Ieri sera, dopo tanto tempo, sono tornato al cinema in presenza. Il film visto è L'arminuta, tratto dall'omonimo romanzo di Donatella di Pietrantonio uscito qualche anno fa (ne avevo accennato brevemente qui).
Libro e film narrano le vicende, ambientate in Abruzzo in una estate degli anni Settanta, di una ragazzina tredicenne che all'età di sei mesi viene adottata e cresciuta dagli zii, una agiata famiglia piccolo-borghese. All'età di tredici anni la ragazzina viene "restituita" (arminuta, in abruzzese, significa questo) alla famiglia biologica, che vive in un contesto fatto di arretratezza culturale e povertà, e questo cambiamento genererà in lei un trauma che se da una parte la segnerà, dall'altra costituirà un notevole viatico verso il raggiungimento della maturità.
Devo dire che il film non mi ha entusiasmato, a differenza del libro. Seppure sia un film fatto molto bene, l'ho trovato spesso ripetitivo e monotono, anche se molto efficace nella rappresentazione dei rapporti tra le due madri, quella putativa e quella biologica, e la figlia. Forse il film mi sarebbe risultato più coinvolgente se non avessi letto prima il libro. Probabilmente ciò dipende dal fatto che, conoscendo già le vicende, al film è mancato quell'effetto sorpresa che invece investe chi lo guarda senza prima avere letto il libro.
Un appunto, però, mi sento decisamente di farlo, e riguarda la scelta di lasciare che alcuni dei personaggi parlino utilizzando una inflessione dialettale di difficile comprensione per chi non è originario dell'Abruzzo. In ogni dialogo tra l'arminuta e la madre biologica, ad esempio, io capivo solamente ciò che diceva la ragazzina, di ciò che diceva la madre ci capivo poco o niente, giusto qualche parola qua e là, tanto è vero che ogni tanto mi giravo verso mia moglie per chiederle se lei capisse. Poi, certo, il contesto in cui il dialogo era inserito e le parole che qua e là riuscivo a capire mi consentivano alla fine di capire il senso della frase, ma questa incomprensibilità lessicale mi ha abbastanza infastidito.
Per qualche motivo che non so spiegare, il film in questione non è distribuito nelle grandi multi-sale come l'UCI a Savignano o il Multiplex a Rimini, ma solo in qualche sala abbastanza anonima sparsa qua e là, come il piccolo cinema in quel di Gambettola in cui siamo andati ieri sera, che ricorda un po' il "cinemino di periferia" di cui parla Battiato in Venezia-Istambul. La sala era abbastanza spartana, tutta su un piano e con le file di sedie imbullonate a terra e lo schermo in alto. Niente a che vedere coi moderni cinema con i posti modello gradinate dello stadio e schermo in basso. Ricordava un po' i vecchi cinema che frequentavo quand'ero bambino. E non c'era neppure il tipo col carrello, con tanto di divisa, che all'intervallo si presenta in sala per vendere popcorn e bibite. Bevande e popcorn erano vendute direttamente dalla stessa signora che all'entrata faceva il biglietto (intero: 4 euro) e il tipo che all'entrata della sala strappava il biglietto, la cosiddetta "maschera" (si chiama ancora così? Chissà...), era un simpatico e anziano signore che, a giudicare dal tremolio di una mano, doveva avere una qualche familiarità col Parkinson. La sala era comunque riscaldata, e viste le premesse non era scontato.
La cosa, tutto sommato, non mi è dispiaciuta. Anzi. Fa piacere che, sparsi qua e là, ci siano cinema in stile un po' retrò che ancora conservano quella sorta di... "genuinità" che i grandi complessi multi-sala hanno forse un po' perso.
