mercoledì 20 agosto 2008

In quanti modi si può leggere una sentenza?

L'8 agosto scorso è morto Antonio Gava, leader storico della DC e sette volte Ministro della Repubblica. In vita, oltre all'intensa attività politica, ha avuto anche qualche noia con la giustizia, come si legge ad esempio in questo articolo del Corriere di cui riporto alcuni stralci:
Antonio Gava ha dovuto affrontare un processo lungo 13 anni - con l' accusa di associazione di stampo mafioso basata anche sulle dichiarazioni dei pentiti Pasquale Galasso e Carmine Alfieri - che si è concluso nel 2006 con un' assoluzione irrevocabile in appello dopo la mancata impugnazione da parte della procura generale. E proprio su quel processo - per il quale l' ex ministro aveva chiesto allo Stato 38 milioni di euro di risarcimento - ora si concentrano i commenti politici.
[...]
Di più ha fatto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: «Ho conosciuto Antonio Gava durante la sua attività di governo. È stato ministro capace, determinato, integerrimo. La sua morte non cancella il torto che ha subito: ricordo il calvario giudiziario di 13 anni che ne hanno minato la salute anche se si è concluso con la piena assoluzione da un' accusa infamante ed infondata».

I commenti - naturalmente solidali - apparsi su stampa e tv sono più o meno tutti di questo tenore. In tutti si menzionano i guai giudiziari e il fatto che da questi ne sia uscito completamente pulito, come effettivamente si deduce dalla sentenza.

L'unico articolo un po' controcorrente in proposito l'ha pubblicato Marco Travaglio su L'Unità e sul suo blog. Nel suo scritto il giornalista mette qualche puntino sulle "i" riguardo alla vicenda giudiziaria Gava, evidenziando come non basti fermarsi al verdetto, ma per capire qualcosa di più occorra andare a leggersi anche le motivazioni della sentenza. Dall'articolo di Travaglio:
Ora, prima che lo scomparso Padre della Patria venga beatificato, con strade e piazze intestate a suo nome, è forse il caso di ricordare un paio di dettagli, tratti dalle sentenze che tutti citano e che nessuno ha letto. Il primo processo a Gava, per ricettazione, portò alla sua condanna a 5 anni in primo grado, poi ridotti a 2 in appello (la Cassazione derubricò il reato in corruzione e fece scattare la prescrizione: dunque era colpevole di tangenti, ma la fece franca). Il secondo, quello per concorso esterno in associazione camorristica in seguito alle accuse dei boss pentiti Galasso e Alfieri, si chiuse con una assoluzione definitiva e un risarcimento per ingiusta detenzione. Ma basta leggerla per comprendere che il processo fu doveroso, l’accusa si basava su fatti concreti e documentati: «Ritiene la Corte ­ - scrivono i giudici di Napoli - che risulti provato con certezza che il Gava era consapevole dei rapporti di reciprocità funzionali esistenti tra i politici locali della sua corrente e l'organizzazione camorristica dell’Alfieri, nonché della contaminazione tra criminalità organizzata e istituzioni locali del territorio campano; è provato che lo stesso non ha svolto alcun incisivo e concreto intervento per combattere o porre un freno a tale situazione, finendo invece con il godere dei benefici elettorali da essa derivanti alla sua corrente politica: ma tale consapevole condotta dell'imputato, pur apparendo biasimevole sotto il profilo politico e morale, tanto più se si tiene conto dei poteri e doveri specifici del predetto nel periodo in cui ricoprì l'incarico di ministro degli Interni, non può di per sé ritenersi idonea ed affermarne la responsabilità penale».
Apriti cielo! L'articolo dell'irriverente giornalista non poteva passare inosservato. Ecco infatti, qualche giorno dopo, il principale organo ufficiale del Pdl, Il Giornale, uscirsene con questo bell'articolo dal titolo "Per Di Pietro e Travaglio le sentenze sgradite non hanno alcun valore". Un articolo tutto volto a screditare e a non dare peso alle motivazioni e al testo completo della sentenza limitandosi al verdetto nudo e crudo. Ecco un breve stralcio:
Parrebbe strano, quasi contro natura, che sia Bibì sia Bibò [Travaglio e Di Pietro, ndr], sempre a ripetere che le sentenze sono sentenze, che dura lex sed lex, che chi non prende rispettosamente atto del verdetto di un Tribunale compromette la dignità, l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, facciano carta straccia della sentenza Gava. Ma il negazionista non si ferma neanche davanti alla propria coscienza e gli viene spontaneo, naturale, affermare che l’assoluzione per non aver commesso il fatto non conta. Non fa testo. Fanno testo, invece, le motivazioni di quella sentenza che è sì di assoluzione, ma nei fatti di condanna.
Ora, la domanda che mi pongo è: è sufficiente fermarsi al verdetto nudo e crudo o è necessario, per capire bene come stanno le cose, approfondire un pochino? Per me la risposta è scontata, per qualcun altro evidentemente no. Senza poi considerare che non mi pare che Travaglio abbia fatto nel suo articolo "carta straccia" della sentenza Gava. Se si legge bene il suo scritto, infatti, ha correttamente menzionato il verdetto di assoluzione limitandosi ad aggiungere a questo uno stralcio del testo della sentenza per maggiore completezza. Cosa c'entra tirare in ballo il "negazionismo"? Ha forse omesso di dire che la sentenza è stata di assoluzione? Non mi pare.

Se Il Giornale vuole cercare i negazionisti non deve fare molta fatica: è sufficiente che linki tutti gli articoli dei media in cui è riportato solamente il verdetto, articoli che di fatto negano la possibilità di sapere come stanno esattamente le cose (questo, forse, è il vero negazionismo). Quando i media riportano a nove colonne una sentenza di assoluzione senza approfondire non rendono giustizia alla completezza di informazione a cui sono (dovrebbero essere) chiamati.

Travaglio, nel suo piccolo, ha solamente fatto quello che, in grande, avrebbero dovuto fare i vari Corriere, Repubblica e compagnia bella: dire le cose come stanno. Documenti (qui) alla mano. Non si tratta di esprimere giudizi sulla colpevolezza o meno dell'imputato (non è compito dei giornalisti: per quello c'è già la magistratura), ma solamente fornire al pubblico tutti gli elementi in modo che ognuno possa valutare il tutto da sé e farsi una propria idea.

Cosa che in un regime di stampa libera dovrebbe essere naturale e scontata.

2 commenti:

andynaz ha detto...

farsi una propria idea???? ma sei matto???? in una dittatura come la nostra questo non può essere tollerante!!!

Andrea Sacchini ha detto...

Beh, dai, non esagerare, non siamo ancora in una dittatura. Perlomeno finché possiamo scrivere quello che ci pare su un blog...

(durerà?)

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