La liberazione di Patrick Zaki, di cui siamo tutti ovviamente molto contenti, non si è realizzata perché un bel giorno i giudici del Cairo si sono svegliati colpiti da una specie di resipiscenza morale dopo avere tenuto in carcere per 22 mesi uno studente colpevole di nulla, o magari perché è fortunosamente venuta alla luce una prova della sua innocenza - figuriamoci! È stato scarcerato grazie al lavoro sottotraccia del governo italiano, della diplomazia, dei continui contatti più o meno riservati tra la Farnesina e quel losco figuro di Al Sisi. Ma c'è lo zampino anche dell'amministrazione USA, nella faccenda, e in particolare dell'ambasciatore italiano in Egitto, Giampaolo Cantini, che dai tempi di Trump aveva provveduto a costruire buoni rapporti con l'inviato americano nominato da Trump stesso, ma allineato anche a Biden, Jonathan Coe.
Lo sblocco della situazione ha tra i vari artefici lo stesso Biden, il quale già dai tempi del suo insediamento aveva deciso di prendere di petto la questione dei diritti umani in quella parte strategica di Medio Oriente. (Che agli USA, ma anche a noi, freghi qualcosa della faccenda dei diritti umani da quelle parti fa sorridere, ma prendiamola per buona.) In particolare, Zaki è stato liberato perché il suo nome compariva in una lista di 16 dissidenti di cui l'amministrazione USA aveva chiesto la liberazione in cambio dello scongelamento di 200 milioni di dollari di aiuti militari all'Egitto, e il nome di Zaki in quella lista ci era finito grazie al lavoro di cui sopra della diplomazia italiana e del nostro ambasciatore là.
Questo spiega la tutto sommato tiepida reazione del governo italiano alla notizia della liberazione dello studente egiziano e la concomitante sorpresa dell'opinione pubblica: il governo sapeva che la situazione era prossima a una svolta, la gente no. La misurata reazione del governo è dettata anche dalla consapevolezza che la partita è tutt'altro che chiusa. Ciò che impressiona maggiormente, però, almeno me, è che vicende come questa sono la più lampante dimostrazione di come le persone comuni siano spesso niente più di semplici pedine all'interno di un gioco molto più grande, che contempla i delicati rapporti economici e di collaborazione tra stati, tra aree geografiche. Zaki e gli altri quindici nominativi di quella lista non erano altro che merce di scambio.
Se ci pensate, è la stessa cosa che faceva Salvini quando bloccava al largo le navi con i migranti. I migranti erano la "merce" con cui ricattare l'Europa per costringerla ad addossarsi parte del gravoso fardello. Ma anche Erdogan, un altro mascalzone di notevole portata, faceva la stessa cosa quando, appena un anno fa, minacciava di aprire la frontiera tra Turchia e Grecia e riversare in Europa i 130.000 migranti ammassati al confine. Ma anche i migranti ammassati tra Bielorussia e Polonia, di cui le cronache stanno ancora parlando, sono armi di ricatto con cui Lukashenko (un altro che ti raccomando) fa pressione sull'Europa perché non commini sanzioni economiche alla Bielorussia.
Tutto questo per dire che non so, di preciso, se ci sono stati altri periodi storici, lontani o più vicini a noi, in cui gli essere umani, le persone, sono state così massicciamente utilizzate come mezzi, merce di scambio, contropartite di qualcosa, come nella nostra epoca. Con buona pace del povero Kant.
credo che in ogni epoca la gente comune, quella senza santi in paradiso, sia stata alla mercè dei giochi dei potenti, vedi la "carne da macello" della I guerra mondiale.
RispondiEliminaml
Vero, ma ho come l'impressione che nella nostra epoca questa tendenza sia giunta al parossismo. Impressione mia, eh, magari semplicemente dovuta al fatto di vivere in questa piuttosto che in altre epoche.
RispondiEliminaIo credo che solo uno storico potrebbe rispondere alla tua domanda, quindi solo chi ha conoscenze approfondite. Ma poi si può fare un paragone confrontando momenti storici diversi?
RispondiEliminaSe serve per farsi un'idea, secondo me sì.
Elimina