martedì 30 settembre 2025

L'impossibile coppia


La copertina dell'ultimo Venerdì è stata l'equivalente di un pugno sul muso. Quando l'ho vista mi sono chiesto, allibito: cosa ci fa uno dei più grandi cantautori che abbiamo in Italia con un rapper? Quale imponderabile disegno cosmico ha fatto sì che un signore che ha scritto testi che sono letteratura, testi che sono inseriti nelle antologie scolastiche; un signore che scrive romanzi e che nelle sue canzoni ha citato Hemingway e Cervantes e Dante si trovasse al desco con un ragazzotto che scrive cose tipo: "Entro in casa mia arrampicandomi dal terrazzo, punto un lanciafiamme sulla mia famiglia e la ammazzo"? 

Possibile che il "guccio" sia definitivamente rincoglionito?

In realtà, no. Molto semplicemente, Fabri Fibra nel suo ultimo lavoro ha campionato la celeberrima L'avvelenata ed è andato a trovare Guccini a casa sua per fare due chiacchiere. L'avvelenata, per chi non ne fosse al corrente, è una delle canzoni più controverse di Guccini per il turpiloquio di cui è infarcita. Inserita nell'album Via Paolo Fabbri 43, pubblicato nel 1976 e inserito dalla rivista Rolling Stones al 29° posto tra i 100 migliori album italiani, fu scritta di getto in un impeto di rabbia e si potrebbe quasi definire una sorta di "dissing" ante litteram. La rabbia con cui Guccini la scrisse fu generata da certe critiche di Riccardo Bertoncelli, uno dei più noti critici musicali dell'ultimo trentennio del Novecento. A Guccini non è mai fregato nulla di ciò che scrivevano i critici musicali dei suoi dischi, ma quelle critiche oltrepassarono la mera recensione di un disco (Stanze di vita quotidiana) e andarono sul personale, e questo per il cantautore fu intollerabile. La sua risposta a Bertoncelli entrò ovviamente nel testo della canzone: "Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po' di milioni. Voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni. Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate".

Non credo sia casuale l'interesse del rapper per quel testo traboccante di termini ed espressioni che definire poco commendevoli è un eufemismo, perché ciò che 50 anni fa era un'eccezione che fece scandalo - quando uscì il disco L'unità titolò: "Guccini, da poeta a 'stabbiaro'" - oggi è la norma, specialmente in quel tipo di musica (musica, vabbe'...) di cui Fabri Fibra è esponente. C'è anche da aggiungere che il turpiloquio di Guccini era arte. Trovatemi oggi chi inserisca in un testo termini come "musico" o "teorete", anzi, trovatemi chi ne sappia anche solo il significato (i più probabilmente pensano che "musico" sia un errore di ortografia). Oggi esiste semplicemente un turpiloquio fine a se stesso, buttato lì per il solo fatto che è apprezzato in un paese come il nostro, precipitato negli ultimi decenni negli abissi dell'alfabetizzazione.

Comune, alla fine, più guardo l'immagine del cantautore e del rapper insieme, più mi prende quel qualcosa che è quasi tristezza.


PD e Cinquestelle

La breve riflessione di Massimo su quanto avvenuto nelle Marche la trovo condivisibile, al netto del fatto che, personalmente, a differenza sua non penso che nel partito di Conte sia tutto da buttare. Anzi. 

Allargando un po' il discorso, trovo che facciano sorridere i tanti che cascano dal pero chiedendosi: "Ma com'è possibile?" A questi vorrei far notare (1) che Acquaroli era comunque favorito nei sondaggi; (2) più in generale, col tasso di analfabetismo funzionale esistente nel nostro Paese questi governeranno altri vent'anni.

lunedì 29 settembre 2025

Franco Cardini

Me lo ricordo bene, Franco Cardini. Una volta scriveva sul Resto del Carlino, forse il maggior megafono del berlusconismo che l'Emilia-Romagna abbia mai avuto. Il Resto del Carlino è Il Giorno a Milano e La Nazione a Firenze. La famiglia è quella del Quotidiano Nazionale. Negli anni Novanta e Duemila ogni tanto lo leggevo, 'sto Carlino. Non perché mi piacesse - come sarebbe potuto piacermi un quotidiano che era (lo è ancora) la brutta copia di Libero con gli editoriali di apertura di Vespa? Lo leggevo perché era l'unico giornale presente nel bar dove ogni tanto facevo colazione, e anche perché, diamo a Cesare quel che è di Cesare, l'inserto con la cronaca regionale era fatto piuttosto bene. Insomma, se si voleva sapere con dovizia di particolari cosa accadeva a Rimini e provincia, col Carlino non si sbagliava.

Bene, su questo pregevolissimo quotidiano ogni tanto comparivano degli scritti di Franco Cardini, che non ho mai capito cosa c'entrasse con la brutta copia di Libero ma che tuttavia scriveva cose molto interessanti, che mi piacevano, pur non sapendo all'epoca neppure chi fosse (per anni l'ho pronunciato Càrdini, ho scoperto successivamente che la pronuncia corretta è Cardìni). 

Franco Cardini è uno dei maggiori storici che abbiamo in Italia e tutti questi cenni su di lui e sul Resto del Carlino mi sono tornati alla mente dopo essermi imbattuto in una bellissima lezione di storia che il professore ha tenuto pochi giorni fa alla festa del Fatto. La lezione è legata al tema trattato nel suo ultimo libro, in uscita in questi giorni, che si intitola (si tengano forte eventuali leghisti che dovessero passare di qui); Grazie Islam! Si tranquillizzino eventuali lettori del Foglio: non è un libro apologetico, è un libro storico che racconta i contributi che la cultura islamica ha trasmesso nei secoli addietro a quella occidentale, contributi molto ma molto maggiori di ciò che si potrebbe pensare alla luce della narrazione stereotipata che fanno dell'Islam i media nostrani. Ovviamente ho già prenotato il libro in questione in biblioteca.

Ma la lezione è interessante anche per motivi che esulano dalla maggiore o minore passione per la storia che può avere ognuno, e uno di questi è la simpatia dell'85enne professore, simpatia dovuta al suo particolare eloquio di matrice toscana, con le sue inflessioni, le sue c mangiate e quant'altro. A simpatia potrebbe pure dare dei punti a Barbero, che è tutto dire. Insomma, se i professori simpatici vi attirano e se siete interessati ad approfondire argomenti storici che la pedagogia nazionale tende a propinare sotto forma di stereotipi insulsi e fuori dal tempo, questa lezione è imprescindibile.

domenica 28 settembre 2025

Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera


L'unico rammarico è non aver letto questo saggio prima di aver letto i libri di cui parla. Vabbe', Delitto e castigo, Anna Karenina, Guerra e pace, Madame Bovary, Il conte di Montecristo, Orgoglio e pregiudizio, I promessi sposi e altri li ho letti anni fa, quindi questo splendido saggio è arrivato troppo tardi. Peccato, li avrei letti sotto un'altra luce e notando molte cose che a me sono sfuggite. 

