L'inferno di Lesbo e noi
C'è un campo profughi sull'isola di Lesbo, Grecia, attrezzato per ospitare 3.500 persone, che attualmente ne ospita quasi 20.000, ed è facile immaginare cosa ciò comporti. È il passaggio obbligato per le ondate migratorie che cercano di arrivare in Europa tramite la rotta balcanica e quest'isola greca è tristemente nota per l'elevato tasso di suicidi giovanili. Ci sono bambini e ragazzi che, sfiancati dalla lunga permanenza al freddo e agli stenti, si gettano dai muri, dagli alberi, oppure provano a spaccarsi la testa contro le pietre che si trovano in terra, come testimoniano i pediatri di Medici senza frontiere che lì in quell'inferno fanno ciò che possono. Il campo si chiama Moria, nome che non potrebbe essere più appropriato. A complicare ulteriormente le cose ci si è messo anche Erdogan, che in questi giorni ha aperto le frontiere e il confine tra la Grecia e la Turchia è preso d'assalto dalla moltitudine di profughi siriani che fuggono dalla recrudescenza della guerra civile in Siria.
Di questo dramma qua da noi arriva poco o niente, presi come siamo dal coronavirus e dalle incazzature generalizzate relative alla sospensione di alcune partite del campionato di calcio. E la cosa, in fondo, ha una sua ratio, almeno a livello psicologico. È noto infatti che le persone sono istintivamente portate a relazionarsi emotivamente in misura maggiore con ciò che accade nelle immediate vicinanze, meccanismo psicologico in virtù del quale se siamo colpiti da un lutto familiare ci disperiamo e ne portiamo gli strascichi per lungo tempo, se se ne va il nostro vicino di casa ci dispiace ma domani o al massimo dopodomani è tutto passato, se ogni minuto nel mondo muoiono venti bambini di stenti, peccato, ma in fondo la cosa non ci riguarda.
Però, forse, qualche riflessione sul tipo di mondo che abbiamo costruito sarà il caso di cominciare a farla. Se in questo benedetto pianeta siamo oggi più di sette miliardi - i demografi prevedono che nel 2050 arriveremo a dieci - e noi occidentali, che siamo poco meno di un miliardo, per tenere questo tenore di vita utilizziamo l'80% delle risorse della terra, lasciando agli altri sei miliardi e mezzo il 20%, c'è qualcosa che non va, o no? E vogliamo andare avanti così, fregandocene di ciò che succede fuori dal nostro orticello e pensando che i sei miliardi di persone lasciate fuori a spartirsi le nostre briciole se ne staranno lì buone? Ciò che non riusciamo a capire, io credo, è che siamo arrivati a un livello di squilibrio planetario che non è più possibile ignorare. La storia del mondo, e anche la fisica, insegnano che un sistema eccessivamente squilibrato non può durare in eterno, prima o poi si riequilibra, e se non cominciamo a darci da fare noi per rimetterlo un po' in riga, prima o poi lo farà da sé, e quando lo farà da sé saranno dolori. Non credo che ci sarà permesso ancora per molto ignorare milioni e milioni di persone che premono alle frontiere degli USA e dell'Europa dalle parti più povere del pianeta. Più in generale, non possiamo più permetterci di ignorare che ciò che sta succedendo impatterà sulle nostre vite.
C'è una soluzione? Sì, e gran parte degli economisti e degli scienziati l'hanno individuata: noi occidentali dovremo giocoforza decrescere, non ci sono storie. Il problema è che di questa cosa non vogliamo assolutamente sentire parlare, perché nessuno vuole abbassare il proprio tasso di benessere. Nessuno vuole abbassare gli "standard", anche se questi standard sono responsabili della catastrofe verso cui ci stiamo avviando. Troppo pessimista? Magari sì, anzi un po' ci spero. Ma i dati ci mettono davanti una realtà che è da stupidi fingere di ignorare. E che noi, stupidamente, continuiamo a ignorare.
