mercoledì 5 agosto 2009

Facebook e i suicidi

Ah, bei tempi quando Facebook e Myspace non c'erano e i giovani vivevano tranquilli, felici e contenti, e soprattutto non si suicidavano in massa come avviene oggi. Eh già, perché a leggere le dichiarazione dell'altro ieri di Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e capo della chiesa cattolica inglese, sembra proprio che quando i social network non c'erano la vita dei giovani fosse migliore, e soprattutto più sicura.

Le dichiarazioni del prelato, secondo le quali il massiccio utilizzo di Facebook istigherebbe i giovani al suicidio, di per sé non sarebbero neppure da prendere in considerazione, ma si sa, parlare male di internet e dei social network è trendy, e per questo motivo sono state poi riprese anche fuori dai confini inglesi (ovviamente anche da noi). Ma c'è effettivamente questa correlazione? E' vero che la superficialità con cui si instaurano rapporti di amicizia, e soprattutto la facilità con cui poi magari si troncano, agevola le tentazioni suicide dei giovani? Non si sa. L'arcibishop d'oltre manica non fornisce cifre ma solo congetture, basate su un singolo episodio riferito alla recente vicenda accaduta a una certa Megan Gillan, quindicenne inglese vittima del bullismo sul social network Bebo (qui ne parla il Telegraph).

E' sufficiente questo singolo episodio per lanciare allarmi e dichiarazioni di questo tipo? Certo, è sufficiente, come sempre avviene, se si guarda al fenomeno dei social network in un singolo aspetto e si evita accuratamente di analizzarlo nella sua totalità. Non starò qui a ripetere che internet e i social network sono strumenti che, al pari di tutti gli altri, vanno utilizzati con criterio e raziocinio e che, sempre come tutti gli altri, se fatti oggetto di abuso possono provocare danni e sfociare nel patologico. Questo è scontato, o almeno dovrebbe esserlo. Ma le domande che mi piacerebbe rivolgere all'alto prelato sono altre: l'amicizia prima dell'avvento dei social network era così semplice, genuina e idilliaca? Il fenomeno del bullismo, poi, per restare in tema coll'esempio citato dell'arcivescovo, è nato e si è sviluppato con internet o è precedente?

Beh, mi dispiace per il bishop, ma c'era anche prima, molto prima. Secondo la Wikipedia, ad esempio, i primi studi sul fenomeno risalgono agli inizi degli anni '70 in Scandinavia e (guarda un po') in Inghilterra, mentre alcuni autorevoli studi scientifici indicano che ci sarebbe addirittura una componente biologica all'origine del fenomeno. Uno dei più titolati studiosi del fenomeno bullismo, il norvegese Dan Olweus, ha pubblicato a tal proposito, nel 2001, un saggio, risultato dei suoi studi iniziati proprio negli anni '70 sulla scia di una inquietante serie di episodi di bambini in età scolare che si suicidavano lasciando bigliettini in cui scrivevano di essere vittime di maltrattamenti di altri ragazzi. Bigliettini, non flussi di bit in viaggio per la rete.

Insomma, essere giovani, prima o dopo internet, non è mai stato generalmente una cosa facile. E le delusioni che derivano spesso dalle amicizie, o almeno da quelle che si ritenevano tali, fanno parte della vita, indipendentemente dal fatto che si usi Facebook o no. Forse l'illustre prelato, invece di prendersela con internet e social network vari, farebbe meglio a guardare cosa hanno combinato, senza il bisogno di strumenti tecnologici, alcuni suoi colleghi per una quarantina d'anni a due passi da casa sua.

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