sabato 30 maggio 2020
I 90 di Clint
Sono sempre stato dell'idea che sia meglio campare poco ma bene piuttosto che molto e male, e ricordo che una volta Umberto Galimberti disse che la tecnica e la scienza medica, oggi, non servono tanto ad allungare la vita quanto semmai ad allungare la vecchiaia. Comunque sia, ad arrivare a 90 anni come ci è arrivato Clint Eastwood ci metterei la firma.
Casapound e Gilet arancioni
Le due manifestazioni in corso oggi a Milano (Gilet arancioni) e a Roma (Casapound e soci) non sono da prendere sottogamba, relegandole sbrigativamente a un raduno di ignoranti e negazionisti del covid-19. Molti di quelli che manifestano sono infatti persone che sono da mesi senza stipendio e prive di ogni altro ammortizzatore sociale, e la storia insegna che l'estrema destra e in generale i movimenti più sovversivi e radicali sono bravissimi a intercettare la disperazione. Specie in un paese come il nostro, dove la sinistra, o ciò che ne restava, è da tempo definitivamente sparita dai radar. Occhio.
George Floyd e l'omicidio involontario
Alla fine, il poliziotto implicato nella morte di George Floyd è stato arrestato e incriminato dal procuratore di Minneapolis per omicidio di terzo grado. L'omicidio di terzo grado, nell'ordinamento penale del Minnesota, si configura quando, "senza intenzione di uccidere, si provoca la morte di un’altra persona compiendo un’azione crudele e molto pericolosa per gli altri, mostrando di non avere riguardo per la vita umana."
La famiglia della vittima aveva chiesto l'incriminazione per omicidio volontario (primo grado), ma l'avvocato che la assiste ha dichiarato che l'accusa non avrebbe retto in tribunale perché si sarebbe dovuto dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il poliziotto aveva realmente l'intenzione di uccidere George Floyd, ad esempio estraendo la pistola e sparandogli a sangue freddo. In più, l'autopsia ha dimostrato che la vittima soffriva di patologie pregresse e già prima della tragedia aveva lamentato difficoltà respiratorie.
In sostanza, per la legge di quello stato la violenza del poliziotto sull'uomo è stata una delle cause che ha contribuito al verificarsi del suo decesso, ma non quella determinante. Questo, naturalmente, sminuisce solo in parte la sua responsabilità, tanto è vero che, qualora l'accusa di omicidio di terzo grado venisse provata, il poliziotto rischierebbe fino a 25 anni di carcere.
Ho provato a guardare il video integrale dell'intervento della polizia, che dura poco più di una decina di minuti, ma dopo tre minuti ho smesso perché mi ha dato fastidio, e ho pensato come in certi casi il confine che delimita la volontarietà di un'azione dalla sua involontarietà sia talmente sottile da apparire difficilmente individuabile. Il poliziotto ha tenuto per dieci minuti il suo ginocchio sul collo dell'uomo (disarmato, oltretutto) e ha continuato a esercitare la pressione del peso del suo corpo non solo quando questi gli ha detto a voce, più volte, di non riuscire a respirare, ma anche quando era ormai esanime a terra.
Già è difficilmente comprensibile come l'agente non abbia allentato la pressione quando George Floyd (già ammanettato, tra l'altro) gli diceva di non riuscire a respirare, ma il fatto che abbia continuato imperterrito a tenerlo bloccato per tutti i lunghissimi minuti in cui il poveretto era ormai privo di coscienza come si concilia con la non intenzionalità di uccidere prevista nell'omicidio di terzo grado? Ecco perché dicevo che il confine che separa la volontarietà di un'azione dalla sua involontarietà è talmente sottile da essere a volte difficilmente individuabile. E io, in questo caso, fatico a vederla.
La famiglia della vittima aveva chiesto l'incriminazione per omicidio volontario (primo grado), ma l'avvocato che la assiste ha dichiarato che l'accusa non avrebbe retto in tribunale perché si sarebbe dovuto dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il poliziotto aveva realmente l'intenzione di uccidere George Floyd, ad esempio estraendo la pistola e sparandogli a sangue freddo. In più, l'autopsia ha dimostrato che la vittima soffriva di patologie pregresse e già prima della tragedia aveva lamentato difficoltà respiratorie.
In sostanza, per la legge di quello stato la violenza del poliziotto sull'uomo è stata una delle cause che ha contribuito al verificarsi del suo decesso, ma non quella determinante. Questo, naturalmente, sminuisce solo in parte la sua responsabilità, tanto è vero che, qualora l'accusa di omicidio di terzo grado venisse provata, il poliziotto rischierebbe fino a 25 anni di carcere.
Ho provato a guardare il video integrale dell'intervento della polizia, che dura poco più di una decina di minuti, ma dopo tre minuti ho smesso perché mi ha dato fastidio, e ho pensato come in certi casi il confine che delimita la volontarietà di un'azione dalla sua involontarietà sia talmente sottile da apparire difficilmente individuabile. Il poliziotto ha tenuto per dieci minuti il suo ginocchio sul collo dell'uomo (disarmato, oltretutto) e ha continuato a esercitare la pressione del peso del suo corpo non solo quando questi gli ha detto a voce, più volte, di non riuscire a respirare, ma anche quando era ormai esanime a terra.
Già è difficilmente comprensibile come l'agente non abbia allentato la pressione quando George Floyd (già ammanettato, tra l'altro) gli diceva di non riuscire a respirare, ma il fatto che abbia continuato imperterrito a tenerlo bloccato per tutti i lunghissimi minuti in cui il poveretto era ormai privo di coscienza come si concilia con la non intenzionalità di uccidere prevista nell'omicidio di terzo grado? Ecco perché dicevo che il confine che separa la volontarietà di un'azione dalla sua involontarietà è talmente sottile da essere a volte difficilmente individuabile. E io, in questo caso, fatico a vederla.
mercoledì 27 maggio 2020
Recovery fund
Come dice Enrico Letta, oggi è una di quelle giornate in cui Salvini scruta l'orizzonte in cerca di una barca di disperati che si avvicini alle nostre coste.
lunedì 25 maggio 2020
Biblioteca e bar
Oltre a svariate attività commerciali, tra cui naturalmente i bar, la fase due ha permesso la riapertura delle biblioteche, luoghi notoriamente a me molto cari. La differenza consiste nel fatto che mentre i bar sono aperti nell'accezione più ampia del termine, nel senso che ci si può fiondare dentro in massa e anzi più si è più il gestore è contento, la biblioteca si presenta tipo Fort Knox: telecamera all'ingresso, porta scorrevole rigorosamente chiusa e apribile solo dall'interno previa premitura del campanello esterno, ingresso contingentatissimo (uno alla volta e non si sgarra). Uno delle tante situazioni che declinano oggi ciò che il tanto vituperato Marx predisse un secolo e mezzo fa.
L'assistente civico
L'assistente civico, la figura immaginata dal governo con la funzione di cercare di far rispettare la distanza fisica tra le persone nei luoghi pubblici, salvo poche eccezioni è stata accolta con sarcasmo e ilarità dal tribunale dei social, quel sarcasmo a prescindere un po' infantile tipico di chi deve dire qualcosa a qualsiasi costo.
Il buon Mantellini, in questo post sul suo blog, racconta come in altri posti, in questo caso la perfida Albione, tale figura esista e funzioni. Ovviamente con lo spirito collaborativo e l'intelligenza della popolazione, requisiti la cui dubbia esistenza, qui da noi, potrebbero pregiudicare la buona riuscita del progetto.
domenica 24 maggio 2020
Al Bano e i dinosauri
Dice Al Bano che l'uomo è stato capace di distruggere i dinosauri e quindi sconfiggerà anche il Covid-19. Nel mio piccolo, consiglio ad Al Bano la lettura di un paio di libri molto istruttivi. Uno è La straordinaria storia della vita sulla Terra, di Piero e Alberto Angela; l'altro è Sapiens, da animali a dèi, del professor Yuval Noah Harari. Così, giusto per schiarirsi un po' le idee relativamente alla distanza temporale che separa i dinosauri dalla comparsa dei nostri primi antenati.
