venerdì 24 gennaio 2020

Thomas Mann e la morte

A metà del terzo romanzo di Thomas Mann mi sono reso conto che tra i tanti temi cari al grande scrittore tedesco c'è quello della morte, che è una costante del suo narrare. Basta pensare al bellissimo romanzo breve La morte a Venezia, giusto per farsi un'idea. Ma anche ne La montagna incantata, che sto leggendo in questi giorni, la morte è un tema ricorrente. Sembra quasi un tema seducente per lui, per certi versi quasi affascinante, e se da un lato la considera antagonista della vita, dall'altro (e questa visione viene resa da un bellissimo dialogo tra il protagonista, l'ingegnere navale Hans Castorp, e il massone e umanista Lodovico Settembrini) la considera parte integrante della stessa vita, e per sfuggire all'inevitabile angoscia generata dal pensiero dell'ineluttabilità del dover morire, può essere d'aiuto considerare la morte semplicemente come parte naturale del ciclo vitale: si nasce, si cresce, si invecchia e si muore, punto e a capo. Facile a dirsi, più difficile è accettarlo, come si intuisce.

Questa visione dell'inevitabile da parte di Mann ricorda un po' quella degli antichi greci, secondo i quali, al pari delle piante e degli animali, l'uomo nasce, cresce, genera, invecchia e muore, e il ciclo si chiude, senza tanti patemi e tante sceneggiate (è la nota visione ciclica del tempo di quell'antica civilità).

Naturalmente Mann non è stato il solo a interrogarsi sul senso della morte e a tentare di elaborarne un significato, è una cosa che gli uomini fanno più o meno da quando hanno messo piede sulla terra. E ogni civilità ha elaborato tentativi più o meno originali e più meno fantasiosi per cercare di "lenire questa morte sicura", per dirla alla Guccini. Gli antichi egizi, ad esempio, pensavano che la vita continuasse dopo la morte a patto che il corpo non subisse il disfacimento, e anche molte civiltà precolombiane avevano questa idea. Ma le strategie per tentare di neutralizzare l'inevitabile sono state tantissime, basta pensare all'invenzione dell'immortalità dell'anima, oppure alla reincarnazione buddista, alla rinascita tibetana, alla risurrezione cristiana e via andare. Forse non esiste altro campo del pensare umano in cui l'uomo si è prodotto in un così numeroso florilegio di invenzioni, segno di quanto sia difficile accettare la morte come fine di tutto. Per come la vedo io, il modo più serio di intendere la morte è stato quello degli antichi greci, condiviso sostanzialmente anche da Mann.

11 commenti:

siu ha detto...

Sono d'accordo con te, condividendo tra l'altro il giudizio di Umberto Galimberti sui Greci: gente seria.

Andrea Sacchini ha detto...

Verissimo. Poi, certo, chiunque è liberissimo di intendere e immaginare il dopo-vita come più gli piace.

Marina ha detto...

Io il dopo vita lo immagino da cristiana quale sono: un conforto? Un dono? Un inganno? La fede ha questo di bello: ti porta ad avere fiducia in silenzio, senza spirito critico, ad accettare col sorriso. Non temo la morte in sé, quanto il processo che la prevede come traguardo.

Alberto ha detto...

Anch'io come i Greci. Bisogna farsene una ragione. Io, da sempre, Natura la scrivo maiuscola.

Andrea Sacchini ha detto...

Concordo con te. La fede ha questo di bello: elabora risposte a tutto, compreso il problema della morte. Ho scritto "elabora" e non "trova" volutamente, perché le due cose sono diverse. Ed è questo il motivo per cui ho sempre pensato che la fede sia un dono che il possessore deve fare il possibile per tenersi stretto.
Detto questo, io penso anche che il bello della fede, il suo asso nella manica diciamo così, stia nel fatto che qualunque cosa ci sia dopo la morte, in qualunque cosa si sia creduto, non si resterà mai delusi perché non ci sarà mai modo di accorgersene, di averne la riprova. Se ad esempio non ci sarà nulla e tutto finirà con la morte, come io penso, nessuno potrà dire: "Porca miseria, ho creduto per tutta la vita che ci sarebbe stato qualcosa e invece non c'è niente!", perché non ci sarà la possibilità di rendersene conto. Da questo punto di vista, a chi ha inventato tutta questa costruzione, e ogni religione si è inventato la propria, io darei il Nobel, perché ha inventato una cosa a prova di bomba, e se nel corso della vita questa cosa ha pure permesso di vivere bene, tanto di guadagnato.

Romina ha detto...