Di questo dramma qua da noi arriva poco o niente, presi come siamo dal coronavirus e dalle incazzature generalizzate relative alla sospensione di alcune partite del campionato di calcio. E la cosa, in fondo, ha una sua ratio, almeno a livello psicologico. È noto infatti che le persone sono istintivamente portate a relazionarsi emotivamente in misura maggiore con ciò che accade nelle immediate vicinanze, meccanismo psicologico in virtù del quale se siamo colpiti da un lutto familiare ci disperiamo e ne portiamo gli strascichi per lungo tempo, se se ne va il nostro vicino di casa ci dispiace ma domani o al massimo dopodomani è tutto passato, se ogni minuto nel mondo muoiono venti bambini di stenti, peccato, ma in fondo la cosa non ci riguarda.
Però, forse, qualche riflessione sul tipo di mondo che abbiamo costruito sarà il caso di cominciare a farla. Se in questo benedetto pianeta siamo oggi più di sette miliardi - i demografi prevedono che nel 2050 arriveremo a dieci - e noi occidentali, che siamo poco meno di un miliardo, per tenere questo tenore di vita utilizziamo l'80% delle risorse della terra, lasciando agli altri sei miliardi e mezzo il 20%, c'è qualcosa che non va, o no? E vogliamo andare avanti così, fregandocene di ciò che succede fuori dal nostro orticello e pensando che i sei miliardi di persone lasciate fuori a spartirsi le nostre briciole se ne staranno lì buone? Ciò che non riusciamo a capire, io credo, è che siamo arrivati a un livello di squilibrio planetario che non è più possibile ignorare. La storia del mondo, e anche la fisica, insegnano che un sistema eccessivamente squilibrato non può durare in eterno, prima o poi si riequilibra, e se non cominciamo a darci da fare noi per rimetterlo un po' in riga, prima o poi lo farà da sé, e quando lo farà da sé saranno dolori. Non credo che ci sarà permesso ancora per molto ignorare milioni e milioni di persone che premono alle frontiere degli USA e dell'Europa dalle parti più povere del pianeta. Più in generale, non possiamo più permetterci di ignorare che ciò che sta succedendo impatterà sulle nostre vite.
C'è una soluzione? Sì, e gran parte degli economisti e degli scienziati l'hanno individuata: noi occidentali dovremo giocoforza decrescere, non ci sono storie. Il problema è che di questa cosa non vogliamo assolutamente sentire parlare, perché nessuno vuole abbassare il proprio tasso di benessere. Nessuno vuole abbassare gli "standard", anche se questi standard sono responsabili della catastrofe verso cui ci stiamo avviando. Troppo pessimista? Magari sì, anzi un po' ci spero. Ma i dati ci mettono davanti una realtà che è da stupidi fingere di ignorare. E che noi, stupidamente, continuiamo a ignorare.
Commenti
I siriani sono veri profughi e dovrebbero essere accolti come si deve, ma perchè deve farlo solo l'Europa?
Moz-
Indicare i siriani come veri profughi non capisco bene cosa significhi. L'umanità si sposta da un posto all'altro in cerca di condizioni di vita migliori, e nella storia umana questo è sempre accaduto.
Per quanto riguarda il "perché deve farlo solo l'Europa?", il motivo è semplice: assieme a Stati Uniti e Canada è il posto migliore del mondo e quello più a portata di mano per questioni geografiche. Difficile che milioni di persone che si spostano a piedi o con mezzi di fortuna dalla Siria o da altre parti del Medioriente si dirigano verso gli USA.
Moz-
Beh, "aiutare" la decrescita dell'Europa importrando/deportando decine di milioni di alloctoni!? (In Europa ci sono gia' 70M di non europei).
Geniale!
Come quei tordi che propogono di combattere il debito facendo ... piu' debito.
Tempi orribili, cupi, per la ragione, questi.