Gallera e i contagi
Difficile commentare ciò che ha detto ieri Gallera. Istintivamente, quando sento corbellerie di questo genere, prima di inveire provo a cercare eventuali attenuanti. Non so, un lapsus, un errore, una frase infelice uscita in un momento di stress o tensione. In questo caso non ne ho trovata nessuna: Gallera ha detto quella stupidaggine per pura ignoranza. Cioè, per capirci, l'assessore alla sanità della regione che a livello mondiale, neppure nazionale, è stata più duramente colpita dal coronavirus, a tre mesi dallo scoppio dell'epidemia non conosce l'ABC del meccanismo con cui si propaga il contagio. Mi chiedo: in quale altro paese del globo terracqueo uno così non sarebbe stato mandato via cinque minuti dopo? Boh, non so, sarà che ormai ci siamo talmente abituati a digerire tutto che nulla più ci tocca.
sabato 23 maggio 2020
Shining
Quarant'anni fa uscì nelle sale cinematografiche uno dei film più universalmente noti di Stanley Kubrick: Shining. Quelli de Il Post per l'occasione hanno pubblicato un esaustivo articolo in cui, con dovizia di particolari, si spiega perché Kubrick scelse quel romanzo di Stephen King dopo averne scartati molti di altri autori; perché scelse quel cast (sarebbe stato lo stesso film se Jack Torrance fosse stato interpretato da Robin Williams o Rober De Niro?); perché dei 300 chilometri di pellicola riempita, nei cinema ne finì appena un centesimo. E qui la risposta è semplice: perché altrimenti non sarebbe stato Stanley Kubrick.
Mother
L'isolamento sociale ha, tra le poche cose positive, spinto molti musicisti a realizzare jam session virtuali tramite internet. Una delle più emozionanti che mi sia capitato di ascoltare (e vedere) è questa versione di Mother di quel genio in terra che risponde al nome di Roger Waters.
venerdì 22 maggio 2020
Grandi statisti
Non mi sorprende che la signora Meloni, nell'anniversario della morte di Giorgio Almirante, ne faccia un'apologia descrivendolo come un grande statista. Non mi sorprende per almeno due motivi. Il primo è che lei, politicamente, proviene da quella cultura lì; il secondo è che può contare sul fatto che la storia non la studia più nessuno, oggi, o quasi nessuno, e se la storia non si conosce, come si fa a obiettare qualcosa? Si prende per buono ciò che viene raccontato e chiusa lì.
giovedì 21 maggio 2020
il MES spiegato ai semplici
Dice Salvini, noto luminare in economia, che "la soluzione non è il MES ma i Buoni del tesoro italiani comprati dagli italiani." Ok, facciamo due conti. Il MES sono 35 miliardi di euro (2% del PIL), elargiti dall'Europa, che lo Stato dovrà restituire in dieci anni a un tasso dello 0,1%. Ci siamo? Bene. I BTP di cui parla Salvini hanno invece un ammontare di 20 miliardi a un tasso dell'1,4% in cinque anni. Se la matematica ha ancora un senso, allo Stato italiano conviene rimborsare i soldi del MES o i BTP? Si fanno due conti e ci si arriva. Con un po' di impegno ce la potrebbero fare pure Salvini e la Meloni. Ma poi, scusate, trovatemi voi chi mi faccia un prestito allo 0,1% di interesse. Ma no, non va bene, perché poi se accettiamo i soldi del MES arriva la troika e sono cazzi. Bene, se non siete tra i creduloni che abboccano a ogni stupidaggine che dice il felpato, sappiate che non arriva nessuna troika, e non perché lo dico io, ma perché è nero su bianco negli accordi che hanno definito i dettagli del MES, e si possono leggere qui. L'unico obbligo che avremmo se accettassimo quei fondi sarebbe quello di spendere quei soldi nella sanità, e nello specifico per le spese dirette e indirette al contrasto del coronavirus. Non ci sono altri obblighi né, tanto meno, si prefigura all'orizzonte lo spettro delle fauci della troika, che il duetto Salvini-Meloni dipinge come il babau con cui i fratelli maggiori ci terrorizzavano quando eravamo piccoli.
Oltre al MES, si parla molto in questi giorni del cosiddetto "bazooka" messo in campo con l'accordo di Francia e Germania, accordo attraverso il quale vengono stanziati 500 miliardi a fondo perduto, generati con l'emissione di bond europei, per aiutare i paesi dell'eurozona più colpiti dall'emergenza pandemia (dettagli qui). All'Italia, secondo gli accordi, spetterebbero circa 100 miliardi. Va bene? No, non va bene neppure questo. Il perché lo spiega l'altra luminare in economia che si affianca a Salvini, la signora Meloni, e lo fa con un tweet che riporto pari pari perché è un capolavoro: "Surreale si stia discutendo di ciò che hanno deciso Germania e Francia col trattato di Aquisgrana che nulla ha a che fare con l’Europa, ma è accordo per una sorta di “super-Stato” dentro l’UE che si muove non per beneficienza ma per interesse dei due Paesi." Chiaro, il senso, no? Per me no.
L'unica cosa chiara, in tutta questa faccenda, è che l'Europa sta dando la possibilità agli Stati più in difficoltà di ricevere aiuti economici praticamente a fondo perduto e i sovranisti storcono il naso, accampando pretesti puramente ideologici e privi di qualsiasi fondamento reale. Perché lo fanno? Io ho una mia idea. Credo lo facciano perché un'Europa troppo benevola nei nostri confronti potrebbe cancellare quell'aura di "nemico" che in tutti questi anni i sovranisti hanno cercato di creare; spesso, per onestà intellettuale va detto, con ottime ragioni. Un'Europa troppo benevola è un nemico in meno da poter utilizzare per tornaconto politico. Già l'immigrazione non è più politicamente spendibile come una volta, in tempi di coronavirus; se togliamo anche l'Europa, la lista dei nemici da dare in pasto ai seguaci si assottiglia pericolosamente; poi bisogna trovarne altri. A proposito di nemici, una volta il grande Umberto Eco disse: "Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria", aforisma inserito nelle note di un suo saggio, di cui consiglio caldamente la lettura, intitolato appunto Costruire il nemico e altri scritti occasionali.
I sovranisti di oggi, pur con le dovute differenze, ricordano un po' quelli appartenenti ai partiti del cosiddetto Fronte popolare, che nell'immediato dopoguerra, in un'Italia ridotta in macerie, si opponevano strenuamente agli aiuti americani per la ricostruzione inseriti nel cosiddetto Piano Marshall, e lo facevano per ragioni esclusivamente ideologiche totalmente prive di ancoraggi alla realtà. Gli oppositori di questi ebbero buon gioco a bollarli come anti-italiani, in quanto le loro posizioni erano platealmente in contrasto con le immediate ed evidenti esigenze del paese. C'è da sperare che la cosa si ripeta e che ci si renda conto, una volta per tutte, che a chi strilla ogni giorno "prima gli italiani", in realtà di questi ultimi non importa nulla.
mercoledì 20 maggio 2020
Libri che innamorano
Coi libri di José Saramago mi sono innamorato di Lisbona, anche se non ci sono mai stato. Coi libri di Stephen King mi sono innamorato del New England, e anche lì non ci sono mai stato. Coi libri di Jean-Claude Izzo mi sto innamorando di Marsiglia, e magari lì prima o poi ci andrò. I libri hanno anche questo di bello: ti fanno innamorare di posti in cui magari non sei mai stato ma che con l'immaginazione è come se ci fossi stato.
Wojtyla e le dittature meno pericolose
Chi conosce un po' di storia europea del Novecento, sa sicuramente che Karol Wojtyla è stato il pontefice che con più ostinazione ha combattuto il comunismo, guerra giustificata anche dal fatto di essere nato, nel 1920, in una Polonia sotto il giogo di una feroce dittatura comunista, dittatura che pur a fasi più o meno intense si protrarrà fino a metà degli anni '80 del secolo scorso e che conoscerà il suo epilogo a partire dall'arrivo di Lech Wałęsa e il sindacato Solidarność fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989.
L'atteggiamento ostile e intransigente di Wojtyla nei confronti del comunismo dell'est si è però sempre accompagnato a un atteggiamento molto più indulgente e tollerante verso le dittature fasciste dell'ovest, specie quelle dell'America latina. Chi non è più giovanissimo ricorderà ad esempio l'amichevole incontro pubblico, in Cile, nel 1987, col dittatore cileno Augusto Pinochet, responsabile dell'instaurazione di una delle più feroci dittature del Sudamerica.
