sabato 15 novembre 2008

Pil e recessione

L'Italia è in recessione. Questa parolina quasi magica, che da un certo periodo di tempo aleggia sulle nostre teste come una sorta di spada di Damocle e che ci ritroviamo costantemente sbattuta nelle pagine dei quotidiani, ha da oggi una prerogativa particolare: l'ufficialità. Non è più insomma una vaga ipotesi suscettibile di variazioni dell'ultima ora, ma è reale. E non so quanto possa essere di conforto il fatto che praticamente mezza Europa sia nelle nostre condizioni, compresa - sorpresa - per la prima volta la Germania, un paese la cui economia, se non sbaglio, ha sempre viaggiato un po' più della nostra. Insomma, il "mal comune mezzo gaudio" in questa circostanza mi pare un po' fuori luogo.

Siccome io di economia, come ho detto spesso, ci capisco il giusto, mi sono fatto un giretto in rete per vedere di preciso cosa si intende con recessione. Più che altro per soddisfare una mia curiosità.

Sulla Wikipedia, ad esempio, c'è questa definizione:

Temporaneo ristagno, rallentamento degli affari e dell'attività economica in genere, con effetti meno gravi e profondi di quelli derivanti da una vera e propria CRISI.

Insomma, la recessione non è ancora la crisi, e di questo ovviamente siamo felici. Scendendo, si spiega più in dettaglio che i sintomi classici sono tra gli altri la diminuzione della produzione, l'aumento della disoccupazione, il calo dei consumi e, a volte, il generalizzato aumento dei prezzi. Tutti fattori contro i quali mi pare che stiamo effettivamente sbattendo la testa. Ci sono poi i tecnicismi (da qui, forse, la "recessione tecnica"), quando, come nella fattispecie, la suddetta recessione è causata dal secondo trimestre consecutivo in cui il Pil è percentualmente e costantemente calato.

Sostanzialmente, quindi, la recessione potrebbe essere vista come un aumento della povertà. Il calo dei consumi del quale si lamentano tutti, infatti, sta a significare con pochi margini di dubbio che la gente ha meno soldi da spendere e quindi compra di meno. Comprando di meno le aziende sono costrette a produrre di meno, che significa licenziamenti o cassa integrazione. Licenziamenti significa meno gente che può spendere e quindi meno gente che acquista; insomma un circolo vizioso.

Se, dopo aver letto la mia analisi da due soldi, non vi state già scompisciando dalle risate, potete cominciare a ridere adesso, perché appresa la notizia di questa benedetta recessione ufficiale, il buon Napolitano (quello dei discorsi soporiferi di fine anno) cosa ha fatto? Se n'è uscito con una delle sue leggendarie dichiarazioni: "Si impongono politiche di rigore e anche di sacrifici". Non so voi, ma io una frase di questo genere la intendo come un modo elegante per dire: "Mo' sono cavoli vostri, preparatevi a tirare la cinghia."

Prendetela come impressione personale, ma trovo che non ci sia niente di più insopportabile e ipocrita di un rappresentante della categoria dei politici che parla di sacrifici. Non per qualche motivo particolare, ma perché buon senso e intelligenza vorrebbero che chi predica una cosa si comporti in modo da poter essere additato come esempio. E quale è l'esempio (o meglio gli esempi) che ci arrivano un giorno sì e l'altro pure dalla categoria a cui appartiene il buon Napolitano? Forse Questo? Come possono predicare a noi il rigore e i sacrifici (noi che i sacrifici li facciamo per davvero tutti i giorni) delle persone che con protervia e ostinazione continuano a non voler rimunciare a nessuno degli assurdi privilegi di cui godono (compresi quelli vergognosi di cui parlavo l'altro ieri)?

Non si chiede molto a questi signori, se non il pudore di stare almeno zitti.

2 commenti:

andynaz ha detto...

cioè, fatemi capire: 260.000 €uri per delle agendine?? spero che ne abbiano comprate almeno 260.000!!! oppure erano in pelle umana??

Andrea Sacchini ha detto...

> cioè, fatemi capire: 260.000 €uri per delle agendine??

Sì, hai capito bene.

Purtroppo.

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