lunedì 28 febbraio 2022

Il danno scolastico


Ogni tanto si sente dire che la scuola italiana, oggi, è disastrosa. Non lo si sente tanto in tv, telegiornali o media mainstream in genere, quanto maggiormente da singole voci isolate (Galimberti, ad esempio, nelle sue conferenze batte molto su questo, attirandosi tra l'altro gli strali di docenti e professori). Naturalmente generalizzare è sempre scorretto, ma che la scuola sia oggi in uno stato disastroso credo sia sotto gli occhi di tutti. L'Ocse che un paio d'anni fa certificava come noi italiani siamo in Europa all'ultimo posto nella comprensione di un testo scritto, cioè sappiamo leggere ma non capiamo cosa leggiamo, è forse la dimostrazione più lampante di questo disastro.

Questo libro, scritto dalla scrittrice Paola Mastrocola e da Luca Ricolfi, sociologo e docente di Analisi dei dati, racconta questo disastro e come ci si è arrivati. È un libro crudo, un j'accuse che non fa sconti a nessuno e che racconta, lucidamente e impietosamente, le tappe ("riforme") che hanno nel corso degli anni abbassato la qualità e il livello formativo della scuola, dalle medie inferiori all'università, fino quasi ad azzerarsi. Ma questo libro fa anche altro: dimostra empiricamente, ossia alla luce dei dati, che la narrazione secondo cui una scuola più facile e di bassa qualità diminuisce il solco tra ceti alti e ceti bassi è privo di fondamento. È l'esatto contrario: "Chi crede nell'uguaglianza delle condizioni di partenza, chi pensa davvero, come recita la Costituzione, che 'i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi', dovrebbe battersi perché tutti possano cimentarsi con successo in studi alti, non abbassare il livello perché tutti possano vincere. E invece è precisamente questo - abbassare per democratizzare - che è stato fatto, proprio da coloro che proclamavano di avere a cuore le sorti degli umili."

Il grande problema della scuola di oggi, secondo la Mastrocola, che oltre che scrittrice è stata insegnante di lettere nei licei per trentacinque anni, è che gli otto anni tra elementari e medie non preparano più a ragionare. Il grande problema del divario nel successo negli studi non è dovuto solo al vecchio luogo comune che chi ha maggiori possibilità economiche, relazionali, di status riesce meglio degli altri, ma a una mancanza generale di preparazione dovuta alla scarsissima qualità formativa degli otto anni in questione. Cito qui di seguito un brano che a questo proposito mi sembra oltremodo significativo: 

 Va bene, la tesi dei fautori della "scuola democratica" è dunque più che confermata: le origini e l'ambiente contano. Cose risapute. E ripetute fino alla nausea. Ma la loro tesi si ferma qui. Non mi basta, mi sembra che manchi un pezzo molto importante. Un aspetto che viene sempre trascurato. Un "piccolo dettaglio" che da anni cerco di mettere in evidenza. [...] Questo aspetto trascurato, questo minuscolo dettaglio è... la preparazione. Il livello di studio. La qualità e quantità delle "cose" insegnate-imparate. Torno al figlio dell'idraulico e formulo la mia ipotesi: se spesso non arriva a laurearsi, forse non è soltanto perché è figlio dell'idraulico (ipotesi vecchia, datata, fortemente ideologica: insomma, troppo facile!); forse non fa il liceo e non arriva a laurearsi... perché non ci riesce. E non ci riesce perché ha fatto una scuola che non lo ha preparato abbastanza. Ecco. Per questo mi arrabbio da una ventina d'anni (una ventina d'anni, direi dalla riforma Berlinguer in poi: governo progressista, incredibile!). Perché io questo ho visto nella scuola. Ho visto ragazzi (non solo figli di idraulici, ma figli di quella classe media o medio-bassa non così svantaggiata ma neanche così agiata) che arrivano in prima liceo totalmente digiuni di nozioni basilari, di quel minimo di conoscenze dovute e, soprattutto, necessarie ad andare avanti negli studi. [...] Un ragazzo non potrà fare il liceo se noi per otto anni (cinque di elementari e tre di medie) non gli abbiamo insegnato quasi niente o, se gli abbiamo insegnato qualcosa, poi non abbiamo anche deciso di esigere e di pretendere che quelle cose le sapesse! Non farà né il liceo né l'università, un ragazzo, se non sa scrivere, non sa fare un discorso compiuto, se non sa capire il senso (profondo, sfumato, metaforico, ironico...) di quel che legge, e se non sa ripetere con parole su quel che ha studiato. Siamo stati noi a farne uno svantaggiato, uno che non parte uguale, che non ha le stesse opportunità iniziali. Noi! [...] Non possiamo lasciarli uscire così impreparati dopo otto anni di scuola! Allo stesso modo, all'università non sono in grado di affrontare gli esami (se non quelli più facili delle cosiddette facoltà deboli, la cui laurea però non li porterà da nessuna parte), per cui s'iscrivono, arrancano un anno o due e poi mollano. Per questo mollano: per questa loro inadeguatezza cognitiva e culturale, che è il risultato delle scelte scriteriate che noi abbiamo compiuto nella scuola, soprattutto, lo ripeto, negli ultimi vent'anni. Mollano a causa della scuola che noi abbiamo deciso per loro, non è il colmo?

