lunedì 30 novembre 2020

The Wall

Quarantuno anni fa, come oggi, usciva l'undicesimo album dei Pink Floyd: The Wall. Non so se tra i miei 32 lettori ci sia qualcuno che non ne ha mai sentito parlare. In caso ci sia, sappia che è un album mitico, leggendario, inarrivabile, articolato, psicologico, onirico, oscuro, a tratti complesso, ispirato, coinvolgente, accattivante, duro, sferzante, cattivo anche, ma anche dolcissimo e poetico. Forse la più bella opera rock che sia mai stata scritta dalla nascita di questo genere di musica.

domenica 29 novembre 2020

[...]

Ho sempre pensato che chi legge un libro, in qualche modo lo riscrive. L'autore porge delle indicazioni ma poi è il lettore che deve saper ricostruire con la sua immaginazione e il suo sapere il mondo in cui si trova a vivere attraverso i corpi estranei dei personaggi.
Per questo considero la lettura una vera gioia amorosa, non per i contenuti che mi offrono i libri ma perché leggere è un grande esercizio di soggettività. Leggendo ci si fa soggetto di una storia, di un discorso, di una riflessione, di una fantasia, di un sogno. E l'intensità di questo farsi non ha limiti, non ha cesure.
È anche per questo che non si può scrivere se non si legge. Senza il lettore la scrittura non esiste e senza la scrittura il lettore non esiste.

Il rapporto tra chi legge e chi scrive, pur essendo un rapporto tra due corpi, non è l'incontro naturale tra due persone che si parlano, si capiscono, si riconoscono: la comunicazione tra i due passa attraverso una convenzione molto complessa che è la scrittura. Il lettore deve decifrare un linguaggio, applicare un codice, compiere un'operazione che presuppone un grande lavoro di concentrazione.
Però, quando ci riesce, si prova un profondo piacere: si scopre di potere vivere tante vite diverse, di potere viaggiare nel tempo e nello spazio. Noi siamo chiusi dentro una vita limitata, prevedibile, spesso asfittica, e i romanzi danno la possibilità di attraversare altre esistenze, altri panorami, calzando altre scarpe, annusando altri odori, in un tempo che non ci appartiene. Quando si compie questo miracolo è come se si realizzasse un incontro al di là dello spazio e del tempo, nel mondo misterioso del possibile.
Il libro è il luogo di questo incontro.

[...]

Una lingua parlata più vicina a quella scritta è nata da noi solo a partire dagli anni Cinquanta. Forse il mezzo di diffusione più efficace è stato la radio. In Germania la traduzione della Bibbia nel Cinquecento ha rappresentato una grande occasione di uniformazione linguistica e ha contribuito alla creazione di una vera lingua nazionale tedesca. In Italia non abbiamo mai avuto niente del genere: perfino la Chiesa con le sue ambizioni universalistiche e democratiche ha usato a lungo solo il latino. Avrebbe potuto diffondere l'italiano, ad esempio attraverso la messa, ma non l'ha fatto che secoli dopo, forse troppo tardi. La sua ritrosia verso il volgare derivava dalla preoccupazione di conservare, attraverso il mistero di una lingua morta, il segreto della sua autorità.
Inoltre la Chiesa ha sempre nutrito un certo sospetto verso la letteratura e ha preteso di svolgere un ruolo di forte mediazione tra libri e lettori. Da noi l'insegnamento religioso, la conoscenza del divino, dovevano essere filtrati dal prete, dalla dottrina, dall'interpretazione ecclesiastica. Perfino il libro che sta all'origine della religione cattolica, il Vangelo. Nessuno insegnava a leggere direttamente, personalmente i testi sacri, mentre nei paesi anglosassoni, protestanti, la Bibbia era in tutte le case. Poi si è aggiunto anche l'Indice dei libri proibiti che per decenni ha proibito la maggior parte dei libri di autori italiani di un certo prestigio e novità.

La Chiesa insomma per secoli ha sostenuto e preteso che la cultura rimanesse sotto tutela e questo ha allontanato gli italiani dalla lettura, frenando l'inquietudine intellettuale che spinge a cercare risposte nei libri. Il principio fondamentale del leggere, infatti, sta nell'assumersi il rischio della conoscenza e il lettore è colui che si avventura al di là dei confini, dei muri delle verità rivelate, in nome della libertà di ricerca, della libertà intellettuale.

(da Amata scrittura, Dacia Maraini, 2000)

sabato 28 novembre 2020

Altri 132 voti

Leggo che Donad Trump ha speso tre milioni di dollari per fare effettuare il riconteggio dei voti in due contee del Wisconsin, tra cui Milwaukee. Terminato il riconteggio, la commissione elettorale incaricata dell'operazione ha assegnato a Biden altri 132 voti erroneamente non attribuitigli dopo il primo spoglio elettorale. E niente, dal presidente (per fortuna ex) più ridicolo della storia degli USA, è tutto.

venerdì 27 novembre 2020

L'uccisione del drago

Ho appena terminato L'uccisione del drago, uno dei racconti di Dino Buzzati contenuti nel libro Sessanta racconti (ogni tanto, tra la fine di un libro e l'inizio del successivo, mi distraggo un po' leggendo altro). Il racconto in questione l'ho trovato brutto, scadente: privo di mordente, infantile, sconclusionato, e poi quel finale tronco che praticamente è un non-finale. 
Ho spesso lasciato a metà e cestinato i miei racconti, quando li scrivevo, perché a volte, rileggendoli, li trovavo brutti, sconclusionati, infantili, privi di mordente, e adesso scopro che le stesse impressioni le provo leggendo alcuni racconti di Buzzati. Intendiamoci, non mi paragono certo a lui, non intendo ridicolizzarmi, solo mi rendo conto che a volte, forse, sono stato troppo severo nei confronti delle mie, pur limitate, velleità narrative.

giovedì 26 novembre 2020

Televisione e scienza

Una volta, in TV, c'era Piero Angela che spiegava la scienza e la voce ufficiale della scienza in TV era Piero Angela. Stop. Oggi ho come l'impressione che tutto il suo lavoro di anni e anni di meritoria divulgazione sia stato buttato nel cesso dalla pletora di scienziati e pesudoscienziati che affollano ogni canale nell'arco delle 24 ore, un affollamento con relativo profluvio di pareri, spesso contrastanti tra loro, che è inevitabile che generino e diffondano dubbi e timori generalizzati, specie in una massa indistinta di persone che, triste realtà del nostro paese, con la scienza ha pochissimo feeling (la diffusione dei vari no-vax, terrapiattisti ecc. origina da qui).

