giovedì 26 novembre 2020

Televisione e scienza

Una volta, in TV, c'era Piero Angela che spiegava la scienza e la voce ufficiale della scienza in TV era Piero Angela. Stop. Oggi ho come l'impressione che tutto il suo lavoro di anni e anni di meritoria divulgazione sia stato buttato nel cesso dalla pletora di scienziati e pesudoscienziati che affollano ogni canale nell'arco delle 24 ore, un affollamento con relativo profluvio di pareri, spesso contrastanti tra loro, che è inevitabile che generino e diffondano dubbi e timori generalizzati, specie in una massa indistinta di persone che, triste realtà del nostro paese, con la scienza ha pochissimo feeling (la diffusione dei vari no-vax, terrapiattisti ecc. origina da qui).

Ora, se io mi imbatto in un dibattito televisivo sui vaccini tra, che ne so?, Roberto Burioni e Red Ronnie non ho difficoltà a capire chi dei due racconta palle, perché so che il primo è uno scienziato che li studia da quasi quarant'anni e il secondo è un disc jockey che parla di vaccini dopo dieci minuti su Google. Il problema nasce quando, sempre relativamente ai vaccini, i pareri discordi sono tra Burioni e Ilaria Capua, entrambi con alle spalle una vita dedicata alla scienza e allo studio di questi temi. Ho citato Burioni e la signora Capua solo perché rappresentano l'ultimo esempio in ordine di tempo di questa difformità di vedute tra scienziati riguardo ai suddetti temi, ma, se ricordate, solo pochi giorni fa analogo episodio successe tra Andrea Crisanti e Pierpaolo Sileri relativamente alla triade di vaccini anti-covid che a breve dovrebbero arrivare. E andando indietro nel tempo se ne trovano tanti altri simili.

Tempo fa, forse qualcuno ricorderà, girava in rete un video in cui Luc Montagnier, prestigioso biologo e virologo francese e premio Nobel per la medicina nel 2008 per i suoi studi sul virus dell'Aids, intervistato da una emittente televisiva transalpina affermava che il coronavirus era plausibilissimo che fosse stato creato in laboratorio, laddove invece la totalità della comunità scientifica sosteneva, e sostiene tuttora, l'infondatezza di questa affermazione. La diffusione di quel video, come è facile immaginare, offrì il destro alla marea di complottisti per dire: "Visto che abbiamo ragione? Il coronavirus è stato creato in lavoratorio. Lo dice pure Luc Montagnier!"

In tempi un po' più lontani fece scalpore un intervento di Carlo Rubbia, uno dei più noti fisici a livello mondiale, il quale, in una audizione nella sede del parlamento italiano affermò che non era vero che il riscaldamento globale stava aumentando con l'intensità di cui parlavano tutti gli scienziati e i climatologi, anzi secondo lui il processo era addirittura in fase regressiva. Come con Montagnier, questo intervento di Rubbia ringalluzzì la folta schiera dei negazionisti del riscaldamento globale col solito ritornello: "Lo dice anche Rubbia!"

In realtà, sia Montagnier che Rubbia non dissero due inesattezze, fecero semplicemente due affermazioni prive di riscontri. Perché? Perché in ambito scientifico è previsto che un assunto acquisti patente di veridicità e validità solo dopo la pubblicazione su apposite riviste scientifiche e la verifica della sua fondatezza da parte della comunità scientifica. Nessuno impedisce a Montagnier e Rubbia di affermare ciò che sostengono, ma se vogliono che le loro affermazioni diventino verità scientifica devono seguire un preciso modus operandi che nel loro caso non è stato seguito, dal momento che nessuno dei due ha pubblicato da nessuna parte ciò che ha affermato, sottoponendolo al vaglio della comunità scientifica.

Queste cose chi si interessa un po' di scienza le sa, ma, come scrivevo prima, la stragrande maggioranza di chi guarda la televisione e bazzica sui social, no. Qui, allora, oltre al problema della discrepanza di vedute tra scienziati si affianca quello, certo non meno grave, del livello di amplificazione mediatica che si dà a queste difformità di pareri, e non è complicato capire che se a una comunità teledipendente che di scienza non sa niente si danno in pasto giornalmente diatribe tra scienziati, poi non ci si può stupire che da tale "ecosistema" proliferino i no-vax e Red Ronnie acquisti la stessa autorità scientifica di Burioni.

Quando io ero piccolo non esisteva il problema vaccino sì e vaccino no: si facevano e basta, perché il medico di famiglia li prescriveva e Luciano Onder su Raidue ne decantava le lodi. In più internet e i social non esistevano e non esistevano neppure politici tuttologi con la felpa che dichiaravano su twitter che dieci vaccini obbligatori sono troppi e potenzialmente pericolosi. Certo, l'ignoranza generale e i dubbi su questi temi c'erano anche ai miei tempi, ma siccome non c'era modo di propalarli tramite internet e TV, i vaccini si facevano e zitti. E se facevo storie, mia mamma era pure capace che mi desse uno scapaccione.

Come si esce da questa situazione? Non si esce. Ci vorrebbe un innalzamento culturale generale e, specie in questi tempi di pandemia in cui molte certezze tendono a crollare, bisognerebbe che la scienza parlasse con poche voci, possibilmente univoche e autorevoli, cosa che non si verificherà mai. Con buona pace di Piero Angela.

4 commenti:

  1. Hai perfettamente ragione. Tra l'atro io pensavo, tempo fa, che internet e la miriade di informazioni che abbiamo a disposizione oggi potesse migliorare il livello di cultura di tutti. Incredibilmente ho paura che stia avvenendo addirittura il contrario. Ecco, forse era meglio quando sulla medicina al massimo ci si poteva informare con Medicina 33, e non con Google.

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    1. Esatto, con internet sta succedendo il contrario. Non si migliora il proprio livello culturale in un sistema, internet appunto, dove si trova senza alcuna selezione tutto e il contrario di tutto, in un profluvio di informazioni la cui attendibilità generalmente non è garantita.
      Che io sappia, l'unico modo per elevare il proprio livello culturale è leggere, studiare, approfondire. Ma magari sono io a essere all'antica.

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  2. Il problema non è che gli scienziati abbiano opinioni diverse, perchè la scienza si nutre di questo per andare avanti e raggiungere delle certezze che sono sempre provvisorie. Il problema è che molte persone non hanno la capacità di accettare la frustrazione che non ci sia una verità assoluta, così sposano una tesi, quella che gli piace di più o gli fa più comodo, per avere una sicurezza totale, per non dover fare la fatica di accettare che una verità assoluta su certi temi ancora non c'è.

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    1. Che poi, da un certo punto di vista, è la famosa "sicurezza totale" che cerca chi abbraccia una religione o una fede: un punto fermo nell'indeterminatezza del mondo.

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