martedì 5 aprile 2022

Strategia della tensione

Quella che vedete qui sopra è la prima pagina di Libero di questa mattina. Si notano due cose: non c'è una riga sulla sentenza della Cassazione relativa alla vicenda di Stefano Cucchi (ogni altro quotidiano, perfino il Giornale, ne ha parlato); c'è un titolone a caratteri cubitali in cui si ipotizza che un ordigno atomico russo potrebbe essere lanciato sull'Italia.

L'omissione di qualsiasi riferimento alla vicenda Cucchi non stupisce. Da che mondo è mondo le notizie non conformi alla linea vengono sempre occultate dalla stampa, almeno dalla prima pagina, e generalmente relegate in nicchie poco visibili all'interno del giornale, e non lo fa solo Libero, anche se qui questa consuetudine raggiunge da sempre il parossismo.

Il titolone sulla possibilità che un ordigno nucleare russo piova sulle nostre teste, invece, mi pare appartenga a quell'ormai consolidata maniera di fare giornalismo che a me è venuto in mente di chiamare come l'omonimo, infausto periodo storico italiano che ha contraddistinto gli anni Settanta del secolo scorso. 

Eccessi di Libero a parte, avrete infatti probabilmente notato come l'informazione, in generale, tenda a descrivere la guerra in Ucraina creando un filo ininterrotto di tensione, di inquietudine costante. Ogni giorno, ogni prima pagina di ogni quotidiano riporta a caratteri cubitali la notizia di una strage, di una carneficina, di un'imboscata: una volta in un teatro, un'altra volta in un centro commerciale, un'altra volta ancora in un quartiere di una città o in qualsiasi altro luogo. Ogni giorno viene enfatizzato un fatto truce che fa leva sulla nostra emotività e che dà il la all'indignazione o alla pietà o al dolore o a tutti questi sentimenti insieme. E alla fine si crea quel meccanismo psicologico che fa nascere nel lettore l'aspettativa relativamente a quale sarà il fatto cruento del giorno dopo.

Ora, non vorrei essere frainteso: non sto dicendo, né mi sognerei mai di pensarlo, che ciò che sta succedendo in Ucraina non sia una tragedia di dimensioni immani e non sia di una gravità inaudita, ma mi chiedo: qual è l'utilità di questa condotta giornalistica? Essere costantemente tenuti sotto "tensione", essere continuamente bombardati dalla truculenza e dall'orrore è un aiuto a comprendere meglio ciò che sta accadendo - e si tratta di vicende caratterizzate da enorme complessità - o ne è un ostacolo?

A me sembra che sia un ostacolo. Io credo che sia molto più difficile tentare di approcciarsi con una certa tranquillità ai fatti, provare ad approfondire, a farsi un'idea ponderata se ogni ora si viene sommersi da morti, sangue, bombe. Di nuovo: non sto dicendo che di queste cose non si debba parlare, dico solo che andrebbero ridimensionate e collocate gerarchicamente in posizioni più defilate, dando invece la priorità (i famosi titoloni) all'evolversi delle dinamiche politiche, militari e geografiche del conflitto.

Ma conosco l'obiezione: se non si mettono le truculenze in prima pagina, se non si fanno i titoloni sangue-morti-bombe, chi li compra i giornali? E, sul web, chi clicca sui titoloni generando introiti? Quante copie in più avrà venduto, Libero, con la paura irrazionale e irrealistica (e anche sciacalla, diciamolo) generata da quel titolo? E quanti clic in più avrà totalizzato sul suo sito? Non si sa. Si sa solo a quanto poco è servito per capire qualcosa in più e tentare di fare chiarezza.

6 commenti:

  1. pienamente d'accordo con le tue riflessioni.
    quella di Libero, io più prosaicamente, la definisco "strategia della grancassa". Ma picchiando continuamente sulla grancassa non si fa un buon servizio all'informazione.
    massimolegnani

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  2. Purtroppo il giornalismo è in gran parte marketing, non servizio pubblico, non dovere di informazione.

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    1. Eh, lo so. D'altra parte, è noto, gli editori non sono enti di beneficenza.

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  3. sono molto deluso da questi post.
    siamo tutti molto delusi

    Giovanni

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