Ora, se io mi imbatto in un dibattito televisivo sui vaccini tra, che ne so?, Roberto Burioni e Red Ronnie non ho difficoltà a capire chi dei due racconta palle, perché so che il primo è uno scienziato che li studia da quasi quarant'anni e il secondo è un disc jockey che parla di vaccini dopo dieci minuti su Google. Il problema nasce quando, sempre relativamente ai vaccini, i pareri discordi sono tra Burioni e Ilaria Capua, entrambi con alle spalle una vita dedicata alla scienza e allo studio di questi temi. Ho citato Burioni e la signora Capua solo perché rappresentano l'ultimo esempio in ordine di tempo di questa difformità di vedute tra scienziati riguardo ai suddetti temi, ma, se ricordate, solo pochi giorni fa analogo episodio successe tra Andrea Crisanti e Pierpaolo Sileri relativamente alla triade di vaccini anti-covid che a breve dovrebbero arrivare. E andando indietro nel tempo se ne trovano tanti altri simili.

Tempo fa, forse qualcuno ricorderà, girava in rete un video in cui Luc Montagnier, prestigioso biologo e virologo francese e premio Nobel per la medicina nel 2008 per i suoi studi sul virus dell'Aids, intervistato da una emittente televisiva transalpina affermava che il coronavirus era plausibilissimo che fosse stato creato in laboratorio, laddove invece la totalità della comunità scientifica sosteneva, e sostiene tuttora, l'infondatezza di questa affermazione. La diffusione di quel video, come è facile immaginare, offrì il destro alla marea di complottisti per dire: "Visto che abbiamo ragione? Il coronavirus è stato creato in lavoratorio. Lo dice pure Luc Montagnier!"

In tempi un po' più lontani fece scalpore un intervento di Carlo Rubbia, uno dei più noti fisici a livello mondiale, il quale, in una audizione nella sede del parlamento italiano affermò che non era vero che il riscaldamento globale stava aumentando con l'intensità di cui parlavano tutti gli scienziati e i climatologi, anzi secondo lui il processo era addirittura in fase regressiva. Come con Montagnier, questo intervento di Rubbia ringalluzzì la folta schiera dei negazionisti del riscaldamento globale col solito ritornello: "Lo dice anche Rubbia!"

In realtà, sia Montagnier che Rubbia non dissero due inesattezze, fecero semplicemente due affermazioni prive di riscontri. Perché? Perché in ambito scientifico è previsto che un assunto acquisti patente di veridicità e validità solo dopo la pubblicazione su apposite riviste scientifiche e la verifica della sua fondatezza da parte della comunità scientifica. Nessuno impedisce a Montagnier e Rubbia di affermare ciò che sostengono, ma se vogliono che le loro affermazioni diventino verità scientifica devono seguire un preciso modus operandi che nel loro caso non è stato seguito, dal momento che nessuno dei due ha pubblicato da nessuna parte ciò che ha affermato, sottoponendolo al vaglio della comunità scientifica.

Queste cose chi si interessa un po' di scienza le sa, ma, come scrivevo prima, la stragrande maggioranza di chi guarda la televisione e bazzica sui social, no. Qui, allora, oltre al problema della discrepanza di vedute tra scienziati si affianca quello, certo non meno grave, del livello di amplificazione mediatica che si dà a queste difformità di pareri, e non è complicato capire che se a una comunità teledipendente che di scienza non sa niente si danno in pasto giornalmente diatribe tra scienziati, poi non ci si può stupire che da tale "ecosistema" proliferino i no-vax e Red Ronnie acquisti la stessa autorità scientifica di Burioni.

Quando io ero piccolo non esisteva il problema vaccino sì e vaccino no: si facevano e basta, perché il medico di famiglia li prescriveva e Luciano Onder su Raidue ne decantava le lodi. In più internet e i social non esistevano e non esistevano neppure politici tuttologi con la felpa che dichiaravano su twitter che dieci vaccini obbligatori sono troppi e potenzialmente pericolosi. Certo, l'ignoranza generale e i dubbi su questi temi c'erano anche ai miei tempi, ma siccome non c'era modo di propalarli tramite internet e TV, i vaccini si facevano e zitti. E se facevo storie, mia mamma era pure capace che mi desse uno scapaccione.

Come si esce da questa situazione? Non si esce. Ci vorrebbe un innalzamento culturale generale e, specie in questi tempi di pandemia in cui molte certezze tendono a crollare, bisognerebbe che la scienza parlasse con poche voci, possibilmente univoche e autorevoli, cosa che non si verificherà mai. Con buona pace di Piero Angela.

martedì 24 novembre 2020

Il golpe Borghese

Forse non tutti sanno che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, in Italia era prevista l'attuazione di un colpo di stato militare organizzato da Junio Valerio Borghese, con la complicità della P2 di Licio Gelli (lui c'è sempre), Cosa nostra e Avanguardia nazionale assieme a una componente rilevante del mondo politico, dei servizi segreti e delle forze armate. Valerio Borghese, militare del Regio esercito che poi si schiererà con la Repubblica sociale italiana, organizzò il golpe militare per impedire che il Partito comunista italiano, che in quegli anni aveva in Italia il consenso più alto tra tutti i paesi europei, andasse al governo. 

Per motivi mai del tutto chiariti, poche ore prima dell'orario stabilito e con molti appartenenti al complotto già operativi, Borghese annullò tutto, fuggendo successivamente in Spagna per sfuggire agli arresti. 

Mi sono imbattuto per caso in questo video in cui il bravissimo Massimo Polidoro riesce a raccontare in un quarto d'ora, con dovizia di particolari, tutta la storia. Se vi va, dateci un'occhiata. È un episodio poco conosciuto della nostra storia, che se fosse andato come era stato pianificato ne avrebbe cambiato il corso. E sicuramente non in meglio.

Normalità

Non so se ci avete fatto caso: cinque, sei, settecento morti al giorno stanno diventando la normalità, non ci facciamo più neppure caso, sono ormai normale contabilità da affiancare alle previsioni del tempo o ai problemi di Totti. Non è una critica, eh, né stigmatizzazione di un atteggiamento apparentemente improntato al cinismo. Anche perché presumo che tale atteggiamento sia il risultato di un preciso processo mentale e psicologico più che di cinismo.

lunedì 23 novembre 2020

Un'altra leggina per lui

A dimostrazione (una delle tante) che nel nostro paese i cambiamenti sono solo di facciata, mai di sostanza, c'è la polemicuccia di queste ore in merito a un provvedimento salva-Mediaset che il governo starebbe per infilare in uno dei prossimi decreti, provvedimento in merito al quale, anche qui prassi consolidata, tutti, ora che la storia è venuta a galla, ne disconoscono naturalmente la paternità.

