Per noi è una cosa normale, uno dei tanti gesti che facciamo quotidianamente in modo automatico. Accendiamo il nostro pc, scriviamo un pensiero, un'idea, un'incazzatura (perché no?) e la mettiamo in rete. Senza problemi.
Reporters sans Frontières ha pubblicato oggi una particolare classifica. Si tratta di un elenco di 13 paesi che hanno in comune un'interessante peculiarità: si può essere arrestati per quello che si pensa o si scrive se non corrisponde ai dettami del regime. Ognuno di questi paesi si distingue dall'altro per alcuni dettagli, ma il denominatore comune è la mancanza di libertà di opinione.
Così, spulciando il documento, si scoprono alcune cose interessanti: in Cina, ad esempio, sono attualmente detenuti in carcere 52 blogger, colpevoli di aver scritto cose non approvate dal governo. A Cuba le connessioni internet sono messe al bando, e negli internet café i pochi pc connessi in rete hanno installati particolari software che avvisano le autorità qualora gli incauti internauti dovessero utilizzare parole non gradite.
Alla luce di queste cose, chissà, forse guarderemo con occhi diversi il prossimo post che scriveremo.
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La cosa realmente deprecabile però, è che il tutto è dichiaratamente supportato dal consenso dei fornitori di rete, solitamente occidentalissimi.
RispondiEliminaPurtroppo anche questo è vero. Qualcosa di simile nel campo del p2p, tempo fa, ha tentato di prendere piede anche da noi. Se non ricordo male c'e stata la proposta (poi fortunatamente cestinata) di investire i provider della qualifica di "sceriffi", ossia avrebbero dovuto segnalare alle autorità le generalità di chi faceva uso di programmi di condivisione di file.
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