Nulla mi vieta di rileggerli, naturalmente. L'autrice scrive di aver letto Anna Karenina sette volte e di avere intenzione di rileggerlo almeno altrettante, perché ogni volta ha qualcosa di nuovo. E d'altra parte pure io ho riletto libri che mi sono particolarmente piaciuti, come ad esempio It (non storcete il naso: a mio giudizio It può tranquillamente essere catalogato come classico).

Comunque sia, questo saggio è interessantissimo.

Nonno Bibi

È singolare, e anche rivelatore di un certo tipo di approccio, come stampa e giornali, nei loro titoli, lo definiscano spesso "Bibi". Così, un po' affettuosamente, come un nipotino chiamerebbe il nonno preferito a cui vuole molto bene. Bibi dice, Bibi fa, Bibi pensa. Ormai il meccanismo mentale e mediatico che ci presenta il maggiore criminale di guerra della storia contemporanea come uno di famiglia è interiorizzato nella psiche collettiva. 

Ovviamente nessun giornale si è ancora azzardato a definire l'altro criminale di guerra affettuosamente "Vladi". Perché il doppio standard non vale solo per i criminali di guerra, ma anche per i simpatici nonnini.

sabato 27 settembre 2025

Perché vogliono essere immortali

Quando agli inizi di settembre Putin e Xi Jinping si incontrarono, in occasione dell'ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, parlarono tra loro di immortalità, conversazione riservata che fu casualmente captata da un microfono rimasto acceso. In quel breve dialogo i due farneticavano di come nel prossimo futuro sarà possibile raggiungere l'immortalità attraverso il trapianto continuo di organi, una stupidaggine dal punto di vista biologico e non solo.

Casualmente, stamattina ascoltavo questa interessantissima lezione di Telmo Pievani, lezione in cui il grande scienziato ha elaborato alcune amare e tristi riflessioni sul quel dialogo, che ripropongo qui di seguito. Riflessioni a cui mi sembra non ci sia niente da aggiungere.


venerdì 26 settembre 2025

In Francia non ci sono giudici comunisti

Leggo della vicenda Sarkozy, il primo ex presidente di una repubblica francese a finire in carcere, e rimango stupito. Non per la vicenda in sé, comunque storica, ma perché non ho trovato tra le dichiarazioni di Sarkozy alcuna contumelia verso i giudici che l'hanno condannato: nessuna accusa di affiliazione al comunismo (Sarkozy è da sempre politicamente afferente al centrodestra), nessuna accusa di politicizzazione di una parte della magistratura, di sentenze a orologeria, di giudici che usano i loro pronunciamenti per fini politici e per distruggere gli avversari: nessuna stupidaggine del genere, niente di niente. Poi, ovvio, non è che l'ex presidente l'abbia presa benissimo, e vorrei vedere. Ha infatti definito la sentenza di una gravità inaudita per lo stato di diritto e per la fiducia nella giustizia, aggiungendo: "Se vogliono che io dorma in prigione, dormirò in prigione a testa alta." Finita lì. Perché?

Probabilmente perché là, a differenza con quanto accade da noi, sanno che certe linee non vanno valicate. La cultura politica francese e la qualità della loro democrazia sono molto più elevate delle nostre e Sarkozy, che ha criticato la sentenza, non chi l'ha pronunciata, sa benissimo che se avesse rivolto attacchi personali e insulti ai magistrati l'opinione pubblica non glielo avrebbe mai perdonato. Da noi i politici che insultano i giudici ricevono ovazioni dai loro elettori, in Francia quegli insulti sarebbero un boomerang. In Francia non ci sono giudici comunisti, ci sono solamente un senso collettivo delle istituzioni e una qualità della democrazia, quella democrazia che è figlia della rigida divisione dei poteri, molto più elevati dei nostri.

mercoledì 24 settembre 2025

Abbandoni


Arrivato a pagina 200 mi appello al terzo dei dieci diritti del lettore, enunciati da Pennac nel libro Come un romanzo, e abbandono Günter Grass. Il terzo diritto recita: "Si ha diritto di abbandonare un libro se non piace più". 

Devo dire che molto raramente, nella mia lunga carriera di lettore famelico, mi sono avvalso di questo diritto (di alcuni degli altri nove molto di più), ma è comunque successo ancora, in passato.

Una volta, anche se un libro non mi piaceva cercavo comunque di arrivare in fondo; da un po' di anni a questa parte ho cambiato approccio alla lettura e, più pragmaticamente, mi sono reso conto che la vita è troppo breve per continuare a leggere libri che non piacciono.

Discorsi

Tra l'enorme mole di sproloqui che ieri Trump ha dato in pasto all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e di riflesso a chiunque nel mondo abbia seguito un telegiornale, due giganteggiano sugli altri. Il primo è il suo inossidabile cavallo di battaglia del negazionismo climatico: "Il cambiamento climatico è la più grande truffa che c'è", rilanciando il pippone sul fatto che il futuro sta nel gas, nel petrolio e nel carbone, i tre elementi che ci stanno portando al disastro, e lanciando anatemi contro gli scienziati, stupidi, che non capiscono niente.

Il secondo è essersi preso il merito di aver chiuso sette guerre ("I have ended seven unendable wars"). Il tycoon, riguardo a questa sua mirabile opera pacificatoria, non capisce cosa si aspetti a dargli il Nobel per la pace. Nello specifico, le sette guerre che lui avrebbe chiuso sono: Cambogia-Tailandia, Israele-Iran, India-Pakistan, Congo-Ruanda, Egitto-Etiopia, Armenia-Azerbaigian, e Kosovo-Serbia.

Per smontare questa narrazione sono sufficienti 30 secondi di ricerca in internet, dove si scopre che i conflitti citati non sono tutti stati “chiusi” in senso stabile. Alcuni sono accordi temporanei o tregue fragili, non convenzioni definitive o pace duratura. Alcuni conflitti elencati da Trump non erano in uno stadio tale da poter dire che fossero “guerre” imminenti da risolvere, o non c’era consenso che fossero in fase di escalation da dominare con un accordo. 

Tra l'altro, i ruoli di mediazione attribuiti all’amministrazione Trump sono spesso contestati: alcuni leader locali minimizzano l’influenza statunitense, altri dicono che il contributo è stato marginale o che gli accordi fossero già in corso. Diciamo quindi che la formulazione "ho chiuso sette guerre" è imprecisa, fuorviante e per gran parte falsa.

Riguardo al Nobel, sarebbe interessante capire su quali basi il principale coautore del genocidio dei palestinesi ambisca a tale riconoscimento. Probabilmente ha senso solo nel mondo immaginario che si è costruito su misura per se stesso.

martedì 23 settembre 2025

Personaggi


Nella bolgia dantesca dei funerali di Charlie Kirk, si è ritagliato un suo spazio di visibilità tale Dan Beazly. Beazly è un fondamentalista cristiano che da alcuni anni gira per gli USA a piedi, recandosi nelle zone dove accadono tragedie e portandosi appresso una croce a rotelle, tipo trolley. Il signore in questione ha 64 anni e vive nel Michigan, e pare si sia fatto a piedi il tragitto dal Michigan all'Arizona per partecipare ai funerali. Durante la cerimonia ha camminato lentamente all'interno dello stadio portandosi appresso la sua croce-trolley alta quasi tre metri.

