Non so se gli ultimi avvenimenti di questi giorni sono riusciti a dare un quadro preciso di come siamo messi in Italia. Non amo - e non è mai corretto - generalizzare, lo sapete, ma di fronte a certi "traguardi" (se così si possono chiamare) diventa difficile non farlo. Lo so, bisogna sempre distinguere, valutare singolarmente, selezionare, anche perché qui il discorso non è più circoscrivibile all'interno di una fumosa e tutto sommato non ben definita "questione morale".
Qui si tratta di un mare di marcio che pare non avere fine; è come se fosse stata scoperchiata una gigantesca pentola a pressione che di punto in bianco ha cominciato a vomitare tutto il putridume che contiene. Non c'entra più chi ruba di più o chi ruba di meno - ridicole a tal proposito le puntualizzazioni della prima ora di alcuni esponenti del centrosinistra -, ma si tratta di un sistema solido, acquisito, super partes, naturale ormai; un sistema che tende a emarginare chi non ne vuole far parte. Prova ne è il fatto che Antonio Di Pietro, il leader dell'unico partito che (almeno finora) ha qualche diritto di rinfacciare la famosa questione morale agli altri, viene visto come la peste, come una scheggia impazzita all'interno del "sistema". Un sistema in cui non si salvano né destra, né sinistra, né istituzioni, né àmbiti, niente.
Un sistema che si appresta a essere reso inattaccabile dalla già annunciata riforma della giustizia, riforma che permetterà di rimuovere gli ultimi paletti che ancora sono di ostacolo alla totale sottomissione della magistratura alla politica.
Auguri.
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