Ho sempre pensato che l'indulgenza e il sostegno di Wojtyla verso queste dittature avessero un proprio senso lette in chiave di opposizione al comunismo, niente di più. E invece c'è di più.
In questi giorni sto leggendo Michail Gorbačëv, dello storico Adriano Roccucci, un saggio che racconta la storia della caduta dell'URSS e del regime comunista sovietico col contributo determinante del padre della perestrojka e della glasnost. Un capitolo è dedicato naturalmente ai rapporti tra l'ex presidente russo e il pontefice, rapporti molto cordiali dopo decenni di gelo assoluto tra Vaticano e URSS, e in questo passaggio l'autore spiega perché Wojtyla abbia sempre avuto molta più tolleranza verso i regimi dell'ovest rispetto a quelli dell'est.
Giovanni Paolo II, in pratica, non faceva di ogni erba un fascio ma distingueva tra dittature personali e istituzionali, distinzione che lo portava a pensare che le prime fossero migliori delle seconde, da qui il suo sostegno a queste ultime. Poi, a dire il vero, che fossero più convertibili mi sembra un assunto abbastanza al di fuori della realtà; non mi risulta, infatti, che i diciassette anni di feroce dittatura militare di Pinochet siano terminati per intervento del papa. Tutt'altro. A mio modestissimo parere si tratta della classica questione di lana caprina, che sa tanto di pretesto per giustificare la sua "simpatia" verso queste ultime. Ma, ripeto, è un mio pensiero, nulla di più.
Al di fuori dei fatti storici, mi sono sempre chiesto perché, Wojtyla a parte, la Chiesa in generale si sia sempre scagliata contro il comunismo e non abbia mai proferito parola ad esempio contro l'edonismo americano. Dal punto di vista della filosofia, infatti, qual è delle due situazioni quella più assimilabile ai valori di solidarietà e umanità di cui è portatrice la Chiesa? Forse il comunismo, ma magari è una mia impressione.
lunedì 18 maggio 2020
FCA e il prestito
A dire il vero, non ho capito granché relativamente alla vicenda FCA. Da perfetto profano in materia mi sembra che le ragioni di chi è favorevole a che le venga concesso il prestito da Banca Intesa con lo Stato come garante siano sostanzialmente paritarie rispetto alle ragioni dei contrari.
Al di là di questo, ciò che mi auguro è che gli indignati in ragione del fatto che FCA chiede aiuto finanziario allo stato italiano pur avendo la sede fiscale in Inghilterra, siano integerrimi contribuenti, altrimenti perdono ogni diritto a indignarsi.
E comunque, alla fine, paritarie sì, le ragioni, ma le argomentazioni di Calenda perché FCA si arrangi mi sembrano epistemologicamente solide.
domenica 17 maggio 2020
#contedimettiti
Ogni tanto sui social esce fuori l'hashtag #contedimettiti, che aggrega la marea di scontenti che vorrebbero che il Presidente del consiglio in carica se ne andasse. Ma il numero dei politici che ciclicamente vengono presi di mira dall'esercito dei critici da tastiera è molto composito e varia a seconda dei protagonisti del momento. In questo periodo vanno forte Conte, Meloni, Salvini ecc., in passato Renzi, Monti, Fornero, Letta e chi più ne ha più ne metta. È il modo di esprimere il dissenso, ma anche l'assenso, al tempo di internet. Una volta si andava in piazza, oggi lo si fa dalla tastiera. I tempi cambiano continuamente.
La differenza rispetto a una volta, forse, sta nel fatto che siccome senza internet si era privi della possibilità di scrivere impulsivamente e senza bisogno di documentarsi qualsiasi sciocchezza passasse per la mente, prima di andare in piazza ci si informava un po'. Ricordo ad esempio che quando frequentavo le superiori io, c'era un Ministro della pubblica istruzione che si chiamava Franca Falcucci, la quale aveva partorito una riforma della scuola che a noi studenti non stava bene. Quindi, ogni tanto, docenti e studenti assieme si scioperava e si andava in piazza, anche se buona parte delle volte lo sciopero era poco più di un buon pretesto per "bucare" le lezioni.
C'era però una informazione relativamente a ciò per cui si scioperava. Nelle classi giravano, ricordo, volantini esplicativi coi punti controversi della riforma Falcucci, e ciò comportava che si andasse in piazza a scioperare avendo perlomeno una infarinatura sui motivi per cui lo si faceva. Oggi, invece, uno come Salvini può organizzare una manifestazione a Roma, il due giugno, contro il decreto da 55 miliardi varato dal governo per affrontare l'emergenza cortonavirus pur ammettendo di non averne letto neppure una riga. Tutti in piazza! A fare che? Boh, intanto andiamo, poi si vedrà.
C'è oggi questa sorta di sciatteria collettiva, di mancanza di voglia o capacità di approfondire, dove la politica viene intesa come competizione e giocata quasi esclusivamente sul filo dell'appartenenza ideologica e della simpatia o antipatia per o contro qualcuno. Non si conosce per cosa si protesta ma si protesta, e i social non hanno fatto altro che agevolare e ingrossare questa tendenza.
Da ciò consegue che se al posto di Giuseppe Conte ci fosse stato un altro a dirigere il paese in questa emergenza sanitaria, in quell'hashtag ci sarebbe finito lui. È matematico, e per certi versi inevitabile, per i motivi di cui sopra. Poi, certo, non è si vuole generalizzare, è pacifico infatti come molti critichino l'operato del governo a ragion veduta e sulla base dei propri problemi che Conte non ha saputo risolvere, ma dubito fortemente che siano la maggior parte.
Per quanto mi riguarda, io non so dire se Conte si debba dimettere oppure no e se, in generale, il governo abbia affrontato l'emergenza in maniera buona o cattiva, perché una valutazione in questo senso la potrei elaborare solo raffrontando il suo operato a quello di un eventuale altro esecutivo, cosa che, come è logico, non è possibile fare. In linea generale penso che questo governo abbia gestito la pandemia facendo un sacco di errori, a livello comunicativo, organizzativo, previsionale, ma gli riconosco di essersi mosso sul filo di una prudenza che a molti è parsa esagerata, ad altri, me compreso, è sembrata saggia. Diciamo che, al di là degli innegabili errori fatti (non va dimenticato che ci troviamo di fronte a una emergenza mai vista prima), riconosco a Conte di avere avuto una visione del futuro.
Avrebbe potuto essere più spavaldo, più improvvido, certo. Se in pieno lockdown avesse ad esempio dato retta a chi voleva riaprire tutto e subito, oggi sarebbe al 90% di consenso, ma probabilmente avremmo il sistema sanitario collassato e un conteggio di contagiati e deceduti decuplicato rispetto a quello di fronte a cui ci troviamo ora. E se questa pandemia, numeri alla mano, si può sostanzialmente definire sotto controllo, almeno allo stato attuale, e se si può provare a tornare a una relativa normalità riaprendo le attività economiche finore rimaste chiuse, lo si può fare grazie a quella prudenza di cui sopra e alle misure dure messe in campo per arginare il contagio.
Questo, sostanzialmente, è il merito che riconosco a Conte, quello di non essersi limitato a lavorare sulla contingenza ma sul futuro, che nello specifico è aver fatto di tutto per impedire che a fine estate ci si debba ritrovare con un altro, disastroso, lockdown, dal quale sarebbe impossibile, questa volta sì, risollevarsi.
Questo per ciò che concerne il coronavirus. Per quanto riguarda il governo in generale, come ho già scritto in passato lo ritengo un esecutivo né migliore né peggiore di altri, diciamo in linea con la mediocrità che ha contraddistinto gli esecutivi degli ultimi venti/venticinque anni. D'altra parte, se si mette agli Interni (Conte uno) un povero ignorante totalmente a digiuno di demografia, economia, sociale, privo delle elementari basi conoscitive di come funzioni il mondo e che ha come unica stella polare il consenso, capite anche voi che non si va lontano.
Se a questo si aggiunge (Conte due) che le redini del Ministero degli esteri vengono date in mano a un ragazzotto di trent'anni senza alcuna istruzione, con un passato da bibitaro e webdesigner che non sa una parola di inglese, vuol dire che si è già deciso in partenza che non si vuol fare politca, ma qualcos'altro.
