venerdì 29 agosto 2008

Alitalia: una scommessa vinta?

Pare di sì, almeno leggendo quanto riportano con toni trionfalistici Il Giornale e molti altri media. In sostanza sembra essersi finalmente materializzata la famosa cordata, nell'ultimo periodo da molti definita "fantasma", che dovrebbe farsi carico del baraccone Alitalia, il quale - nessuno lo dice più - continua a perdere un milione di euro al giorno.

Ora, io non sono un esperto di questioni economiche e tento quindi di analizzare un po' il tutto basandomi su quello che leggo in giro. In base a questo si nota subito, com'è ormai tendenza italiota consolidata, che i media vicini al premier (ricordo che la soluzione della questione Alitalia era uno dei punti di governo della sua campagna elettorale) gridano al miracolo, mentre i (pochi) superstiti che stanno ancora sull'altra sponda parlano senza mezzi termini di truffa (a questo proposito cito questo editoriale di alcuni giorni fa di Scalfari).

Come al solito, per riuscire un po' a capirci qualcosa occorre lasciare da parte la componente politica e analizzare i fatti, e per fare questo occorre inevitabilmente tornare un po' indietro nel tempo, vedere le condizioni che proponeva a marzo AirFrance per acquisire Alitalia e confrontarle con l'accordo raggiunto oggi.

Scriveva il Corriere il 28 marzo scorso:
Air France-Klm ha inviato nella notte la proposta di accordo quadro ai sindacati. La bozza conferma il numero di 2.100 esuberi: 1.500 per Alitalia, 100 tra i dipendenti all'estero, e 500 tra le attività di Az Servizi di cui è prevista la reinternalizzazione: perimetro che viene ampliato per comprendere un numero maggiore di dipendenti. In programma anche un forte piano di accompagnamento sociale: il gruppo francese «ha scelto come linea di condotta di non abbandonare nessun dipendente»
[...]
Il gruppo Air France-Klm intende acquisire Alitalia Fly e 4.191 dipendenti attualmente in capo ad Alitalia Servizi. La proposta di accordo prevede la creazione di due nuove società (NewCo), una per lo handling a cui farebbero capo 1.881 dipendenti e una seconda per la manutenzione dove confluirebbero 2.310 addetti. Tra i 4.191 dipendenti di Alitalia Servizi che verrebbero «reinternalizzati» ci sarebbero anche i 500 dipendenti considerati in esubero. Confermate invece le intenzioni del gtruppo franco-olandese di chiudere il settore cargo Alitalia nel 2010: nel frattempo gli aeroplani verrebbero ridotti da 5 a 3 MD11. Le novità in termini numerici sono i circa 900 dipendenti in più di Alitalia Servizi a cui sarà consentito di rientrare nella società Fly. In un primo momento Spinetta aveva parlato di 3.300 persone al lordo degli esuberi, ora il numero salirebbe a 4.191.
In sostanza il piano AirFrance presentato a marzo prevedeva grosso modo 2.000 esuberi, mentre metà degli altri 4.000 dipendenti circa sarebbero stati riassorbiti entro cinque anni nella nuova compagnia. Ma l'aspetto più interessante (per noi) è che AirFrance fece capire senza mezzi termini che per i 2.000 esuberi ci sarebbe stato il licenziamento tout court, ma in cambio la società si sarebbe accollata il carrozzone Alitalia compresi i debiti. Debiti, tra l'altro, come tutti ben sanno, tutt'altro che di poco conto. Scriveva La Voce all'epoca:
L’offerta di Air France può apparire indigesta, confezionata in modo abbastanza puntiglioso e ultimativo da far ribollire l’orgoglio nazionale. Eppure, le condizioni in cui Alitalia è stata ridotta da una politica (nazionale non meno che locale) cieca e rapace, da sindacati rissosi e corporativi, da un management inetto e cedevole alle richieste di tutti sono tali da dover far prevalere la vergogna nazionale sull’orgoglio. Se oggi i margini di trattativa sono ridotti quasi a zero è perché Alitalia ha accumulato oltre 1,7 miliardi di debiti finanziari, continua a perdere centinaia di milioni di euro l’anno (da dieci anni, non da ieri) insieme a quote del mercato nazionale, internazionale e intercontinentale, ha una flotta tra le più diversificate e vecchie d’Europa e ha deteriorato gran parte del suo brand name.
Il piano, ricorderete, venne fortemente osteggiato da Berlusconi, Fini e sindacati tutti, tanto che AirFrance scappò alla fine a gambe levate e Spinetta dichiarò che per salvare Alitalia restava solo l'esorcista. Da lì partì in quarta l'attuale premier, allora ancora all'opposizione, con la famosa cordata di imprenditori italiani tra i quali avrebbe potuto esserci lui stesso assieme magari ai suoi figli:
«Anche io - aggiunge - sarei disponibile ad un sacrificio, ma mi accuserebbero subito di avere un interesse. Potrei partecipare alla pari degli altri, ed anche i miei figli credo che non direbbero di no» (fonte)
Poi, come ormai ci ha da tempo abituato, sui figli fece marcia indietro, mentre la presunta cordata tanto strombazzata (si sa, era in campagna elettorale) fece sapere di non saperne un bel niente.

Arriviamo così a oggi, con la trattativa finalmente chiusa - pare - che dovrebbe salvare capre e cavoli, come si dice: dovrebbe cioè permettere alla nostra compagnia di bandiera di restare in mani italiane e nel contempo evitarne il fallimento. Vediamo un po' di capire di cosa si tratta.