Beazley è un ex punk diventato sostenitore fanatico dell'ultradestra americana e si è dato come missione la guerra alla sinistra, invitando tutti i nazionalisti cristiani "a salire sull'Arca". Ogni volta che leggo storie come questa non posso non pensare a quanto, in fondo, sia a suo modo affascinante il mistero della psiche umana.

Alle radici del Sionismo estremista

La storia in generale è complessa, si sa. La storia del Sionismo e di come dai primi ebrei arrivati in Palestina alla fine dell'Ottocento si sia arrivati allo sterminio dei palestinesi in corso oggi, è forse ancora più complessa. I ragazzi di Nova Lectio, uno dei canali Youtube a mio avviso più interessanti in circolazione, hanno provato a condensare la storia del Sionismo in una ventina di minuti, e secondo me hanno fatto un ottimo lavoro.

lunedì 22 settembre 2025

Percezioni

Riporto questo post di Alessandro Gilioli che ho letto su Facebook. Gilioli è uno dei motivi per cui ancora rimango sulla piattaforma di Zuckerberg.

Qual era la percezione di Israele, fuori da Israele, prima dello sterminio in corso e qual è ora? Ma soprattutto quale era la percezione nel mondo degli ebrei (dopo duemila anni di discriminazioni e l'Olocausto) e quale è ora? Come può incidere, nella storia, nel futuro, questo radicale cambio di percezione? Ne verrà chiesto il conto a qualcuno? In buona sostanza, chi ha distrutto la stima di milioni di persone verso gli ebrei - il popolo che ha dato al mondo tra gli altri Spinoza, Freud, Arendt, Kafka, Benjamin, Roth, Bellow, etc etc etc?  
Personalmente a me interessa più questo - storicamente parlando - delle vetrine spaccate da quattro coglioni o infiltrati, ma sicuramente sbaglio.

Piante e fratture

La cosa che più mi ha sorpreso di questa splendida intervista, fatta qualche anno fa da Corrado Formigli a Stefano Mancuso, è che una frattura al femore si ricompone in tempi del 30-40 per cento più brevi in una casa piena di piante rispetto a una casa che ne è priva. 

Mi ha sorpreso perché questa estate mia mamma era caduta in bicicletta e si era fratturata il collo del femore. Qualche giorno dopo l'operazione era stata mandata a casa e aveva avuto tempi di guarigione talmente brevi da lasciare sorpresi sia la fisioterapista che la seguiva a domicilio, sia il chirurgo che l'aveva operata quando si era presentata per la visita di controllo. Casualmente, mia mamma ha la casa piena di piante di tutti i tipi.

Oddio, magari si è trattato di pura coincidenza e tra le due cose non c'era alcun nesso, ma dopo aver sentito Mancuso non ne sono così sicuro.

La scelta di Sara

Venerdì Sara ha chiuso tutti i suoi account social: Threads, Instagram e Facebook. Tiene attivo solo il suo blog e ogni giorno scrive un post con cui aggiorna i suoi lettori su come sta andando la "disintossicazione". Ho virgolettato il termine disintossicazione ma avrei pure potuto lasciarlo com'è, dal momento che una delle motivazioni addotte sta proprio nel suo considerarli ambienti ormai irrimediabilmente tossici.

Come ho già scritto altre volte, oltre a questo blog, che gestisco ormai da vent'anni, ho solamente un account su Facebook che mantengo attivo perché per alcune cose mi è utile. Tuttavia mi capita spesso di leggere di persone che per vari motivi (tra cui appunto la tossicità, qualunque cosa si intenda con questo termine) chiudono tutto e se ne vanno. Alcune le conosco anche di persona. 

Boh, non so. Forse sta lentamente prendendo piede la consapevolezza che effettivamente ormai il mondo della comunicazione digitale non è più uno strumento a nostra disposizione ma siamo noi a sua disposizione. Molti stanno forse scoprendo che i meccanismi con cui sono strutturati i social, i quali guadagnano in proporzione al tempo con cui riescono a tenere gli utenti incollati agli schermi degli smartphone, sono diventati eccessivamente pervasivi e si comincia a prendere coscienza di questa pervasività. Forse molti di quelli che prendono simili drastiche decisioni vogliono semplicemente riappropriarsi del proprio tempo, vogliono utilizzarlo in maniera più proficua.

Forse c'è anche altro. Anzi, sicuramente c'è anche altro.

sabato 20 settembre 2025

Trova il nemico

Quando Lucio Caracciolo dice che è irrealistico immaginare che la Russia voglia attaccare e invadere qualsivoglia paese europeo la replica è sempre quella: eh, ma Caracciolo è filoputiniano! Quando lo dice Orsini, idem. Quando lo dice Dario Fabbri, come sopra. Quando lo dice Cacciari, uguale. Quando lo dice Travaglio, uh, apriti cielo: lo sanno tutti che il Fatto è finanziato dai russi. E via di questo passo.

Adesso lo mettono nero su bianco i servizi segreti italiani con l'avallo degli ambienti militari: che la Russia voglia dare l'avvio a un attacco in grande stile a qualsiasi paese europeo non sta né in cielo né in terra. A questo punto, se seguissimo il ragionamento dei filo-bellicisti, dovremmo dire che anche i nostri servizi segreti e i nostri apparati militari sono al soldo del Cremlino. Ma probabilmente neppure loro se la sentono di spararla così grossa.

Nel frattempo di questa analisi non parla nessuno, a parte La Stampa, che ieri ha riportato la notizia in un trafiletto a pagina due, perché non sta bene rovinare la narrazione che i russi cattivoni vogliono conquistare l'Europa intera fino a Lisbona. Poi come si fa a intortare la gente con la necessità improcrastinabile di riarmarci e di quintuplicare le spese militari, se non esiste un nemico che ci minaccia? No, dico, non vorrete mica che qualcuno mangi la foglia?

venerdì 19 settembre 2025

Tra giustificare e comprendere

Piergiorgio Odifreddi è stato crocifisso a reti unificate (presidente del consiglio compresa) ed è da giorni al centro di un caso mediatico per aver detto da Parenzo che sparare a Martin Luther King e sparare a un rappresentante MAGA sono due cose diverse.

La frase, effettivamente, messa giù così non è proprio felice, ma se a Odifreddi fosse stata data la possibilità di terminare il suo ragionamento, invece di essere immediatamente interrotto e aggredito da un'orda di lupi ringhianti con la bava alla bocca, avrebbe spiegato il senso di ciò che intendeva dire, un senso che non c'entra niente col giustificazionismo. Invece no, ormai la frittata era fatta e nell'opinione pubblica è passato il messaggio che il matematico approvava l'omicidio di Kirk.