La differenza rispetto a una volta, forse, sta nel fatto che siccome senza internet si era privi della possibilità di scrivere impulsivamente e senza bisogno di documentarsi qualsiasi sciocchezza passasse per la mente, prima di andare in piazza ci si informava un po'. Ricordo ad esempio che quando frequentavo le superiori io, c'era un Ministro della pubblica istruzione che si chiamava Franca Falcucci, la quale aveva partorito una riforma della scuola che a noi studenti non stava bene. Quindi, ogni tanto, docenti e studenti assieme si scioperava e si andava in piazza, anche se buona parte delle volte lo sciopero era poco più di un buon pretesto per "bucare" le lezioni.
C'era però una informazione relativamente a ciò per cui si scioperava. Nelle classi giravano, ricordo, volantini esplicativi coi punti controversi della riforma Falcucci, e ciò comportava che si andasse in piazza a scioperare avendo perlomeno una infarinatura sui motivi per cui lo si faceva. Oggi, invece, uno come Salvini può organizzare una manifestazione a Roma, il due giugno, contro il decreto da 55 miliardi varato dal governo per affrontare l'emergenza cortonavirus pur ammettendo di non averne letto neppure una riga. Tutti in piazza! A fare che? Boh, intanto andiamo, poi si vedrà.
C'è oggi questa sorta di sciatteria collettiva, di mancanza di voglia o capacità di approfondire, dove la politica viene intesa come competizione e giocata quasi esclusivamente sul filo dell'appartenenza ideologica e della simpatia o antipatia per o contro qualcuno. Non si conosce per cosa si protesta ma si protesta, e i social non hanno fatto altro che agevolare e ingrossare questa tendenza.
Da ciò consegue che se al posto di Giuseppe Conte ci fosse stato un altro a dirigere il paese in questa emergenza sanitaria, in quell'hashtag ci sarebbe finito lui. È matematico, e per certi versi inevitabile, per i motivi di cui sopra. Poi, certo, non è si vuole generalizzare, è pacifico infatti come molti critichino l'operato del governo a ragion veduta e sulla base dei propri problemi che Conte non ha saputo risolvere, ma dubito fortemente che siano la maggior parte.
Per quanto mi riguarda, io non so dire se Conte si debba dimettere oppure no e se, in generale, il governo abbia affrontato l'emergenza in maniera buona o cattiva, perché una valutazione in questo senso la potrei elaborare solo raffrontando il suo operato a quello di un eventuale altro esecutivo, cosa che, come è logico, non è possibile fare. In linea generale penso che questo governo abbia gestito la pandemia facendo un sacco di errori, a livello comunicativo, organizzativo, previsionale, ma gli riconosco di essersi mosso sul filo di una prudenza che a molti è parsa esagerata, ad altri, me compreso, è sembrata saggia. Diciamo che, al di là degli innegabili errori fatti (non va dimenticato che ci troviamo di fronte a una emergenza mai vista prima), riconosco a Conte di avere avuto una visione del futuro.
Avrebbe potuto essere più spavaldo, più improvvido, certo. Se in pieno lockdown avesse ad esempio dato retta a chi voleva riaprire tutto e subito, oggi sarebbe al 90% di consenso, ma probabilmente avremmo il sistema sanitario collassato e un conteggio di contagiati e deceduti decuplicato rispetto a quello di fronte a cui ci troviamo ora. E se questa pandemia, numeri alla mano, si può sostanzialmente definire sotto controllo, almeno allo stato attuale, e se si può provare a tornare a una relativa normalità riaprendo le attività economiche finore rimaste chiuse, lo si può fare grazie a quella prudenza di cui sopra e alle misure dure messe in campo per arginare il contagio.
Questo, sostanzialmente, è il merito che riconosco a Conte, quello di non essersi limitato a lavorare sulla contingenza ma sul futuro, che nello specifico è aver fatto di tutto per impedire che a fine estate ci si debba ritrovare con un altro, disastroso, lockdown, dal quale sarebbe impossibile, questa volta sì, risollevarsi.
Questo per ciò che concerne il coronavirus. Per quanto riguarda il governo in generale, come ho già scritto in passato lo ritengo un esecutivo né migliore né peggiore di altri, diciamo in linea con la mediocrità che ha contraddistinto gli esecutivi degli ultimi venti/venticinque anni. D'altra parte, se si mette agli Interni (Conte uno) un povero ignorante totalmente a digiuno di demografia, economia, sociale, privo delle elementari basi conoscitive di come funzioni il mondo e che ha come unica stella polare il consenso, capite anche voi che non si va lontano.
Se a questo si aggiunge (Conte due) che le redini del Ministero degli esteri vengono date in mano a un ragazzotto di trent'anni senza alcuna istruzione, con un passato da bibitaro e webdesigner che non sa una parola di inglese, vuol dire che si è già deciso in partenza che non si vuol fare politca, ma qualcos'altro.
sabato 16 maggio 2020
Verità di fede
Quand'ero giovane e, prima di ravvedermi, frequentavo la parrocchia, ogni tanto andavo all'incontro del venerdì sera, dove don Natale spiegava a chi partecipava le letture dell'imminente domenica. Terminato l'incontro "ufficiale", diciamo così, prima di levare le tende ci si lasciava andare a qualche minuto di chiacchiere a ruota libera. Ricordo che una volta uno dei partecipanti, tra le varie chiacchiere, disse al don più o meno così: "Certo che se poi di là non c'è niente..." Non ricordo di preciso come venne il discorso, ma ricordo la risposta (seria) del don: "Eh, se di là non c'è niente prendiamo una bella fregatura."
Io, all'epoca ancora imberbe giovinetto, ricordo che rimasi sorpreso da quella risposta. Come poteva un prete avere dubbi su questo? mi chiedevo. Poi, col tempo, ho capito che la sua fede era autentica, ed era autentica appunto perché aveva dei dubbi. I veri credenti, infatti, non sono quelli che parlano di "verità di fede", come si sente spessissimo dire, ma sono quelli che dubitano. La verità e la fede sono due cose diversissime tra loro e certamente non compatibili. La verità ha un proprio statuto, la fede un altro.
Perché questo discorso? Mi è venuto in mente l'episodio raccontato sopra ascoltando la conferenza di Umberto Galimberti che vi linko qui di seguito. Ovviamente non occorre ascoltarla tutta, anche se è interessantissima, ma se avete dieci minuti di tempo, a partire dal minuto 1:17:00 circa il noto filosofo spiega perché, come del resto dicevano sia san Paolo che Tommaso D'Acquino, ma anche altri, il vero credente è chi ha dubbi, non certezze. E il mio parroco era certamente credente.
La conferenza è qui (min. 1:17:00 ca.).
martedì 12 maggio 2020
Le ragioni dell'odio
Avevo messo in conto che il ritorno in Italia di Silvia Romano, libera, avrebbe dato la stura a un fiume in piena di stupidità, ignoranza, livore e odio, ma sinceramente non mi aspettavo che avesse queste dimensioni. È dai tempi del sequestro di Simona Pari e Simona Turretta in Iraq che non si vedeva tanto astio, con la differenza che allora, era il 2004, non essendoci ancora i social, questo odio e questo livore venivano sfogati nei bar dopo essere stati propalati dal giornalame di destra e dal tg4 di Emilio Fede, e quindi, tutto sommato, aveva una potenza di fuoco minore rispetto a quanto accade oggi.
Mi sono domandato il motivo e ho provato a darmi alcune risposte, che non sono naturalmente la verità ma solamente ciò che penso io. Credo che, tra le tante, la causa principale risieda nel fatto che si tratta di una donna. Se al posto di Silvia ci fosse stato un uomo, un ragazzo, si sarebbe scatenato questo fiume di odio? Io penso di no. Silvia è laureata, colta, istruita, e ha avuto la sfrontatezza, imperdonabile, oggi, in un paese in cui più del 70% degli uomini pensa che la donna debba restare dietri i fornelli e sfornare figli, ha avuto la sfrontatezza, dicevo, di fare ciò che si sentiva di fare, di andare fuori dagli schemi. Io non penso che la sua decisione di mollare tutto e andare per un certo periodo in un poverissimo villaggio africano a prestare la sua opera in un orfanotrofio non abbia generato, nei suoi conoscenti o familiari, timori, dubbi o perplessità. E penso che pure lei li abbia avuti, questi dubbi e queste perplessità. Ma ci è andata lo stesso, perché quando senti che ci devi andare, ci vai e basta.