Per chi si interessava di politica negli anni infausti in cui il tipo delle cene eleganti era al centro dell'agone politico, questo non è in realtà nient'altro che un simpatico déjà vu. E oggi, incredibilmente (neanche tanto, poi), in mezzo a una pandemia globale e a un disastro economico e sanitario senza precedenti (disoccupazione a due cifre, tracollo del Pil e altro) siamo tornati ancora lì a fare leggine confezionate appositamente per lui, come se non fosse tutto un orribile già visto, già sentito, già vissuto.

Siamo senza memoria, senza pudore, e ancora diamo incredibilmente credito a un personaggio che è stato forse uno dei più pericolosi attentatori a quel poco di democrazia che già allora avevamo e colui che è stato probabilmente il maggior responsabile del tracollo etico, morale e culturale di questo paese. Così, come se niente fosse, senza memoria e senza onore.

domenica 22 novembre 2020

Parole amate

Stavo pensando che gran parte della mia vita si svolge in mezzo alle parole. Parole lette (una marea) e parole scritte (una marea più contenuta ma comunque importante, come testimoniano gli oltre 8000 post vergati su queste pagine). Le parole sono affascinanti. Quando si vive con le parole si impara ad amarle, anche a rispettarle, e ciò genera in chi vive con esse quel senso di fastidio che nasce quando ci si accorge che spesso vengono usate a caso, oppure che si eccede in strumentali forzature semantiche che ne alterano il significato precipuo. 

Certo, la lingua non è qualcosa di statico, granitico; evolve, cambia, si modifica. Se leggete Buzzati, ad esempio, ma anche altri dello stesso periodo, trovate valige invece di valigie. E va benissimo, perché fino alla metà del secolo erano corrette entrambe le diciture, a differenza di oggi. Amo talmente le parole che ho intenzione di comprare un dizionario etimologico. Sì, lo so, c'è Google, ma lo voglio cartaceo, come cartacei sono tutti i libri che leggo. 

Anni fa, ricordo, tenevo un dizionario sottomano ogni volta che leggevo un libro di Umberto Eco, perché in alcuni suoi romanzi sono frequentissimi lemmi difficili (per me) e desueti, e io volevo sapere cosa significavano. L'ho un po' odiato, per questo, a Eco, odio che poi spariva davanti alla bellezza di opere come Il pendolo di Foucault o L'isola del giorno prima. Voglio un dizionario etimologico perché amare le parole significa anche essere curiosi relativamente alla loro origine: come sono nate, come si sono formate, se derivano da radici greche o latine e così via.

Molti anni fa, quando io ero piccolo e la televisione aveva ancora un minimo di funzione educativa, prima di ridursi a quella specie di cloaca con la missione di uccidere il pensiero che è poi diventata con l'avvento del berlusconismo (ma anche prima), c'era una trasmissione in fascia preserale che si chiamava Parola mia. Era condotta da un garbatissimo Luciano Rispoli a cui era affiancato uno dei maggiori studiosi della lingua italiana dell'epoca: il professore Gianluigi Beccaria. Una trasmissione tutta dedicata alle parole e alla lingua italiana, che oggi farebbe ascolti da prefisso telefonico ma che allora, quando in giro c'era ancora un po' di interesse per la cultura, era seguitissima. Credo che buona parte della mia passione per le parole sia nata anche da lì, tra le altre cose. 

Stephen King ha scritto, una volta, nella postfazione di un suo libro di cui non ricordo più il titolo: "Bisogna essere ghiotti di parole, bisogna tuffarcisi e rotolarcisi in mezzo. Le parole sono come l'aria, senza non si vive." Esagerata, certo, come affermazione, ma l'idea la rende benissimo.

Voce nel deserto

È quasi commovente la ostinazione con cui questo papa continua a scagliarsi, quasi quotidianamente, contro i mali del sistema economico globale, quel sistema estremamente squilibrato in cui il 20 per cento dell'umanità consuma l'80 per cento delle risorse con tutto ciò che ne consegue in termini di ingiustizia sociale, aumento della povertà, delle diseguaglianze, e che è in massima parte responsabile della migrazione di milioni di persone. 
Non è un papa comunista, come molti, ironicamente e superficialmente, lo definiscono a destra, è semplicemente un papa che a differenza dei suoi predecessori mette le persone davanti ai principî e che trova sintonia con chi si batte per tornare a un modello sostenibile di economia. Poi, certo, si tratta di appelli che non serviranno a nulla, perché il mondo si è incanalato in una strada da cui ormai non può più tornare indietro, ma fa piacere che ancora ci sia una voce autorevole che cerca di tenere alta l'attenzione su questi temi.

sabato 21 novembre 2020

Sulla morte

Sotto la giurisdizione della scienza, il "corpo biologico" ha diritto alla vita, intesa non come esistenza, ma come prolungamento quantitativo, sui cui sorveglia vigile la tecnica bio-medica nell'intento di garantire a ciascuno di giungere al termine del suo capitale biologico. Ciascuno è così espropriato della propria morte, non può morire come vuole, e quindi neppure vivere consumando come vuole la propria vita, perché il "diritto" a una morte naturale diventa anche il suo "dovere". Ma che cos'è una morte naturale se non quella che cade sotto la giurisdizione della scienza? In questo modo la scienza si ripropone surrettiziamente come colei che tiene la barra tra la natura e l'irrazionalità che la minaccia, per cui può trasformare quel fatto inumano, insensato e assurdo che è la morte nella razionalità dell'evento naturale.

Inclusa la "morte naturale" nello spazio della ragione, che è poi lo spazio che resta quando si esclude tutto ciò che la scienza non riesce a spiegare, la vita, espressa in quella valutazione quantitativa con cui la medicina la contabilizza, rimane esposta a quell'incalcolabile che è l'accidente e la catastrofe, che sono tali solo per quella logica disgiuntiva che, per aver fatto della vita un valore assoluto, non può fare a meno di relegare nell'assurdo e nell'incomprensibile tutto ciò che la minaccia.

Non così per i primitivi che, nei loro scambi simbolici e ambivalenti con tutto ciò che li circondava, erano in grado di comprendere la catastrofe, l'accidente, la malattia, la morte violenta e imprevista, che per noi sono diventati l'assurdo della ragione, l'inintelligibile puro, la riluttanza ostinata e perversa di una natura che non vuole sottostare alle leggi "oggettive" della scienza.

