Tutto nasce da un articolo, pubblicato giovedì dall'Espresso, dal titolo alquanto inquietante: "La polizia ci spia su Facebook". Vi si legge:
In Italia, senza clamore, lo hanno già fatto. I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale. Questo perché, spiegano alla Polizia Postale, la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su Internet evolvono in tempo reale.
Passa un giorno e lo stesso Espresso pubblica una smentita che arriva direttamente dalla Polizia:
La polizia "non può accedere ai profili degli utenti di Facebook, se non dopo un'autorizzazione del magistrato e con l'utilizzo di una rogatoria internazionale". Lo precisa il direttore della polizia postale e delle comunicazioni, Antonio Apruzzese, in riferimento all'articolo che sarà pubblicato domani dall'Espresso. "Si tratta di un equivoco" afferma Apruzzese, che poi spiega: "Alcune settimane fa sono venuti i responsabili di Facebook in Italia, in seguito ad una serie di contatti che abbiamo avuto nei mesi passati con l'obiettivo di capire come funziona la loro macchina".
[...]
"Noi - prosegue il direttore della polizia Postale - svolgiamo quotidianamente un'attività di monitoraggio della rete, che è la stessa che fanno i colleghi in strada con le volanti. Non abbiamo la possibilità di entrare nei domicili informatici né nelle caselle postali degli utenti internet, senza autorizzazione della magistratura". Una cosa che tra l'altro, conclude Apruzzese, "non ci passa neanche per la testa, visto che sarebbe un reato e non sarebbe utilizzabile come fonte di prova"
Segue, naturalmente, nello stesso articolo, la replica dell'Espresso, il quale in sostanza ribadisce la veridicità di quanto scritto in prima battuta basandosi anche sulla testimonianza di un dirigente della Polizia postale, il quale avrebbe affermato: "L'accordo prevede la collaborazione tra Facebook e la Polizia delle Comunicazioni che prevede di evitare la richiesta all'Ag (autorità giudiziaria, ndr) e un decreto (del pm, ndr) per permettere la tempestività, che in questo settore è importante."
Naturalmente, in rete si sono subito scatenati gli allarmismi, in particolare riferiti alla onnipresente questione della privacy. Tuttavia, forse basta analizzare le cose con un po' di calma e di competenza per scoprire che (almeno speriamo) probabilmente si tratta di una tempesta in un bicchier d'acqua.
Scrive ad esempio Daniele Minotti (uno che di queste cose un pochino si intende) sul suo blog:
Cominciamo col dire che la “notizia” è che la nostra Polizia Postale avrebbe stretto con Facebook un patto segreto per spiare tutti gli utenti del social network più popolare
[...]
Il patto è tanto segreto che i segugi de L’Espresso l’hanno scoperto subito, nei minimi dettagli.
[...]
e fosse vero quanto raccontato da L’Espresso, ci troveremmo di fronte a gravissime violazioni di certa rilevanza penale. E tutta questa mega porcheria uscirebbe fuori così, subito dopo e con inusuale “naturalezza”?
Quelli di Facebook non sono dei cretini. Anzitutto, non ucciderebbero così il proprio business “vendendo” i propri utenti.
Per giunta, non vedo cosa abbiano da temere tanto da scendere a pesanti patti, senza essere accusati di alcunché, con una polizia straniera.
Insomma, non sono pochi gli elementi che indicano che potrebbe trattarsi di molto rumore per nulla. Se a tutto questo si aggiunge - come fa notare sempre Minotti - che il famoso incontro segreto tra la nostra Polizia e quelli di Palo Alto è stato reso pubblico addirittura sul sito della Polizia di Stato, le conclusioni mi pare siano abbastanza facili.
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