domenica 28 settembre 2025

Nonno Bibi

È singolare, e anche rivelatore di un certo tipo di approccio, come stampa e giornali, nei loro titoli, lo definiscano spesso "Bibi". Così, un po' affettuosamente, come un nipotino chiamerebbe il nonno preferito a cui vuole molto bene. Bibi dice, Bibi fa, Bibi pensa. Ormai il meccanismo mentale e mediatico che ci presenta il maggiore criminale di guerra della storia contemporanea come uno di famiglia è interiorizzato nella psiche collettiva. 

Ovviamente nessun giornale si è ancora azzardato a definire l'altro criminale di guerra affettuosamente "Vladi". Perché il doppio standard non vale solo per i criminali di guerra, ma anche per i simpatici nonnini.

15 commenti:

  1. La semplificazione sta prendendo piede, sta diventando uno dei caratteri del nostro tempo. Ormai non si prende più in considerazione la realtà reale, ma quella che fa più comodo, quella che fa più presa. E le parole, le definizioni, hanno ovviamente un grande ruolo nel processo.
    Sono molto scoraggiata di fronte a tutto ciò, perché per combattere il fenomeno ci vorrebbe un'energia che vedo scarseggiare alquanto.

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    1. Certo, e in più ci vorrebbe un livello di cultura che oggi non abbiamo più, unito a una capacità di ragionare sui problemi in maniera razionale, guardandoli cioè per quello che sono, non a partire da pregiudiziali di tipo ideologico e emotivo.

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    2. Ci vorrebbe un'educazione (famigliare e scolastica) che qui sta diventando fantascienza... 😞

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  2. Andrea, non credo sia questione di cultura. La storia ci mostra che i più colti sono stati spesso i più feroci: filosofi che giustificavano guerre, giuristi che benedicevano leggi razziali, ingegneri che progettavano campi di sterminio. Il problema non è la mancanza di sapere, ma la sostanza dell’uomo, che dal medioevo a oggi non è cambiato di un millimetro. Ha sostituito la spada con il drone, la crociata con l’operazione di pace, il rogo con i social. La civiltà è solo una vernice sottile: basta un graffio una crisi, una guerra, una carestia e riaffiora la bestia che siamo. Altro che progresso umano: è solo progresso tecnico. Siamo scimmie con lo smartphone.
    G

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    1. Può darsi, ma qui non si parla di leggi razziali, guerre, campi di sterminio, si parla solo di titolisti prezzolati che provano a manipolare l'opinione pubblica tramite un uso disinvolto della semantica dei termini. Opinione pubblica che forse potrebbe rendersi conto di questi tentativi di manipolazione con un grado di cultura maggiore.

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    2. Andrea, è vero: qui si parla di titoli e semantica, non di guerre. Ma il meccanismo è lo stesso, solo in scala ridotta. La manipolazione attecchisce non perché manca la cultura, ma perché l’uomo sceglie sempre la via più comoda: credere a ciò che gli conferma i pregiudizi, che gli semplifica la realtà, che gli evita fatica e conflitto. Anche i colti non ne sono immuni: anzi, spesso usano la loro cultura per legittimare la menzogna. La cultura aiuta a leggere, certo, ma non a volere la verità. Perché il problema non è il sapere, è la volontà.
      G

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    3. Non sono d'accordo. Ho letto qualche libro su questi argomenti (uno su tutti: Come funziona la mente, di Steven Pinker) e ho trovato spessissimo correlazioni tra essere vittime di manipolazioni e basso livello culturale. Poi magari intervengono anche altri fattori, ma questo legame è ormai ampiamente dimostrato.

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    4. Andrea, se bastasse un buon livello culturale per non cadere vittime di manipolazione, i laureati non voterebbero mai per partiti populisti, non abboccherebbero alle fake news, non cadrebbero nei complotti ben confezionati. E invece succede eccome. Pinker o non Pinker, la cultura è un paracadute bucato: rallenta la caduta, ma non ti salva dall’impatto. La storia, poi, abbonda di esempi di uomini colti (come scritto poc'anzi) che non solo non sono stati immuni, ma hanno messo il proprio sapere al servizio della manipolazione: filosofi, scrittori, giornalisti sopraffini capaci di confezionare menzogne ben più efficaci dei titolisti di oggi.
      Il punto è che la mente umana, istruita o meno, funziona per scorciatoie: cerca conferme, evita complessità, si lascia sedurre dalle narrazioni semplici. La manipolazione attecchisce ovunque non perché manchi la cultura, ma perché l’uomo preferisce l’illusione alla fatica della verità. Se la cultura fosse davvero un vaccino, oggi saremmo tutti immuni. E invece basta un titolo furbo, e il gregge parte in corsa.
      G

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    5. Continuo a non essere d'accordo. È vero che la mente cerca scorciatoie, ma la cultura serve anche per riuscire a capire certi meccanismi e a evitarli. I laureati che votano partiti populisti lo possono fare anche per appartenenza ideologica, non necessariamente in seguito a manipolazione. Magari capiscono le mistificazioni ma il sentimento ideologico è più forte.

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    6. Andrea, certo, la cultura può aiutare a riconoscere le scorciatoie e le manipolazioni. Ma capire non significa resistere: la mente umana privilegia sempre ciò che conforta i propri sentimenti, ideologie o paure. La cultura rallenta, non immunizza. In fondo, la manipolazione non è solo questione di ignoranza: è questione di volontà e di istinto. E quello, colto o meno, resta sempre lo stesso.
      E vuoi un esempio di manipolazione che riguarda proprio te? Giorni fa hai scritto un post sul tempo che rubi alla tua famiglia per stare su blog e social. Non è esattamente il sistema che ti manipola, anche a te? Nessuno è immune proprio perché, come si è scritto sul primo commento, è la struttura dell'essere umano che non è cambiata dal medioevo. Ovviamente una manipolazione più raffinata. Buona notte… chiudo!
      G

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    7. Capire non significa resistere, ma aiuta a farlo.

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  3. è un po' come se chiamassi Hitler, fifì

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  4. Non lo sapevo, che in Italia prendeva il nome di Bibi, e sì, questo lo mostra come persona affettuosa, oppure familiare.

    podi-.

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    1. La stampa italiana (certa stampa, diciamo) ci ha abituati a questo e altro.

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