"Naturale" è la morte per vecchiaia, quella che tutti accettiamo perché ubbidisce a quell'itinerario biologico che è poi il modello con cui la scienza ci ha abituati a pensare il nostro corpo. Ma proprio perché siamo persuasi della "naturalità" di questa sopravvivenza che ogni giorno, grazie alle tecniche mediche, guadagna la vita sulla morte, la terza età perde senso, se non diventa addirittura un "peso morto", al contrario di quanto accadeva presso i primitivi dove il vecchio era un'espressione simbolica fondamentale per il gruppo.

[...]

La vecchiaia è una ricchezza solo se l'esperienza acquisita può essere scambiata in una dinamica di gruppo come accadeva presso i primitivi, ma quando questo scambio simbolico si rivela impossibile, la vecchiaia diventa un insignificante accumulo di anni che la società atomizzata deve sopportare e sopporta, traducendo in una morte sociale anticipata la vita biologica inutilmente guadagnata perché non scambiata. Resa "naturale" dalla vecchiaia che la scienza medica ha prolungato, la morte non commuove più; circoscritta nella cellula familiare è seppellita senza lutto e senza quella festa con cui i primitivi, per i quali non esisteva una morte "naturale", propiziavano gli spiriti avversi che quella morte avevano procurato. Liberandoci da queste "superstizioni primitive", la scienza medica ci ha liberato anche del significato collettivo della morte, per cui si muore da soli, per ineluttabilità "biologica", "naturalmente", senza partecipazione. 

Non è un caso che oggi si ritrovi la partecipazione di gruppo solo di fronte alla morte violenta, quella che avviene in piazza, non per usaurimento di un processo biologico, ma per attentato, per passione politica, per un'idea. Sono le morti che assomigliano al sacrificio dei primitivi, le uniche che si caricano di valenze simboliche e che perciò si scambiano, circolano nel gruppo che si incarica di rivivere quella vita, e nel momento della sepoltura grida "è vivo!" Non si tratta infatti della morte "insensata" che avviene sotto l'equivalente generale delle leggi di natura, ma della morte che si scambia tra i componenti del gruppo, quella data e ricevuta, l'unica che abbia senso, e che perciò muove le folle. Insopprimibilità del simbolico, rivincita del corpo sul suo simulacro biologico.

[...]

Ponendosi come controllo progressivo della vita, la medicina ha sacralizzato se stessa, e i medici hanno ottenuto per sé quella venerazione che un tempo riscuotevano i sacerdoti delle antiche religioni. Sopravvivenza ultraterrena allora, sopravvivenza terrena oggi. Dalla "salvezza" alla "salute" la logica è sempre quella della presentazione della vita come valore, con conseguente rifiuto della morte che sfugge alla legge del valore. In questo senso, e solo in questo senso, la morte è un male che la medicina cerca di controllare con quella serie di procedure che, disponendo della morte, impongono la vita. Organi artificiali, rianimazione intensiva, agonie prolungate a qualsiasi costo, trapianti d'organo, che finalità perseguono se non il riconoscimento incondizionato del valore biologico della vita, senza la minima considerazione della sua qualità esistenziale? Ciò che è stato consacrato, ciò a cui è stato riconosciuto un valore assoluto, ancora una volta non è la vita del corpo, che non ha mai temuto si scambiarsi con la morte come nell'esperienza suicida, ma quella del suo simulacro biologico.

È su questo simulacro che veglia la medicina col suo rigoroso controllo su tutta l'estensione della vita e della morte. Obbligando a sopravvivere e impedendo di morire, la medicina svolge il ruolo di controllo repressivo, sottraendo a ciascuno la libertà della propria vita e della propria morte. Negata la morte decente, quella personale, quella che uno si sceglie, siamo consegnati alla morte "biologica" sotto controllo medico. Una morte che, a differenza del suicidio, non sfida la società e non la accusa delle "condizioni di vita" a cui la obbliga. Dissuasione dalla morte attraverso una continua mortificazione, questa la condizione fondamentale con cui si assicura la vita nelle nostre società, esattamente come nell'ascesi cristiana, dove ci si assicura la salvezza e la vita eterna attraverso una accumulazione continua di sofferenza e di penitenza.

Nel tentativo di allontanare la morte come atto finale e antagonista della vita, abbiamo finito col diffonderla in tutti i luoghi in cui la nostra vita si propaga. Di qui l'intervento della medicina preventiva con le sue vaccinazioni, le sue norme per la sicurezza del lavoro, l'educazione scolastica, l'igiene, il controllo delle nascite, dei virus, delle epidemie, per cui la malattia viene accerchiata e la società medicalmente investita e in ogni settore controllata non solo dai medici che vigilano sulla salute pubblica, ma dalle istanze politiche che vigilano sull'esercizio della medicina.

(segue)

(Tratto da Il corpo, Umberto Galimberti, 1983)

Salvare il Natale

Sembra che ci sarà una "finestra" nelle restrizioni per "salvare il Natale," dicono. È palese, credo, che ciò che si vuole salvare non è il Natale in sé, del quale peraltro credo non freghi nulla a nessuno, ma l'indotto generato dalla festa; si vuole cioè salvare il lato economico-consumistico della ricorrenza religiosa. 
Niente di male, intendiamoci, dal momento che la società che abbiamo costruito si regge su questo - non sto certo qui a fare moralismi. Sarebbe però ora che le cose cominciassero a chiamarle e a descriverle per come sono realmente. Ormai siamo grandi, no?

venerdì 20 novembre 2020

Vaccino a gennaio?

Non so se, come dicono autorevoli personalità, il vaccino anti-covid sarà disponibile a gennaio. In ogni caso, che sia gennaio, febbraio o anche più avanti, non appena ci sarà la possibilità e il mio medico mi darà il suo benestare, lo farò, e i timori di eventuali effetti collaterali indesiderati non saranno maggiori di quelli che compaiono in occasione di ogni altra vaccinazione, tipo ad esempio quella contro la normale influenza. Questo per quanto mi riguarda, poi, ovviamente, ognuno si regoli come crede, dal momento che comunque non sarà obbligatorio.