La lunga stagione di smantellamento della qualità dell'offerta formativa della scuola parte nel 1963 con l'abolizione dell'avviamento e l'introduzione della scuola media unica, senza l'obbligo del latino, e arriva fino a oggi. A questo proposito scrive Luca Ricolfi:

Fu così che Marco [suo fratello] e io avemmo la fortuna, e il privilegio, di frequentare la "vecchia" scuola media con il latino, l'analisi logica, l'Iliade, la geometria analitica e tutto il resto. Di quel periodo ricordo soprattutto tre cose, una oggettiva e le altre due soggettive e private. La cosa oggettiva è che, in quei tre anni, grazie a due professoresse eccezionali, una di italiano e latino, l'altra di matematica, imparai più cose, e cose più durature, di quelle che avrei imparato nei successivi cinque anni di liceo classico. Le medie dure resero più leggeri i miei anni di liceo, consentendomi, specie in latino e in italiano, di "vivere di rendita".

Lo smantellamento della scuola media, iniziato con le riforme dei primi anni Sessanta ebbe il suo colpo di grazia nell'anno 2000, con la riforma Berlinguer, quella che istituì i progetti extracurriculari, la valutazione oggettiva (i test), e il diritto al successo formativo. Cambiava la sostanza: la scuola diventava un'impresa, si agganciava al mondo del lavoro, o meglio, tentava goffamente di assumere i valori e i criteri della produzione e del mercato. E contribuì a produrre i risultai che Paola Mastrocola racconta così:

Ogni anno prendevo una nuova prima e ogni anno mi trovavo davanti una trentina di ragazzi tra i quattordici e quindici anni sempre più impreparati. O meglio, incapaci. Non era tanto l'impreparazione (la pura mancanza di nozioni) a stupirmi, quanto l'incapacità di parlare e scrivere. Due "cose" che reputavo fin da allora abbastanza basilari. Negli scritti facevano errori ortografici e grammaticali, ma soprattutto non riuscivano a costruire un discorso dotato di senso e strutturato secondo una logica, voglio dire con i nessi logici bene al loro posto. Nelle interrogazioni orali non ce la facevano a parlare per più di un minuto, poi si fermavano muti, o balbettavano qualche parola spersa nel vuoto. Ricordo che guardavo l'orologio per misurare il tempo esatto in cui riuscivano a tenere il discorso; non lo facevo per crudeltà, ma perché non ci potevo credere, e avevo bisogno di capire. Altro fatto sconcertante: di fronte ai romanzi che normalmente da anni ero abituata ad affidare in lettura, i miei nuovi allievi restavano basiti e mi dicevano di non averci capito un bel niente. In particolare capitò con Il fu Mattia Pascal: mezza classe mi disse proprio così, che non aveva capito non tanto le parole, quanto il senso delle frasi. Me lo ricordo perché nella mia mente si disegnò netto il disastro, mi vidi tutte le frasi di Pirandello cadere in un precipizio. Allora cominciai a poco a poco a cambiare tutto. Diminuii le ore di letteratura (riducendo i brani antologici da leggere) e aumentai le ore di grammatica. Mi misi anche a fare dettati ortografici, e smisi di fare leggere certi autori: Pirandello e Pavese furono i primi a cadere, tra gli italiani. Poi toccò a Calvino. Sì, persino a Calvino, dico Il barone rampante... In prima liceo... Ci fu una madre che, ai consigli di classe, mi chiese espressamente di non farlo leggere più: troppo difficile, come potevo dare un libro simile a ragazzi di quell'età? Non capii bene che cosa stesse succedendo. Mi limitai a constatare. Mi era chiaro, però, che il problema stava a monte: quei ragazzi arrivavano così da otto anni di scuola. Che cosa avevano studiato? E in che modo? E cosa potevamo fare noi per loro, al liceo?

