La fine del Conte (di Montecristo)
Mi ci sono voluti una ventina di giorni per terminarlo, ma poco fa ho finalmente girato l'ultima pagina. L'avverbio finalmente non tragga in inganno il lettore; non ha infatti valenza di sollievo, ma nasce dalla constatazione che, pur trattandosi di un romanzo che avvince, non finisce mai. È come guardare un film di quindici ore. Il film è bello, accattivante, coinvolgente, ma quindici ore sono quindici ore, e devo ammettere che più d'una volta, durante la lettura, ho avuto la tentazione di lasciarlo momentaneamente da parte per leggere qualcos'altro e poi magari riprenderlo successivamente. Alla fine, invece, l'ho letto tutto in una volta. D'altra parte è un romanzo d'appendice, e fu pubblicato in diciotto puntate dal 1844 al 1846 - la stesura completa consta di 1540 pagine.
Come si può recensire un romanzo del genere? Difficile, l'unica cosa che si può fare è leggerlo. È sicuramente un romanzo in cui l'uomo (il "cuore dell'uomo", come lo definisce Edmond Dantès) viene sviscerato in tutte le sue sfaccettature: odio, dolore, amore, rabbia, gioia, disillusione, fede, entusiasmo, frustrazione, desiderio di vendetta, ma, alla fine, quello che maggiormente permea tutto il romanzo è proprio quest'ultimo: il desiderio di vendetta, desiderio che Edmond Dantès, alias conte di Montecristo, trasformerà da desiderio in realtà, vendicandosi astutamente e diabolicamente di tutti quelli che, complottando contro di lui, gli tolsero l'amore, il futuro e annullarono con un'azione abietta e meschina tutti i suoi sogni e progetti.
Tuttavia non è un romanzo che fa della vendetta apologia acritica. E questo concetto viene ribadito, tra gli altri, in questo bellissimo passo: "Montecristo impallidì a quello spaventoso spettacolo, comprese di aver oltrepassato i limiti della vendetta, comprese che non poteva più dire: 'Dio è per me e con me'." Non so dire se Alexandre Dumas abbia voluto dare una valenza pedagogica in chiave anti-vendetta al romanzo, tenderei a escluderlo, pur avendone avuto l'impressione, ma è fuor di dubbio che una stigmatizzazione dell'eccedere nell'occhio per occhio e dente per dente ci sia. O almeno così a me è parso.
Chiudo questo breve post con una citazione sulla felicità presa dall'ultima lettera scritta da Edmond Dantès a Maximilien e Valentine: "Non vi sono né felicità né infelicità assolute a questo mondo, vi è soltanto un paragone tra una condizione e l'altra, ecco tutto".
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