in alcun dio.
Capitemi bene. Non vorrei dare l'impressione di stare male in questo mio stare bene (perdonate il gioco sintattico), o non apprezzare ciò che ho, ma è uno stare bene che mi suscita un sacco di domande a cui non trovo risposta, e le domande a cui non trovo risposta a volte non mi fanno stare in pace.
Idem. E la risposta che mi do è che ho avuto una gran botta di fortuna.
RispondiEliminaPS: mi ha dato errore 4 volte, spero che on ti arrivino 4 commenti!
Vero, è pura fortuna, di cui spesso non ci si rende conto.
EliminaIn passato mi è capitato di avere questo genere di pensieri e la conclusione alla quale sono giunta è che non ha senso sentirsi in colpa perchè non siamo responsabili della situazione. Ovvero: non è "merito" nostro se siamo nati in una situazione di fortuna rispetto ad altre persone. Semplicemente si tratta del caso. Proprio perchè siamo fortunati però abbiamo il dovere di non chiuderci nel nostro piccolo paradiso, ma di cercare di aiutare il nostro prossimo, per quanto ci è possibile. E comunque basta un attimo, uno scherzo del caso, perchè ci ritroviamo anche noi a soffrire.
RispondiEliminaVerissimo. Condivido ogni parola.
EliminaIo sono per indole particolarmente incline ai sensi di colpa... ma per quello che provo in riferimento alle cose che tu citi, non parlerei di senso di colpa. Più semplicemente, riconosco di essere stata fortunata, molto fortunata. Per questo mi fanno arrabbiare tantissimo i miei connazionali che le inventano tutte pur di non concedere la cittadinanza italiana e altri diritti a chi viene da noi a cercare la salvezza dalla guerra e dalla miseria, come se loro la cittadinanza l'avessero ottenuta in virtù di chissà quale merito. Mentre in realtà la debbono esclusivamente al caso.
RispondiEliminaAnche a me fanno arrabbiare i connazionali di cui parli, e non solo riguardo alla questione della cittadinanza, ma anche a tutte le più diverse forme di discriminazione verso chi non ha avuto la medesima nostra fortuna. Penso ad esempio ai respingimenti in mare di salviniana memoria ma anche a tanto altro.
EliminaAbbiamo perso, se mai l'abbiamo avuto, il concetto di alterità, ossia la capacità di metterci nei panni dell'altro, e soprattutto rifiutiamo di pensare che a essere nati qui invece che là non è il risultato di alcun merito, ma puro caso e semplice fortuna.
La differenza è che qualcuno pensa anche agli altri e qualcuno pensa solo a sé stesso.
RispondiEliminaD'altra parte viviamo in una società che in questo senso non aiuta. Pensare agli altri, intendo.
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