Perché ci è andata lo stesso? Perché a vent'anni si è idealisti, un idealismo ingenuo magari, non organizzato, non strutturato, ma forte, vivo, vero, che all'atto pratico si traduce nella voglia di cambiare il mondo. C'è qualcuno tra i miei trentadue lettori che a vent'anni non voleva cambiare il mondo? Ecco, io penso che Silvia sia andata là perché nel suo piccolo ci voleva provare. E si è data da fare, non è stata tanto lì a menarsela, pur consapevole degli eventuali rischi a cui poteva andare incontro. E sapete una cosa? È questo ciò che ha mandato in bestia l'esercito di leoni da tastiera e la nutrita mandria di vegliardi scemi alla Feltri, gli uni e gli altri accomunati dalla rabbia nei confronti di chi, oggi, vuole ancora cambiare il mondo.
Un filosofo francese, Gilles Deleuze, diceva che il desiderio è potenzialmente rivoluzionario, e il desiderio non si accontenta dello status quo, lo vuole cambiare, lo status quo può interessare giusto a Vittorio Feltri o a Vittorio Sgarbi, non a un giovane di vent'anni. E questo a Feltri e Sgarbi dà fastidio. Fateci caso: gli odiatori, da tastiera o da giornali che siano, che oggi ricoprono di insulti Silvia Romano, ieri ricoprivano di insulti Carola Rackete, Samantha Cristoforetti, Laura Boldrini e altre, tutte donne che hanno in comune l'attivismo, la passione per la politica, per la scienza, lontanissime dallo stereotipo del focolare e della donnina tranquilla che sta buona lì e non si agita tanto.
Questa, in definitiva, penso sia la causa principale del fiume in piena di odio riversato su Silvia Romano. Causa che naturalmente è difficile da ammettere, e così, a mo' di giustificazione, si tira in ballo il riscatto, la conversione, il se l'è cercata, il vestito indossato e la lunga fila di stupidaggini a cui si aggrappa chi non ha più desideri né ideali.
Mi sono domandato il motivo e ho provato a darmi alcune risposte, che non sono naturalmente la verità ma solamente ciò che penso io. Credo che, tra le tante, la causa principale risieda nel fatto che si tratta di una donna. Se al posto di Silvia ci fosse stato un uomo, un ragazzo, si sarebbe scatenato questo fiume di odio? Io penso di no. Silvia è laureata, colta, istruita, e ha avuto la sfrontatezza, imperdonabile, oggi, in un paese in cui più del 70% degli uomini pensa che la donna debba restare dietri i fornelli e sfornare figli, ha avuto la sfrontatezza, dicevo, di fare ciò che si sentiva di fare, di andare fuori dagli schemi. Io non penso che la sua decisione di mollare tutto e andare per un certo periodo in un poverissimo villaggio africano a prestare la sua opera in un orfanotrofio non abbia generato, nei suoi conoscenti o familiari, timori, dubbi o perplessità. E penso che pure lei li abbia avuti, questi dubbi e queste perplessità. Ma ci è andata lo stesso, perché quando senti che ci devi andare, ci vai e basta.
Perché ci è andata lo stesso? Perché a vent'anni si è idealisti, un idealismo ingenuo magari, non organizzato, non strutturato, ma forte, vivo, vero, che all'atto pratico si traduce nella voglia di cambiare il mondo. C'è qualcuno tra i miei trentadue lettori che a vent'anni non voleva cambiare il mondo? Ecco, io penso che Silvia sia andata là perché nel suo piccolo ci voleva provare. E si è data da fare, non è stata tanto lì a menarsela, pur consapevole degli eventuali rischi a cui poteva andare incontro. E sapete una cosa? È questo ciò che ha mandato in bestia l'esercito di leoni da tastiera e la nutrita mandria di vegliardi scemi alla Feltri, gli uni e gli altri accomunati dalla rabbia nei confronti di chi, oggi, vuole ancora cambiare il mondo.
Un filosofo francese, Gilles Deleuze, diceva che il desiderio è potenzialmente rivoluzionario, e il desiderio non si accontenta dello status quo, lo vuole cambiare, lo status quo può interessare giusto a Vittorio Feltri o a Vittorio Sgarbi, non a un giovane di vent'anni. E questo a Feltri e Sgarbi dà fastidio. Fateci caso: gli odiatori, da tastiera o da giornali che siano, che oggi ricoprono di insulti Silvia Romano, ieri ricoprivano di insulti Carola Rackete, Samantha Cristoforetti, Laura Boldrini e altre, tutte donne che hanno in comune l'attivismo, la passione per la politica, per la scienza, lontanissime dallo stereotipo del focolare e della donnina tranquilla che sta buona lì e non si agita tanto.
Questa, in definitiva, penso sia la causa principale del fiume in piena di odio riversato su Silvia Romano. Causa che naturalmente è difficile da ammettere, e così, a mo' di giustificazione, si tira in ballo il riscatto, la conversione, il se l'è cercata, il vestito indossato e la lunga fila di stupidaggini a cui si aggrappa chi non ha più desideri né ideali.
domenica 10 maggio 2020
Quanto hanno pagato?
Com'era prevedibile, il rilievo maggiore che una certa parte politica, sempre la solita, e giornalistica ha tributato alla liberazione di Silvia Romano, ha a che fare non con la bellezza della notizia in sé, ma col riscatto. "Quanto hanno pagato?" si chiede ad esempio Libero in prima pagina. E a seguire, sulla stessa falsa riga, tutti gli altri. Poi, naturalmente, da lì al se l'è cercata il passo è breve, basta leggere i relativi commenti agli articoli.
Naturalmente, l'estensore della domanda più idiota del mondo, cioè l'entità del riscatto pagato dal governo italiano ai rapitori, si guarderebbe bene dal porre la stessa domanda nel caso in cui nelle grinfie dei rapitori fosse caduto un suo caro affetto, ma, si sa, essere polemici coi drammi degli altri è ormai diventato lo sport nazionale di questo disgraziato paese.
Sarebbe interessante sapere, in aggiunta, se chi storce il muso per i quattro milioni di euro che si vocifera il governo abbia pagato per il rilascio di Silvia, lo storca in altrettanto veemente maniera per i 26 miliardi (1,43% del PIL) che l'Italia tirerà fuori quest'anno per le spese militari. No, perché è indubbio che se pagare quattro milioni per liberare una volontaria di un'associazione umanitaria impiegata in un orfanotrofio di un poverissimo paese africano procura indignazione, a maggiore ragione ne procurerà pagarne 6.500 volte tanto per gli armamenti. O almeno dovrebbe essere così.
Per quanto riguarda il discorso del se l'è cercata, perché andare in quei posti là si sa che è pericoloso, non vale neppure la pena spendere tempo e parole per replicare, dal momento che viaggia sullo stesso assunto per cui uno stupro perpetrato a una donna appariscente, magari con una attillata minigonna... insomma, sapete com'è, un po' se l'è cercata, l'archetipo del ragionamento stupido che porta senza troppi giri alla colpevolizzazione della vittima. Ecco, siamo a questi livelli qua. Bassi, bassissimi livelli. Per fortuna esiste una parte sana di questo paese che, rispetto a quella malata, gioisce per la liberazione di Silvia senza se e senza ma.
Naturalmente, l'estensore della domanda più idiota del mondo, cioè l'entità del riscatto pagato dal governo italiano ai rapitori, si guarderebbe bene dal porre la stessa domanda nel caso in cui nelle grinfie dei rapitori fosse caduto un suo caro affetto, ma, si sa, essere polemici coi drammi degli altri è ormai diventato lo sport nazionale di questo disgraziato paese.
Sarebbe interessante sapere, in aggiunta, se chi storce il muso per i quattro milioni di euro che si vocifera il governo abbia pagato per il rilascio di Silvia, lo storca in altrettanto veemente maniera per i 26 miliardi (1,43% del PIL) che l'Italia tirerà fuori quest'anno per le spese militari. No, perché è indubbio che se pagare quattro milioni per liberare una volontaria di un'associazione umanitaria impiegata in un orfanotrofio di un poverissimo paese africano procura indignazione, a maggiore ragione ne procurerà pagarne 6.500 volte tanto per gli armamenti. O almeno dovrebbe essere così.