Successivamente Odifreddi è stato chiamato da Vespa per cercare di chiarire, con calma e a buriana ormai attenuata, il senso delle sue parole. E lui ci ha pure provato ricorrendo ad argomentazioni razionali, ma a fargli da contraltare c'erano Vespa, Bocchino e Gasparri, ed è facile capire che quando un povero matematico si trova ad argomentare razionalmente di fronte a un trust di cervelli di tale levatura è destinato irrimediabilmente a soccombere.

Superiorità


Quando la mattanza sarà finita, tutti i palestinesi saranno stati massacrati e i pochi superstiti deportati; quando su quella lunga distesa di cadaveri e macerie sorgerà la Dubai mediterranea con spiagge, piscine e stabilimenti balneari, voglio vedere chi, in Europa, avrà ancora il coraggio di dire che noi siamo una civiltà superiore perché abbiamo inventato i diritti umani, la democrazia, le varie convenzioni di Ginevra, l'ONU, il diritto internazionale umanitario.

Sono tutte maschere che noi usiamo quando ci fa comodo e che mettiamo ipocritamente da parte quando i carnefici siamo noi. Non abbiamo niente di superiore rispetto a nessuno. Non l'abbiamo mai avuto.

giovedì 18 settembre 2025

Smarcamenti


Dall'inizio del suo pontificato ha già incontrato Salvini, lo stesso Salvini che Bergoglio si è sempre rifiutato di ricevere, e il presidente israeliano Herzog, che papa Francesco non incontrò mai di persona.

Oggi Leone fa una dichiarazione che se riferita al 24 febbraio 2022 potrebbe essere etichettata come una verità di La Palice, se invece la contestualizziamo in una visione storica un po' più ampia e meno infantile fa ridere. 

Notare che, a proposito di Nato, papa Francesco la accusò di abbaiare alle porte della Russia, aggiungendo anche - forse la lezione più bella che ci ha lasciato - che non esistono imperi buoni e imperi cattivi, gli imperi fanno gli imperi, punto e basta, e se qualcuno gli avesse voluto spiegare come si fa a capire la differenza tra un impero buono e uno cattivo sarebbe stato il benvenuto.

C'è stato un momento, prima dell'elezione di Leone, in cui sembrava avere qualche chance il cardinale Zuppi, ma era troppo in gamba, quindi aveva già perso in partenza.

martedì 16 settembre 2025

Quel film di Redford

Non essendo particolarmente appassionato di cinema - se le mie passioni fossero un palazzo il cinema starebbe tra il seminterrato e il piano terra - non posso dire granché su Robert Redford. Con una certa sicurezza posso dire di aver visto due film con lui protagonista: La mia Africa e L'uomo che sussurrava ai cavalli. Il primo mi piacque molto, il secondo fu una grossa delusione.

L'uomo che sussurrava ai cavalli fu una delusione perché lo guardai invogliato dalla lettura del romanzo, che divorai credo in due giorni e che ancora oggi considero uno dei romanzi più belli che abbia mai letto. Credo sia stato in quel periodo che cominciai a imparare una delle lezioni fondamentali della vita: mai guardare le trasposizioni cinematografiche dei libri piaciuti.

Per carità, la bravura di Redford probabilmente non si discute, e io manco ho le competenze per discuterle, ma quella trasposizione cinematografica di uno dei capolavori di Nicholas Evans non mi piacque per niente. Era quasi irriconoscibile e delle sensazioni e dello spirito del libro non ci trovai niente.

Adesso che Redford se n'è andato tenterò di colmare qualcuna delle innumerevoli lacune che ho accumulato, e magari comincerò provando a riguardare L'uomo che sussurrava ai cavalli, ma credo sia molto più probabile che rileggerò il libro.

Disarmati

Guardavo poco fa le immagini che arrivano da Gaza in queste ore, e non so cosa dire, come commentare. Mi sento disarmato, impotente di fronte alla portata di ciò che sta facendo Israele. Con l'inizio dell'operazione di terra l'esercito israeliano sta mettendo in atto la soluzione finale per completare lo sterminio dei palestinesi. Lo so, la locuzione "soluzione finale" richiama un'altra grande tragedia del secolo scorso nella quale quelli che oggi sono i carnefici erano le vittime. È un'espressione troppo forte? Non credo, se si guardano le immagini dello sterminio in corso.

Ogni tanto penso a questa pagina della nostra storia, a come verrà riportata sui libri, e penso a tutti quelli che la studieranno e si chiederanno come è stato possibile che tutto ciò sia accaduto senza che nessuno abbia mosso un dito. E non trovo risposta. 

Matteo Saudino, in questo breve video, racconta sinteticamente ciò che sta succedendo accompagnando il tutto con alcune amare riflessioni.

Il problema


Ovviamente non è vero, si tratta solo dell'ennesima balla propinata dal felpato per turlupinare i poveri di spirito. Tutti i dati sulla diffusione della criminalità in Italia, infatti, certificano come ormai da anni siano costantemente in calo gli omicidi, le aggressioni, i furti, le rapine e i reati contro la proprietà, mentre sono in aumento i crimini digitali e le truffe online.

Tutto questo mentre da anni sono in aumento le persone straniere che arrivano nel nostro paese, sia regolari che irregolari (sul contrasto all'immigrazione irregolare questo governo ha vinto le elezioni, tra l'altro). In altre parole, aumentano le persone straniere e calano i reati legati alla criminalità. 

Il problema, quindi, non sono gli stranieri che delinquono, sono certi elementi politici che creano paura e nemici immaginari per raccattare due briciole di consenso.

lunedì 15 settembre 2025

Eastern Sentry

In risposta ai droni di cartone russi arrivati sulla Polonia qualche giorno fa, la Nato lancia l'operazione di difesa Eastern Sentry. Alle operazioni parteciperanno Danimarca, Francia, Regno Unito, Germania, ognuna delle quali fornirà attrezzature militari diverse: F-16, Rafale, Eurofighter. Ovviamente - è notizia di poco fa - anche l'Italia parteciperà mettendo a disposizione altri due caccia Eurofighter, perché quando c'è da contribuire a fare una stupidaggine noi ci siamo sempre, fino in fondo. Il tutto mentre Russia e Bielorussia lanciano la loro esercitazione congiunta Zapad 2025. 

Prima o poi succederà qualcosa di irreparabile, e quando la frittata sarà fatta li voglio vedere i titoli di Corriere e Repubblica, quelli della guerra sine die fino alla vittoria finale sulla Russia.

Ho letto molti libri sulla stupidità umana. Tra i tanti ne ricordo uno di Stefano Mancuso nel quale il grande scienziato paragona la nostra specie a un bambino. Dal punto di vista evolutivo Homo Sapiens (lasciamo stare le infinite ironie che si potrebbero fare sul nome che ci siamo affibbiati da soli) è una specie giovanissima: ha meno di 300.000 anni, che sulla scala evolutiva della vita sono tipo un battito di ciglia. Ma, pur essendo giovanissimi, l'evoluzione ci ha dotati di un cervello di dimensioni estremamente grandi, più grandi rispetto a quelle di ogni altro animale presente sul pianeta. Scriveva Mancuso che un cervello del genere dentro la capoccia di una specie così giovane è l'equivalente di un martello in mano a un bambino di due anni.

