domenica 3 ottobre 2021

Il tempo, Dio e la macchina targata DD

Stamattina, camminando in collina, ho notato sul ciglio della strada una macchina. Era lucida, pulita, tenuta molto bene, sembrava nuova. Ho dato un'occhiata alla targa e ho visto che cominciava con le lettere DD. Era quindi una macchina che, così a occhio, poteva avere una decina d'anni. Sembrava nuova ma nuova non era. Qual è il tempo di vita medio di una macchina prima di essere portata allo sfasciacarrozze? Cinque anni? Dieci? Non lo so, ma è comunque improprio definire ciclo di vita il tempo di utilizzo di una macchina, perché la macchina non è una cosa viva, non ha una vita intesa come insieme di processi biologici, è semplicemente un insieme di organi meccanici inanimati costruiti e assemblati dall'uomo, anche se la nostra innata tendenza ad antropologizzare tutto ci fa immaginare che un insieme di organi meccanici sia una cosa che nasce, vive, muore, esattamente come una pianta o un animale. Più propriamente, si può dire che la macchina ha un proprio ciclo di utilizzo, che comunque ha un inizio e una fine.

Anche gli alberi lungo la strada dove era parcheggiata la macchina hanno un inizio e una fine: nascono, vivono (degli alberi si può dire), poi muoiono. Anche le case lungo la via: vengono costruite, utilizzate per un certo periodo di tempo, poi, quando diventano decrepite e non più recuperabili, si demoliscono e se ne costruiscono di nuove, e il ciclo ricomincia. Anche noi abbiamo un nostro ciclo: nasciamo, viviamo "quel poco che a vivere ci è dato" (cit.) e poi torniamo al nulla in cui eravamo prima. Anche le cose che ci sembrano eterne in realtà non lo sono; le Dolomiti una volta non c'erano, e neppure l'Everest c'era, stessa cosa l'oceano Pacifico, e arriverà un tempo in cui tutte queste cose non ci saranno più. Il nostro stesso pianeta una volta non c'era, e anche il Sole. Quasi quattordici miliardi di anni fa neppure l'universo esisteva, mentre ora c'è e continua a espandersi. Un giorno il moto di espansione cambierà in modo di contrazione e l'universo si avvierà verso il cosiddetto Big Crunch, e a quel punto puf, pure l'universo avrà finito di esistere.

Tutto passa e tutto se ne va. Ma come sarebbe e cosa succederebbe se invece le cose fossero eterne, non fossero mai nate e non avessero mai fine? Ovviamente questa cosa è irrealistica ed è difficile anche da immaginare. Se proviamo a ipotizzare un sistema in cui tutto esiste da sempre e sempre esisterà, senza nascita, invecchiamento e morte, il nostro cervello va in corto circuito, appunto perché le leggi che regolano il sistema universo in cui siamo inseriti non lo prevedono. Lo scenario della mancanza di morte fu esplorato anni fa da José Saramago in un bellissimo romanzo: Le intermittenze della morte, in cui si raccontavano gli sconvolgimenti sociali che si venivano a creare in un mondo in cui le persone smettevano di morire e una volta nate vivevano per sempre.

L'unica "cosa" che esiste da sempre e sempre esisterà, naturalmente per chi ci crede, è Dio. Quando ero piccolo ricordo che mia madre mi portava all'incontro del venerdì sera, un ritrovo settimanale in parrocchia in cui don Natale spiegava le letture che si sarebbero lette in chiesa la domenica. Era un appuntamento che io detestavo perché di un noioso unico. Ancora oggi, a quarant'anni di distanza da allora, posso dire con sicurezza che le vette di pallosità di quegli incontri sono rimaste ineguagliate. Una cosa, però, mi è rimasta impressa, e cioè una frase con la quale il parroco cercava di illustrare il concetto secondo cui Dio non ha avuto un principio e non avrà una fine: è sempre esistito è sempre esisterà. Ricordo le facce perplesse dei partecipanti, che cercavano di abbracciare e fare proprio questo concetto razionalmente ma non ci riuscivano, e quindi chiedevano al parroco come fosse possibile questa cosa, volevano che gliela spiegasse in modo comprensibile. Naturalmente non era possibile perché appunto non si può spiegare con la razionalità ciò che razionale non è, e il povero don Natale, giocherellando con la penna sui suoi fogli, alzava lo sguardo e diceva, con un po' di velata rassegnazione, che non si può spiegare ma è così.

