A questo bambino che cresce parrà allora naturale vivere in un mondo dove il bene primario (ormai più importante del sesso e del danaro) sarà la visibilità. Dove per essere riconosciuti dagli altri e non vegetare in uno spaventoso e insopportabile anonimato si farà di tutto per apparire, in televisione o in quei canali che a quell'epoca avranno sostituito la televisione. Dove sempre più madri integerrime saranno pronte a raccontare i più sordidi affari di famiglia a una trasmissione strappalacrime pur di essere riconosciute il giorno dopo al supermercato e rilasciare autografi, e le ragazzine (come già accade oggi) diranno che vogliono fare l'attrice, non per recitare Shakespeare o almeno cantare come Joséphine Baker vestita di sole banane sul palcoscenico delle Folies Bergère, e nemmeno per sgambettare con grazia come le veline di un tempo andato, bensì per essere promosse vallette di telequiz, pura apparenza senz'arte alcuna di sostegno.
Qualcuno spiegherà allora a questo bambino (forse a scuola, insieme ai re di Roma e alla caduta di Berlusconi, o in film storici intitolati C'era una volta la Fiat che i Cahiers du cinéma chiameranno "prolet", sul modello del "peplos") che sin dall'antichità gli esseri umani hanno desiderato essere riconosciuti da coloro che li attorniavano. E alcuni si ingegnavano di essere amabili compagnoni le sere all'osteria, altri di eccellere nel calcio o nel tiro a segno alle feste patronali, o di raccontare di aver preso all'amo un pesce lungo così. E le ragazze volevano essere note per il cappellino civettuolo che portavano la domenica andando alla messa, e le nonne per essere la migliore cuoca o sarta del villaggio. E guai se non fosse stato così, perché l'essere umano, per sapere chi è, ha bisogno dello sguardo dell'Altro, e tanto meglio si riconosce (o crede di riconoscersi) quanto più l'Altro l'ama e l'ammira - e se invece di un solo Altro che ne sono cento o mille, o diecimila, tanto meglio, e ci si sente completamente realizzati.
E quindi in un'epoca di grandi e continui spostamenti, dove a ciascuno viene a mancare il villaggio nativo e il senso delle radici, e l'Altro è qualcuno con cui comunichi a distanza via Internet, parrà naturale che gli esseri umani cerchino il riconoscimento per altre vie, e alla piazza del villaggio si sostituisca la platea quasi planetaria della trasmissione tv o ciò che l'avrà sostituita.
Quello che però, forse, neppure i maestri di scuola o chi per loro riusciranno a ricordare, sarà che in quel tempo antico vigeva una distinzione molto rigida tra essere famosi e essere chiacchierati. Tutti volevano diventare famosi come il miglior arciere o la più brava ballerina, ma nessuno voleva essere chiacchierato come il più cornificato del paese, l'impotente acclarato, la puttana irrispettosa. Caso mai la puttana cercava di fare credere di essere ballerina e l'impotente raccontava mentendo di avventure sessuali pantagrueliche. Nel mondo del futuro (se assomiglierà a quello che già oggi si configura) questa distinzione sarà scomparsa: pur di essere "visti" e "parlati" si sarà pronti a fare di tutto. Non ci sarà differenza tra la fama del grande immunologo e quella del giovanotto che è riuscito ad ammazzare la mamma a colpi di scure, tra il grande amante e chi avrà vinto la gara per il membro virile più corto, tra chi avrà fondato un lebbrosario nell'Africa centrale e chi sarà riuscito a meglio frodare il fisco. Tutto farà brodo, pur di apparire ed essere riconosciuti il giorno dopo dal droghiere (o dal banchiere).
Se a qualcuno posso parere apocalittico, chiedo che cosa vuol dire già sin d'ora (anzi da decenni) mettersi dietro al tizio col microfono per essere visti e fare ciao ciao con la manina, o andare dalla Zingara sicuri di non sapere neppure che una rondine non fa primavera. Che importa, saranno famosi. Ma non sono apocalittico. Forse il bambino di cui parlo sarà adepto di qualche nuova setta il cui fine sia il nascondimento dal mondo, l'esilio nel deserto, il seppellimento nel chiostro, l'orgoglio del silenzio. In fondo è già accaduto, al tramonto di un'epoca in cui gli imperatori avevano iniziato a fare senatore il proprio cavallo.
Umberto Eco, Fare ciao ciao con la manina, 2002.
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