Però fra i Greci c'è stato anche Platone, e io lo so perché ho una formazione filosofica. Platone è un gigante, probabilmente il più grande filosofo della storia del pensiero occidentale, e qualcosa sull'anima ci ha detto. Non si tratta di "credere" o "non credere", ma di prendere atto che un gigante del pensiero ci ha parlato di anima. La verità è che si sono sempre contrapposte, nel corso dei secoli, posizioni materialiste e posizioni di altro genere, anche fra i Greci.

Detto questo, io "non credo", nel senso che, proprio perché ho una formazione filosofica e dunque molto razionale e critica, non ho alcun tipo di convinzione. Rilevo che gli esseri umani hanno sete d'infinito, che si traduce in molti modi. Questo è un dato di fatto che nessuno può contestare. Ecco che allora l'idea dell'immortalità dell'anima può avere due spiegazioni:
1) è soltanto una speranza priva di fondamento
2) è il "contrassegno" in noi di un'effettiva immortalità, di cui però non conosciamo le declinazioni concrete, e che traduciamo con il nostro linguaggio e le nostre limitate capacità razionali. Detta in termini più grezzi: "sappiamo" in qualche modo, nel profondo di noi stessi, di essere immortali.
Io non decido fra queste due possibilità.

Ho ragionato da filosofa, eh. Però so che è un modo razionale di affrontare temi molto più complessi di quanto si creda.
Buon fine settimana. :)

Andrea Sacchini ha detto...

Certo che Platone ha parlato di anima, ma non solo, è stato pure colui che ne ha inventato il concetto. Lessi questa cosa tempo fa in un libro, non ricordo se di Cacciari o di Galimberti, dove si diceva appunto che Platone inventò l'anima per risolvere un problema di conoscenza. Dal momento infatti - diceva Platone - che gli umani sensi ingannano perché non forniscono una risposta univoca a un problema (se ad esempio chiedi a dieci persone in una stanza che temperatura ci sia ti danno dieci risposte diverse), per risolvere la questione occorre procedere strumentalmente con misurazioni che diano una risposta vera e attendibile; il sapere che se ne ricava è l'anima, concetto che poi il terribile sant'Agostino rubò e trapiantò nel cristianesimo (prendi queste cose con le pinze perché vado a memoria).
Detto questo, pure io, come te, "non credo" perché abituato fin da piccolo a pensare in maniera razionale e critica, pur essendo nato in una famiglia cattolica e credente.
Per quanto riguarda il ragionare da filosofi, sa il cielo quanto ci sarebbe bisogno, oggi, che si facesse (Socrate, dove sei?).
Buon fine settimana anche a te ;)

Romina ha detto...

Andrea, il concetto di anima precede Platone e così quello della sua immortalità.
Il più grande studioso ed esegeta di Platone, in Italia e non solo, è stato Mario Vegetti, scomparso da poco, una vera autorità in materia. Nella sua splendida introduzione alla "Repubblica" di Platone (che peraltro io ho dovuto studiare interamente, e c'è da spaccarsi la testa), spiega proprio come Platone, nel suo celebre "Fedone", si sia anche rifatto a questa vecchia e importante tradizione di pensiero, quella orfico-pitagorica, che ammetteva un'opposizione ontologica e morale fra anima (incorruttibile, perfetta, immortale) e corpo (corruttibile e mortale).

Questa è la definizione dell'anima data da Platone, molto stringata, da dizionario: "Ogni corpo il cui muoversi è impresso da fuori è inanimato; ogni corpo che si muove di per sé dal di dentro è animato, e tale è appunto la natura dell'anima"(Fedro). L'anima è quindi causa della vita e perciò è immortale, perché la vita costituisce la sua stessa essenza (Fedone).

Se poi ti interessa approfondire il concetto di anima in se stesso, puoi leggere con attenzione (è molto pesante, però) cosa ne dice il "Dizionario di filosofia" di Nicola Abbagnano, che è il punto di riferimento per chiunque voglia capirci davvero qualcosa e per chiunque studi seriamente filosofia (in biblioteca si trova). Viene sinteticamente tracciata tutta l'evoluzione del concetto di anima fino ai nostri giorni. Ammetto che bisogna essere coraggiosi per papparsi tutto, però... :D



Romina ha detto...

Aggiungo: le antiche opere filosofiche sono ancora oggetto di problemi esegetici. Capita anche che qualche interprete o famoso divulgatore le "pieghi", per così dire, ai suoi intenti. E siccome oggi prevale una visione materialistica della realtà, capita che talvolta si vogliano "forzare" certe opere e certi autori in questa direzione.
Chi vuole accostarsi a Platone (ma non è obbligatorio), fa bene a rivolgersi a Vegetti. ;)

Andrea Sacchini ha detto...

Grazie dei chiarimenti. Per quanto gli approfondenti sull'anima, e in particolare le letture che mi hai suggerito, ti farò sapere ;)

Jessica L. Smith ha detto...
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