Lasciate libero di girare per casa un bambino di due anni con un martello in mano e tornate dopo mezza giornata per vedere cosa rimane della casa. Ecco, noi siamo nel mondo come quel bambino di due anni con in mano il martello. Poi, certo, abbiamo anche scritto la Divina commedia e scolpito la Pietà, ma allo stesso tempo abbiamo ormai distrutto il pianeta e siamo già dentro la sesta estinzione di massa, che a differenza delle precedenti è interamente provocata da noi.

Però siamo Homo Sapiens (e vogliamo sconfiggere la Russia).

Barbero

Ho ascoltato l'intervento integrale di Alessandro Barbero alla festa del Fatto e non ho trovato una virgola con cui non sia d'accordo. Fermo restando che le questioni Europa e riarmo sono estremamente complesse e difficilmente sviscerabili in un intervento di mezz'ora.

domenica 14 settembre 2025

Elogio dell'ignoranza e dell'errore



Spesso siamo terrorizzati dai nostri errori e dal fatto che gli altri possano accorgersene e giudicarci in modo negativo. Invece gli errori, piú di tutto, rendono gli uomini amabili, scriveva Goethe. La capacità di sbagliare con eleganza - e di ammetterlo quando è necessario o semplicemente giusto - è un fattore tanto controintuitivo quanto fondamentale del successo in qualsiasi attività. Ha detto Michael Jordan, una leggenda del basket: 'Nella mia carriera ho sbagliato piú di novemila tiri. Ho perso trecento partite. Per trentasei volte i miei compagni si sono affidati a me per il canestro decisivo e io l'ho sbagliato. Ho fallito tante e tante volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto'.

Un pensiero con cui familiarizzare è il seguente: ognuno di noi passa gran parte della sua vita a commettere errori e ad avere torto. Una fondamentale linea di demarcazione è fra quelli che ne sono consapevoli e quelli che non lo sono. Tutti noi prendiamo decisioni giuste e decisioni sbagliate. La vera differenza è fra coloro che sono disposti (e veloci) a riconoscere quelle sbagliate e a correggerle, e coloro che cercano di occultarle a sé stessi e agli altri, che cercano di convincere, sé stessi e gli altri, di avere ragione anche quando hanno torto. Quando si imbattono in eventi che mettono in crisi le loro credenze, sono piú inclini a manipolarli piuttosto che a interpretarli. Elaborano nuove spiegazioni oppure, semplicemente, ignorano l'evidenza.

Ma torniamo alla frase di Goethe. Cosa significa davvero che gli errori rendono l'uomo amabile? Il primo significato della frase, quello piú ovvio, è che gli errori ci umanizzano agli occhi degli altri esattamente come pretendere di avere sempre ragione ci rende piuttosto odiosi. Ma forse il significato piú profondo è che gli errori ci ren- dono amabili con noi stessi. Accettare l'idea che sbagliare non è una catastrofe ma un passaggio fondamentale dell'evoluzione. Una forma di ar- mistizio con noi stessi. Un modo per diventare persone migliori.

Alla fine questo libro l'ho letto in un pomeriggio. È una specie di breviario, si potrebbe dire. Un testo sulla fallacia e sull'umiltà. Soprattutto un saggio che prova a insegnare una cosa difficilissima e istintivamente controintuitiva: la capacità di mettere in dubbio le proprie convinzioni, anche (anzi, soprattutto) quando si è convinti della loro graniticità. Bellissima la citazione di Bertrand Russell secondo cui la categoricità è sempre sinonimo di mediocrità. È un libro istruttivo che credo sia utile sia nella vita reale che, specialmente, in quella che trascorriamo sui social.

In generale Carofiglio è un grande, sia che scriva saggi e sia che scriva romanzi.

sabato 13 settembre 2025

La morte del corsivo

Qualche tempo fa mi sono trovato a dover scrivere un biglietto di auguri. Niente di particolarmente complicato, una semplice frase col mio nome vergato in calce. Eppure ho avuto una grande difficoltà perché mi sono reso conto di non essere più capace di scrivere fluentemente in corsivo. Ho preso quindi un piccolo block notes e ho fatto alcune prove, una specie di brutta copia, se vogliamo, che è servita a certificare questa grossa difficoltà di cui ero solo vagamente a conoscenza. Non è che io non riesca più a scrivere in corsivo tout court, ma mi impunto, mi blocco di fronte a certe lettere e al modo di congiungerle, e questa cosa mi ha colpito molto.

In realtà, se ci si pensa, è normale che accada. Quando si abbandona un'attività, non si svolge più una funzione, col tempo subentra progressivamente la loro dimenticanza. Non vale solo per la scrittura in corsivo, ma anche per le lingue, ad esempio, o qualsiasi altra cosa. Ma tutto ciò non è di grossa consolazione perché si tratta sempre di qualcosa che si perde. Comunque, tornando al biglietto di auguri, alla fine mi sono arreso e l'ho scritto in stampatello, col quale ho ancora molta dimestichezza. 

Perché questo post sul corsivo? Perché in questi giorni sto leggendo un saggio di Nicola Gardini: Le dieci parole latine che raccontano il nostro mondo, una interessantissima analisi storica, letteraria ed etimologica dei dieci lemmi di origine latina che oggi utilizziamo più correntemente (ne consiglio la lettura a quelli che "ma a cosa serve il latino? È solo una perdita di tempo". No, non è una perdita di tempo; il latino serve a conoscere moltissime cose, tra cui le cose che diciamo, anche se quasi mai ce ne rendiamo conto. Perché, come scrive l'autore: "Non conoscere le parole ci porterà prima o poi a commettere gravi torti").

Nel capitolo riguardante la parola latina "stilus", che in origine significava palo, bastone, asta, e che poi nel corso dei secoli ha prodotto una molteplicità di significati (dalle verghe di olmo per frustate gli schiavi ai tagli che un incauto barbiere lasciava sul collo di un cliente; dal coltello al pungiglione all'antica penna con cui si scriveva fino ad arrivare allo stile - tipo "avere stile" - di oggi), leggo queste riflessioni:

Lo stilus è tra le invenzioni tecnologiche più fortunate di tutti i tempi. La mano che tiene l’asticciola è diventata un emblema dell’identità occidentale, l’incarnazione stessa della scrittura. Poi, però, è arrivata la stampa a farle concorrenza e a metà dell’Ottocento è nata un’altra rivale, la macchina da scrivere. Il braccio di ferro l’ha vinto l’ultima arrivata, la tastiera elettronica. Lo stilus, ovvero la penna, come lo chiamiamo ormai da molto tempo (pensiamo al sonetto di Cavalcanti in cui parlano le penne stesse), si tira fuori di rado, per un appunto estemporaneo, per una firma. Io stesso sto scrivendo queste parole con una tastiera, seppure di stili abbia pieni i cassetti e le tasche e sia felicissimo di tenerne uno tra le dita.
L’affermarsi della tastiera si è rivelato vantaggioso sotto vari aspetti: offre rapidità, permette facilità di diffusione, spinge alla socializzazione. Non esistono, però, solo vantaggi. Numerosi studi hanno dimostrato che la scrittura a mano sviluppa la memoria, organizza le informazioni in aree specializzate del cervello, stimola il pensiero astratto e la diversità. Lamenti e proteste contro il predominio della tastiera si levano ormai dall’Europa all’America alla Cina. In quest’ultimo paese, in particolare, la crescente sostituzione della penna con i tasti del computer, data la complessità dei caratteri non alfabetici, sta portando danni irreparabili alla memoria nazionale e alla coscienza intellettuale degli individui. Negli Stati Uniti e in Canada è partita una "campagna in favore del corsivo", che ha per fine il rilancio della penna nelle scuole primarie. Anche a Harvard si trovano professori che impongono che i loro studenti prendano appunti a mano, non con il computer (dovrei farne anch'io una regola a Oxford). 
In Italia esiste una Giornata nazionale della scrittura a mano, il 23 gennaio, che invita i frequentatori dei social a postare da qualche parte un campione della loro grafia; e l'Istituto Grafologico Internazionale Girolamo Moretti di Urbino si sta adoperando perché la scrittura a mano sia proclamata patrimonio dell'umanità dall'Unesco.
Ma perché tanto allarme? Se il messaggio che produco sul display significa pur sempre quello che avrei potuto esprimere con carta e penna, perché la tecnologia ci preoccupa?
Ecco una prima differenza cruciale tra scrittura a mano e digitalizzazione: il messaggio digitato non porta traccia di me. Potrebbe averlo composto chiunque. Non è una manifestazione evidente del mio corpo, il ricordo di una presenza agente. In un certo senso, non è autentico. Le lettere non le ho fatte io. Le ha fatte un impulso elettronico tramite un tasto che la pressione più casuale potrebbe attivare. Certo, il mio corpo ha pur sempre agito, ma chi può dirlo? Non io che ho composto il messaggio, non tu che adesso l'hai davanti agli occhi, e neppure un esperto grafologo. L'evento originario e originale è dissolto: quel muoversi consapevole del polso, quello stringere delle dita, quel premere perché la parola affondi nelle fibre della carta, quel marchiare la superficie con un'immagine di me, unica, inconfondibile, che io stesso non potrei mai ripetere identica. La scrittura manuale, infatti, è un'immagine di me adesso e qui; una trascrizione del mio esserci.

Ora, non so dire se la perdita di una funzione come la scrittura in corsivo abbia tali e gravi implicazioni, ma per tentare di recuperare un po' della fluidità persa sto pensando di ricominciare a farlo. Magari ogni tanto, nei ritagli di tempo. Prendo carta e penna e scrivo in corsivo, provo a riabituarmi. Anche per poter tornare a scrivere biglietti di auguri come si deve.

venerdì 12 settembre 2025

Il basso e il caschetto

Ogni tanto, gironzolando per la rete, si trovano chicche sorprendenti, come ad esempio Caterina Caselli che suona il basso jazz.




A beneficio di eventuali giovinetti che passassero di qui, Caterina Caselli, soprannominata ai suoi tempi Casco d'oro per la particolare capigliatura, era una cantante di musica leggera molto nota negli anni sessanta e settanta del secolo scorso. Pezzi come Nessuno mi può giudicare o Insieme a te non ci sto più e altri sono pietre miliari nella storia della musica italiana.

Quello che non sapevo è che, oltre a essere una pregevolissima cantante, la Caselli suonasse il basso elettrico. Il video qui sopra mostra, tra l'altro, come la sua non fosse una conoscenza superficiale dello strumento ma molto approfondita, e lo dico con cognizione di causa (da giovane ho suonato per alcuni anni il basso elettrico in una band).

Il pezzo che la Caselli accompagna non è affatto semplice da suonare. Si tratta del brano Nivram, pubblicato dai The Shadows nel 1961, ed è una sorta di swing permeato da venature jazz. Per accompagnarlo al basso, oltretutto un basso a sei corde (i bassi normalmente usati nella musica leggera sono a quattro corde), occorre avere grande dimestichezza con l'armonia e le scale e una buona conoscenza della teoria musicale. Non è un pezzo che si può suonare "a orecchio".

Quando vedo queste cose mi viene sempre da paragonare quella musica là (e quei musicisti là) con molti di quelli di oggi, e passo oltre.

Il karma di Kirk

Forse si può chiamare karma, dal momento che il nazionalista cristiano Charlie Kirk, colui che definì George Floyd "un pezzo di merda", è stato ucciso proprio da quelle armi che amava tanto. Per la verità non è che le amasse in senso stretto, semplicemente era da sempre favorevolissimo al loro utilizzo da parte di tutti e considerava i morti americani a causa delle armi da fuoco un prezzo accettabile per difendersi "da un governo tirannico". Avere una cittadinanza armata è il prezzo della libertà, diceva.

A supporto di questa sua idea esibiva il paragone con le automobili, dicendo che anche queste ultime causano 50.000 morti all'anno. Se si vietasse l'uso delle automobili si avrebbero quindi 50.000 morti in meno, è vero, ma si rinuncerebbe ai vantaggi della mobilità. Si è quindi stabilito che il prezzo dei morti da pagare è giustificato dai vantaggi che offre quest'ultima. Stesso discorso per le armi.

Magari chissà, se Kirk fosse sopravvissuto all'attentato può darsi che certe posizioni le avrebbe riviste.

giovedì 11 settembre 2025

Lives in the balance


Ascoltavo poco fa questo vecchio brano di Jackson Browne, tratto dall'omonimo album del 1986 (album splendido tra l'altro) in cui nel mirino del cantautore finisce l'America del secondo mandato Reagan, tra nuove povertà, nuove disuguaglianze, guerre. Un verso recita: "Un governo che mente alla propria gente e una nazione trascinata in guerra, dove ci sono ombre sulle facce di coloro che inviano le armi per guerre combattute nei luoghi dove ci sono interessi." 

E niente, guardo a che punto siamo oggi e penso che passano i lustri e i decenni ma l'essere umano è sempre drammaticamente uguale a se stesso. 

mercoledì 10 settembre 2025

Ritorni

Stavo pensando che tra una decina di giorni Francesca, la figlia "apolide", tornerà a casa. Poi, dopo un po', ripartirà di nuovo, ma intanto per un mesetto e mezzo sarà qui in giro e ci si vedrà spessissimo. Con i sistemi comunicativi di oggi, videochiamate ecc., in realtà è come se non se ne andasse mai veramente, ma un conto è una videochiamata, altro conto è cenare tutti insieme alla stessa tavola. Per quanto evoluta, nessuna tecnologia comunicativa sostituirà mai la presenza fisica.

