La copertina dell'ultimo Venerdì è stata l'equivalente di un pugno sul muso. Quando l'ho vista mi sono chiesto, allibito: cosa ci fa uno dei più grandi cantautori che abbiamo in Italia con un rapper? Quale imponderabile disegno cosmico ha fatto sì che un signore che ha scritto testi che sono letteratura, testi che sono inseriti nelle antologie scolastiche; un signore che scrive romanzi e che nelle sue canzoni ha citato Hemingway e Cervantes e Dante si trovasse al desco con un ragazzotto che scrive cose tipo: "Entro in casa mia arrampicandomi dal terrazzo, punto un lanciafiamme sulla mia famiglia e la ammazzo"?
Possibile che il "guccio" sia definitivamente rincoglionito?
In realtà, no. Molto semplicemente, Fabri Fibra nel suo ultimo lavoro ha campionato la celeberrima L'avvelenata ed è andato a trovare Guccini a casa sua per fare due chiacchiere. L'avvelenata, per chi non ne fosse al corrente, è una delle canzoni più controverse di Guccini per il turpiloquio di cui è infarcita. Inserita nell'album Via Paolo Fabbri 43, pubblicato nel 1976 e inserito dalla rivista Rolling Stones al 29° posto tra i 100 migliori album italiani, fu scritta di getto in un impeto di rabbia e si potrebbe quasi definire una sorta di "dissing" ante litteram. La rabbia con cui Guccini la scrisse fu generata da certe critiche di Riccardo Bertoncelli, uno dei più noti critici musicali dell'ultimo trentennio del Novecento. A Guccini non è mai fregato nulla di ciò che scrivevano i critici musicali dei suoi dischi, ma quelle critiche oltrepassarono la mera recensione di un disco (Stanze di vita quotidiana) e andarono sul personale, e questo per il cantautore fu intollerabile. La sua risposta a Bertoncelli entrò ovviamente nel testo della canzone: "Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po' di milioni. Voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni. Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate".
Non credo sia casuale l'interesse del rapper per quel testo traboccante di termini ed espressioni che definire poco commendevoli è un eufemismo, perché ciò che 50 anni fa era un'eccezione che fece scandalo - quando uscì il disco L'unità titolò: "Guccini, da poeta a 'stabbiaro'" - oggi è la norma, specialmente in quel tipo di musica (musica, vabbe'...) di cui Fabri Fibra è esponente. C'è anche da aggiungere che il turpiloquio di Guccini era arte. Trovatemi oggi chi inserisca in un testo termini come "musico" o "teorete", anzi, trovatemi chi ne sappia anche solo il significato (i più probabilmente pensano che "musico" sia un errore di ortografia). Oggi esiste semplicemente un turpiloquio fine a se stesso, buttato lì per il solo fatto che è apprezzato in un paese come il nostro, precipitato negli ultimi decenni negli abissi dell'alfabetizzazione.
Comune, alla fine, più guardo l'immagine del cantautore e del rapper insieme, più mi prende quel qualcosa che è quasi tristezza.












