Non avendo io la capacità di analisi di Antonio Polito e di molti altri, non riesco a vedere nella tragedia di Corinaldo "i tratti di una mutazione antropologica della nostra gioventù, dei riti e dei miti attorno ai quali si raduna dando vita a nuove tribù" (Corriere della Sera, 10.12.2018).
Sarà un limite mio, è possibilissimo, ma al momento ciò che vedo è una tragedia generata da una concomitanza di fattori, tra cui uno o più cretini che hanno spruzzato sulla folla dello spray urticante e un numero di persone molto superiore alla capienza del locale, condizione questa che ha fatto sì che venisse meno la sicurezza. Punto.
Ma Polito non demorde, e dopo la deriva antropologica della sbracata gioventù di oggi, ecco che tocca all'onnipresente alcol: "L’altra domanda riguarda l’alcol. Per ora non sappiamo che ruolo abbia svolto nella strage della discoteca". Ma santiddio, se non sai il ruolo che ha avuto nella tragedia, e fin qui sembra che non c'entri assolutamente niente, cosa lo tiri in ballo a fare? Lascia stare, no?
Sembra quasi che limitarsi ad analizzare le cause reali: cretinaggine, stupidità e spregio delle regole di sicurezza (e qui forse c'entrano più i grandi dei ragazzini) sia noioso, banale, e sia invece molto eccitante pontificare su improbabili involuzioni antropologiche, dalle quali non è peraltro immune nemmeno certo giornalismo.
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