Mi fermo qui perché non posso citare tutto il libro. Ma spero di avere reso l'idea di cosa contiene. A me ha dato un'idea lucida e chiara delle reali dimensioni di quel disastro di cui finora avevo solo sentito parlare qua e là, in maniera discontinua e sconnessa. Mi è servito per mettere insieme tutti i pezzi e capire. 

Di solito non invito a leggere i libri di cui parlo, mi limito a recensirli alla bell'e meglio, ma se l'argomento vi interessa e volete capire da dove arriva quell'analfabetismo funzionale di cui deteniamo il triste primato in Europa, leggetelo. Non è solo un atto d'accusa spietato e dolente, è soprattutto un grande atto d'amore verso il mondo della scuola e dell'università.

12 commenti:

siu ha detto...

Premesso che non ho letto il libro di Ricolfi e Mastrocola, per contestualizzarlo meglio penso possa essere utile anche prendere in considerazione ad esempio le (pesanti) critiche contenute in questo lungo post:

https://www.minimaetmoralia.it/wp/altro/come-non-conoscere-o-non-capire-nulla-della-scuola-democratica-ovvero-il-danno-che-provocano-le-confuse-opinioni-di-luca-ricolfi-e-paola-mastrocola/

Andrea Sacchini ha detto...

Certo che è utile. Grazie del link, Siu.
(Adesso sono al lavoro, lo leggerò appena avrò un attimo.)

Flo ha detto...

Millemila anni fa ho letto "Lettera a una professoressa". Fatte le debite distinzioni, Mastracola e Ricolfi dimostrano che nessuno ha capito niente della lezione di don Milani.
O meglio. Mi rifiuto di credere che nessuno l'abbia capita, semplicemente è stata scelta la via breve, economica, facile e, più che inutile, catastrofica.
Purtroppo.
La prossima settimana sarò in Italia, ne approfitto e lo compro.

Guchi chan ha detto...

Ho un'amica che insegna alle medie e ogni volta che mi racconta dei suoi alunni mi sale una tristezza che non ti dico. E' drammatico questo abbassamento di livello che non può che riflettersi sulle scuole superiori e sull'università. La mancanza di lungimiranza di chi ha fatto certe riforme e di chi ci ha fatti arrivare a questo punto è altrettanto drammatica. Nessuno pensa mai che i bambini di adesso saranno gli adulti di domani, e a questi adulti saranno affidate molte responsabilità. Come potranno affrontarle, se non sono in grado di capire quello che leggono o di articolare un discorso coerente? Poi leggevo sul blog di Claudia Turchiarulo che qualcuno ha proposto di reintrodurre il latino alle medie; al punto in cui siamo mi sembra un'idiozia, visto che non si insegna manco l'italiano alle elementari... O si fa una riforma partendo dall'inizio della carriera scolastica, o mi spieghi come possono imparare il latino che manco sanno cosa sono un soggetto o un predicato verbale perchè alle elementari non l'hanno imparato?

Sari ha detto...

Non ho letto i libro di cui parli e non credo lo farò. Ho invece letto a fondo il tuo post e le critiche che, da più parti, sono piovute addosso ai due coniugi scrittori.
Ci vorrebbe altro che un libro per descrivere tutte le mancanze della nostra scuola. Ne cito solo due.
- I tagli sistematici alla scuola che è stata privata di mezzi, proposte educative e una struttura solida e sicura (due scuole su tre non sono a norma)
- La mancanza di cura dei nostri giovani che la modernità ha privato di qualsiasi confronto valido con gli adulti.
Ecco, già rimediare a questo sarebbe un miracolo.
Sfortunati ragazzi, i nostri... svogliati, demotivati e pure colpevolizzati. Ogni insegnante dovrebbe essere soggetto a test attitudinale prima di accedere a una qualsiasi cattedra.
Ciao.