Per quanto riguarda il discorso del se l'è cercata, perché andare in quei posti là si sa che è pericoloso, non vale neppure la pena spendere tempo e parole per replicare, dal momento che viaggia sullo stesso assunto per cui uno stupro perpetrato a una donna appariscente, magari con una attillata minigonna... insomma, sapete com'è, un po' se l'è cercata, l'archetipo del ragionamento stupido che porta senza troppi giri alla colpevolizzazione della vittima. Ecco, siamo a questi livelli qua. Bassi, bassissimi livelli. Per fortuna esiste una parte sana di questo paese che, rispetto a quella malata, gioisce per la liberazione di Silvia senza se e senza ma.
sabato 9 maggio 2020
venerdì 8 maggio 2020
Vent'anni di Iloveyou
Il sempre attento Paolo Attivissimo segnala, in questo bell'articolo sul suo blog, la ricorrenza dell'attacco informatico chiamato Iloveyou, dal titolo di una mail truffaldina che esattamente vent'anni fa fece disastri in mezzo mondo. Mentre leggevo il post di Paolo pensavo che nel 2000, quando esplose Iloveyou, io non ero ancora informatizzato, se così si può dire, cioè non avevo ancora messo le mani su un pc.
Il primo lo acquistai un anno dopo, nel 2001; Windows 2000 era appena stato collocato in pensione e i pc nuovi venivano venduti con preinstallato Windows Xp, uno dei più longevi (e bacati) sistemi operativi di tutta la storia dell'informatica, tanto che una certa quota di utenza lo utilizza ancora oggi nonostante Microsoft abbia interrotto ormai da anni il rilascio degli aggiornamenti.
Quel pc fisso, che assemblai con l'aiuto di un amico in quanto io ero totalmente a digiuno di collegamenti, aveva, ricordo, 512 MB di RAM e un disco fisso da ben 40 GB, due parametri che oggi fanno quasi sorridere ma che all'epoca facevano del mio pc l'equivalente informatico di una Ferrari. Niente prese usb, mi pare, ma un bel lettore di floppy disk, oggi pura archeologia informatica. Credo ci fosse nella dotazione anche un masterizzatore di cd, ma non sono sicuro.
Di adsl, all'epoca, neppure a parlarne, in quanto la mia zona sarebbe stata coperta solo nel 2007. Con cosa navigavo, quindi, all'epoca? Sfruttando la linea del telefono fisso alla velocità di 56K (se non sapete cosa sia, qui trovate un'ottima spiegazione), e utilizzando una specie di router preistorico (in realtà era un modem analogico) che permetteva una navigazione lentissima convertendo il segnale della linea telefonica fissa da analogico a digitale e viceversa.
All'epoca non esistevano tariffe flat come siamo abituati ora, e quindi navigare aveva un costo notevole, un po' come telefonare, senza contare che con la navigazione a 56K il pc non era perennemente collegato alla rete, come succede ora con l'adsl, ma ogni volta che si voleva utilizzare internet bisognava collegarsi e poi, una volta terminata la navigazione, scollegarsi. Naturalmente, quando il modem era collegato alla rete il telefono diventava muto, cosa questa che è stata all'origine di non poche litigate con mia moglie (all'epoca i cellulari erano ancora lontani), e vabbe'. Ah, volete sentire il suono caratteristico di un modem a 56K che si collegava a internet? Eccolo qui. Ecco, quando mia moglie sentiva questa sequenza di suoni gracchianti e incomprensibili cominciava ad alzare gli occhi al cielo.
Scampai Iloveyou perché, come detto, misi le mani sul mio primo pc un anno dopo la sua deflagrazione, quando già gli antivirus lo riconoscevano perfettamente e lo neutralizzavano. Feci comunque una discreta collezione di altri virus, di tutte le tipologie, finché un giorno mi stancai e abbandonai Windows per passare a Linux, passaggio pieno di difficoltà, allora - oggi la maggior parte dei sistemi operativi Linux è estremamente user-friendly, forse addirittura più dei vari Windows - che attuai grazie all'aiuto di Maurizio Antonelli, che con una pazienza da premio Nobel mi supportò ad ogni mia difficoltà.
Era finito l'incubo dei virus, finalmente (gli eseguibili .exe non giravano su Linux), e potei dire addio ad antivirus, antidialer, antispyware e quant'altro, navigando in tutta tranquillità. Inutile dire che, da allora, non ho più abbandonato i sistemi operativi del pinguino.
Perché questo excursus storico-informatico originato da Iloveyou? Mah. Forse perché, per dirla alla De Gregori, "vent'anni [passati] sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più." Sì, sarà per questo.
Il primo lo acquistai un anno dopo, nel 2001; Windows 2000 era appena stato collocato in pensione e i pc nuovi venivano venduti con preinstallato Windows Xp, uno dei più longevi (e bacati) sistemi operativi di tutta la storia dell'informatica, tanto che una certa quota di utenza lo utilizza ancora oggi nonostante Microsoft abbia interrotto ormai da anni il rilascio degli aggiornamenti.
Quel pc fisso, che assemblai con l'aiuto di un amico in quanto io ero totalmente a digiuno di collegamenti, aveva, ricordo, 512 MB di RAM e un disco fisso da ben 40 GB, due parametri che oggi fanno quasi sorridere ma che all'epoca facevano del mio pc l'equivalente informatico di una Ferrari. Niente prese usb, mi pare, ma un bel lettore di floppy disk, oggi pura archeologia informatica. Credo ci fosse nella dotazione anche un masterizzatore di cd, ma non sono sicuro.
Di adsl, all'epoca, neppure a parlarne, in quanto la mia zona sarebbe stata coperta solo nel 2007. Con cosa navigavo, quindi, all'epoca? Sfruttando la linea del telefono fisso alla velocità di 56K (se non sapete cosa sia, qui trovate un'ottima spiegazione), e utilizzando una specie di router preistorico (in realtà era un modem analogico) che permetteva una navigazione lentissima convertendo il segnale della linea telefonica fissa da analogico a digitale e viceversa.
All'epoca non esistevano tariffe flat come siamo abituati ora, e quindi navigare aveva un costo notevole, un po' come telefonare, senza contare che con la navigazione a 56K il pc non era perennemente collegato alla rete, come succede ora con l'adsl, ma ogni volta che si voleva utilizzare internet bisognava collegarsi e poi, una volta terminata la navigazione, scollegarsi. Naturalmente, quando il modem era collegato alla rete il telefono diventava muto, cosa questa che è stata all'origine di non poche litigate con mia moglie (all'epoca i cellulari erano ancora lontani), e vabbe'. Ah, volete sentire il suono caratteristico di un modem a 56K che si collegava a internet? Eccolo qui. Ecco, quando mia moglie sentiva questa sequenza di suoni gracchianti e incomprensibili cominciava ad alzare gli occhi al cielo.
Scampai Iloveyou perché, come detto, misi le mani sul mio primo pc un anno dopo la sua deflagrazione, quando già gli antivirus lo riconoscevano perfettamente e lo neutralizzavano. Feci comunque una discreta collezione di altri virus, di tutte le tipologie, finché un giorno mi stancai e abbandonai Windows per passare a Linux, passaggio pieno di difficoltà, allora - oggi la maggior parte dei sistemi operativi Linux è estremamente user-friendly, forse addirittura più dei vari Windows - che attuai grazie all'aiuto di Maurizio Antonelli, che con una pazienza da premio Nobel mi supportò ad ogni mia difficoltà.
Era finito l'incubo dei virus, finalmente (gli eseguibili .exe non giravano su Linux), e potei dire addio ad antivirus, antidialer, antispyware e quant'altro, navigando in tutta tranquillità. Inutile dire che, da allora, non ho più abbandonato i sistemi operativi del pinguino.
Perché questo excursus storico-informatico originato da Iloveyou? Mah. Forse perché, per dirla alla De Gregori, "vent'anni [passati] sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più." Sì, sarà per questo.
giovedì 7 maggio 2020
Quanto costano le mascherine?
