domenica 11 marzo 2018

Tortura



Più che un saggio storico, si tratta di un viaggio nel tunnel dell'orrore, e devo confessare di aver tralasciato le descrizioni delle parti più cruente per mancanza di stomaco. Dettagli grandguignoleschi a parte, il libro ha il merito di affrontare in maniera esaustiva, forse fin troppo, un argomento che la storiografia ufficiale ha generalmente sempre trattato con maldisposizione se non direttamente scansato, e cioè l'utilizzo della tortura in Italia durante la dittatura nazifascista.

Il periodo preso in esame dal libro va dall'armistizio del settembre 1943 all'aprile del 1945. In questi venti mesi il ricorso alla tortura da parte degli occupanti tedeschi e dei loro sodali fascisti diventa sistematico, metodico, fondamentale, una vera e propria tecnica di guerra messa in atto per riuscire a estorcere informazioni con cui disarticolare e neutralizzare la lotta partigiana. Venti mesi in cui caserme, stazioni di polizia, carceri, fattorie, conventi vengono requisiti dai nazisti e trasformati in immense ed efficientissime fabbriche di tortura e di morte.

In questi edifici del dolore sono passati nei venti mesi presi in esame migliaia di uomini e donne, spesso anche ragazzini. Non occorreva essere dichiaratamente appartenenti al CNL o a qualsiasi formazione partigiana per cadere nelle grinfie dei carnefici fascisti, era sufficiente un'ipotesi, un sospetto, una soffiata, fosse pure basata sull'incertezza. I metodi con cui sono state seviziate e uccise - molti morivano per la brutalità dei sistemi usati, molti altri preferivano uccidersi, vedendo in questo gesto un sollievo e una liberazione - travalicavano abbondantemente il disumano, e il sadismo ne diventava spesso l'ingrediente fondamentale.

È un libro che non tralascia niente, neppure di menzionare come il ricorso alla tortura fu purtroppo utilizzato anche da chi stava dalla parte giusta, un aspetto questo sempre volutamente ignorato o nascosto, utilizzato, quando utilizzato, in maniera impropria e/o decontestualizzato per aumentarne artificiosamente e strumentalmente la portata. Anche per questo motivo alcune doverose precisazioni e differenze l'autore le evidenzia, la più importante delle quali è quella quantitativa.

Gli episodi di tortura perpetrata dai nazifascisti, infatti, documenti alla mano sono infinitamente più numerosi rispetto a quelli perpetrati dai resistenti, e questo in quanto per gli occupanti tedeschi la tortura era istituzionalizzata, era appunto una normale tecnica di guerra, tollerata se non apertamente incoraggiata dalle gerarchie militari naziste e fasciste, laddove, invece, tutti i codici di condotta militare adottati da ogni organizzazione partigiana la proibivano espressamente, punendo duramente - a volte si arrivava fino alla fucilazione - chi ne facesse ricorso.

È un saggio storico che lascia rabbia e amarezza in chi legge, specialmente pensando che sono bastati così pochi decenni per dimenticare quella tragedia, dimenticanza che ha inevitabilmente aperto la via ai rigurgiti fascisti di cui sono oggi infarcite le cronache. Un libro che dovrebbero leggere tutti quelli che "Ah ma lui ha fatto anche cose buone..."

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