Il piano Fenice (questo il nome di tutta l'operazione), in sostanza, prevede la scissione di Alitalia in due distinte realtà: la good company e la bad company. La prima sarebbe la parte sana e produttiva di Alitalia: i voli, parte della flotta e del personale, mentre la seconda la parte "marcia", per così dire, e cioè gli esuberi e tutti i debiti pregressi. La cordata dei 16 imprenditori si prenderà la parte sana, mentre la bad company resterà - udite udite - sulle spalle del Ministero del Tesoro, cioè sui contribuenti, cioè noi.

In pratica, una sorta di privatizzazione degli utili e pubblicizzazione delle perdite, come è da tempo nella migliore tradizione italiana. Cioè, per dirla terra terra: a loro la polpa a noi l'osso, come faceva chiaramente intendere ieri Massimo Giannini su Repubblica:
Quella scelta su Alitalia non è una soluzione. È solo un imbroglio, come ha scritto Eugenio Scalfari, che finirà per penalizzare tutti: i dipendenti, gli utenti e i risparmiatori. Lo dicono i numeri, nudi e crudi, non la trita demagogia anti-berlusconiana. Secondo il piano Air France, il salvataggio di Alitalia sarebbe passato attraverso la difesa dell'unitarietà del gruppo, del suo marchio e dei suoi asset (a parte il cargo). Gli esuberi diretti sarebbero stati 2.150, la flotta si sarebbe ridotta da 174 a 137 aerei, ma con un evidente rafforzamento delle grandi destinazioni e delle rotte a medio e lungo raggio (24 destinazioni nazionali, 45 internazionali e 14 intercontinentali). Si sarebbe potenziato Fiumicino come grande hub tra Europa e Mediterraneo, e si sarebbe incentivata la "riorganizzazione di Malpensa come importante gateway" del Nord Italia. Air France avrebbe investito 850 milioni di euro entro il 2010, e soprattutto, per comprare Alitalia, avrebbe messo sul piatto 1,7 miliardi di euro, tra la doppia Opa su azioni e obbligazioni (a tutela quindi di tutti i risparmiatori) e il successivo aumento di capitale.

Questo è il lucro cessante, imputabile al veto berlusconiano ai francesi. Ma c'è un danno emergente, che si può ugualmente imputare al premier in virtù della geniale "Fenice" che ha cavalcato insieme all'advisor. Con il nuovo piano, il gruppo viene scisso in "best" e "bad" company: un controsenso industriale rispetto a quello che vanno facendo i grandi vettori mondiali, che contano proprio sulla dimensione e sull'integrazione per reggere la competizione globale, e un corto circuito gestionale perché sarà difficile stabilire quali sono gli asset buoni e quali quelli cattivi senza impoverire drasticamente l'assetto del gruppo.

Le rotte internazionali vengono ridimensionate, e si salvano solo quelle a breve-medio raggio. E soprattutto si eliminano gli "hub", con il seguente, felice paradosso: non si riqualifica Malpensa (tra lo scorno e il disdoro di Formigoni e Moratti) e per di più si squalifica Fiumicino (con l'ira funesta di Alemanno e Zingaretti).

Gli esuberi diventano 6 mila, e non si capisce dove andranno a finire, se non in qualche carrozzone del parastato. E poi il capolavoro finale: i sedici "capitani coraggiosi", tutti "partner naturali" del governo obbligati a versare l'obolo per Berlusconi come l'oro per Mussolini, sganciano due soldi (in qualche caso magari finanziati dallo stesso circuito bancario che ha organizzato il salvataggio) lucrando in cambio prebende di vario genere, legate ai loro core business, dalle concessioni pubbliche autostradali (vedi Benetton e Gavio) alle commesse pubbliche infrastrutturali (vedi Ligresti, Tronchetti, Caltagirone).
Critiche al piano Fenice, giova ricordarlo, non arrivano solo dall'opposizione, ma anche dalla Lega, che, come scrive il Sole24Ore in questo articolo, non vede di buon occhio eventuali ulteriori esborsi per la compagnia e l'ipotesi di assorbimento degli esuberi Alitalia nella Pubblica Amministrazione (ipotesi che comunque aveva già avuto l'altolà di Brunetta).

Fin qui i fatti, che, pur nella loro complessità e moltitudine di sfaccettature (tenete conto, come ho detto all'inizio, che io non sono un esperto di economia), ho cercato di esporre nella maniera più chiara possibile. A questo punto non resta che aspettare e vedere come evolverà la cosa. Vedere cioè se è vero, come dice Berlusconi, che la missione è compiuta e, soprattutto, quanto verrà a costare a noi contribuenti il compimento di questa missione.

Sulle capre non mi esprimo, ma, così, a occhio, mi pare che - come prima impressione - i cavoli saranno sicuramente i nostri.

3 commenti:

Sbronzo di Riace ha detto...

la missione è compiuta e tutti quelli che lo criticano sono dei comunisti :-)

anche se sembra lui il comunista questa volta

Andrea Sacchini ha detto...

> e tutti quelli che lo criticano sono dei comunisti :-)

Sì, lo so, è una storia vecchia: se critichi il cavaliere vieni automaticamente bollato come sinistroide, comunista, grillino, ecc...

Probabilmente quando criticavo altrettanto ferocemente tantissime delle cose fatte (e non fatte) dall'esecutivo precedente, mi sarò preso del fascista.

Vabbè, non è che mi freghi più di tanto, ci ho fatto il callo...

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

La querela

Luciano Canfora querelato da Giorgia Meloni. Un gigante del pensiero e un intellettuale dalla cultura sconfinata, conosciuto in ...