Il Papa e la modella

Mi stavo chiedendo se la spiegazione più semplice non sia che il like l'ha effettivamente messo Bergoglio. Andreotti diceva che a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. E poi, pensandoci, sarebbe la soluzione più in linea in relazione alla filosofia del rasoio di Occam, no?
(Sto scherzando, naturalmente.) :-)

mercoledì 18 novembre 2020

La maestra e i personaggi squallidi

Leggendo della maestra d'asilo licenziata a Torino ho pensato alcune cose. La prima è che tutti i personaggi che ruotano attorno a questa storia sono infinitamente più squallidi e peggiori dell'involontaria protagonista; la seconda è che se questa vicenda fosse capitata a me, ai tempi in cui le mie figlie andavano all'asilo, la mia preoccupazione maggiore non avrebbe riguardato il modo in cui la loro maestra nel suo privato viveva la propria sessualità, mi sarei preoccupato semmai che le mie figlie non fossero cresciute come i personaggi squallidi che con la loro meschinità e il loro bigottismo ne hanno provocato l'ingiusto licenziamento.

martedì 17 novembre 2020

Stay

Stavo ascoltando Stay, di Jackson Browne, poco fa, e mi è venuto in mente che Jackson Browne lo conobbi tramite un amico dei tempi dell'adolescenza. All'epoca io ero uno dei ragazzetti che frequentavano la parrocchia, e nella cerchia della compagnia c'erano dei ragazzi un po' più grandi che guidavano i vari gruppi. Lui era uno di questi. Oltre a farmi conoscere Jackson Browne mi insegnò i rudimenti della chitarra, i primi accordi. Poi, col tempo, ci siamo persi di vista e ognuno è andato per la sua strada. Io sono rimasto un umile operaio che abita ancora nello stesso posto di allora; lui, da quello che so, è attualmente uno stimato ricercatore in ematologia in una prestigiosa università canadese, credo a Hamilton. Strana la vita, imperscrutabili le strade su cui si incamminano le persone.

domenica 15 novembre 2020

Perché è nato l'universo

Si può tornare indietro nel tempo? Nei film e nelle serie tv, sì, si può fare. Chi ha visto ad esempio la serie Dark - I segreti di Winden, serie che ho terminato a fatica tra reiterati sbadigli e assopimenti in corsa, sa di cosa parlo. Ma anche nella realtà si può tornare indietro nel tempo, e gli scienziati lo fanno tutti i giorni. I fisici delle particelle che lavorano al CERN di Ginevra, ad esempio, lo fanno abitualmente, facendo correre e scontrare protoni a velocità prossime a quella della luce e ad altissima energia nel tunnel di 27 chilometri che si trova sotto i laboratori. Così facendo, ricreano le condizioni ambientali assomiglianti a quelle degli istanti successivi al leggendario Big Beng, l'evento che 13,8 miliardi di anni fa diede origine all'universo.

Ma ci sono altri modi per viaggiare all'indietro nel tempo, come ad esempio osservando le stelle. La luce di quelle più vicine a noi e visibili a occhio nudo, ad esempio, è stata emessa grosso modo circa tre anni fa. Se si considera che la luce viaggia a trecentomila chilometri al secondo si può avere l'idea di quanto sia distante la stella che vediamo. È addirittura possibile che la stella di cui noi oggi vediamo la luce non ci sia neppure più. Analizzandone la luce e le onde elettromagnetiche emesse e catturandone le caratteristiche è possibile capire come era fatta e quindi viaggiare nel tempo all'indietro.

Ho trovato, bazzicando su YouTube, una conferenza di Guido Tonelli, fisico delle particelle. Mi è talmente piaciuta che l'ho riguardata due volte. Una delle parti più interessanti è quella in cui lo scienziato spiega non come l'universo sia nato, ma perché sia nato. Il perché, a differenza del come, è una delle domande su cui scienziati e filosofi si sono arrovellati per secoli e a cui la risposta è stata data solo recentissimamente, e Tonelli ne dà una spiegazione chiarissima - sintetizzando brutalmente, la nascita dell'universo è stata possibile grazie a una fluttuazione del vuoto, ma si tratta appunto di una spiegazione che di per sé non dice nulla, specie ai profani.

Io non capisco nulla di queste cose, dal momento che di fisica ho solo vaghissime reminescenze delle superiori (una delle cose che ricordo è che la luce del Sole impiega circa otto minuti per arrivare qui sulla Terra, se non ricordo male), ma Tonelli è riuscito a spiegare concetti difficili talmente bene che pure io ci ho capito qualcosa, e ne sono rimasto affascinato. Se a qualcuno interessa, la conferenza in questione è qui.

Carola Rackete

Ho ammirato e stimato Carola Rackete quando, due estati fa, disattendendo le direttive disumane del ministro della paura, entrò in porto a Lampedusa e fece sbarcare il suo carico umano salvato dal naufragio. Continuo ad ammirarla anche adesso, dopo che in Germania è stata fermata dalla polizia per aver manifestato in difesa di una foresta di alberi secolari, destinati ad essere abbattuti per fare posto al prolungamento di un'autostrada. Ammiro questa ragazza perché, in generale, il suo agire è improntato a degli ideali. Ideali che possono essere condivisibili o meno, questo è pacifico, ma comunque giusti, e in entrambi i casi improntati alla considerazione dell'uomo come fine e mai come mezzo, cosa che predicava già più di due secoli fa un certo Kant.

Natale e pandemia

Trovo abbastanza irritante tutta la polemica attorno alle festività natalizie: parenti sì, parenti no, cenone sì, cenone no. Siamo dentro a una pandemia globale e molti non ne hanno ancora compreso la gravità, evidentemente. E poi, e qui parlo a titolo personale, ho sempre trovato il pranzo di Natale coi parenti uno dei supplizi più noiosi e irritanti dell'intero anno, probabilmente anche a causa della mia misantropia. Quest'anno, finalmente, il pranzo non si farà. Sapete cosa vi dico? Alleluia!

Ma in generale, rivolgendomi a chi queste cose le apprezza (va benissimo, intendiamoci), chiedo: possibile che sia così difficile rinunciare per una volta a qualcosa di caro in nome del bene comune? Non siamo stati capaci di rinunciare alle discoteche, alle vacanze, ai divertimenti, non abbiamo rinunciato a nulla, ce ne siamo bellamente sbattuti, e ce ne sbattiamo ancora, di ogni basilare accorgimento di sicurezza, e adesso ci troviamo di nuovo in emergenza: non vogliamo neppure saltare un pranzo di Natale sapendo che le terapie intensive sono quasi al collasso e tutto il sistema sanità è già quasi bloccato? 

