Questo articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Non c'è niente da fare, internet sta sulle scatole: è palese. Non si spiegherebbe altrimenti la riesumazione del defunto progetto "Prodi-Levi", meglio noto come l'"ammazzablog", che alla fine dell'anno scorso ebbe il merito di aver mostrato al mondo intero (qui il Times) la competenza, prossima allo zero, in fatto di internet e nuove tecnologie dei nostri politici. Il progetto, fortunatamente, ebbe allora vita breve; un po' per le proteste della blogosfera e di chi di internet ci capisce qualcosa, un po' per le prese di posizione di personaggi della cultura e dell'informazione di primo piano e un po' perché di lì a poco il governo Prodi sarebbe caduto con conseguente consegna al dimenticatoio di tutto il progetto.
La differenza tra quanto successe un anno fa e oggi sta solo nel fatto che allora, bene o male, quel disgraziato progetto di legge finì nell'home page di qualche giornale; oggi silenzio assoluto. Anzi, se non fosse per la stampa online specializzata la cosa non sarebbe neppure stata menzionata. E invece - fortunatamente - ne ha parlato l'altro ieri Punto Informatico riprendendo una segnalazione dell'avvocato esperto di internet Daniele Minotti, e quindi, a ruota, altri siti e blog.
In pratica il noto giurista ha scoperto che il suddetto progetto di legge, lungi dall'essere morto e sepolto, è tornato in circolazione nelle aule del Parlamento, seppur con alcune varianti rispetto all'originale dell'anno scorso. In sostanza il famigerato progetto di legge, realizzato con l'intenzione di riordinare e disciplinare il variegato mondo della stampa, equiparava i blog a una normale testata giornalistica, con l'obbligo quindi per il blogger di iscriversi al ROC, il registro degli operatori di comunicazione, con tutto quello che ne consegue: bolli da pagare e tutta una serie di formalità burocratiche da espletare. Il timore (neanche tanto infondato, a mio parere) degli oppositori a questo progetto era che in realtà il disegno stesso avesse una sorta di secondo fine, facilmente intuibile in presenza dell'obbligo di registrazione a un apposito registro, schedatura del blog e del blogger e relativo fardello burocratico da sobbarcarsi. Un progetto che, oggi come allora, dimostra (per l'ennesima volta) una sola cosa: i nostri politici non capiscono un'acca del funzionamento di internet. E qui, se proprio vogliamo dirla tutta, non ci sarebbe neppure niente di male; il problema è che forti di questa ignoranza pretendono di legiferare, con dispendio di tempo e risorse (nostre) che potrebbe essere utilizzato per cose più utili e urgenti (che non mancano).
La protervia con cui viene tenuto in vita questo aberrante progetto, dimostra anche che di fronte al gravissimo (secondo loro) problema di regolamentare internet, destra e sinistra sono uguali, perfettamente allineate di fronte al nemico comune. Internet, come osserva giustamente Antonio Di Pietro sul suo blog, è l'unico mezzo di informazione rimasto libero, che parte dal basso, dagli utenti, ed è guarda caso quello che regolarmente viene preso di mira. Il problema - e al tempo stesso la dimostrazione di quanto dicevo prima - è che è difficilissimo capirci qualcosa anche dell'ultima versione di questa aberrazione (qualche dettaglio lo trovate qui), tanto che viene il sospetto che lo scopo finale sia più quello di intimorire piuttosto che legiferare.
Comunque andrà a finire questa storia, rimane il cruccio e un profondo senso di tristezza mista a rassegnazione nel vedere che mentre il resto del mondo progredisce e si adegua all'inarrestabile avvento e consolidamente delle nuovo forme di comunicazione di massa (Obama ha messo al primo punto del suo programma la libertà di internet), da noi si regredisce, si continua a perdere tempo e risorse su progetti di legge che se fossero presentati in paesi normali gli autori si beccherebbero i ghigni e gli sberleffi dei colleghi.
Mi chiedo quale sarà il prossimo passo nell'assurdo caso in cui una tale mostruosità giuridica dovesse essere convertita alla fine in legge: l'obbligo di esibire la carta d'identità per parlare col megafono?
Aggiornamento 15,38.
La risposta della blogosfera, com'era prevedibile, non si è fatta attendere, come si può constatare qui. Punto Informatico segnala che sono online due petizioni: una contro l'iscrizione dei siti italiani al ROC (qui), e una rivolta al Presidente della Camera dei Deputati affinché stronchi sul nascere l'intero progetto (qui).
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Ho trovato questa notizia in vari blog stamattina.
RispondiEliminaA tutit ho detto quasi le stesse parole, perchè sono convinto del mio pensiero, se vogliono bloccarci attraverso questa cosa non hanno capito cosa è internet, come funziona, non hanno capito chi siamo noi e quanto siamo incazzati per svariati motivi.
a me mi da l'impressione che tutto finirà in una bolla di sapone.
RispondiEliminaciao
franco
> se vogliono bloccarci attraverso questa cosa non hanno capito cosa è internet
RispondiEliminaNon penso vogliano bloccarci tout court; così, a occhio, pare più uno dei tanti tentativi (goffo e malriuscito) di mettere la libera informazione sotto controllo.
Ma già il solo fatto che una cosa del genere sia stata pensata la dice lunga circa le persone che abbiamo mandato nella stanza dei bottoni.
Auspico che tutto si risolva - come dice Franco - una volta per tutte nella classica bolla di sapone.
I blogger sono esclusi esplicitamente. Qui la proposta di legge sul sito della Camera: http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0014370
RispondiEliminaNe ha parlazo Zambardino su Scene DIgitali
Sì, l'articolo di Zambardino (questo) l'avevo già letto ieri.
RispondiEliminaE' vero che alla pagina 3 del testo di legge (questo) c'è scritto espressamente "Nel comma 3 viene espressamente escluso l'obbligo dell'iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione per i prodotti, come i cosiddetti «blog», che non costituiscono il frutto di un'organizzazione imprenditoriale del lavoro", ma un blog come questo ad esempio come andrebbe inteso?
Non sono pochi i blog come il mio che al loro interno hanno dei banner pubblicitari che consentono un seppur minimo introito; e le perplessità di molti riguardano appunto come debbano essere inquadrati questi.
In pratica la domanda è questa: è sufficiente qualche banner pubblicitario perché il blog sia considerato come "organizzazione imprenditoriale del lavoro"?