giovedì 3 aprile 2008

Pino Masciari, perché ne parla solo Beppe Grillo?

Qualcuno di voi conosce per caso Pino Masciari? No? Beh, neanche io. O meglio, non lo conoscevo fino a ieri, quando ho trovato il link al suo sito in questo post di Beppe Grillo. Perché lì? Semplice: perché Grillo è stato l'unico, o quasi, a parlarne. Per il resto silenzio. Partendo da lì ho conosciuto la sua storia: la storia di un morto che cammina.

Pino Masciari (foto) è (anzi, era) un imprenditore edile calabrese che ha commesso il grosso errore, a detta anche di molti esponenti delle istituzioni ("...stia attento prima di denunciare, si rischia la vita, non si esponga troppo"), di denunciare i suoi estorsori, quelli a cui facevano gola la floridità delle sue aziende. Estorsori equamente divisi tra esponenti della famigerata 'ndrangheta calabrese e politici e amministratori locali.

Questo suo coraggioso gesto ha consentito l'arresto e la tradotta in galera di una cinquantina di persone, compreso un magistrato, ma nel contempo, com'era facilmente prevedibile, ha segnato la fine delle sue aziende e della sua vita, se per vita si intende la possibilità di poter fare liberamente ciò che si vuole. Dal 1997 vive infatti, assieme alla moglie e ai figli, in regime di protezione speciale dello stato in una località segreta. Protezione per modo di dire, a quanto sembra. Scrive infatti, tra le altre cose, lo stesso Masciari nello spazio meetup di Beppe grillo:
[...] Inserito nel Programma Speciale di Protezione a partire dal 17 Ottobre 1997, portato via dalla Calabria e da allora sprofondato in un tunnel senza via d'uscita: in questi 11 anni non si contano i comportamenti omissivi tenuti dalle Istituzioni preposte alla mia protezione,
contrari alla legge e prima ancora alla dignità della persona.
Abbandonato al mio destino insieme con la mia famiglia, isolati, esiliati dalla propria terra, privati delle imprese edili e del proprio lavoro (mia moglie è un medico-odontoiatra).
Prima mi hanno tolto il pane, poi mi hanno tolto la libertà, infine la speranza.
Dopo 11 lunghi anni di attesa e di fiducia nelle Istituzioni oggi devo ammettere che non ci sono le condizioni perché la mia famiglia continui a restare ancora in Italia considerando la situazione di abbandono e l'assenza dei settori preposti alla protezione, che sarebbe dovuta avvenire in modo vigile e costante nella località (per così dire) protetta.
La conclusione è che mi ritrovo facile bersaglio insieme alla mia famiglia della vendetta mafiosa, nell'allarmante contesto di 'ndrangheta, acceso e dilagante.
Pertanto chiedo formalmente al Presidente del Consiglio Romano Prodi, al Ministro dell'Interno Giuliano Amato e al Viceministro dell'Interno Marco Minniti con delega alla Commissione Centrale ex art. 10 L. 82/91 di risolvere tempestivamente prima della consultazione elettorale la mia annosa vicenda, garantendo il diritto al lavoro e la sicurezza presente e futura per me e la mia famiglia.
Contemporaneamente chiedo formalmente ad una qualsiasi delle Nazioni dell'Unione Europea o altra Nazione l'ADOZIONE della mia famiglia, per mia moglie ed i miei due figli, perché si prenda cura di loro con la dovuta sicurezza.
Io no! Scelgo di rimanere nel mio paese, a rischio della vita, per proseguire la strada della denuncia civile e legale dell'impotenza delle Istituzioni, che alle parole non fanno seguire i fatti concreti e per raccontare la verità sulla lotta alla mafia in Italia: chi non scende a compromessi con le dinamiche mafiose deve essere fatto fuori, in un modo o nell'altro. [...]
L'imprenditore, quindi (è notizia di questi giorni), come si legge qui sopra, ha deciso di abbandonare la località protetta in cui è costretto a vivere e di tornare a suo rischio nella sua terra per due motivi: protestare per l'inerzia di uno stato che in modo evidente non è in grado di tutelare chi si ribella alla mafia, chiedere che uno stato dell'Unione Europea offra asilo politico o adozione alla sua famiglia al fine di tutelarne l'integrità.



Questa, a grandi linee, la storia di Pino Masciari. Un articolo più esaustivo in merito lo trovate in questa pagina del suo blog. Raccontata la storia, mi piacerebbe adesso fare alcune considerazioni. Ma non le farò, le lascio a voi se volete. Io mi limito solo a elencare una serie di domande.

Perché io - come penso molti di quelli che mi leggono - sono venuto a sapere questa storia da Beppe Grillo? Perché non viene menzionata da testate tipo Corriere o Repubblica? Sono troppo impegnati a raccontare della dottoressa che fa sesso al grande fratello? Dello scontro idiota tra Berlusconi e il Quirinale? Delle tette nuove della Tatangelo? Delle presunte qualità soprannaturali di Wojtyla? Del reggiseno di Meredith? Sono queste le cose che devo sapere?

Forse, chissà, il motivo potrebbe semplicemente essere che, specie in campagna elettorale, certe notizie possono "disturbare". Magari un pinco pallino qualsiasi che legge storie di questo tipo potrebbe farsi qualche domanda, indagare un po' e scoprire ad esempio che la lotta alla mafia non è contemplata in nessuno dei programmi delle due maggiori coalizioni, eccetto che per qualche vago riferimento buttato lì come a dire: "Massì, va, mettiamoci anche questo, tanto uno più uno meno...".

E, si sa, disturbare il corso di una campagna elettorale tutta presa a convincere il popolo bue ad andare a votare per decidere da chi essere presi in giro per i prossimi 5 anni, non va bene.

Aspettiamo quindi con ansia anche la prossima puntata della telenovela di Cogne.

2 commenti:

  1. Io ne ero al corrente grazie a questi due ottimi blog, che ne approfitto per segnalarti:
    http://www.ammazzatecitutti.org/
    http://www.censurati.it/

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  2. Sì, li conosco entrambi. Questi, assieme a molti altri, sono l'espressione più vera del concetto di informazione.

    Quella che fanno i media "ufficiali", quelli più blasonati, non è informazione ma disinformazione. Internet è probabilmente l'ultimo canale rimasto - o comunque uno degli ultimi - in cui è possibile trovare questo genere di cose, perché non esiste un filtro preventivo che dica "lì bisogna tagliare" o "lì bisogna rivedere".

    Cerchiamo quindi di tenercela stretta.

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