Non siamo più in una situazione normale; la normalità, se e quando ci sarà ancora, è ben lontana dall'orizzonte; probabilmente non si tornerà a come eravamo prima neppure col vaccino, e prima ce ne renderemo conto, prima torneremo a vivere.

sabato 14 novembre 2020

Di vaccini e di barbieri

Giovedì mattina, dal barbiere. Mi siedo aspettando il mio turno. Nel frattempo il barbiere taglia gli ultimi ricci al tizio che c'è prima di me. I due chiacchierano. 
"Va' là che se anche arriva il vaccino io non lo faccio: va' a capire cosa ci mettono dentro. Quello magari ti guarisce dal covid e ti fa ammalare di qualcos'altro. Io non mi fido" dice il tipo sulla poltrona. 
"Eh, mi sa che non lo faccio neanch'io," replica il barbiere, "hanno fatto troppo presto, non può essere una cosa buona. E poi io non mi sono mai fidato troppo dei vaccini."
Ora, premesso che un vaccino non guarisce perché non ha effetti terapeutici ma solo preventivi (qui siamo proprio all'ABC, eh), noto che in generale le italiche genti si dividono tra chi prega che il vaccino arrivi il prima possibile (io sono tra questi) e chi, anche quando arrivasse, dice già che non lo farà perché non si fida. Tra l'altro, il discorso che ho sentito dal barbiere non è una novità, mi è già capitato di sentirlo da colleghi, conoscenti ecc. 
E niente, pensavo che siamo un paese allegramente distopico e asincrono che se ne sta a cazzeggiare di nulla sull'orlo del baratro.

giovedì 12 novembre 2020

Patriots

Esattamente quarant'anni fa usciva Patriots, uno degli album più belli e meno venduti di Franco Battiato. L'anno dopo, 1981, vedrà invece la luce il leggendario La voce del padrone, primo album di un cantautore italiano a superare il milione di copie vendute. Patriots conteneva già tutti gli elementi che avrebbero poi fatto il successo travolgente de La voce del padrone, ma non se ne accorse nessuno, tutti impegnati coi vari Battisti, Baglioni con le loro nenie in stile cuore e amore che guardavano al pubblico romantico dei cuori infranti.

Battiato era già oltre. Per quei tempi era uno che veniva dal futuro, fuori da ogni schema fino ad allora conosciuto, col suo pop acustico/elettrico/elettronico a tratti facile, a tratti difficile, e quei testi provocatòri, colti, infarciti di citazioni letterarie, tanti piccoli quadretti solo apparentemente stralunati e occhieggianti al nonsense. 

Quando uscì Patriots ero ancora un imberbe ragazzetto e ricordo perfettamente che cosumai la musicassetta magnetica (pirata, tra l'altro) a forza di ascoltarlo. Per chi non abbia idea di cosa sto parlando, e immagino siano parecchi, lascio i link a tre dei pezzi più belli di quell'album: Frammenti (qui), Up patriots to arms (qui) e Prospettiva Nevski (qui).

(Segnalazione per i più temerari. Anni fa, in preda a una sorta di rapimento mistico procatomi dalla bellezza di Prospettiva Nevski, decisi di pubblicarne una mia versione accompagnandomi al pianoforte. La rovinai completamente, come del resto era naturale che sarebbe stato, ma ormai il danno era fatto e decisi di lasciarla online. Ancora oggi spero che Battiato non la veda mai. I forti di stomaco la possono ascoltare qui.)

mercoledì 11 novembre 2020

La fiera interrotta

Tra le tante cose che il covid si è portato via c'è la fiera di San Martino, che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che per i santarcangiolesi ha una valenza quasi identitaria. Nell'immaginario collettivo, infatti, al sentire nominare Santarcangelo di Romagna si fa immediatamente l'associazione con la fiera di San Martino o viceversa. 

A livello pratico, a dire il vero, non è che della cosa m'importi granché. È infatti già da qualche anno che evito di andarci, cioè da quando la mia allergia per la folla e il casino si è aggravata. Anche il livello qualitativo della stessa fiera non è più quello di un tempo. L'anno scorso, ad esempio, vi ha tenuto una specie di comizio Salvini, perfettamente a suo agio e in completa simbiosi coi tanti cantastorie che tradizionalmente popolano le strade di Santarcangelo durante i giorni della fiera.

Se ne riparlerà il prossimo anno. Forse.

martedì 10 novembre 2020

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(Perché non sono cristiano, Bertrand Russell, 1976)

Il trumpismo è vivo

Nelle presidenziali del 2016 Trump ebbe 62.984.828 voti. In quelle dello scorso weekend ne ha avuti 71.333.864. Sono otto milioni e passa di voti in più rispetto a quattro anni fa. Poi, certo, Biden ha vinto grazie a una straordinaria mobilitazione dei democratici e perché un po' ci ha messo lo zampino il Covid, emergenza sanitaria gestita da Trump in modo scandaloso, ma è evidente che, se Trump ha perso, il trumpismo è invece vivo e vegeto, molto più vivo di prima. Biden e i democratici tutti dovranno tenere bene in mente questa cosa, nei quattro anni che hanno davanti, e dovranno fare ogni sforzo per mantenere la fiducia accordata a loro dall'elettorato per riuscire a "sgonfiare" la bolla purulenta del trumpismo, perché Trump ha già annunciato l'intenzione di ricandidarsi fra quattro anni.

Biblioteche

Non posso fare a meno di notare, con un certo disappunto, come questa seconda ondata pandemica sia affrontata, dal punto di vista delle restrizioni, riproponendo alcune delle più vistose incongruenze già viste nella prima. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che le biblioteche sono state militarizzate mentre per i bar vige il solito tana libera tutti. Oh, intendiamoci, i motivi sono facilmente intuibili, però, come dire, rimane sempre quel fastidioso disappunto di cui sopra.
A parziale consolazione c'è il fatto che l'Emilia Romagna non è stata fatta diventare arancione dal vertice governativo di ieri, è rimasta gialla, quindi posso continuare a uscire dal mio comune e fare i miei giretti a Santarcangelo.

lunedì 9 novembre 2020

Cambi di orario

Da oggi, dopo trent'anni in cui ho sempre fatto lo stesso orario di lavoro (6:30 - 14:45), cambierò, e il nuovo orario sarà 14:45 - 23. Sono quei cambiamenti che, dopo una vita, possono creare un attimo di destabilizzazione. Ma penso di sopravvivere.

domenica 8 novembre 2020

Il grande tessitore

Sono appena tornato da una camminata di un'ora e mezza durante la quale ho ascoltato, per intero, questa bellissima lezione del professore Alessandro Barbero su Camillo Benso, conte di Cavour, colui che fu definito "il grande tessitore" (ma è stato anche un grande tassatore). Dall'accordo con Napoleone III alla decisione di non intervenire per fermare l'impresa di Garibaldi, fino alla formazione del primo governo dell'Unità d'Italia, da lui presieduto, con lo stesso Giuseppe Garibaldi tra i deputati. Una pagina bellissima della nostra storia risorgimentale con protagonista colui che già all'epoca, nel bene e nel male, riassumeva in sé i tratti caratteriali dell'italianità e degli italiani sia in politica che nella società. Ancora una volta, un grande Alessandro Barbero, ma soprattutto un grande Cavour.

WhatsApp è al nostro servizio o noi al suo?