Paolo Crepet diceva che i genitori prima di essere genitori devono essere istruttori di volo; mi sembra che noi da questo punto di vista, almeno con Francesca, siamo stati fin troppo istruttori di volo, dal momento che a casa ci starà sì e no un paio di mesi all'anno. Ma va bene così :-)

Cosa abbiamo perso

Nel presentare il nuovo numero di Limes che sta per uscire, Lucio Caracciolo fa un po' il punto riguardo alla situazione in Ucraina, spingendosi ad analisi e riflessioni molto interessanti sulla differenza tra come stanno le cose e come ce le raccontiamo, aggiungendo alcune considerazioni sul tramonto dell'impero americano.
Una lettura dei fatti sicuramente interessante e alternativa alle narrazioni di Corriere, Repubblica e compagnia bella a cui siamo abituati.

martedì 9 settembre 2025

Benni

Non so da quanti anni continuo a ripetermi: Devo assolutamente leggere qualcosa di Benni! Poi, per un motivo o per un altro, forse perché la vita è breve e i libri sono infiniti, ho sempre rimandato e così lui nel frattempo se n'è andato, e io sono ancora qua a ripetermi che devo assolutamente leggere qualcosa di Benni.

Cellulari proibiti a scuola

Ovviamente non so dire se la stretta sui cellulari a scuola, di cui si parla tanto in questi giorni, sia cosa buona o no. Per avere un'idea dovrei essere un insegnante, anche se mi sembra che pure tra questi ultimi le opinioni in merito divergano assai. Quello che so con certezza è che il problema ai miei tempi non esisteva perché non esisteva l'oggetto da cui nasce il problema: il cellulare.

Quindi cosa si faceva ai miei tempi nelle lunghe e spesso noiose ore di lezione? Come si ingannava il tempo? Beh, se la materia era interessante si seguiva la lezione, e a me sia alle medie che alle superiori alcune materie interessavano, altrimenti si faceva altro: chiacchiere coi compagni vicini cercando di non farsi beccare, magari un po' di Settimana Enigmistica sotto banco. Io ero appassionato di musica e, in previsione di lezioni noiose, mettevo nello zaino il libro con testi e accordi delle canzoni dell'epoca. Lo aprivo ogni tanto di nascosto cercando di memorizzare gli accordi per poi suonarli con la chitarra, una volta tornato a casa, senza bisogno ogni volta di leggerli sullo spartito.

A volte, anche se la materia era noiosa, era il professore a fare la differenza. Ricordo che in seconda superiore ci capitò un insegnante di matematica e scienze fenomenale: empatico, spiritoso, carismatico, coinvolgente. Sapeva come "conquistare" una classe. Se a distanza di quarant'anni da allora quel professore mi è rimasto nella memoria vuol dire che ci sapeva fare. D'altra parte lo diceva già Platone che se vuoi aprire la mente dei ragazzi devi prima aprirgli il cuore.

Cosa c'entra tutto ciò coi cellulari? Niente, sono partito da lì e poi ho preso la tangente. Banalmente, posso azzardare l'ipotesi che se lo studente consegna il cellulare all'entrata e lo ritira all'uscita, magari sarà obbligato a impiegare il tempo che prima impiegava a spippolare sul device seguendo la lezione, o magari facendo la Settimana Enigmistica, attività comunque sempre più proficua dello smanettamento allo smartphone.

lunedì 8 settembre 2025

Il n. 1

Riguardo alla sconfitta di ieri Repubblica titola: "Sinner, quando può tornare numero 1 del mondo. Perché l'attesa potrebbe essere lunga."

C'è qualche problema se per un periodo più o meno breve Sinner non sarà il più forte del mondo? Il numero 1? Secondo me no. Il problema, forse, ci sarebbe se fosse sempre lui il n. 1. Sai che palle? Nello sport, e in genere nella vita, non si può essere sempre numeri uno, ogni tanto bisogna cedere lo scettro. Poi, magari, dopo un periodo da n. 2 o n. 3 si può tornare n. 1. Ma intanto c'è stata un'alternanza, che significa maggiore interesse, maggiore dinamismo, più variabili in gioco.

Purtroppo da queste parti siamo nati e cresciuti nella cultura dell'illimitato e della crescita infinita. Basta guardare l'economia: se un giorno il PIL non cresce, e magari - Dio non voglia! - cala, panico! Che Sinner appartenga alla razza umana e che quindi è naturale che non possa essere il n. 1 vita natural durante, a tanti proprio non va giù. Cioè, non è solo che non va giù, è che non ci arrivano proprio a livello concettuale. E quindi sbattono i piedini, tipo i bambini quando fanno i capricci.

Succede


Succede che a Venezia vince alcuni premi il film The voice of Hind Rajab, diretto dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania. Il lungometraggio racconta la tragedia della bambina palestinese di sei anni rimasta intrappolata in una macchina e uccisa senza pietà dai soldati israeliani.

Succede che quelli del Foglio, forse il giornale più filo-sionista che abbiamo in Italia, letto peraltro da quattro gatti, commenta la notizia nel modo che vedete qui sopra (per i forti di stomaco l'"articolo" è qui). Chiaro il sotteso del pezzo, no? Morire non è tutta questa tragedia, se si deve poi vivere subendo le regole di certe culture.

Naturalmente il pezzo in questione non poteva non sollevare una certa dose di indignazione anche tra i lettori del giornale, i quali lettori evidentemente cascano dal pero, dal momento che il Foglio è da sempre questa roba qua, fin dai tempi di Giuliano Ferrara. È il giornale su cui scrivono quelli come Camillo Langone, l'integralista cattolico che intima ai padri di non mandare le figlie all'università ma di tenerle in casa a fare figli per risolvere il problema della denatalità (a Langone ho dedicato parecchi post nel corso degli anni, oggi sono pentito di aver sprecato così il mio tempo).

Ecco, nel nostro paese abbiamo giornali gestiti da disadattati su cui scrivono evidentemente altrettanti disadattati. Giornali che campano grazie ai contributi elargiti dallo Stato (altrimenti ciao) ma che qualcuno, inspiegabilmente, compra.

domenica 7 settembre 2025

Fine pena: ora



Questo libro, che racconta una storia vera, parla del rapporto epistolare durato 26 anni tra un ergastolano e il giudice che gli ha comminato la pena. 

Nel 1985, a Torino, si svolge un maxi-processo contro la mafia catanese. Tra i condannati all’ergastolo c'è Salvatore, ventottenne, con il quale il presidente della Corte d’Assise, l'autore del libro, instaura un rapporto basato sul reciproco rispetto e una sorta di fiducia. 

Tutto nasce il giorno dopo la sentenza, quando il giudice, d'impulso, invia una lettera in carcere a Salvatore con allegato un libro. Gliela invia ripensando ai due anni di processo che hanno condotto alla sentenza. In particolare, una frase di Salvatore non è più riuscito a dimenticare: "Se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia."

Da lì nasce appunto una fitta corrispondenza tra i due fatta di migliaia di lettere che si protrarrà per più di cinque lustri. Salvatore racconta al suo giudice la vita in carcere, le gioie e le frustrazioni derivanti dal suo impegno per tentare di redimersi attraverso le attività previste dalle varie strutture penitenziarie in cui viene di volta in volta trasferito: teatro, lavoro, corsi professionali, studi. Il giudice risponde puntualmente commentando i progressi di Salvatore e proponendogli le sue riflessioni.

