L'impressione principale che ho avuto durante tutta la lettura di questo libro è che la decrescita è pura utopia e non si realizzerà mai volontariamente per presa di coscienza dell'uomo, ma si attuerà semplicemente per cause di forza maggiore, perché la nostra way of life su questo pianeta non è più sostenibile. Ma cos'è la decrescita? Cosa si intende con questo sostantivo?
Non si tratta, come in genere si pensa, di una semplice e costante diminuzione o flessione del PIL, oggi il valore unico che abbiamo eletto a parametto universale del benessere e del prestigio di una società. Si tratta di ritornare a un livello di vita materiale compatibile con la riproduzione degli ecosistemi in cui si vive. In sostanza non si sta parlando di una rigorosa, inflessibile e talebana diminuzione della ricchezza (cioè del PIL), che non avrebbe senso, ma di una crescita della ricchezza senza un aumento dei prelievi di risorse non rinnovabili.
E non è semplice per niente farlo, per il fatto che nasciamo e viviamo (e moriamo) in una società che ha come imperativo la crescita. Ma non la crescita intelligente e ponderata intesa come mezzo per vivere, ma crescita fine a se stessa che trova il suo ambiente naturale nella civiltà dell'illimitato, che è la nostra. Basta guardare qualsiasi telegiornale: se il PIL non cresce si va nel panico, c'è allarme, quasi isteria. E ci si dimentica che non può esistere una crescita infinita in un pianeta finito.
Un altro punto interessante approfondito da Latouche è lo sfatamento del luogo comune secondo cui una crescita del PIL è sinonimo di maggiore felicità e maggiore benessere, mentre invece non è affatto vero che le società più ricche sono le più felici: dati alla mano è semmai vero il contrario, anche perché le società dell'illimitato sono le società dove le diseguaglianze sono più marcate e l'imperativo del consumo fine a se stesso produce un aumento del degrado della qualità della vita (l'acqua, l'aria, l'ambiente) che, paradossalmente, richiede per essere compensato un massiccio ricorso a strategie come prodotti antistress, viaggi, svaghi. D'altra parte non è un caso che i paesi occidentali più ricchi sono quelli in cui maggiore è il consumo di psicofarmaci (l'Italia è al secondo posto dopo la Francia).
Ecco spiegato in soldoni perché la decrescita intesa come "abbondanza frugale" o "prosperità senza crescita" è pura utopia. Perché nessuno, anche a livello psicologico, prenderà mai in considerazione di diminuire il proprio tenore di vita o di cambiare le proprie abitudini, ad esempio provando a usare meno la macchina (per assorbire la CO2 prodotta da un litro di benzina occorrono 5 metri quadrati di foresta), abbassare di qualche grado la temperatura in casa in inverno, dominuire il consumo di carne (gli allevamenti intensivi rappresentano la causa prima di consumo di suolo nel mondo e sono i maggiori responsabili del riscaldamento globale).
Insomma, la decrescita è a mio avviso pura utopia, ma libri come questo hanno se non altro il merito di aiutare a capire certe dinamiche del mondo e a prendere coscienza del nostro ruolo all'interno di esse. E forse non è poco.
Nessun commento:
Posta un commento