Mi sono spesso sentito rimbrottare amichevolmente perché non ho replicato tempestivamente a un messaggio arrivatomi su WhatsApp. Perché devo rispondere tempestivamente? WhatsApp è uno strumento che è comodo, certo, ma tale comodità non deve rendere schiavi dello strumento, è lo strumento che è al nostro servizio, non noi al suo. Ho citato WhatsApp a mo' di esempio, ma il discorso vale per ogni altro sistema di comunicazione elettronica, comprese le mail, ad esempio (quante volte dopo l'arrivo di una mail arriva una telefonata in cui l'estensore chiede perché non gli sia ancora arrivata risposta?). 

Anche per i commenti al blog vale lo stesso discorso. Non mi sono mai sentito in obbligo di replicare tempestivamente ai commenti che chi passa di qui lascia in calce ai miei post. A volte, se notate, passano diverse ore, anche giorni, prima che replichi, ma non per snobismo o altro, semplicemente perché cerco di evitare in ogni modo che un passatempo si trasformi in ossessione. E comunque perché, in generale, il tempo che dedico al blog è largamente minoritario rispetto a quello che dedico ad altre attività che per me sono più gratificanti e interessanti. Tornando a WhatsApp, a chi mi fa notare l'assenza di risposte tempestive, generalmente replico chiedendo perché non mi abbia telefonato, se la faccenda era urgente.

Ricordo una bella conferenza di Paolo Crepet di qualche tempo fa in cui il noto psichiatra metteva in guardia contro i pericoli derivanti dal diventare succubi di questi tipi di tecnologie, e uno di questi pericoli è rappresentato dal fatto che nella nostra epoca si è perso il tempo per riflettere e pensare. La costante urgenza di essere sempre online, di interagire necessariamente in tempo reale coi nostri interlocutori, ha fatto accantonare l'abitudine di pensare a ciò che si risponde. La comunicazione elettronica si è ridotta a uno scambio di slogan e dettati ipnotici non supportati da adeguate elaborazioni.

Finché questa abitudine rimane circoscritta all'ambito di una chattata su WhatsApp, tutto sommato può anche andare bene, ma una volta che si è radicata la propensione a scrivere e a dire cose prive di elaborazione preventiva, poi lo si fa sempre, in qualsiasi altro ambito. Provate a seguire per dieci minuti un dibattito televisivo; non è nient'altro che una lunga sequela di battibecchi fatti di frasi fatte, veloci, e generalmente sempre prive di un ragionamento retrostante a supporto. Perché ciò che conta, oggi, è la velocità, non la riflessione.

Senza andare troppo indietro nel tempo, ricordo che quando ero giovane io e ancora non esistevano i telefonini, c'era l'abitudine, all'interno della scuola, di instaurare rapporti epistolari con alunni di altre scuole. Ci si scambiavano lettere di carta, vergate a penna, che viaggiavano per posta e impiegavano parecchi giorni, a volte settimane, per giungere a destinazione. E l'attesa della lettera con cui in nostro interlocutore replicava era carica di trepidazione. Siccome trascorreva molto tempo tra l'invio e la risposta, quando si vergava la lettera la si faceva lunga, articolata, cercando di utilizzare una una bella calligrafia ed eleganza di esposizione; mano a mano si aggiungevano cose che venivano in mente sul momento e che in un primo tempo non ci si era ricordati di menzionare. C'era tutto un lavoro di elaborazione e riflessione che oggi non esiste più. E c'è da ipotizzare che la mancanza generalizzata di pensiero, di analisi critica di ciò che accade intorno a noi, delle cose che leggiamo o ci sentiamo raccontare, mancanza di pensiero critico che caratterizza la nostra epoca e che produce i danni che sono sotto gli occhi di tutti, sia anche un cascame dell'utilizzo delle tecnologie comunicative di oggi.

[...]


(da Perché non sono cristiano, Bertand Russell, 1976)

sabato 7 novembre 2020

Lezione

Si può trarre una morale dalla sconfitta di Trump? Forse sì: i sovranisti cazzari e sguaiati non vanno delegittimati da stampa, TV, iniziative politiche e o giornalistiche. Certo, si può fare anche quello, anzi a volte è doveroso farlo, specie quando si tratta di mettere alla berlina le loro palesi incompetenze e stupidità, ma il modo migliore per sloggiarli è farli governare. Metterli alla prova, verificare sul campo le loro qualità è il modo migliore per toglierseli dai piedi in maniera naturale, col voto, alla tornata elettorale successiva. 

Quand'ero bambino

Quand'ero bambino e perdevo a briscola, scala quaranta, oppure a dama quando giocavo con mio fratello o con gli amici, trovavo mille scuse e mille pretesti pur di non ammettere la sconfitta, davo a mio fratello dell'imbroglione, oppure del baro (che poi è la stessa cosa), e lui faceva altrettanto nei miei confronti pur di non riconoscere la sua, di sconfitta. Eravamo piccoli, ci stava. Poi, crescendo, si impara a perdere e ad accettare le sconfitte. Lo fanno tutti, o quasi tutti. Quando questo non accade, e a comportarsi così è uno che oltre a non essere più bambino è anche un (ex, fortunatamente) presidente di una nazione, lo spettacolo che il soggetto in questione offre è solo ed esclusivamente patetico.

giovedì 5 novembre 2020

Biden senza Vittorio

Sono molto contento della vittoria di Joe Biden, così come mi felicito del fatto che gli USA (rinsaviti?) abbiano mandato a casa dopo un solo mandato (credo sia un caso rarissimo nella storia americana) il peggior presidente che abbiano mai avuto. Ho un solo rammarico: non aver avuto il grande Vittorio Zucconi, giornalista ma soprattutto scrittore che ho sempre ammirato, a raccontare a modo suo questa vittoria. 

mercoledì 4 novembre 2020

Due articoli interessanti

Come probabilmente i miei lettori di più vecchia data sanno già, per motivi di lavoro mi passa per le mani tutto ciò che esce nelle edicole. Stamattina mi sono imbattuto in due articoli abbastanza interessanti. Uno lo vedete nell'immagine qui sotto.


Paolo Fox, per quei pochi che non lo sapessero, è un astrologo che bazzica in televisione e che alla fine di ogni anno pubblica un libro per dire come sarà e cosa succederà nell'anno successivo. Ci azzecca? Per rispondere alla domanda basta dire che in quello dell'anno scorso, in cui prevedeva ciò che sarebbe successo quest'anno, non c'è un solo accenno relativamente alla pandemia. Il mondo è alle prese con una tragedia sanitaria che lo sta mettendo in ginocchio e Paolo Fox non l'aveva previsto, preannunciando anzi a tutti i suoi seguaci un 2020 meraviglioso. 