Due settimane fa avevo prenotato telefonicamente, presso la farmacia vicina a casa, cinque mascherine, quelle di tipo chirurgico. Prezzo (due settimane fa): 2,50 euro l'una. Un po' care, avevo pensato lì per lì, ma d'altra parte mi servivano, per cui... Ero rimasto d'accordo con la farmacista che mi avrebbe contattato lei non appena fossero arrivate. Bene.
Ieri, non avendo ancora avuto notizie delle suddette mascherine e non risultando raggiungibile telefonicamente la farmacia, sono andato di persona. Una volta dentro, la farmacista mi dice, con aria contrita, che le mascherine pronte per essere consegnate a chi ne aveva fatto richiesta non sono più disponibili. Motivo: sono stati sequestrati tutti i lotti perché non a norma. Questa la generica spiegazione. L'accordo telefonico rimane comunque valido: non appena arriveranno altre mascherine, mi contatterà.
Oggi, in maniera del tutto casuale, scopro che il negozio di alimentari sotto casa mia ha in vendita le mascherine chirurgiche a 65 centesimi ognuna. Resto sorpreso e alla mia richiesta di spiegazioni l'addetta mi dice che sono i prezzi calmierati imposti dal governo: 50 centesimi al pezzo più IVA.
Perché allora la farmacia le vende a 2,50 euro? Faccio un'ipotesi. Forse la farmacia aveva acquistato i lotti prima che il governo imponesse i prezzi calmierati al pubblico, e probabilmente la farmacista stessa aveva pagato al grossista un prezzo superiore a quello a cui avrebbe poi dovuto venderle ai clienti (0,50 euro più IVA), per cui anziché guadagnarci, con la vendita al prezzo calmierato ci avrebbe rimesso, e quindi ha preferito restituire tutto al grossista, o forse non comprarle affatto. Ma è solo un'ipotesi.
Comunque sia, googlando un po' ho scoperto che, ancora alla data di ieri, in ogni parte d'Italia ognuno, per quanto riguarda i prezzi, fa come gli pare, una specie di giungla che si muove all'interno di una forbice che, a seconda delle zone, va da un minimo di pochi centesimi a un massimo di svariati euro, in alcuni posti anche sette o otto al pezzo.
Un classico italiano, insomma.
mercoledì 6 maggio 2020
Lezione sull'infinito e sui suoi paradossi
Se siete appassionati di matematica, fisica, infinito e relativi paradossi, prendetevi un quarto d'ora e gustatevi questa lezione del sempre grande professor Piergiorgio Odifreddi.
martedì 5 maggio 2020
Trump, il coronavirus e il laboratorio
Tra la marea di stupidaggini dette in quest'ultimo periodo da Trump c'è quella in cui afferma di avere le prove che il coronavirus sia stato creato artificialmente in un laboratorio cinese. Naturalmente, delle suddette prove non c'è traccia da nessuna parte, ma sapete com'è, tutto fa brodo pur di cercare di sviare l'attenzione dal fatto che l'America è attualmente in ginocchio di fronte alla pandemia, pandemia inizialmente sottovalutata in maniera anche un po' strafottente dallo stesso Trump.
Che il covid-19 sia un virus del tutto naturale, che è saltato all'uomo dagli animali dopo una mutazione autonoma, lo affermano convintamente la comunità scientifica tutta, i vertici dell'OMS e lo stesso Anthony Fauci, uno dei massimi virologi americani non a caso messo da Trump a capo della task force anti-pandemia negli USA. Se tutto questo non bastasse, uno dei maggiori scienziati italiani, il professor Fabrizio Pregliasco, in questa dettagliata intervista spiega scientificamente perché è impossibile che il virus sia stato manipolato artificialmente.
Con buona pace di Trump, quello che aveva proposto di tentare di sconfiggere il coronavirus iniettando disinfettante nei polmoni delle persone malate.
Che il covid-19 sia un virus del tutto naturale, che è saltato all'uomo dagli animali dopo una mutazione autonoma, lo affermano convintamente la comunità scientifica tutta, i vertici dell'OMS e lo stesso Anthony Fauci, uno dei massimi virologi americani non a caso messo da Trump a capo della task force anti-pandemia negli USA. Se tutto questo non bastasse, uno dei maggiori scienziati italiani, il professor Fabrizio Pregliasco, in questa dettagliata intervista spiega scientificamente perché è impossibile che il virus sia stato manipolato artificialmente.
Con buona pace di Trump, quello che aveva proposto di tentare di sconfiggere il coronavirus iniettando disinfettante nei polmoni delle persone malate.
Karl Marx
Duecentodue anni fa nasceva Karl Marx, nell'immaginario collettivo sbrigativamente catalogato come un comunista della peggior risma. Questo, naturalmente, da parte di chi si trova al livello dei commentatori del Giornale o di Libero. Chi ne sa un po' di più, invece, ed è scevro dalla visione ottusa della partigianeria politica, sa perfettamente l'importanza del grande pensatore, filosofo, sociologo, politico ed economista tedesco, il quale, centocinquant'anni fa, predisse ciò che in campo economico sarebbe successo e che oggi è sotto gli occhi di tutti. Marx il comunista, talmente comunista che i primi a mettere in pratica i suoi insegnamenti furono gli americani, i quali avevano capito che aveva ragione quando diceva che l'operaio va trattato bene se si vogliono evitare scioperi, rimostranze, casini ecc. Ce ne fossero, oggi, di Marx.
lunedì 4 maggio 2020
I due mesi che sconvolsero la Lombardia
Generalmente non linko e non faccio elogi a testate giornalistiche, ma questa volta mi tocca fare un'eccezione. Il reportage pubblicato da Il Post in cui si racconta in maniera chiara, dettagliata, completa ed esaustiva ciò che è accaduto alla sanità lombarda nei mesi clou (febbraio e marzo) dell'emergenza coronavirus, è un capolavoro di giornalismo, quel giornalismo che racconta i fatti senza distorcerli e non fa sconti a nessuno. Cosa sempre più rara, oggi. Se avete dieci minuti, dategli una letta (è qui), merita veramente.
domenica 3 maggio 2020
Fase due, la fase della responsabilità
Da ciò che si evince dai dati degli ultimi giorni, l'epidemia è in calo, un calo lento ma costante, e domani si aprirà questa famosa Fase due, in cui molte attività economiche riapriranno, quattro milioni e mezzo di lavoratori torneranno in servizio e si allenteranno un po' le maglie della reclusione forzata.
Fino ad ora il compito di circoscrivere il più possibile l'espansione del contagio è stata appannaggio quasi esclusivo del governo con le restrizioni, certamente non facili da osservare, imposte alla popolazione. Da domani la responsabilità del suddetto governo si depotenzierà mentre aumenterà la nostra. Cioè, da domani saremo principalmente noi, col nostro comportamento, a determinare l'augurabile prosieguo calante dell'andamento dell'epidemia oppure, al contrario, determinare un rialzamento della curva dei contagi con conseguenti forti probabilità di un secondo, drammatico, lockdown.
Da una parte l'idea di tornare a una maggiore libertà, nel mio caso ad esempio quella di ricominciare a fare le mie amate passeggiate, è motivo di contentezza; dall'altra, in eguale misura, è motivo di apprensione e timore. In generale, tendo a immaginare che la quota dei felici e di quelli che se la faranno sotto potrebbe essere equivalente, ma chissà...
Ciò che si può affermare con una certa sicurezza è che un secondo lockdown tra qualche mese rappresenterebbe un colpo difficilmente recuperabile per la nostra economia. Sono praticamente unanimi gli economisti che affermano che la vera crisi economica generata da questi due mesi di chiusura forzata, che ha visto per il nostro paese un calo del PIL del 4,7%, una percentuale che non si vedeva dai primi anni '90, si vedrà in tutta la sua tragicità solo nell'ultimo trimestre dell'anno. E se a questa dovesse aggiungersi una seconda chiusura generale, il disastro sarebbe garantito e risollevarci impossibile.
Quindi, alla fine, tutto dipenderà da noi e da come ci comporteremo, tenendo bene a mente che con questo maledetto virus dovremo convivere ancora a lungo, e allora meglio conviverci nel modo migliore possibile. Un vecchio detto recita: Se non puoi combattere qualcuno, fattelo amico. Ecco, finché non sconfiggeremo questo nemico, l'unica soluzione non dico sia quella di farselo amico - difficile considerare amico chi è responsabile di quasi trentamila decessi in due mesi - ma almeno cercare di conviverci nel modo più intelligente e responsabile possibile.
