Il decreto è stato firmato: il prossimo anno il (falso) canone Rai (in realtà 'tassa di possesso') passerà da 99,60 euro degli ultimi 3 anni a 104 euro. Vabbè, sono poco più di quattro euro, ma provate a molitiplicarli per il numero di quelli che lo pagano. "Era fermo da tre anni", sottolinea una nota del Ministero delle Comunicazioni, come a tentare di giustificare in qualche modo quello che non si può giustificare.
Proprio così: non si può giustificare. Chi paga una tassa lo fa per ottenere in cambio un servizio, un'utilità. Qual'è l'utilità di questa tassa? Che cosa finanzio io pagando il canone? Qual è il servizio che ricevo?
"La televisione è deficiente", disse una volta la signora Franca, moglie dell'ex Presidente della Repubblica Ciampi. Sbagliava, ma solo per incompletezza. Siamo infatti in balìa di una televisione che è sua volta in balìa del dio audience. Per lui si fa tutto. In suo nome ci vengono propinate le peggiori nefandezze, le peggiori atrocità, le peggiori miserie che albergano negli angoli più reconditi dell'animo umano. La televisione è stupida, volgare, abietta. I pochi programmi che ancora valgono qualcosa sono in via di estinzione o sono inseriti in orari impossibili (tanto non generano introiti).
La televisione è un supermarket, non esiste un suo fine che sia diverso da quello. La storiella del servizio pubblico è una balla; non è un servizio pubblico, è un servizio pubblicitario. Tutto quello che ci viene propinato ha l'unico fine di aumentare l'audience, perché questo automaticamente significa aumento di entrate. Non si spiegherebbe altrimenti l'invasione anche sulla tv pubblica di reality, pacchi, tv spazzatura, spiattellamento in piazza di sentimenti privati, falsi ricongiungimenti, storie stucchevoli (e stomachevoli) rigorosamente finte. Non si spiegherebbe la presenza di stragnocche-pseudo-opinioniste, che il più delle volte non sanno neanche parlare, in trasmissioni politiche dove alcuni privilegiati, eletti da noi, si danno appuntamento a giorni alterni per sputtanarsi in differita.
La televisione è un cancro, una metastasi che si insinua subdola e implacabile - fino a ucciderla - in ogni residua cellula di cultura, buon senso, valori. Le mamme indiziate di aver ucciso il figlioletto vengono elevate al rango di star, la testata omicida di Zidane - sotto gli occhi di tutto il mondo - è diventata videogame, canzoncina, filmato, fino a ricevere il meritato riconoscimento di essere inserita nello spot pubblicitario di una multinazionale dello yogurt. Il dio-pubblicità ci culla, ci ipnotizza, ci crea dei falsi bisogni, ci convince a comprare delle cose che se non fosse perché le abbiamo viste in tv non le vorremmo neanche si ci pagassero.
Che pena le false liti dei talk show, preparate preventivamente a tavolino e opportunamente interrotte dalla conduttrice di turno - falsamente scandalizzata - per far spazio alla pubblicità. Che pena sentire Totti e Gattuso - sull'onda dello sfruttamento della vittoria ai mondiali - dire "Life in now".
E se questa cosa è bene o male (più male che bene) accettabile su una tv commerciale (che per definizione deve "vendere", permettendosi quindi anche il lusso di fregarsene dei contenuti), non è più accettabile su una tv di stato alla quale paghiamo il famoso balzello (visto che oltretutto è anche aumentato).
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L'unica nota positiva è che, almeno a parole, in RAI hanno detto di tornare a dare più attenzione ai contenuti.
RispondiEliminaSarà vero? Io lo spero vivamente.
Sarà... ma io sono come S.Tommaso: se non vedo non credo. :)
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