A un certo punto, cresciuto un po', mi sono reso conto che quel "non si può spiegare ma è così" non mi bastava più: troppo semplice, troppo facile; è andato bene finché sono stato bambino, poi sono cresciuto e ho cercato altro, e sono contento che sia andata così.

8 commenti:

Franco Battaglia ha detto...

Per quanto semplicistico all'apparenza, non finiamo mai di cercare "altro", a tutti i livelli ed in qualsiasi modo. Ed è ciò che ci salva ;)

Andrea Sacchini ha detto...

Sì, anche se poi, alla fine, non si trova mai ciò che si cerca. Ma il bello sta anche nella ricerca. Come diceva De André: "Per la sola ragione del viaggio, viaggiare."

Romina ha detto...

Adoro riflettere sull'eternità, concetto molto complicato. Il concetto di eternità fu usato dai primi filosofi per spiegare in termini razionali, cioè senza ricorrere al mito, l'esistenza dell'universo. Senofane, ad esempio, che era un poeta vissuto fra il VI e il V secolo A.C. e che ha anticipato alcuni temi della filosofia parmenidea, nel criticare la concezione antropologica delle divinità propria dei greci, disse che la divinità è "l'universo-tutto" eterno, ossia ingenerabile e incorruttibile. Senofane ragionava così: se l'universo fosse generabile, dovrebbe avere un inizio; ma se avesse un inizio, ciò significherebbe che prima di iniziare non c'era. Però dal nulla non può nascere nulla, il nulla è zero, è niente, come può nascere qualcosa dal niente? Dunque l'universo-tutto non è nato dal nulla ed è eterno.
Come vedi, il discorso di Senofane è un discorso razionale. Certo, Senofane non poteva avere prove empiriche di questo; ma non bisogna confondere il piano razionale con quello empirico. Da un punto di vista puramente razionale, cioè di logica mentale, il discorso del vecchio Senofane non fa una piega. Poi è arrivato Parmenide, che ha "dimostrato" in via razionale l'eternità dell'Essere. A Parmenide si è rifatto un gigante della filosofia contemporanea, Emanuele Severino.
Il concetto di eternità, quindi, ha attraversato i secoli, anzi, i millenni, ed è dibattuto in filosofia e nella scienza.
Naturalmente il problema dell'eternità è legato a quello del tempo, e dunque è un problema tuttora studiato dalla fisica.

Quando dunque il tuo povero prete affermava che Dio è eterno, non raccontava una favola di cui ridere, ma affermava che la Causa Prima di tutto è ingenerabile e incorruttibile, ragionamento degno di essere preso in considerazione.
L'irrazionalità della religione sta, piuttosto, nel presentare Dio (= Causa Prima) in termini antropomorfici, il Dio-Padre che ti ascolta e ti protegge. Questa è una concezione cui si può credere solo per fede, perché non abbiamo prove né empiriche né razionali di questo fatto. Ma il problema della ricerca della Causa Prima di tutto e della sua eventuale eternità è un motore straordinario per la conoscenza.

C'è un bellissimo, lungo articolo su questi temi, in cui s'intrecciano filosofia e scienza. Non è semplice leggerlo, ma ne vale la pena:
http://www.scienzaefilosofia.com/2018/03/27/tra-lessere-della-filosofia-e-lenergia-della-fisica/

Ciao, Andrea.

Andrea Sacchini ha detto...