Naturalmente, non ci sono accenni neppure relativamente alla dipartita della lunga fila di personaggi pubblici che ci hanno lasciato quest'anno, tra cui Sean Connery e Gigi Proietti, solo per citare gli ultimi. Nonostante tutto questo, ci sono persone, e sono tante, che comprano questa roba. Cioè, persone che tirano fuori i propri soldi e li spendono per comprare libri pieni di panzane. A volte penso che siamo un popolo fantastico. Ma andiamo avanti col secondo articolo che ha attirato la mia attenzione. Eccolo qui sotto.


Il calendario di Salvini. In questo periodo le edicole sono piene di calendari che abbracciano tutti i campi e tutti i settori dello scibile umano. Ci sono quelli dei cantanti, degli attori, dei calciatori, degli umarell; ci sono i calendari di Mussolini, del papa, di padre Pio, madre Teresa, Che Guevara; calendari dei lati B per carrozzieri e meccanici, e poi cani, cavalli, gatti e chi più ne ha più ne metta. Poteva mancare il calendario di Salvini? No di certo. Ma la cosa interessante non è tanto tentare di penetrare nella psiche di chi si autocondanna, ogni giorno dell'anno, a vedere appeso al muro il ghigno dell'ex ministro dell'Interno. Ciò che è interessante è il cartello che si vede alle sue spalle: Restiamo liberi di pensare.

Chi ha confezionato il calendario, evidentemente ignora che se a quelli che seguono Salvini fosse elargita improvvisamente la capacità di pensare, probabilmente il tipo dovrebbe trovarsi un lavoro. Un lavoro vero, intendo. Tra l'altro, è curioso che chi si è costruito una carriera politica esclusivamente sugli slogan, dietro ai quali non c'è mai un pensiero o un ragionamento epistemologicamente valido, tiri in ballo la libertà di pensare. Ma in fondo va bene così, è così che dev'essere. E, a volte, andare a dare un'occhiata al banco di un'edicola può essere una buona occasione per tirare fuori un sorriso: di questi tempi non guasta.

martedì 3 novembre 2020

Coprifuoco

Nell'ultima versione del decreto anti-covid si parla di un coprifuoco nazionale alle 22 a partire da domani. La prossima settimana avrò il turno 14:45 - 23:00 e quando smonterò dal lavoro non ci sarà nessuno per strada. Già immagino che ogni pattuglia che incontrerò mi fermerà chiedendomi perché io sia in giro. Mi preparo.

lunedì 2 novembre 2020

Toti e gli anziani

L'uscita di Toti relativa agli anziani che non sono indispensabili perché non funzionali alla produzione non mi ha scandalizzato né stupito, l'ho anzi trovata perfettamente coerente e in armonia con l'impostazione che abbiamo dato alla nostra società. Per citare un po' Galimberti, se si vive infatti in un contesto sociale dove non si sa più cosa è giusto e cosa è ingiusto, cosa è vero e cosa è falso, cosa è corretto e cosa sbagliato, cosa è morale e cosa immorale, ma si sa solo cosa è utile e l'uomo viene visto esclusivamente come produttore e consumatore, perché indignarsi quando qualcuno dice (pure se involontariamente, ché il politically correct non si tocca) le cose come stanno? 
La marea di indignati che si sono prontamente sollevati come un sol uomo, si sono mai dati un'occhiata intorno? Hanno mai guardato questa nostra società? Hanno una qualche pallida idea di come è organizzata e strutturata?

domenica 1 novembre 2020

Il sesso nei "secoli bui"

Si usa generalmente l'espressione ironica "bentornati nel medioevo" in occasione di promulgazioni, o tentativi di promulgazione, di leggi di tipo repressivo in ambito sessuale, oppure morale o etico, leggi generalmente considerate retrograde, diciamo così. Da qui l'equivenza tra retrogradismo e medioevo. Altrettanto utilizzato è il riferimento a non bene precisati "secoli bui", coi quali viene generalmente indicata l'epoca medievale, nella falsa convinzione che la lunga fila di secoli che vanno dalla caduta dell'impero romano d'Occidente al rinascimento siano stati secoli di forte rigidità e retrogradismo non solo in ambito sessuale ma anche sociale. Niente di più falso, perlomeno per ciò che riguarda il sesso.

Nonostante ciò che comunemente si crede, infatti, e che anche io credevo, nella società medievale il sesso era considerato né più né meno che uno dei tanti aspetti della vita, e in questa chiave era trattato e regolato, almeno fino a tutto l'XI secolo. Il sesso non era tabù farlo e nemmeno parlarne lo era; faceva parte della vita, della società e anche della letteratura ed era visto generalmente in chiave positiva. Per quanto possa sembrare strano, non era un problema neppure l'omossessualità. Certo, c'erano leggi che ne proibivano la pratica, ma erano generalmente disattese e nessuno si prendeva a cuore il fatto di farle rispettare. Formalmente esistevano, praticamente non ne impedivano la pratica, un po' come oggi il fatto che esistano leggi che proibiscono la corruzione in politica non impediscono che sia praticata.

Pure la chiesa era a quei tempi lontanissima dalla nota sessuofobia a cui siamo abituati ad associarla oggi. Il sesso, in tutte le sue varianti, era largamente praticato, ad esclusione dei monaci (gli unici ad avere obbligo di castità), da chierici, sacerdoti e vescovi. Incredibilmente, almeno pensando alla nostra epoca, neppure l'omosessualità ha mai rappresentato un problema per la chiesa. Boccaccio, ad esempio, era prete ed era omosessuale. Anselmo d'Aosta, arcivescovo di Canterbury, era pure lui omosessuale, e sono pervenute fino a noi le lettere cariche di erotismo che si scambiava coi novizi dell'abbazia di Bec, in particolare con Gilberto, uno dei suoi allievi, con cui aveva una relazione.

Un progressivo, anche se lento, irrigidimento delle posizioni, sia della società medievale che della chiesa, nei confronti delle pratiche e della visione sessuale si ebbe progressivamente a partire dal XII secolo, per raggiungere il culmine con la controriforma e gli inizi dell'età moderna. Paradossalmente, alla luce di tutto ciò, sotto certi aspetti era molto più libertina la società medievale rispetto alla nostra. 

Ho riassunto brutalmente in questo post la lezione del grande Alessandro Barbero su questi temi che potete ascoltare qui. Un interessantissimo e divertentissimo (perché Barbero quando spiega diverte anche) excursus storico sul sesso, nella società e nella chiesa, dal medioevo a oggi.

Rifarei tutto

Indipendentemente da quale sarà la sentenza, dire "Rifarei ciò che ho fatto", "Rifarei tutto" ecc., cosa che si sente sp...