giovedì 2 dicembre 2021

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Tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, anche grazie al femminismo e alle lotte sull'aborto e sui diritti LGBT, le cose cominciano a cambiare. La mentalità dominante non è più né bigotta, né conservatrice. Nel 1978 passa la legge Basaglia, che chiude i manicomi. Nel medesimo anno passa la legge sull'aborto, nel 1981 viene abolito il reato di plagio, nel 1982 viene approvata la prima legge che consente il cambiamento di sesso. La stagione delle lotte sociali cede il passo a quella dei diritti civili, le idee progressiste penetrano sempre più nella coscienza collettiva.

È in quegli anni che, anche in Italia, prima in modo appena avvertibile, poi in modi sempre più massicci e pervasivi, prendono piede i princìpi del politicamente corretto. Essere progressisti comincia a significare, per molti, ergersi a legislatori del linguaggio.
Parte una furia nominalistica che, con ogni sorta di eufemismo e neologismo, si premura di stabilire come dobbiamo chiamare le cose e le persone, in totale spregio del linguaggio e della sensibilità della gente comune.
Dopo gli anni del marxismo e dello strutturalismo, i custodi del pensiero progressista paiono convertiti a un neoidealismo che conferisce alle parole un potere quasi magico. Come ha notato recentemente Walter Siti: "Gli scrittori di sinistra sembrano credere che siano le parole a generare i comportamenti: il contrario dell'idea marxiana che siano invece le condizioni materiali a generare le idee."

La lotta si accentra così sul mero linguaggio. Anziché provare a cambiare davvero le cose, si punta a cambiare le parole, trovando a ogni cosa il nome giusto, come se questa fosse la mossa decisiva e di per sé benemerita. Dopo la messa al bando della parola "negro" (tranquillamente usata da Pavese, Calvino e infiniti altri scrittori, progressisti e non), a favore di "nero", i ciechi diventano ipovedenti, gli spazzini operatori ecologici, gli handicappati diversamente abili, i bidelli collaboratori scolastici, le donne di servizio collaboratrici familiari, i becchini operatori cimiteriali, e così via. Nascono le "parole giuste". E di conseguenza le "parole sbagliate", impronunciabili.
Curiosamente, non ci si rende conto che nessuna delle parole messe al bando era usata in modo spregiativo, e che, al contrario, creando per ogni parola precedentemente neutra la sua controfigura corretta si fornisce un meraviglioso armamentario di parole contundenti, di parole-proiettili, a chiunque desideri offendere e riversare disprezzo sul prossimo. Gli odiatori, che oggi imperversano in rete, sentitamente ringraziano.
E, ancor più stranamente, alla puntigliosa individuazione delle categorie da proteggere con parole-scudo non si accompagna alcun serio tentativo di cambiarne o migliorarne la condizione.

(da Manifesto del libero pensiero - Paola Mastrocola, Luca Ricolfi - ed. La nave di Teseo)

1 commento:

  1. C'è qualcosa di profondamente vero in queste parole. Dovremmo distinguere meglio tra parole-parole e parole che fanno pensare o toccano il cuore.

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