Era da un po' che volevo scrivere qualcosa sulla vicenda di Eluana Englaro (foto), ma ho sempre rimandato in quanto perfettamente conscio dei limiti insiti nel mezzo "blog" quando si tratta di affrontare queste tematiche. Perché la vicenda di Eluana è, nel bene e nel male, espressione di una serie di aspetti (vita, morte, bioetica, religione, libero arbitrio, accanimento terapeutico, ecc...) che non possono, neanche volendo, essere trattati esaustivamente nello spazio di un post. Tuttavia, come feci a suo tempo per la questione Welby, una mia idea in merito ce l'ho ed è giusto che la esprima. E questa idea è che sono (e sono sempre stato) perfettamente d'accordo col padre di Eluana nel rivendicare con giusta ostinazione il suo diritto a decidere della "vita" di sua figlia, e non solo in quanto agli effetti di legge suo unico tutore.
Perché ho messo la parola vita tra virgolette? Perché, come per quanto avvenne per Welby, lo stato in cui versa Eluana non si può definire vita, né tanto meno una sua parvenza. E non lo dico io, lo dice la sua storia, di cui vi riporto un estratto qui sotto:
Dimessa dalla rianimazione nell'aprile 1992, viene portata in un altro reparto dell'ospedale di Lecco, dove è sottoposta a una serie di stimoli, nella speranza di un sempre più improbabile "risveglio". Intanto il padre, consigliato dal primario del reparto di rianimazione Riccardo Massei, chiede un consulto a vari specialisti. Ma il verdetto è sempre lo stesso: bisogna aspettare. Il lavoro che stanno facendo all'ospedale di Sondrio - dove Eluana viene trasferita nel giugno 1992 - è ineccepibile. Poi la solita frase: "La speranza è l'ultima a morire". In realtà la speranza si riduce ben presto a zero. Infatti dopo dodici mesi è possibile fare una diagnosi definitiva e sicura di stato vegetativo permanente, ossia irreversibile. La regione superiore del cervello (corteccia), compromessa come nel caso di Eluana da un trauma oppure da un'emorragia, va incontro a una degenerazione definitiva. E con essa tutte le funzioni di cui è responsabile: dall'intelletto agli affetti, e più in generale alla coscienza. Il limite dei dodici mesi è dato per assodato a livello internazionale. Tanto che, passato quel periodo, la British Medical Association e la American Academy of Neurology sostengono la legittimità di sospendere nutrizione e idratazione artificiale. Ma non in Italia, dove la maggior parte dei medici non si azzarda ancora a dire chiaramente che tenere in vita più a lungo questi pazienti possa essere definito accanimento terapeutico. Ed ecco come vive ancora oggi Eluana: i suoi occhi si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non ti vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina. Una cannula dal naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l'intestino. Ogni due ore la girano nel letto. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto. Commenta Carlo Alberto Defanti, primario del reparto di neurologia dell'ospedale Niguarda di Milano, che ha visitato Eluana alcuni anni fa: "Malgrado non soffra direttamente per il suo stato, dovrebbe essere chiaro a tutti che la sua condizione è priva di dignità. Di lei rimane un corpo privo della capacità di provare qualsiasi esperienza, totalmente nelle mani del personale che la assiste. La sua condizione è penosa per coloro che la assistono e che hanno ormai perduto da tempo la speranza di un risveglio e per i suoi genitori, che hanno perso una figlia ma non possono elaborarne compiutamente il lutto". La macchina legale si mette in moto tra il '96 e il '97. Defanti, su richiesta del padre, stila una prognosi definitiva: "In considerazione del lunghissimo intervallo trascorso dall'evento traumatico, si può formulare una prognosi negativa quanto a un recupero della vita cognitiva". La corteccia cerebrale di Eluana è sconnessa dal resto del cervello. Per sempre. (fonte e articolo integrale qui)
Possono 17 anni trascorsi in questo stato essere definiti "vita"? A mio parere no, ecco perché condivido in pieno la sentenza della Cassazione di ieri che sostanzialmente dà il via libera all'interruzione delle cure e quindi a quella che molti continuano ostinatamente a definire vita: semplicemente perché non si può uccidere chi è già morto. Ed Eluana era già morta 17 anni fa, dopo che tutti i medici e i più accreditati specialisti internazionali avevano decretato lo stato vegetativo permanente e irreversibile.
Se c'è una cosa che a me personalmente dispiace - oltre alla vicenda stessa, naturalmente - è il fatto che il prolungarsi del tira e molla giuridico ha permesso a una moltitudine di soggetti senza alcun titolo di continuare a sputare sentenze che in realtà altro non erano che mere intrusioni di carattere esclusivamente ideologico. In definitiva, la decisione del padre la condivido perché è esattamente quanto vorrei che fosse fatto a me se mi trovassi nei panni della ragazza.
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Rispetto e condivido in pieno la battaglia del padre di Eluana. Io stessa non vorrei in alcun modo essere lasciata in quello stato per molti anni.
RispondiEliminaOgnuno deve poter essere libero di decidere della propria vita: sì al testamento biologico.
> sì al testamento biologico
RispondiEliminaIl problema è proprio questo, e cioè che il nostro paese non ha ancora una legislazione definitiva su questo delicato argomento (l'unica, per ora, è ricorrere a delle "scappatoie").
Questo, purtroppo, dà vita a lunghe ed estenuanti vicende, come quella che ha per protagonista Eluana, che potrebbero essere totalmente eliminate in presenza di una legge chiara ed efficace in materia.
Ma, come al solito, lorsignori hanno ben altro a cui pensare...