A partire da domani.
Fino ad ora il compito di circoscrivere il più possibile l'espansione del contagio è stata appannaggio quasi esclusivo del governo con le restrizioni, certamente non facili da osservare, imposte alla popolazione. Da domani la responsabilità del suddetto governo si depotenzierà mentre aumenterà la nostra. Cioè, da domani saremo principalmente noi, col nostro comportamento, a determinare l'augurabile prosieguo calante dell'andamento dell'epidemia oppure, al contrario, determinare un rialzamento della curva dei contagi con conseguenti forti probabilità di un secondo, drammatico, lockdown.
Da una parte l'idea di tornare a una maggiore libertà, nel mio caso ad esempio quella di ricominciare a fare le mie amate passeggiate, è motivo di contentezza; dall'altra, in eguale misura, è motivo di apprensione e timore. In generale, tendo a immaginare che la quota dei felici e di quelli che se la faranno sotto potrebbe essere equivalente, ma chissà...
Ciò che si può affermare con una certa sicurezza è che un secondo lockdown tra qualche mese rappresenterebbe un colpo difficilmente recuperabile per la nostra economia. Sono praticamente unanimi gli economisti che affermano che la vera crisi economica generata da questi due mesi di chiusura forzata, che ha visto per il nostro paese un calo del PIL del 4,7%, una percentuale che non si vedeva dai primi anni '90, si vedrà in tutta la sua tragicità solo nell'ultimo trimestre dell'anno. E se a questa dovesse aggiungersi una seconda chiusura generale, il disastro sarebbe garantito e risollevarci impossibile.
Quindi, alla fine, tutto dipenderà da noi e da come ci comporteremo, tenendo bene a mente che con questo maledetto virus dovremo convivere ancora a lungo, e allora meglio conviverci nel modo migliore possibile. Un vecchio detto recita: Se non puoi combattere qualcuno, fattelo amico. Ecco, finché non sconfiggeremo questo nemico, l'unica soluzione non dico sia quella di farselo amico - difficile considerare amico chi è responsabile di quasi trentamila decessi in due mesi - ma almeno cercare di conviverci nel modo più intelligente e responsabile possibile.
A partire da domani.
Ratzinger e ciò che rappresenta
Ogni tanto si apre il sarcofago e riappare Ratzinger, apparizione che ha l'unico merito di invitarci a non dimenticare mai che esiste un'ala attiva della Chiesa, neppure tanto piccola, ancora saldamente ancorata a una dottrina conservatrice, retriva e anacronistica rapportata ai tempi in cui viviamo. Una visione oggi abbondantemente spazzata via dalla storia e dalla realtà ma ancora saldamente radicata e viva in certi ambiti ecclesiali.
Giovanna Botteri, ossia l'importanza dell'apparenza rispetto alla sostanza
Chi si indigna - giustamente, intendiamoci - per la vicenda della giornalista della Rai Giovanna Botteri, sul cui capo pende la gravissima accusa, lanciata nientemeno che dalla showgirl Michelle Hunziker, di effettuare collegamenti televisivi dalla Cina senza adottare look appariscenti ed eleganti, corredati magari da sfumature sexy, chi si indigna, dicevo, dimentica che l'episodio non rappresenta che un piccolo dettaglio nella generale tendenza che contraddistingue la nostra società da svariati lustri, quella cioè di anteporre l'apparenza alla sostanza.
È importante che Giovanna Botteri, nel suoi collegamenti giornalieri da Pechino, ci informi sugli avvenimenti che accadono là nel grande paese dell'estremo oriente, specie in questo periodo in cui, volenti o nolenti, ciò che accade là ha ripercussioni su ciò che accade qua? Sì, è importante, ma lo è ancora di più se le suddette informazioni vengono elargite con il giusto look. Perché, chissà, è probabile che nell'immaginario collettivo un look più ricercato ammanti le notizie di maggiore autorevolezza. Anzi, non è una probabilità, è così.
L'apparenza prima della sostanza, discorso ai più ormai noto e quindi ozioso, è il modello su cui è regolato ogni aspetto della nostra società e a cui si ricollegano, ad esempio, cose come le ordinanze con cui si multa chi elargisce l'elemosina a un questuante sulla pubblica via, trasformando la compassione in reato, come è accaduto in questi giorni a Sassuolo; non sta bene che un questuante "appaia" sulla pubblica via, dove passano signore impellicciate e ragionieri in giacchetta e cravatta, meglio nasconderlo, occultamento che naturalmente non ha niente a che vedere con questioni di degrado, come ci raccontano, ma semmai col disagio di coscienza di chi passa.
L'apparenza prima della sostanza, poi, oltre a tutto il resto, è ciò che ha permesso che la nostra società sia precipitata nel baratro in cui si trova. Basta guardare la politica. Chi sale nelle stanze dei bottoni, oggi? Sale chi ha più competenza? più buon senso? più intelligenza, lungimiranza, capacità? No, salvo rari casi, chi "urla" di più, anche se questo urlare, che nella maggior parte delle volte è totalmente scollegato da un ragionamento che lo supporti, rappresenta una sorta di rottura epistemologica mai annoverata prima nella storia delle italiche genti. Uno slogan urlato non ha alcun senso? Fa niente, appare (tornando all'apparenza) convincente, soddisfa ciò che si vuole sentire dire, quindi viene accolto.
Usciremo da questo baratro? No, non ne usciremo, non c'è speranza. Possiamo solo provare a renderci conto della situazione, è già tanto, e abbracciare simbolicamente tutte le Giovanna Botteri di questa epoca buia.
È importante che Giovanna Botteri, nel suoi collegamenti giornalieri da Pechino, ci informi sugli avvenimenti che accadono là nel grande paese dell'estremo oriente, specie in questo periodo in cui, volenti o nolenti, ciò che accade là ha ripercussioni su ciò che accade qua? Sì, è importante, ma lo è ancora di più se le suddette informazioni vengono elargite con il giusto look. Perché, chissà, è probabile che nell'immaginario collettivo un look più ricercato ammanti le notizie di maggiore autorevolezza. Anzi, non è una probabilità, è così.
L'apparenza prima della sostanza, discorso ai più ormai noto e quindi ozioso, è il modello su cui è regolato ogni aspetto della nostra società e a cui si ricollegano, ad esempio, cose come le ordinanze con cui si multa chi elargisce l'elemosina a un questuante sulla pubblica via, trasformando la compassione in reato, come è accaduto in questi giorni a Sassuolo; non sta bene che un questuante "appaia" sulla pubblica via, dove passano signore impellicciate e ragionieri in giacchetta e cravatta, meglio nasconderlo, occultamento che naturalmente non ha niente a che vedere con questioni di degrado, come ci raccontano, ma semmai col disagio di coscienza di chi passa.
L'apparenza prima della sostanza, poi, oltre a tutto il resto, è ciò che ha permesso che la nostra società sia precipitata nel baratro in cui si trova. Basta guardare la politica. Chi sale nelle stanze dei bottoni, oggi? Sale chi ha più competenza? più buon senso? più intelligenza, lungimiranza, capacità? No, salvo rari casi, chi "urla" di più, anche se questo urlare, che nella maggior parte delle volte è totalmente scollegato da un ragionamento che lo supporti, rappresenta una sorta di rottura epistemologica mai annoverata prima nella storia delle italiche genti. Uno slogan urlato non ha alcun senso? Fa niente, appare (tornando all'apparenza) convincente, soddisfa ciò che si vuole sentire dire, quindi viene accolto.
Usciremo da questo baratro? No, non ne usciremo, non c'è speranza. Possiamo solo provare a renderci conto della situazione, è già tanto, e abbracciare simbolicamente tutte le Giovanna Botteri di questa epoca buia.
sabato 2 maggio 2020
Bill Gates e il complotto del coronavirus
Dopo scie chimiche, vaccini, complotti undicisettembrini, negazionismi sull'atterraggio lunare, oggi al centro dei deliri complottisti c'è Bill Gates. Fulcro della narrazione è che il fondatore di Microsoft abbia creato e diffuso il coronavirus per poi arricchirsi col vaccino. Arricchirsi. Bill Gates. Cambia l'oggetto dei deliri ma il cervello (piccolo) dei complottari da tastiera è sempre quello.
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