domenica 20 dicembre 2020

Sul trattare i seguaci come stupidi

Sto leggendo un libro gustosissimo: Bomba atomica, di Roberto Mercadini, al quale dedicherò un post non appena l'avrò terminato. Mi sono imbattuto però in una parte che merita di essere menzionata a parte perché tratta tematiche estremamente attuali. Si parla del Mein Kampf, il libro scritto da Hitler che rappresenta un po' il manifesto della sua politica. In particolare, il passaggio relativo alla propaganda e al modo in cui un leader politico deve considerare i suoi seguaci. Non aggiungo nulla, mi limito a citare pari pari il brano in questione, dopodiché chiunque può liberamente elaborare analogie con l'attuale modo di fare politica e con alcuni (uno in particolare) politici di oggi. A me queste analogie sono venute spontanee. Ecco il brano in questione (il neretto è mio):

In generale colpiscono i brani in cui il libro [Mein Kampf, nda] parla della propaganda politica, perché hanno il sapore di una autodenuncia. Vengono raccomandati metodi a cui molti politici odierni sembrano attenersi scrupolosamente: per esempio, Hitler dice che, se si vuole vendere un sapone, non ci si può permettere di affermare che anche le saponette della concorrenza sono buone. Occorre dire che sono pessime, che impediscono una vera igiene, e che, anzi, insozzano la pelle. Così, nell'avversario politico non può, in nessun caso, essere riconosciuto alcun pregio, alcun merito, alcuna ragione. Lo scontro tra due parti politiche deve essere percepito dai cittadini come la battaglia tra il bene e il male, senza la minima possibilità di dialogo. Occorre suscitare gli umori della più forsennata tifoseria sportiva. Ogni colpa deve essere attribuita agli altri. A costo di dire il falso, di distorcere la realtà in modo imperdonabile. Lo scrive chiaramente: "La cosa più adatta sarebbe stata spostare incessantemente tutto il peso sulle spalle del nemico, anche se questo non corrispondeva al reale corso degli eventi, come se fosse così nonostante la realtà."

Che Hitler abbia la faccia tosta di confessare pubblicamente queste scorrettezze, mettendole addirittura nero su bianco nel suo libro, per me è semplicemente incredibile. Così come è incredibile riguardo ai propri seguaci: occorre trattarli come stupidi.
Scrive così: "La capacità recettiva delle masse è molto limitata e la loro comprensione è scarsa; d'altra parte, essi hanno una grande capacità di dimenticare. Premesso questo, tutta la propaganda efficace deve essere limitata a pochissimi punti che devono essere esposti sotto forma di slogan finché anche l'ultimo uomo sia in grado di comprendere ciò che ogni slogan significa."
Ci ritroviamo dispersi in una vasta oscurità di farneticazioni e di bassezze miserabili. Infine, a forza di vagare, in un'unica, solitaria, oasi di senso. È il punto in cui Hitler parla del parlare. Voglio dire del parlare in pubblico. Hitler ha tenuto discorsi davanti a folle di migliaia di persone, è stato in grado di piegare la mente di un popolo intero e di condurlo alla follia con la sua eloquenza. Quando si pronuncia sull'arte oratoria, occorre forse respingere il ribrezzo e mettersi in ascolto: "L'oratore riceve dal pubblico stesso a cui parla una costante correzione della sua conferenza. In quanto dal volto degli uditori si può sapere se e quanti di essi possano seguire quello che lui dice comprendendolo e se le sue parole facciano l'impressione che lui desidera."

Intendiamoci: nulla di nuovo. Qualsiasi attore e qualsiasi narratore sa che le cose stanno così. L'oratore "ascolta" sempre chi lo ascolta. Non può sapere cosa passa per la testa di coloro che ha davanti, se lo comprendono o se li sta convincendo; deve intuirlo dai loro sguardi, dai loro volti, dai brusii, dai silenzi, facendo la massima attenzione a tutto questo. Poiché, come scriveva Wittgenstein, "un processo interno ha bisogno di progetti esterni." Perciò ogni monologo è, in realtà, un dialogo con il pubblico. Un assolo sulla scena si fa sempre "insieme" a tutti coloro che sono in platea. Ma queste parole fanno impressione se è Hitler a scriverle. Persino lui ammette che l'oratore deve farsi "correggere" da chi ascolta. Dunque, Hitler si faceva correggere! Dalle stesse persone, tra l'altro, che descriveva come limitate e incapaci di comprensione. 
Queste parole sono un paradossale ma invulnerabile monumento al dialogo. Sanciscono in modo definitivo il primato della relazione. Non è davvero possibile raggiungere, nel bene e nel male, nessun tipo di obiettivo senza passare dalla strettoia di questa forma di umiltà e di attenzione all'altro. Resta una leggera inquietudine nel rendersi conto di essere circondati, spesso, in questo senso, da persone meno disposte al dialogo di Adolf Hitler.

3 commenti:

giorgio giorgi ha detto...

È una bella sintesi: trattare i seguaci come stupidi e farsi correggere dal loro sentire. Fantastico! Esattamente l'opposto dei politici che servirebbeto.

Andrea Sacchini ha detto...

I politici oggi, tranne poche eccezioni, inseguono in consenso, e questo fa sì che cambino idea ogni due ore su tutto, in una eterna contraddizione. Fiutano ciò che gli elettori vogliono e glielo danno.

leggerevolare ha detto...

purtroppo è così

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