Andrea Sacchini ha detto...

Ho letto il post che mi hai linkato e devo ammettere che le critiche espresse sono quasi tutte pertinenti, ben argomentate e alcune condivisibili. Neanche a me, ad esempio, è piaciuta la presa di posizione della Mastrocola verso don Milani. Devo però dire che le critiche suddette sono più che altro rivolte agli autori, al metodo seguito per arrivare alle conclusioni e si sostanziano nella mera diatriba, di impronta squisitamente politica, tra le visioni reazionaria e progressista della scuola. Non ho letto niente di sostanziale che smonti quello che è il perno del libro: lo sfacelo della scuola e le cause che l'hanno provocato. Ricolfi e Mastrocola tramite questo libro espongono una tesi e la sostengono a mio avviso in maniera solida. Le critiche che ho letto non vanno nella direzione di smontare quello che è il tema del libro, ma sono più che altro critiche di contorno, per così dire.
C'è da dire, comunque, che alcuni dei commenti in calce al post sono più interessanti (e a volte divertenti) del post stesso :-)

Andrea Sacchini ha detto...

Se non ricordo male (correggimi se sbaglio) tu sei una insegnante. Se lo leggerai, sarà molto interessante sapere il tuo parere. Fammi sapere, se vuoi.

Andrea Sacchini ha detto...

Sono pienamente d'accordo. O si fa una riforma organica che tenti di riportare la scuola non dico ai livelli di una volta, ma che almeno la avvii verso un'inversione di rotta, oppure non ha senso.
Ma non nutro molte speranze in merito.

Andrea Sacchini ha detto...

Concordo. Umberto Galimberti (scusate la pedanteria nel citarlo sempre, ma sulla scuola ha detto cose con cui non si può non concordare) dice sempre che i professori, prima di cominciare a insegnare, dovrebbe fare un corso di psicologia dell'età evolutiva (cosa che è prevista in molti paesi nordeuropei), e anche un corso di teatro. Per il semplice motivo che hanno a che fare con ragazzi che sono in quella età lì. Un professore non dovrebbe essere solo uno che passa nozioni agli allievi, ma dovrebbe essere un attore, dovrebbe avere carisma e capacità di affascinare i ragazzi. Perché se un professore spiega la Divina commedia come la spiega Benigni, magari i suoi allievi la studiano anche.

siu ha detto...

Avevo letto quel post quand'è uscito e confesso che oggi non l'ho riletto. Le critiche, come dici tu, al metodo seguito da Ricolfi e Mastrocola se ricordo bene le avevo condivise in merito al fatto che i coniugi autori ignorano bellamente la mole e la qualità di un lavoro sia teorico che pratico messo in atto nel corso degli anni da fior di pedagogisti e insegnanti, di nuovo per non parlare dello spessore didattico e politico nel senso più alto di un don Milani, e non è corretto a mio avviso scrivere un libro sull'argomento prescindendone.
Ciò nulla toglie al fatto che il disastro attuale sia evidente, e concordo con Galimberti ogni volta che lo sento sull'argomento.

Flo ha detto...

Ecco, l'ho letto.
Ne scriverò sul mio blog, qui mi preme solo confermare che, su Don Milani, anche loro commettono lo stesso errore di tutti: lui propone 1) non bocciare, 2) il tempo pieno (pienissimo, direi io: tante ore al giorno, per tantissimi giorni all'anno, per tanti anni) e 3) un fine, uno scopo. Si sono fermati tutti al primo, non bocciare, perché il secondo costa un botto di soldi e il terzo richiede un sacco di immaginazione.
Aggiungo anche che la Mastracola confonde (deliberatamente?) le classi sociali delle quali parlava Don Milani e la sua, e questo la porta a prendere (cito Ricolfi) una gran cantonata. Approfondirò da me.
Un saluto

Andrea Sacchini ha detto...

Bene, sono molto contento. Il tuo blog lo seguo, quindi quando ne scriverai dovrei accorgermene. Però magari, per sicurezza, segnalami anche qui quando lo pubblicherai, oppure anche via mail, se vuoi. Così, giusto per sicurezza.
Ciao, buona serata.

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