No, decisamente non è il tipo di film che passa dalle multisale. Anch'io preferisco i cinema tradizionali, se non altro per il fatto che mi posso sedere dove voglio e non nei posti assegnati XD
RispondiEliminaNon conosco nè il libro nè il film, però secondo me non è tanto una questione di conoscere già la trama - e dunque non avere più l'effetto sorpresa - se un film delude; il più delle volte dipende dal fatto che non si riesce a riprodurre le stesse emozioni che si vivono leggendo il libro, e questo a prescindere dal fatto che la trama sia riprodotta fedelmente o no. O almeno questo è ciò che vale per me! Quanto agli accenti regionali, sono il mio tallone d'Achille, infatti anche a me a volte succede di non capire un accidente! Pensa che una volta mi sono guardata un film con i sottotitoli perchè non capivo l'accento - non ricordo se napoletano - dei personaggi XD
Credo tu abbia ragione, riguardo alla diversità di emozioni tra libri e film. In effetti, nella stragrande maggioranza dei casi, ogni volta che ho visto un film ricavato da un libro già letto ne sono rimasto abbastanza deluso. Tempo fa mi ero imposto di non guardare più film di cui avessi letto in precedenza il libro, ma poi prevale sempre la curiosità.
EliminaPer quanto riguarda gli accenti regionali, trovo la cosa abbastanza irritante. Se almeno, come dici tu, ci fossero stati i sottotitoli. Niente da fare, a parte un'unica scena in cui i sottotitoli sono comparsi durante un breve dialogo tra la madre biologica della ragazzina e la vecchia nonna. Quest'ultima parlava in dialetto strettissimo e senza i sottotitoli nessuno ci avrebbe capito niente. Mah!
Anche io ho visto L'Arminuta, dopo aver letto il libro alcuni anni fa, nel multisala della mia città.
RispondiEliminaHo avuto la stessa sensazione avuta con altri film visti dopo aver letto il libro da cui è tratto o a cui è ispirato. Aspetti le scene che conosci dalla lettura, ma non sempre corrispondono. Mi dico sempre non guardare il film, se hai già letto il libro...ma poi la curiosità vince. E il dialetto abruzzese, anche io non ho compreso intere frasi, ma solo intuito. Sarebbero stati utili i sottotitoli.
Un po' ci siamo trovati d'accordo.
Ciao.
Mafi
È sempre la curiosità che frega, in effetti. Quando si guarda un film non c'è bisogno di immaginare niente, perché i personaggi si vedono come sono direttamente nello schermo. Quando si legge, invece, i personaggi li immagina chi legge e se li costruisce nella mente basandosi sulle descrizioni fatte dallo scrittore. Descrizioni che possono essere scarne o approfondite; più sono approfondite e più la mente "vede" i personaggi in maniera precisa; viceversa, più la descrizione dello scrittore è scarna e maggiore è la libertà del lettore di "costruirsi" il personaggio.
EliminaStephen King, uno degli scrittori che amo di più, descrive sempre i personaggi dei suoi romanzi con pochi tratti e in due o tre righe. Lo fa volutamente, come ha dichiarato lui stesso, perché gli piace che il lettore si costruisca da sé il personaggio.
Ciao Mafi.
Io il film l'ho visto in un multisala, ma era appena uscito. A distanza di oltre un mese, mi pare già tanto che non sia ancora sparito dalle sale...
RispondiEliminaPoiché avevo letto il libro ho risentito non tanto della mancanza dell'effetto sorpresa – io sono una che gli spoiler se li va a cercare proprio di sua iniziativa ;-) – ma il fatto che nella trama dei film siano stati sacrificati alcuni passaggi a mio avviso importanti presenti nel libro.
Persino io che ho vissuto quarant'anni in Abruzzo ho trovato il parlato dialettale non facilissimo da capire. Paradossalmente, quello che ho trovato maggiormente comprensibile era l'unico personaggio sottotitolato!
[Comunque "arminuta" significa "ritornata", essendo la forma distorta di "ri-venuta" :-)]
Ti vai a cercare gli spoiler? È gravissima questa cosa :-) Pensa che io, invece, m'incazzo come una iena se qualcuno viene a raccontarmi l'epilogo di un film o di un libro.
EliminaCioè, ho capito bene? Tu che sei vissuta per 40 anni in Abruzzo hai trovato il parlato difficoltoso da capire? È veramente paradossale, questa cosa!
Ah, grazie per la precisazione sul significato di arminuta ;-)
Non mi dispiace "subirli", gli spoiler... ma mi guardo bene dall'infliggerli agli altri, perché sono consapevole che quasi nessuno li tollera.
EliminaA differenza del dialetto della "magara", che per quanto stretto ho trovato più simile a quello che ero abituata a sentire a Pescara e dintorni (a prescindere dai sottotitoli), il parlato mi è sembrato meno "standard", comunque in effetti di parole me ne sono sfuggite poche.