È un testo amaro, dolorante, che riflette e fa riflettere sul rapporto tra chi infligge una punizione e chi la subisce, sul senso della pena e della giustizia. Il tutto partendo dal presupposto che la persona che commette un crimine, col passare del tempo non è più la stessa persona e che "il carcere è pena per gesti che non andavano compiuti: ma la persona non è mai tutta in un gesto che compie, buono o cattivo che sia."

La parte finale del libro, esaurita la vicenda in sé, contiene le interessantissime riflessioni del giudice sull'opportunità di continuare a mantenere l'istituto dell'ergastolo. È un testo che fa riflettere sulla complessità di un problema come quello della giustizia, della pena, della sofferenza. Perché il carcere non è solo un luogo in cui rinchiudere i delinquenti per poi buttare via la chiave, come frettolosamente e stupidamente strillano certi sciacalli travestiti da politici, ma è anche un luogo di sofferenza, di cambiamento, di emancipazione umana. È l'emblema di una realtà estremamente complessa, e come tale andrebbe trattata.

True Detective

Tra un libro e l'altro amo guardare qualche serie tv, in particolar modo quelle americane, interessanti perché generalmente raccontano un'America fuori dalla realtà. In generale detesto la televisione, ma qualche film o qualche serie tv scaricati da internet ogni tanto me li concedo. 

Le serie tv sono interessanti anche perché consentono di scoprire canzoni sconosciute, utilizzate spesso come sigla o inserite all'interno degli episodi per sottolineare e accompagnare la drammaticità di particolari passaggi.

Una di queste serie, la cui prima stagione mi è piaciuta tantissimo, è True Detective, un poliziesco/noir di una decina di anni fa ambientato in Louisiana, che ha per protagonisti una coppia di detective che devono affiancare all'attività investigativa la lotta contro i propri demoni. Uno dei due, Rustin Spencer "Rust" Cohle, mi ha affascinato fin dalle prime scene. Cioè, se una serie tv si inventa come protagonista un detective colto, oscuro, a tratti "gotico", lievemente misantropo, nichilista, pessimista, che discetta di spazio-tempo e filosofa su Nietzsche, quel detective diventa subito il mio mito :-)



Per quanto riguarda le canzoni che accompagnano la serie, due in particolare mi sono piaciute molto. Una è stata utilizzata come sigla ed è Far from any road (titolo che rappresenta come meglio non si potrebbe lo spirito della serie). È un pezzo dei The Handsome Family, gruppo alternativo country formatosi a Chicago negli anni Novanta. Anche le sonorità evocative e "oscure" di questo pezzo riflettono al meglio lo spirito della serie.




L'altra canzone degna di nota è invece Lungs, del cantautore statunitense Townes Van Zandt, artista chiuso, schivo, malinconico, che non ha mai raggiunto alte vette di popolarità ma che ha scritto pezzi notevoli sempre in stile country. 




Vabbe', vado a vedere cosa combinano "Rust" e il suo socio nella seconda stagione :-)

venerdì 5 settembre 2025

Carature diverse

Qualche giorno fa papa Leone ha incontrato Salvini. Ieri ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog. Papa Francesco durante il suo pontificato si è sempre rifiutato di incontrare Salvini e non ha mai incontrato Herzog. 
Le carature dei personaggi pubblici vengono definite anche dai gesti e l'eloquenza dei gesti in certi casi è superiore a quella delle parole.

giovedì 4 settembre 2025

Perché moriamo


Tra le tante cose che mi ha lasciato questo splendido saggio, una primeggia sulle altre: la presa di coscienza di quanto è fragile la vita. Intendo la vita strettamente biologica: i miliardi e miliardi di processi a tutti i livelli che avvengono nel nostro organismo e che ci permettono di vivere e di fare le cose che facciamo ogni giorno. 

Sembra una banalità. Grosso modo tutti, a livello più o meno astratto, sappiamo che la vita è fragile, ma un conto è saperlo in astratto, un altro è comprenderlo in profondità. Questo libro permette di comprenderlo in profondità. 

A tratti l'ho trovato difficile, specie dove l'autore, premio Nobel per la chimica nel 2009, descrive alcuni dei processi che avvengono a livello cellulare mentre viviamo (alcune di queste parti le ho saltate), ma per il resto si tratta di un saggio interessantissimo e illuminante.

Molto semplicemente (si fa per dire), l'autore analizza le ragioni biologiche per cui tutti noi invecchiamo e moriamo, spingendosi poi a interrogarsi sull'eventualità e le conseguenze di prolungare indefinitamente la vita tramite la scienza. Mi ha colpito, in particolare, venire a conoscenza delle risorse, miliardi di dollari solo negli USA, che vengono da anni investite in ricerche per prolungare la vita il più possibile.

Fino a un secolo fa la durata media della vita era 40-45 anni, oggi è quasi raddoppiata, cosa impedisce di arrivare in un futuro non troppo lontano a 120? Naturalmente l'autore non si limita alla biologia, ma si profonde in interessantissime riflessioni etiche, morali, psicologiche e sociali relativamente alle conseguenze di un allungamento indefinito della durata della vita. Senza dimenticare le implicazioni medico/sanitarie che ne deriverebbero, tra le quali la più importante è già sotto gli occhi tutti: l'aumento esponenziale delle malattie neurodegenerative, Alzheimer in primis (un capitolo intero del libro è dedicato a questa malattia). Nel 2020 i malati di Alzheimer a livello globale erano circa 50 milioni, si stima che nel 2050 saranno tre volte tanto. 

Umberto Galimberti diceva, un po' provocatoriamente, che i progressi medici e scientifici più che portare a un allungamento della vita hanno portato a un allungamento della vecchiaia, e in parte è difficile dargli torto.

Comunque sia, è un libro che consiglio caldamente. L'ho trovato illuminante.

mercoledì 3 settembre 2025

Lutto?

Chi ha abbastanza anni sul groppone da aver vissuto la infausta stagione del berlusconismo non può non aver conosciuto l'epopea di Emilio Fede, al quale va riconosciuta la coerenza di essere stato un servo e non averlo mai negato. Quello che mi auguro è che i titolisti delle prime pagine di oggi evitino di scrivere cose come "Lutto nel mondo del giornalismo", perché il giornalismo con Fede non c'entrava niente, o almeno col Fede dal 1994 in poi.

martedì 2 settembre 2025

52

Oggi sono 52 anni che John Ronald Reuel Tolkien se n'è andato. Mio genero Andrea (qui la sua pagina Facebook e qui la sua pagina Instagram), pittore, illustratore, disegnatore e grande amante del celeberrimo scrittore britannico, l'ha celebrato a modo suo :-)

Stomaci forti

Riguardo alla questione della casa editrice filo-fascista alla manifestazione Più libri Più liberi, non so bene cosa pensare. Da un lato la...