Ho letto con estremo interesse l'articolo che hai lìnkato. L'ho trovato interessantissimo, almeno nelle parti che sono riuscito a comprendere. Purtroppo il mio background culturale è limitato, non ho alle spalle studi sistematici di filosofia, ma solo concetti generici appresi da alcuni libri che ho letto. Per questa ragione i ragionamenti del grande Emanuele Severino riportati nell'articolo li ho trovati abbastanza ostici.

Ho trovato invece molto più accessibili le argomentazioni contenute nei punti 3 e successivi, dove l'approccio al tema dell'eternità e della nascita dell'universo è di tipo scientifico, e dove si vede una convergenza tra gli approcci filosofico e scientifico al problema, come si legge all'inizio del punto 4: "Le idee di Severino non sono lontane da quelle della fisica, nel senso che la totalità dell’essere e la totalità dell’energia primordiale sono entrambe riferite alla realtà empirica che esiste e si trasforma di per sé dal punto zero nel tempo finito, incipit della storia dell’universo, fino alla nostra epoca."

Il concetto di energia che nell'universo non si crea e non si distrugge ma si trasforma, l'avevo già incontrato in alcuni libri del fisico Guido Tonelli, di cui in passato ho già parlato su queste pagine.

La scienza, oggi, è arrivata a scoprire praticamente tutto dell'origine dell'universo. In questa bellissima conferenza di Guido Tonelli, ad esempio, il grande fisico toscano spiega con parole comprensibili anche ai non addetti ai lavori come oggi, grazie alle ultime scoperte scientifiche, anche recenti, il come, il quando, il perché è nato l'universo e addirittura cosa c'era prima non abbiano più segreti. E in questa spiegazione risponde anche alla domanda che si poneva Senofane (ti cito): "ma se avesse un inizio, ciò significherebbe che prima di iniziare non c'era. Però dal nulla non può nascere nulla, il nulla è zero, è niente, come può nascere qualcosa dal niente?"

Qual è l'errore (inconsapevole, naturalmente) insito nella domanda? L'errore sta nel fatto che l'universo non è nato dal nulla, ma dal vuoto. Il nulla è un concetto filosofico, il vuoto è un concetto fisico. Ora, non mi metto certo qui a riportare l'intera conferenza di Tonelli, ma, riassumendo brutalmente, l'universo (noi compresi) è nato a causa di una fluttuazione del vuoto.

Naturalmente questo spiega come, perché, quando è nato l'universo e cosa c'era prima, ma non spiega o comunque non risolve il quesito dei quesiti: se l'universo è nato dal vuoto, da dove viene il vuoto? Chi l'ha creato? Perché? E perché c'è stata questa fluttuazione più forte delle altre che ha originato l'universo? Quindi, alla fine, siamo punto e a capo.

Comunque sia, queste speculazioni filosofico-scientifiche sono interessantissime, anche se (per me) spesso difficili da comprendere. Leggo spesso libri che trattano questi argomenti, mi affascinano, anche se sono argomenti appunto complicati. Ma, d'altra parte, perché un argomento difficile non dovrebbe essere affascinante?

Grazie del contributo, Romina.

Buona serata.

Sara ha detto...

Credo quia absurdum.

Andrea Sacchini ha detto...

Anche perché se non fosse absurdum non ci sarebbe una fede, ma una semplice conoscenza o presa di coscienza dei fatti.

giorgio giorgi ha detto...

In psicologia Dio è un simbolo della totalità, quel tutto di noi che vorremmo conoscere e vivere. Aldilà della religione, questo è il motivo per cui il concetto di Dio è importante. Conoscere chi siamo veramente è conoscere il Dio che è in noi. Ognuno proietta sul concetto di Dio qualcosa di personale (Dio buono, Dio cattivo, ecc.). Ognuno ha il suo concetto di Dio.

Andrea Sacchini ha detto...

Una specie di dio su misura, si potrebbe dire...

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